L'Islam a Roma, tendenze e nazionalità: una ricerca sul campo (2019-2020) - OasisCenter

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   L’Islam a Roma, tendenze e nazionalità:
      una ricerca sul campo (2019-2020)
                             Viviana Schiavo

                                  Abstract

Mentre nell’Italia settentrionale la presenza musulmana ha assunto
forma stabile già negli anni ’80, a Roma tale consolidamento si è
verificato con maggiore lentezza e ha registrato una forte accelerazione
negli ultimi 15 anni, con la costruzione di 18 sale di preghiera. La maggior
parte di queste ricadono sotto l’ombrello della Confederazione Islamica
Italiana e della Jamāʻat al-tablīgh, rilevando una predilezione capitolina
per un Islam tradizionalista e ortodosso. Tuttavia, queste non sono le
uniche tendenze discorsive presenti in città. Il presente articolo si propone
di analizzare le diverse correnti che costellano l’Islam romano,
presentandone la storia, la complessa rete di relazioni e il tipo di
religiosità proposta.
L’Islam a Roma, tendenze e nazionalità: una ricerca sul campo (2019-2020)
                                                                                                Viviana Schiavo

Viviana Schiavo
Laureata in Relazioni Internazionali, con una specializzazione sul mondo arabo e l’area mediterranea, ha
consacrato la sua formazione accademica e le sue esperienze professionali alle tematiche del dialogo
interculturale e interreligioso, in particolare islamo-cristiano, delle migrazioni e dell’accoglienza. Ha
lavorato come mediatrice interculturale in diversi progetti e come operatrice legale per richiedenti asilo.
Dal 2015 collabora con il Centro Astalli nell’ambito dei progetti educativi su dialogo interreligioso e
rifugiati nelle scuole medie e superiori. Diplomata presso il Centro Studi Interreligiosi dell’Università
Gregoriana, nel 2018 ha conseguito la licenza al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (PISAI).
Dall’ottobre dello stesso anno è borsista di ricerca presso il CUC (Centro Universitario Cattolico) con il
progetto “Jawdat Said: tra nonviolenza e dialogo interreligioso nell’Islam”.

                                                                                                                  -2-

Questo working paper rientra nelle pubblicazioni relative al progetto L’Islam in Italia. Un’identità in
formazione realizzato grazie al contributo di Fondazione Cariplo.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono
necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis.

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L’Islam a Roma, tendenze e nazionalità: una ricerca sul campo (2019-2020)
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Con i suoi due milioni e mezzo di aderenti1, l’Islam è la seconda religione in Italia. Una realtà di
recente approdo, che si è inizialmente affermata soprattutto nel nord del Paese, per poi
insediarsi permanentemente anche nel centro e sud Italia.

L’Islam della Capitale
Se a Milano già negli anni ’80 la presenza musulmana aveva assunto forma stabile, a Roma tale
consolidamento si è prodotto con maggiore lentezza e ha raggiunto il suo culmine solo negli
ultimi 15 anni, in cui si è assistito a un aumento esponenziale del numero delle moschee con
l’apertura di ben 18 sale di preghiera2. Le ragioni di questo ritardo risultano legate sia
all’andamento dei flussi migratori che alla dispersione provocata dall’assetto urbanistico della
Capitale. A causa del costo degli affitti, la maggior parte delle comunità migranti si è stabilita
nelle zone periferiche della città, spesso organizzandosi secondo il Paese di provenienza. Una
divisione, quella su base etnico-nazionale, che caratterizza in realtà gran parte del fenomeno
islamico italiano. Tuttavia, mentre le regioni settentrionali presentano una forte connotazione
arabofona, nella Capitale la nazionalità predominante è quella bangladese, che controlla il 59,5%
delle moschee romane3. Un’altra differenza sostanziale con il nord del Paese risiede nella
tipologia d’Islam che si è maggiormente sviluppata. Seguendo la classificazione proposta da
Alessandra Caragiuli, è possibile affermare, semplificando, che mentre nell’Italia settentrionale
                                                                                                                          -3-
prevalgono la tendenza mistica e spirituale rappresentata dalla COREIS (Comunità Religiosa
Islamica Italiana) e quella politica, simboleggiata dall’UCOII (Unione delle Comunità e
Organizzazione Islamiche in Italia) e dal suo legame con la galassia dei Fratelli Musulmani 4, a
Roma si registrano invece una corrente maggiormente tradizionalista, portata avanti dalla
Confederazione Islamica Italiana (CII), e una dimensione missionaria e pietista, che trova la sua
espressione nel movimento tablīgh5. Quest’ultimo persegue una “re-islamizzazione dal basso” di
carattere apolitico che si affianca, dunque, a “un’islamizzazione dall’alto”, promossa dall’Islam
degli Stati simboleggiato dalla Grande Moschea e dalla CII.

Ad ogni modo l’Islam a Roma, come nel resto della penisola, non è un blocco monolitico. Al pari
delle altre religioni, anche quella islamica è costellata da una molteplicità di tendenze: gli islam

1
  In un rapporto del 2016, ISMU, incrociando i dati del Pew Research Center con quelli dell’ISTAT, ha stimato la
presenza     sul     territorio   italiano     di   2,6   milioni     di     musulmani      (https://www.ismu.org/wp-
content/uploads/2016/07/Menonna_Musulmani_Fact-sheet_Giugno-20161.pdf ).
2
  Alessandra Caragiuli, Islam Metropolitano, Edup, Roma 2017, p. 37. Per comodità e vista la brevità della trattazione,
verranno utilizzati i termini moschea e sala di preghiera in modo intercambiabile. Per un approfondimento sulle
diverse tipologie di luogo di culto musulmane e sulla questione della visibilità dell’Islam nello spazio pubblico si
rimanda a Stefano Allievi, La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso, Marsilio, Venezia
2010; Francesco Chiodelli, La spazialità islamica nelle città italiane: rilevanza, caratteristiche ed evoluzione, «GSSI
Urban Studies», Working Paper 2 (2014).
3
  Carmelo Russo, Alessandro Saggioro (a cura di), Roma città plurale, Bulzoni editore, Roma 2018, p. 333.
4
  Per approfondimenti si veda Annalisa Frisina, The Union of Islamic Communities and Organisations and related
groups in Italy, in Peter, F., Ortega, R., Islamic Movements of Europe. Public Religion and Islamophobia in the
Modern World, I. B. Tauris, London 2014, 115-118, p. 116.
5
  Alessandra Caragiuli, Islam Metropolitano, pp. 27-28.

