L'Umbria verde non interessa agli imprenditori - Passaggi ...

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IL COMMENTO

L'Umbria verde non interessa agli imprenditori
Di Urbano Barelli

Era il 20 ottobre quando a Perugia, nella splendida cornice di San Francesco al Prato, un
imprenditore illuminato come Andrea Margaritelli affidava l'introduzione di Green Table a Stefano
Mancuso il quale, in un lungo ed interessante intervento, riproponeva quello che da tempo sostiene
per contrastare i cambiamenti climatici, cioè: meno cemento e più alberi. Con una proposta molto
concreta per salvare il pianeta e soprattutto la nostra specie: piantare mille miliardi in più.
Prima di Mancuso erano intervenuti per i saluti iniziali il sindaco di Perugia, Andrea Romizi, e la
presidente della Giunta regionale dell’Umbria, Donatella Tesei, entrambi a sostegno della
transizione ecologica e dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Unione europea.
Pur nel generale apprezzamento dell’introduzione di Stefano Mancuso, molti dei presenti avevano
commentato come utopistica la proposta di Mancuso e che non avesse margini per essere accolta e
realizzata.
Green Table, con centinaia di persone presenti e migliaia collegate, è stato un evento importante per
Perugia e l’Umbria, e continuerà ad essere una piattaforma di dibattito sulla transizione ecologica
verso la neutralità climatica. Una transizione che l’Unione europea ha avviato con il Green Deal nel
2019 e che ha poi rafforzato a seguito della pandemia ritenuta una delle conseguenze negative degli
squilibri ambientali del pianeta.
L’attenzione al problema dei cambiamenti climatici è stata poi al centro del G20 del 30 e 31 ottobre
presieduto da Mario Draghi, per il quale la lotta ai cambiamenti climatici è la sfida del nostro tempo
e bisogna agire ora.
Se nel G20 non si è riusciti a far convergere la Cina, l’India e la Russia sugli obiettivi dell’Unione
europea di riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e della neutralità climatica
entro il 2050, un concreto obiettivo è stato però raggiunto.
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L’obiettivo raggiunto è proprio quello proposto da Stefano Mancuso a Perugia e che molti
ritenevano irrealistico. Infatti, il G20 ha condiviso "l'obiettivo ambizioso di piantare collettivamente
1.000 miliardi di alberi".
L’attenzione sui cambiamenti climatici è stata poi rilanciata il 1 novembre alla Cop26 a Glasgow,
con l’allarme di Joe Biden, Boris Johnson e Antonio Guterres: “siamo sull'orlo del baratro". Il
premier britannico ha poi aggiunto: “è il momento di agire, basta bla bla bla", citando una frase di
Greta Thunberg. Anche il Papa nel suo messaggio ha parlato di "crisi senza precedenti, Cop26 dia
risposte con urgenza a generazioni future".
Il giorno successivo a quello nel quale i leader del mondo discutevano allarmati dei pericoli dei
cambiamenti climatici e Mario Draghi aggiungeva che “sui disastri ambientali oggi c’è più
percezione”, ad Assisi si svolgeva l’assemblea di Confindustria Umbria.
“Scegliere di crescere”, questo il titolo dell'assemblea per il rinnovo delle cariche, ma, nell’ampio e
partecipato Teatro Lyrick, nessuna eco del dibattito e delle preoccupazioni dei leader mondiali:
negli interventi che si sono succeduti non è stato fatto alcun cenno ai cambiamenti climatici.
Si è parlato di pandemia e di ripresa economica, di Piano nazionale di ripresa e resilienza e di
occasione storica per i fondi stanziati, ma nulla si è detto del Green Deal, né della transizione
ecologica.
Tutto ciò ha stupito quanti ritengono che gli imprenditori dovrebbero invece essere i primi ad
interessarsene, più degli ambientalisti. L’Unione europea, gli Usa e molti paesi industrializzati
vedono infatti i cambiamenti climatici sì come un problema gravissimo e urgente, ma anche come
l’occasione per un nuovo sviluppo.
Per il Fondo monetario internazionale il cambiamento climatico "resta una minaccia per la salute e
le vite umane in molti paesi, ma anche un minaccia per l'attività economica". "Agire ora, o sarà un
disastro", si legge nel primo report della Banca centrale europea di settembre sui cambiamenti
climatici, “investire oggi, anche pesantemente, in un’economia a basse emissioni eviterà di pagare
costi pesantissimi tra qualche anno”.
L’Unione europea è la realtà istituzionale che guida la transizione ecologica a livello mondiale, più
degli Usa. La Commissione europea della von der Lyden e di Timmermans, oggi con il sostegno di
Draghi, sta consolidando proprio sull’obiettivo della neutralità climatica una leadership mondiale
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che da tempo mancava all’Europa. Nel giugno dello scorso anno il Parlamento europeo ha
approvato il regolamento sulla finanza sostenibile con una classificazione delle attività economiche
sostenibili (regolamento 2020/852) e una tassonomia che è, e sarà sempre di più, la bussola per tutti
gli investitori con criteri che diventeranno sempre più stringenti, complici anche i green bond Ue.
Il fondo BlackRock, la più grande fondo d’investimenti al mondo, ha posto la sostenibilità al centro
delle sue politiche finanziarie: il suo fondatore Larry Fink ha dichiarato che l’emergenza climatica