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di cui parla il sociologo Stefano Allievi6. In questo articolo ne analizzeremo le principali,
evidenziandone il legame coi Paesi musulmani e il carattere transnazionale, in un’ottica
comparativa con altri Stati europei. In particolare, la trattazione si soffermerà sulle due realtà
maggiormente influenti nel panorama islamico romano, ossia la Grande Moschea e la
Confederazione Islamica Italiana a questa collegata da un lato, e il movimento missionario
Jamāʻat al-tablīgh dall’altro. Sarà inoltre dato spazio alla presenza, minoritaria seppure
rilevante, dei gruppi islamici afferenti all’UCOII e di quelle realtà che si autodefiniscono
indipendenti dalle diverse organizzazioni dell’Islam italiano e dalle molteplici correnti
musulmane.

Considerata la scarsità della letteratura riguardante le tradizioni discorsive dei musulmani
residenti nella Capitale7, si è dato ampio spazio alla ricerca sul campo, attraverso la raccolta di
storie di vita, interviste in profondità e discussioni informali con esponenti dell’Islam romano e
ricercatori. La maggior parte delle interviste sono state realizzate prima dell’emergenza causata
dalla diffusione del coronavirus Sars-Cov-2.

La Grande Moschea
Quando si parla di Islam a Roma, immediatamente il pensiero va alla cosiddetta “Grande
Moschea”, la più grande d’Italia e tra le principali in Europa. È gestita dal Centro Islamico                         -4-
Culturale d’Italia (CICI), istituzione nata nel 1966 e che dal 1998 ha come suo Segretario Generale
Abdallah Redouane, membro del Consiglio della Comunità dei Marocchini all’Estero, ente posto
sotto la diretta autorità del Re del Marocco Mohammed VI8.

Il progetto per la costruzione della Grande Moschea cominciò a prendere forma agli inizi degli
anni ’70, in un momento in cui l’Italia si rese conto di non essere più un Paese di emigrazione,
ma piuttosto di immigrazione. Un periodo che risulta essere particolarmente favorevole anche
dal punto di vista politico, considerata la crisi petrolifera del ’73 9. L’area di costruzione, donata
dal comune di Roma, si trovava ai piedi del Monte Antenne, in una zona strategica: vicina ai
quartieri benestanti e a diverse ambasciate, ma al di fuori dello spazio urbano. Evidenziando fin
da subito lo spirito dialogico con cui la si voleva caratterizzare, l’opera venne affidata a due
architetti i cui progetti avrebbero dovuto armonizzarsi: l’italiano Paolo Portoghesi e l’iracheno
Sami Mousawi. Sebbene quest’ultimo abbia abbandonato il progetto pochi anni dopo, l’intento
dialogico è evidente in ogni scelta fatta, dal tipo di stile e di materiale impiegato nella
costruzione della struttura alle piante che ne adornano il giardino: tutto richiama l’incontro tra
la cultura locale e il mondo islamico. Il dibattito feroce e le forti critiche sollevate dalla
realizzazione del luogo di culto causarono il rallentamento e l’interruzione dei lavori. L’opera

6
  Stefano Allievi, Musulmani d’Occidente. Tendenze dell’islam europeo, Carocci editore, Roma 2005, p. 15.
7
  Al momento, la ricerca più completa riguardante le tendenze religiose, piuttosto che l’ortoprassi e gli aspetti
sociologici del fenomeno musulmano, è quella che è stata condotta nel corso di cinque anni da Alessandra Caragiuli,
i cui risultati sono raccolti nel libro Islam Metropolitano, pubblicato da Edup.
8
  Groupes de travail, CCME, https://www.ccme.org.ma/fr/ccme/groupes-de-travail.
9
  Stefano Allievi, La moschea di Roma, «Africa» 1 (1994), pp. 36-38.

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venne finalmente inaugurata il 21 giugno del 199510, grazie ai finanziamenti di diversi Paesi
musulmani, tra cui principalmente il Marocco e l’Arabia Saudita. In particolare, fu proprio re
Faysal, l’allora sovrano saudita, a promuovere la costruzione del luogo di culto nel corso di una
visita a Roma, nel 1966. Decisivo fu l’assenso di Paolo VI e Giovanni Paolo II, che scelsero di non
vincolare l’edificazione di un luogo di culto islamico nella capitale del Cattolicesimo a una logica
transazionale: a oggi infatti l’Arabia Saudita continua a non permettere l’edificazione di luoghi di
culto non islamici sul proprio territorio.

All’interno del Centro culturale è inoltre ospitata anche la sede italiana della Lega Musulmana
Mondiale, ONG nata a Mecca per iniziativa dello stesso re Faysal e strettamente legata al regno
saudita. Per queste ragioni e per la sua struttura interna, la Grande Moschea viene spesso
considerata l’emblema del cosiddetto “Islam delle Ambasciate”. Infatti, se il Segretario Generale
è marocchino, il Presidente è sempre stato l’ambasciatore dell’Arabia Saudita 11, almeno fino al
2017, quando è stato eletto il giovane italo-marocchino Khalid Chaouki, esponente del Partito
Democratico ed ex-presidente dei Giovani Musulmani d’Italia: una mossa frutto della volontà di
dare una svolta alla questione dell’intesa con lo Stato italiano, attraverso un volto giovane e
conosciuto, che avrebbe dovuto «rendere pienamente italiana la realtà del Centro Islamico
Culturale d’Italia», trasformandola da «Moschea degli Stati a Moschea della comunità islamica
italiana»12. Ma la scelta di Chaouki13 è stata anche il risultato del braccio di ferro sempre in corso
tra i Paesi, e in particolare tra il Marocco e l’Arabia Saudita, per il controllo della moschea. Una
contesa in cui il Marocco sembra oggi momentaneamente prevalere, come suggeriscono le
                                                                                                                     -5-
discussioni e le divergenze sulle date di inizio e di fine Ramadan.

Da diversi anni il tema è occasione di accesi dibattiti, tra chi crede che tali date debbano essere
calcolate astronomicamente e chi invece pensa che sia necessario affidarsi alla pratica
dell’avvistamento a occhio nudo, come veniva fatto al tempo del Profeta. Il Marocco, che ha
sempre seguito le direttive dell’Arabia Saudita, nel 2019, per la prima volta, ha iniziato e
terminato il mese di Ramadan un giorno dopo rispetto alla Mecca, motivando la scelta con il
mancato avvistamento della luna crescente; la stessa cosa ha fatto la Grande Moschea,
evidenziando indirettamente il legame col Paese nordafricano e scatenando un’accesa
discussione all’interno della stessa comunità islamica italiana. Anche in questo caso, come per
Rabat, la ragione ufficiale del Centro Islamico Culturale d’Italia è stata l’impossibilità
dell’osservazione lunare. A questo si aggiunge la volontà del CICI di legare il più possibile
l’esercizio del culto alla specifica realtà geografica della penisola, nel tentativo di accreditarsi a
rappresentante di un Islam italiano. Da questa volontà prende avvio il progetto per un
avvistamento lunare italiano, attualmente affidato all’imam di origini siriane Nader Akkad,
responsabile del Comitato Scientifico per l’Avvistamento Lunare del Centro Islamico14. Risultato

10
   Carmelo Russo, Alessandro Saggioro, Roma città plurale, pp. 299-301.
11
   Stefano Allievi, La moschea di Roma, «Africa» 1 (1994), pp. 36-38.
12
   Islam: Chaouki, renderò Grande Moschea realtà italiana, «ANSAmed», 17/10/2017,
http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/cronaca/2017/10/17/islam-chaouki-rendero-grande-
moschea-realta-italiana_be43085a-2340-402a-afcb-5f820032275b.html.
13
   Chaouki si è dimesso nel corso del 2019 a causa di divergenze interne. È stato sostituito da Naim Nasrallah,
anche lui di origine marocchina.
14
   Intervista a Nader Akkad, 11/11/2020.

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del progetto è stato l’accordo di collaborazione15 con l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica),
siglato con l’obiettivo di rafforzare il dialogo tra fede islamica e scienza e la cooperazione con le
istituzioni italiane. Sfruttando la diffusione capillare delle strutture dell’Istituto Nazionale,
l’accordo, tra le altre cose, prevede l’utilizzo di tali strutture e il dialogo tra gli esperti dell’INAF e
gli imam indicati dal CICI per analizzare i moti lunari e determinare, attraverso l’osservazione
della crescenza lunare a livello locale, alcune date fondamentali del calendario islamico, tra cui
l’inizio e la fine del Ramadan16.

In questo delicato equilibrio, l’imam della Grande Moschea viene invece scelto dall’Egitto tra il
personale della moschea-università dell’Azhar. Il suo mandato dovrebbe durare tre anni, ma
l’ultimo imam, Salah Ramadan el-Sayed, arrivato nel 2016, ha ottenuto un’estensione,
rimanendo in carica fino ad aprile 2020. El-Sayed è un latinista e ha svolto il ruolo di direttore
del dipartimento di lingua latina e italiana presso la moschea-università egiziana. Ed è proprio
l’Azhar a costituire il suo principale punto di riferimento teologico e dottrinale, un riferimento
che, a suo dire, si caratterizza «per una mentalità aperta che abbraccia tutte le dottrine
dell’Islam». Più in generale, l’ex imam della Grande Moschea romana si riconosce nel discorso
religioso promosso dal Presidente egiziano al-Sisi17. Afferma infatti di seguire regolarmente i
sermoni che ogni venerdì vengono diffusi dal ministero egiziano degli Awqāf: «In Egitto il
discorso teologico è posto sotto il controllo dello Stato. Non si tratta di un controllo che mira a
limitare la libertà […] ma piuttosto a riformare apertamente la mentalità dei cittadini». Lo scopo,
afferma l’imam, è quello di contrastare l’ideologia estremista, che lui definisce superficiale,
                                                                                                                   -6-
perché utilizza i versetti coranici estrapolandoli dal contesto. Egli crede invece che nell’approccio
al testo sacro islamico debba essere applicato il principio del fiqh al-wāqiʻ (la giurisprudenza
della realtà), ossia l’idea che sia possibile interpretare il Corano e la Sunna «secondo le condizioni
della realtà di ogni persona e di ogni Paese, nel suo contesto geografico e storico; si tratta di un
ramo della giurisprudenza che sta prendendo molto piede all’Azhar». Sebbene a livello ufficiale
– afferma l’imam – la Grande Moschea di Roma non segua nessuna corrente o scuola giuridica
specifica, la maggior parte delle persone che la frequentano appartiene alla scuola malikita 18,
maggioritaria in Marocco. Dopo la partenza di el-Sayed, il nuovo imam non è ancora stato
nominato: la moschea è attualmente chiusa a causa dell’emergenza COVID-19. Tuttavia, anche
nei periodi di normale apertura, essa costituisce un punto di riferimento soprattutto a livello
istituzionale, mentre «molti musulmani la considerano un luogo “di rappresentanza”, [...] poco
vicino alla realtà quotidiana dei fedeli comuni» 19. Questi ultimi, infatti, la frequentano
raramente, anche per via della lontananza dal centro e dai quartieri in cui effettivamente vivono
la maggior parte dei musulmani.

15
   L’accordo è stato firmato in data 17 aprile 2020 dal Segretario Generale del CICI, Abdallah Redouane, e dal
Presidente dell’INAF, Nicolò D’Amico (Intervista a Nader Akkad, 11/11/2020).
16
   Falce di luna nuova sull’inizio di un nuovo cammino, «Media Inaf», 23/04/2020,
https://www.media.inaf.it/2020/04/23/ramadan-islam-inaf/.
17
    Michele Brignone, La rivoluzione dell'Islam secondo il presidente al-Sisi, «Fondazione Oasis», 15/01/2015,
https://www.oasiscenter.eu/it/la-rivoluzione-dellislam-secondo-il-presidente-al-sisi.
18
   Intervista a Saleh Ramadan el-Sayed, ex imam della Grande Moschea di Roma, 13/07/2019.
19
   Carmelo Russo, Alessandro Saggioro, Roma città plurale, pp. 303-304.

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La Confederazione Islamica Italiana e l’ombra del Marocco
L’influenza della Grande Moschea sul territorio romano e italiano sembrerebbe essere, dunque,
limitata. Tuttavia, negli ultimi anni essa ha dato avvio a un progetto volto a estendere e
consolidare la sua presenza in Italia. Nel 2012, infatti, è nata la Confederazione Islamica Italiana
(CII), «un’associazione di associazioni», come la definisce il suo segretario generale, Massimo
Abdallah Cozzolino20. I suoi pilastri sono le Federazioni Regionali, organismi di rappresentanza
che raccolgono le adesioni delle singole moschee, associazioni e sale di preghiera presenti sul
territorio di ogni regione. Ogni Federazione ha un direttivo eletto dai centri islamici aderenti e il
cui Presidente, a sua volta, partecipa di diritto alle riunioni della Confederazione 21. Le moschee
aderenti alla Federazione laziale sono 17, ma due sono state recentemente chiuse, riducendo il
numero a 1522.