sta drasticamente modificando il modo in cui gli investitori guardano alle prospettive a lungo
termine delle singole aziende.
Seguendo l’assemblea degli imprenditori umbri l’impressione, però, è stata che tutto questo non
riguardi le imprese umbre: c’è molto interesse degli imprenditori per i finanziamenti europei, ma
poco o nulla per gli obiettivi del Green Deal e per la transizione ecologica.
Mentre il resto del mondo discute del “bla, bla, bla” lamentato da Greta Thunberg e ripreso da Boris
Johnson, mentre si discute delle troppe chiacchiere e dei pochi fatti che si vedono sui cambiamenti
climatici, gli imprenditori umbri non sembrano interessati al problema, nemmeno ne parlano, quasi
che non li riguardi.
L’Unione europea vuole invece trasformare la crisi climatica in un’occasione di crescita. Anche
l'Europa come gli imprenditori umbri ha scelto di crescere, ma non si è limitata a dichiararlo,ha
anche indicato la direzione: la transizione ecologica verso la neutralità climatica.
Una transizione che dà attuazione al Green Deal e per la quale ha dettato anche i contenuti: i fondi
del Pnrr non devono essere utilizzati per progetti che danneggiano l’ambiente e il 37% dei fondi
deve essere necessariamente destinato ai cambiamenti climatici. Non solo, l’Unione europea ha
indicato anche il tipo di economia che dovrà essere il motore della crescita di questa transizione:
l’economia circolare.
A marzo 2020 la Commissione europea ha presentato il piano d'azione per l’economia circolare che
include proposte sulla progettazione di prodotti più sostenibili e sulla riduzione dei rifiuti, con
particolare attenzione ai settori ad alta intensità di risorse, come elettronica e tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, plastiche, tessile e costruzioni.
Il 30 settembre scorso anche l’Italia ha predisposto una prima stesura della propria strategia
nazionale sull’economia circolare: settore nel quale, è bene ricordarlo, il nostro Paese detiene la
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leadership europea (tasso di utilizzo circolare di materia del 19,3% rispetto alla media Ue
dell'11,9%), mentre proprio l’Umbria può vantare la presenza di una delle migliori aziende al
mondo (Novamont).
L’Europa sceglie quindi di crescere con l’economia circolare, ma gli imprenditori umbri sembrano
disinteressati, non ne parlano, nemmeno la citano. Così, la loro pur interessante proposta di un Patto
umbro per lo sviluppo, risulta priva di una reale strategia di crescita. Gli stessi imprenditori si
lamentano poi del fatto che i giovani se ne vanno a studiare e a lavorare fuori regione, senza
chiedersi se ciò non dipenda anche dalle aziende umbre che non si pongono nella prospettiva del
futuro che l’Unione europea indica e finanzia.
Secondo un recente sondaggio il 79% degli italiani ritiene che la terra si stia avvicinando a punti di
non ritorno e l'86% è disposto a fare di più per proteggere la natura e il clima. Cresce la sensibilità
dei giovani su tale argomento ed il numero di quelli che manifestano per il clima negli
appuntamenti organizzati da Fridays For Future, il movimento di Greta Thunberg.
Un futuro verde per superare la crisi climatica è un futuro per il quale l’Umbria si troverebbe in una
posizione di vantaggio rispetto alle altre regioni, visto che le nostre qualità ambientali sono
ampiamente riconosciute anche dal crescente turismo.
La proposta di piantare mille miliardi di alberi rilanciata da Stefano Mancuso a Perugia e che ha
trovato accoglimento nel G20 e conferma nella Cop26, è quindi un bel segnale che viene dalla
regione con un'antica vocazione verde. Quella vocazione ecologica che ha visto come primo
protagonista San Francesco d’Assisi, patrono dell'ecologia, e quella vocazione per l’economia
circolare che non spreca risorse come sempre ha fatto la nostra tradizione contadina (“del maiale
non si butta via nulla”).
Per fortuna in Umbria non c’è solo Andrea Margaritelli della Fondazione Giordano e Catia Bastioli
di Novamont, c’è anche Gianluigi Angelantoni, da sempre impegnato sulle energie rinnovabili, c'è
Giuseppe Cioffi pioniere dell'economia circolare in Tarkett, e tra Umbria e Toscana c’è Massimo
Mercati di Aboca che, oltre a studiare e lavorare le erbe, pubblica molti libri utili per capire il
mondo nuovo che verrà. C'è poi Brunello Cucinelli, anch’esso un imprenditore illuminato che il
presidente Mario Draghi ha chiamato ad intervenire nel prestigioso panel “Collaborazione tra
pubblico e privato per la protezione dell’ambiente e la lotta al cambiamento climatico” del G20.
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In fondo, per essere al passo con l’Europa e all’altezza della sfida della crisi climatica, l’Umbria
non deve fare altro che recuperare la sua identità e valorizzare i suoi talenti. In passato si è parlato
dei due motori dell’economia umbra: l’industria manufatturiera e il sistema turismo-ambiente-
cultura. A questi oggi si aggiunge il nuovo motore dell’economia circolare. Le condizioni per far
bene ci sono, spetta quindi agli imprenditori umbri accendere questo nuovo motore per diventare
quello che tutti si aspettano che l’Umbria sia: il Cuore Verde d’Italia.
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