Resta aperta la questione dell’impatto di questa appartenenza sulla realtà locale. Cozzolino
afferma che quella dei centri culturali non è solo un’adesione formale, ma corrisponde a una
normalizzazione delle pratiche amministrative e associative e all’accettazione della carta dei
valori della CII. Nella pratica, è complicato determinare quanto l’adesione dei singoli centri sia
puramente burocratica o invece più fattuale. Da quanto osservato finora, è possibile ipotizzare
una situazione intermedia, in cui l’iscrizione dei centri locali alla Federazione e di conseguenza
alla Confederazione non si fermi al solo livello formale, ma abbia come risultato anche la
realizzazione di alcuni aspetti pratici23. Al contempo, l’adesione alla CII non significa la completa                    -7-
omologazione delle pratiche cultuali, come dimostra la questione delle date del Ramadan nel
2019: nel Lazio alcuni centri aderenti alla Confederazione, come quello di Lavinio, hanno iniziato
e terminato il mese di Ramadan secondo le direttive dell’Arabia Saudita (5 maggio-3 giugno) e
non secondo le indicazioni della Confederazione e dalla Grande Moschea, che hanno invece
seguito le date marocchine (6 maggio-4 giugno)24.

Alla creazione della Confederazione hanno partecipato diverse figure, tra cui il segretario
generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Abdallah Redouane, l’ambasciatore del Marocco,
Hassan Abouyoub, e AbdulHamid Saydawi, attuale presidente della Federazione Regionale
Islamica del Lazio e membro del Consiglio degli Ulema Marocchini di Bruxelles25. A detta dei
membri del suo direttivo, la CII nasce con lo scopo prioritario di dare una nuova rappresentanza
ai musulmani presenti in Italia. L’intento è quello di accreditarsi come rappresentanti di un Islam
“italiano” per poter essere promotori di un’intesa con lo Stato, la cui mancanza viene considerata

20
    Massimo Abdallah Cozzolino, La Confederazione islamica e “gli Islam” italiani, «Fondazione Oasis», 12/12/2019,
https://www.oasiscenter.eu/it/confederazione-islamica-italiana-cozzolino-abdallah-massimo.
21
   Ibidem.
22
   Intervista ad AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019.
23
   Ne è un esempio il caso del Salento: Saifeddine Maaroufi, imam della moschea di Lecce formalmente aderente
all’UCOII, racconta come nel momento in cui ha cercato di coordinare tutte le realtà islamiche presenti sul territorio
salentino per firmare insieme una carta dei valori islamici che promuovesse la pace, il dialogo e la lotta
all'estremismo, le moschee della confederazione islamica non abbiano voluto aderire. Secondo l’imam la mancata
firma dipende dall'appartenenza della sua moschea all’UCOII. Intervista all’imam Saifeddine Maaroufi, 23/12/2019.
24
   Intervista a Bistarine Tayeb, imam della moschea di Lavinio, 04/12/2019.
25
   Intervista ad AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019.

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«una delle principali difficoltà della comunità musulmana italiana» 26. Nelle attività promosse
dalla Confederazione e dai suoi enti regionali si presta, inoltre, particolare attenzione alla
formazione dei giovani, a cui sono stati dedicati diversi forum, conferenze e momenti di incontro,
tra cui le due summer school organizzate insieme all’Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il
dialogo interreligioso (UNEDI) della CEI. Il dialogo interreligioso, infatti, è un altro fronte in cui
la Confederazione è impegnata. A questo si aggiunge il campo della formazione, in particolare
quella degli imam, attraverso l’organizzazione di incontri realizzati insieme al Consiglio europeo
degli ulema marocchini e di corsi mirati, tra i quali spicca il Corso di Alta Formazione per gli imam
e le murshidāt (le guide religiose femminili) organizzato in collaborazione con l’Università di
Padova all’interno del progetto europeo PriMed (Prevenzione e interazione nello spazio Trans-
Mediterraneo), che coinvolge dodici università italiane e dieci appartenenti ai paesi OCI
(Organizzazione per la Cooperazione Islamica)27.

In tutti questi aspetti è evidente il forte legame con il Marocco28, ciò che rafforza l’impressione
della prevalenza della componente marocchina all’interno della Grande Moschea. All’epoca della
sua creazione, l’allora ambasciatore del Marocco, Hassan Abouyoub, dichiarò in un’intervista per
ANSAmed che avrebbero fatto parte della Confederazione «unicamente le moschee di
tradizione malikita, che rispettano l’Islam moderato» 29. Quella malikita è una delle quattro
scuole giuridiche dell’Islam, nello specifico quella ufficiale dello Stato marocchino, presentata
spesso come flessibile e particolarmente predisposta ad adattarsi al contesto europeo30, come
afferma il segretario generale della Confederazione:
                                                                                                                          -8-
        «Abbiamo un legame privilegiato con il Marocco, ma questo non significa che ci sia
        una forma di appiattimento della nostra poliedrica realtà nazionale […]. Senz’altro
        ritroviamo importanti principi ed elementi di affinità con il Marocco, con la scuola
        giuridica malikita, con la dottrina teologica ash‘arita e con la spiritualità sufi; ecco
        perché, nelle direttive della nostra Confederazione e anche nei percorsi formativi,
        tendiamo a privilegiare quell’apertura tipica del contesto marocchino31».

26
   Massimo Abdallah Cozzolino, La Confederazione islamica e “gli Islam” italiani.
27
   Cos'è il PriMED?, PriMED-MIUR, https://primed-miur.it/cosae-il-primed/.
28
   Lo stesso presidente della Confederazione è un marocchino, Moustapha Hajraoui. Inoltre, tra le molte attività
organizzate per i giovani figurano ad esempio dei viaggi conoscitivi proprio nel paese magrebino, rivolti sia a
musulmani che a non musulmani (intervista a Massimo AbdAllah Cozzolino, segretario generale della CII,
17/10/2019).
29
   Islam: nasce Confederazione Islamica Italia, unite 250 moschee, AnsaMED, 22/03/2012,
 http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2012/03/22/visualizza_new.html_155078855.html.
30
   Benjamin Bruce, La via marocchina all'Islam europeo, «Oasis» 28 (2018), pp. 45-53.
31
   Massimo Abdallah Cozzolino, La Confederazione islamica e “gli Islam” italiani. L’origine della confederazione è
riconducibile alla politica che lo Stato magrebino ha adottato nei confronti delle comunità diasporiche a partire
dagli anni ’90: basata sulle riforme religiose interne, essa prevede una particolare attenzione alla religiosità dei
marocchini all’estero, con la presenza istituzionale in loco, la formazione degli imam e delle future generazioni e
l’invio diretto di imam marocchini nel corso di ricorrenze particolari, come quella del Ramadan. Nella succitata
intervista, lo stesso Cozzolino parla di «forme di interesse da parte del Regno del Marocco», il quale cerca di fare in
modo che «la comunità stessa non diventi, nel Paese di origine, in questo caso il Marocco, veicolo di religiosità
distanti da quelle che sono invece le tradizioni locali di coesistenza pacifica, portando a delle pericolose forme di
polarizzazione». Il legame tra la CII e il Marocco è ulteriormente corroborato dallo stretto rapporto con il Consiglio
europeo degli ulema marocchini (CEOM), istituito a Bruxelles nel 2008 con l’incarico di occuparsi «delle questioni
religiose e intellettuali dei marocchini e dei musulmani residenti in Europa», offrendo loro «un punto di riferimento

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L’Islam a Roma, tendenze e nazionalità: una ricerca sul campo (2019-2020)
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Tendenzialmente, quindi, la Confederazione attrae principalmente a sé le comunità di origine
marocchina. Tuttavia, nel caso romano la CII ingloba al suo interno anche una parte consistente
dell’universo bangladese, principalmente attraverso l’adesione alla Federazione laziale delle
moschee afferenti al movimento tablīgh.

Dalla Confederazione al movimento Tablīgh
Un vestito bianco, la jallāba, che scende quasi fino alle caviglie, il copricapo tradizionale e una
lunga barba: è così che appare AbdulHamid Saydawi. L’abbigliamento è quello tipico di un
aderente della jamāʻat al-tablīgh, un movimento musulmano missionario di origine indiana che
conta oggi milioni di seguaci in più di 150 Paesi: predicatori erranti che praticano e diffondono
un Islam basato su rigide regole di condotta e su una totale imitazione del Profeta. Suo scopo
primario è la purificazione individuale e la re-islamizzazione dei musulmani cosiddetti “lontani”:
«Tablīgh per me è il cambiamento interiore, soprattutto per le persone che hanno perso la
strada. È una formazione per diventare pienamente umani» 32. La jamāʻat si inserisce nella
corrente riformista musulmana che prende forma tra il XIX e il XX secolo e che invoca un
rinnovamento della fede attraverso un ritorno alle sue fonti, il Corano e la Sunna 33. Tuttavia, a
differenza di altri movimenti sorti sulla stessa scia, il movimento tablīgh non rifiuta la tradizione
interpretativa islamica né le sue scuole teologiche e giuridiche. Mentre in India a prevalere è la                -9-
scuola hanafita, in contesto italiano invece questa viene talora sostituita da un’adesione alla
scuola malikita, come nel caso dell’imam Abdul Hamid. Quest’ultimo, infatti, oltre a essere il
Presidente della Federazione islamica del Lazio e un membro del Consiglio europeo degli ulema
marocchini, è stato anche tra i promotori del movimento tablīgh in Italia, nonché il fondatore
di una delle prime moschee romane.

Nella Capitale, la spinta propulsiva alla nascita dei luoghi di culto islamici venne, a cavallo tra gli
anni ’80 e gli anni ’90, dai movimenti per la casa e dalle occupazioni, come nel caso dell’ex
pastificio Pantanella, e dalle baraccopoli periferiche, tra cui quella del quartiere Quarticciolo34. È
qui che nel 1989 nasce la prima sala di preghiera romana, che ha come protagonista lo stesso
AbdulHamid. Arrivato in Italia nel 1988, l’imam racconta come, nel 1989, lui e altri correligionari
abbiano deciso di affittare una baracca nella zona del mercato di Porta Portese 2, nel quartiere
romano del Quarticciolo. «All’inizio non era pensata come moschea – afferma l’imam – ma come
posto per riposarci e per cucinare il pranzo. Un posto in cui stare insieme e riempire il vuoto
creato dalla mancanza dei forti legami famigliari vissuti nel Paese d’origine». L’esperienza durò
cinque anni e si concluse con un incendio che investì l’intera baraccopoli, lasciando illesa la
moschea: «Questo ci ha spinto a credere di più e a tornare a Dio, perché all’inizio non eravamo

religioso» (Taʻrīf bi-l-maljlis al-Ūrūbī li-l-ʻulamāʼ al-maghāriba, CEOM,
http://www.ceomeurope.eu/ar/council/articles-8). Per approfondimenti vedi Benjamin Bruce, La via marocchina
all'Islam europeo, «Oasis» 28 (2018), pp. 45-53.
32
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 12/07/2019.
33
   Muhammad Khalid Masud (a cura di), Travellers in Faith, pp. XVII-XIX.
34
   Alessandra Caragiuli, Islam metropolitano, p. 32.

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tanto praticanti. Noi non siamo venuti qui per costruire le moschee, ma per cercare un pezzo di
pane». In seguito a quell’evento, lo stesso gruppo, composto da persone di diversa nazionalità,
affittò un locale al primo piano di uno stabile in via Poseidonio, nel quartiere del Pigneto, dove
è nata la moschea al-Nur, tuttora esistente. La comunità costruitasi intorno a quella moschea è
riuscita, infine, attraverso un autofinanziamento, a comprare un primo locale in zona Quadraro,
in cui è stata aperta la moschea Omar, di cui AbdulHamid è l’attuale imam. La sala di preghiera
è un punto di riferimento per la comunità locale: il venerdì sono presenti circa 700 persone, per
la maggioranza di origine bangladese. Tuttavia, trattandosi di una comunità mista, il rito si svolge
in arabo e italiano, così da poter essere compreso da tutti35.

La moschea è parte integrante dell’associazione Eddawa, che fin nel nome porta esplicito il
riferimento al movimento tablīgh, per il quale il concetto di daʻwa, ossia di invito alla fede, è
fondante, insieme a quello, ovviamente, di tablīgh (predicazione)36. Viste le funzioni ricoperte
dall’imam, la moschea aderisce, inoltre, alla Federazione Islamica del Lazio e, di conseguenza, alla
Confederazione Islamica Italiana. Come anticipato, la stessa moschea è anche la sede italiana del
Consiglio europeo degli ulema marocchini, in virtù del ruolo di membro del Consiglio svolto
dall’imam37. Il caso della moschea del Quadraro è dunque esemplificativo dell’ulteriore legame
che si configura non solo tra il Marocco e la CII ma tra questi e il movimento tablīgh attivo a
Roma. La moschea Omar non rappresenta infatti un’eccezione nel panorama cittadino. Nella
capitale la jamāʻat al-tablīgh è fortemente presente e la maggior parte delle sale di preghiera
tablīgh fanno parte anche della Federazione regionale, ma non tutte, «perché la Federazione
                                                                                                                          - 10 -
non è strettamente legata al movimento tablīgh»38 e «non c’è nessun accordo tra la
Confederazione e la Jamaat Tabligh»39.

Il movimento si dichiara in generale apolitico e risulta apparentemente estraneo alla
competizione per la leadership in atto tra le diverse organizzazioni dell’Islam italiano.
Nonostante ciò e malgrado la mancanza di un accordo specifico tra la CII e il movimento
missionario, da questa prima analisi sembrerebbe che attraverso l’adesione delle moschee di
ispirazione tablīgh alla Confederazione Islamica italiana, l’ala romana dello stesso movimento
sia stata coinvolta nella versione intra-musulmana della cosiddetta “guerra delle moschee”
menzionata da Stefano Allievi, ossia quel meccanismo per cui le diverse associazioni islamiche
presenti in Italia cercano, a colpi di numeri di sale di preghiera, di stabilire la propria preminenza

35
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 12/07/2019.
36
   Entrambi i termini hanno un posto di rilievo nella tradizione islamica. La radice verbale del termine tablīgh, b-l-
gh, indica il raggiungimento di un luogo, di un obiettivo o di un’età. Si trova spesso nel Corano seguita dalla parola
risāla (messaggio), intendendo l’atto di comunicare il messaggio divino. Lo stesso termine tablīgh, nella tradizione
islamica, può trovarsi insieme a risāla o in alternativa a daʻwa indicando in quest'ultimo senso la comunicazione
dell’invito (a Dio). In epoca moderna, tablīgh viene utilizzato con il significato di “proselitismo” e nel movimento
missionario indiano è considerato un dovere che ricade su tutti i musulmani. La parola daʻwa deriva invece dalla
radice d-ʻ-w, letteralmente “invitare, chiamare”. Nel Corano viene utilizzata col significato di “invitare le persone a
Dio”. Nell’uso moderno, tablīgh e daʻwa sono spesso utilizzati come sinonimi.
37
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 12/07/2019.
38
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019.
39
   Massimo Abdallah Cozzolino, La Confederazione islamica e “gli Islam” italiani.

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nel variegato panorama dell’Islam italiano e di accreditarsi come legittimi rappresentanti dello
stesso40.

L’imam AbdulHamid si è avvicinato al movimento tablīgh in Italia, dove lo ha conosciuto
attraverso dei predicatori emiratini: «Il Re saudita aveva una casa a Roma per la preghiera. Li ho
incontrati lì e ho trascorso dei giorni con loro. Poi sono andato quattro mesi in Bangladesh, India
e Pakistan»41. È infatti a Delhi che prende avvio la Jamāʻat al-tablīgh42, intorno agli anni ’20 del
secolo scorso, dall’intuizione di Muhammad Ilyās, dotto musulmano di formazione deobandi43
che, mettendo in discussione l’efficacia delle madrase, si avvicina ai movimenti di predicazione
ed entra in contatto col metodo del gasht (dal persiano, “fare dei giri”), che consiste nello girare
nelle zone intorno a una moschea invitando le persone alla pratica religiosa. Su questo metodo,
che verrà modificato e adattato, Ilyās fonderà il movimento tablīgh, iniziando a predicare e a
raccogliere seguaci a partire dalla regione di Mēwāt, una zona molto povera. Infatti, è soprattutto
alle fasce più popolari, con una particolare attenzione alle situazioni di disagio e marginalità, che
si rivolgono le prediche e i giri di daʻwa del movimento. Tale attenzione è rimasta una costante
della jamāʻat anche nella sua versione europea. Al contempo, però, Ilyās cercò di attirare il
sostegno degli ulema più in vista44. Questa volontà di accreditamento presso gli ulema spiega in
parte il legame, in Europa, tra il movimento e gli enti rappresentativi di un Islam più istituzionale:
è il caso dell’Italia e del rapporto tra alcune moschee afferenti al movimento e la Grande
Moschea, o quello del Belgio, in cui dopo una prima ostilità, il movimento ha iniziato a
collaborare con la Grande Moschea di Bruxelles45.
                                                                                                                           - 11 -

La proposta di Muhammad Ilyās si basa su sei punti principali: 1) La Kalima Tayyiba (lett. “la
parola buona”), o articolo di fede, che oltre a comprendere la tradizionale professione di fede
musulmana definisce il tablīgh, ossia la predicazione, come un dovere che ricade su tutti i
musulmani; 2) la preghiera, che nella concezione di Ilyās, racchiude in sé gli altri quattro pilastri
dell’Islam e dovrebbe essere recitata in moschea, stabilendo la centralità del luogo di culto per
il movimento; 3) ʻilm e dhikr, che indicano rispettivamente la conoscenza dei principi dell’Islam,
fondamentale per gli ulema, e il ricordo di Dio, ossia la ripetizione rituale di brevi preghiere cara
ai sufi. Si tratta di due concetti che Ilyās considera complementari e che limita ai soli confini
coranici, riducendo la polarizzazione tra Islam dei dotti e Islam mistico; 4) Ikrām-i-muslim, il

40
    Stefano Allievi, La guerra delle moschee, pp. 79-83.
41
   Intervista a AbdulHamid Saydawi, 12/07/2019.
42
   Nonostante i numerosi seguaci e la sua ampia diffusione in tutto il mondo, reperire informazioni sulla jamāʻat
al-tablīgh non è una semplice impresa: gli scritti ufficiali sono quasi inesistenti e la letteratura accademica che la
riguarda non è particolarmente ricca. Principale punto di riferimento è il libro a cura di Masud, Travellers in Faith,
che raccoglie diversi articoli in prospettiva transnazionale. Tra le pubblicazioni più recenti figura quella di Siddiqi,
che analizza la jamāʻat al-tablīgh nel suo sviluppo in Gran Bretagna, mentre in Italia, dove i Tablīgh pur essendo
numerosi restano sconosciuti ai più, Alessandra Caragiuli ha dedicato a questo movimento una parte della sua
ricerca sull’Islam romano.
43
   Movimento sunnita riformista nato in India nel XIX secolo in reazione alla colonizzazione inglese. Deve il suo nome
al seminario della città indiana di Deoband, suo principale centro di formazione religiosa e tra i più importanti di
tutto il mondo islamico. I deobandi sono diffusi soprattutto in India e in Pakistan.
44
   Ivi., p. 10.
45
    Felice Dassetto, Le tabligh en Belgique. Diffuser l’Islam sur les traces du Prophète, Academia – Sybidi Papers,
Louvain-la-Neuve 1988, p. 17.

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rispetto per i musulmani; 5) Ikhlās-i-niyyat o la sincerità delle intenzioni; 6) Tafrīgh-i-waqt, cioè
il tempo libero dalle occupazioni mondane e dedicato al tablīgh46.

A livello pratico, il metodo elaborato dal fondatore è costituito da azioni specifiche, consistenti
principalmente nell’apprendimento e nella predicazione del messaggio coranico, da eseguire
secondo tempistiche dettagliatamente stabilite. Ogni seguace del movimento deve, infatti,
compiere due sessioni al giorno di studio (taʻlīm) del Corano e degli hadīth. Il compito principale
resta quello della daʻwa, ossia quello di invitare i musulmani a eseguire la pratica religiosa e a
unirsi al movimento. Si tratta di un obbligo che deve essere compiuto ogni giorno per due ore e
mezza, due volte a settimana facendo dei giri (gasht) nella zona intorno alla moschea, attraverso
un viaggio di tre giorni ogni mese, un altro di quaranta giorni una volta all’anno (chilla) e, infine,
in un viaggio di apprendimento e predicazione tra l’India, il Bangladesh e il Pakistan una volta
nella vita47.

Sia AbdulHamid che Bistarine Tayeb, imam marocchino della moschea di Lavinio, seguono
queste prescrizioni in modo fedele: oltre ad aver compiuto più volte il viaggio di quattro mesi in
Asia, essi partono regolarmente per eseguire la daʻwa in diverse zone dell’Italia e all’estero, così
come compiono i rituali giri di predicazione tra le moschee romane o nelle zone intorno alle sale
di preghiera di riferimento48. I seguaci italiani del movimento tablīgh ottemperano anche
all’obbligo di mashwara, ossia di consultazione, riunendosi settimanalmente per decidere il
programma da seguire e le attività da organizzare. L’ala romana del movimento si riunisce il
                                                                                                                       - 12 -
martedì, ogni volta in una moschea diversa. Anche le donne partecipano a una mashwara
esclusivamente al femminile: nella Capitale questa si svolge il sabato all’interno delle abitazioni
private49. Mensilmente, invece, ha luogo la mashwara mintaqa, ossia la riunione regionale che,
nel caso romano, coinvolge Roma, Perugia e Napoli. In Italia, la jamāʻat si divide in cinque regioni
o mintaqa: il Veneto; la Lombardia; l’Emilia Romagna; la regione costituita da Umbria, Lazio e
Campania; e infine quella che riunisce Sicilia e Sardegna. Vi è poi la mashwara o
ijtema‘ nazionale, organizzata ogni quattro mesi e ogni volta in posti diversi. Stessi tempi e
principio di turnazione, infine, per l’ijtema‘ Europa50. Se prima le ijtema‘ italiane e europee
coinvolgevano tutti gli aderenti al movimento, ora invece, visti il numero elevato di seguaci e i
problemi organizzativi che ne derivavano, queste sono riservate solo ai seguaci di vecchia data, i
cosiddetti “anziani”51. Attualmente, inoltre, a causa della pandemia determinata dal coronavirus
SARS-Cov-2, tutte le riunioni sono state annullate e la daʻwa viene limitata a incontri personali52.
Il caso romano evidenzia una delle principali caratteristiche del movimento: quella

46
   Muhammad Khalid Masud (a cura di), Travellers in Faith, pp. 21-24.
47
   Bulbul Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, Springer, Singapore 2018, pp. 2-3; Muhammad Khalid Masud (a cura di),
Travellers in Faith, pp. 26-27.
48
   Intervista all’imam Bistarine Tayeb, 04/12/2019.
49
    La componente femminile è parte integrante del movimento tablīgh. Per le donne sono previsti degli specifici
momenti di riunione e predicazione. Per approfondimenti vedi Barbara D. Metcalf, Tablīghī Jamāʻat and Women,
in Muhammad Khalid Masud (a cura di), Travellers in Faith. Studies of the Tablīghī Jamāʻat as a Trasnational Islamic
Movement for Faith Renewal, Brill, Leiden-Boston-Köln 2000, pp. 44-58; Agnés De Féo, Femmes du Tabligh en Asie
du Sud-Est, «Les Chaiers de L’Orient», n. 83 (2006).
50
    Ibid.
51
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019.
52
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 11/11/2020.

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dell’adattabilità, un tratto reso evidente dalla transnazionalità della jamāʻat e dalla sua capacità
di inserimento in vari contesti occidentali53. «Nel movimento c’è l’idea di adattarsi al contesto,
di trattare le cose in base al posto in cui ci si trova – afferma l’imam della moschea di Lavinio,
Bistarine Tayeb. Per esempio nei mesi di formazione mi è stato insegnato come parlare con
persone diverse, pian piano, secondo le capacità di ognuno»54. Questa adattabilità permette a
una parte del movimento italiano di integrarsi senza problemi con la scuola giuridica malikita,
come testimoniano le interviste allo stesso AbdulHamid e all’imam di Lecce Saifeddine
Maaroufi55. È probabilmente questa adattabilità una delle ragioni della grande diffusione della
jamāʻat nel mondo. Un altro motivo può essere individuato nella semplicità che la caratterizza,
dalla chiarezza delle regole al linguaggio e allo stile impiegati, qualità che la rende
particolarmente adatta a essere compresa dalle classi sociali meno istruite56: «Io ho scelto
questo metodo perché è facile da seguire – afferma l’imam Bistarine – è un modo per salvare
l’umanità e va bene per tutti»57.

Il movimento tablīgh, inoltre, prevale nell’Islam di minoranza, ossia in quel tipo di Islam che
Allievi definisce “meccano”, contrapposto a quello “medinese”, vale a dire di maggioranza 58. È
infatti in India che nasce, in un contesto minoritario: da qui anche l’importanza del gruppo, la
jamāʻat per l’appunto59. Sia in Francia che in Belgio, come mostrano Kepel e Dassetto, il
movimento ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione di una coscienza socio-religiosa
tra le minoranze60, affermandosi in momenti di particolare crisi sociale e identitaria, all’interno
di una popolazione marginalizzata, caratteristica questa che è indubbiamente riscontrabile
                                                                                                                                - 13 -
anche nel caso italiano. Tale ruolo traspare anche dall’elevato numero di moschee costruito dal
movimento nei diversi Paesi europei, così come in Marocco61: la moschea è infatti il fulcro
dell’attività della jamāʻat al-tablīgh, nonché il mezzo attraverso cui questa si diffonde in modo
più capillare. Questo è vero anche nel caso del Lazio, in cui le moschee che afferiscono al
movimento di origine indiana sono undici62. Si tratta di un numero cospicuo, se si considera
inoltre il ruolo fondamentale giocato dal movimento nell’aumento del numero delle moschee
romane.

Le sale di preghiera legate alla jamāʻat non appartengono a un’unica associazione nazionale,

53
   Vedi Felice Dassetto, Le Tabligh en Belgique. pp. 10-11.
54
   Intervista all’imam Bistarine Tayeb, 04/12/2019.
55
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019 e intervista all’imam Saifeddine Maaroufi, 23/12/2019.
56
   Gilles Kepel, Foi et pratique: tablīghī jamāʻt in France, in Muhammad Khalid Masud (a cura di), Travellers in Faith,
188-205, pp. 188 e 194.
57
   Intervista all’imam Bistarine Tayeb, 04/12/2019.
58
   Stefano Allievi, Musulmani d’Occidente, p. 23.
59
    Mohamed Tozy, Sequences of a Quest: tablīghī jamāʻt in Morocco, in Muhammad Khalid Masud (a cura di),
Travellers in Faith, 161-173, p. 164.
60
   Muhammad Khalid Masud (a cura di), Travellers in Faith, p. XI.
61
   Mohamed Tozy, Sequences of a quest: tablīghī jamāʻat in Morocco, in Muhammad Khalid Masud (a cura di),
Travellers in Faith, 161-173, p. 162.
62
   Si tratta delle moschee: Omar (Roma quarticciolo), al-Nur (Roma Pigneto), Makki (Roma Pigneto), Quba (Roma
Tor Pignattara), Roma (attualmente chiusa, Roma Tor Pignattara), al-Wahid (Velletri), Moschea Central (Roma Piazza
Vittorio), di S. Vito (Roma Piazza Vittorio), di via Tolemaide (Roma Ottaviano), di Lavinio, di Ardea, di Aprilia. Intervista
all’imam Bistarine Tayeb, 04/12/2019.

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                                                 www.oasiscenter.eu
L’Islam a Roma, tendenze e nazionalità: una ricerca sul campo (2019-2020)
                                                                                                  Viviana Schiavo

come nel caso francese: a Roma sono raggruppate in due diverse associazioni, una facente capo
alla moschea del Quadraro, Omar, e l’altra alla moschea Quba di Tor Pignattara. Il caso italiano è
esemplificativo anche del ruolo giocato dai tablīgh nella creazione di un’identità panislamica o
“ummica”63: se per Gaborieau la transnazionalità del movimento è infatti fittizia perché legata
esclusivamente alle comunità asiatiche64, il caso italiano sembra presentare un realtà diversa. Le
moschee tablīgh, infatti, sono tra le poche in cui la nazionalità dei frequentatori assidui è mista,
pur con una prevalenza bangladese, e spazia dall’Asia meridionale al Nord Africa, fino all’Africa
subsahariana65. Questa caratteristica è riscontrabile soprattutto nelle sale di preghiera afferenti
alla moschea Omar, caratterizzata da una struttura simile a quella di altre sale di preghiera
romane a guida araba, in cui c’è una sovrapposizione tra l’imam e il presidente della moschea. Le
moschee tablīgh facenti capo alla moschea Quba, invece, presentano caratteristiche analoghe a
quelle di altre moschee a conduzione bangladese, in cui il presidente è un imprenditore di
successo, una persona in vista nella comunità nazionale, mentre l’imam non ha alcun ruolo
dirigenziale all’interno della sala di preghiera66. Anche quest’ultimo caso, ad ogni modo, presenta
connotazioni nazionali miste67.

L’UCOII e le moschee indipendenti
Tra le moschee a guida araba, due sono particolarmente note nel panorama romano: la moschea
al-Huda, nota come moschea di Centocelle, e la moschea al-Fath, conosciuta come moschea                               - 14 -
della Magliana. La prima, tra le poche moschee della Capitale che aderiscono all’Unione delle
Comunità e Organizzazioni Islamiche d’Italia (UCOII), è stata aperta nel 1994 per iniziativa di
alcuni musulmani di origine tunisina sfuggiti alla repressione politica di Ben Ali. Infatti, se una
delle caratteristiche principali degli aderenti al movimento tablīgh è quella di dichiararsi
apolitici, la conduzione della moschea al-Huda si distingue, invece, per una forte politicizzazione.
A dirigerla è l’imam Mohamed Ben Mohamed, aderente fin da giovanissimo al partito islamista
tunisino Ennahda. È proprio per le persecuzioni dovute alla sua appartenenza politica, di cui non
fa mistero68, che l’imam ha dovuto lasciare la Tunisia nel 1991 per dirigersi prima in Sudan, dove
ha studiato sharīʻa, in particolare economia islamica, e poi nel 1997 in Italia, dove ha ottenuto lo
status di rifugiato69. Una volta arrivato a Roma, ha proseguito il suo impegno all’interno del
partito Ennahda: è stato, infatti, attivo nelle diverse campagne elettorali tenutesi in Italia in
corrispondenza delle elezioni tunisine. Un impegno che, a suo dire, non va confuso col suo ruolo
di guida spirituale: «La moschea non si schiera mai a favore di un certo partito, non è permesso.

63
   Stefano Allievi, Musulmani d’Occidente, pp. 24-26.
64
   Marc Gaborieau, South Asian Muslim Diasporas and Transnational Movements: Tablîghî Jamâ‘at and Jamâ‘at-l
Islâmî, «South African Historical Journal», vol. 61, n. 1 (2009), pp. 8-20.
65
   Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019.
66
    Per approfondimenti sulla comunità bangladese romana vedi Carmelo Russo, Alessandro Saggioro (a cura di),
Roma città plurale, pp. 333-344 e 354-356. Intervista ad Anwar Khan, presidente dell’associazione culturale Tabligh
Eddawa, con base nella moschea Quba, 10/05/2019.
67
   Intervista all’imam Khan Wali Ullah, 10/06/2019.
68
    Mohamed Ben Mohamed, “I musulmani in Europa non vogliono uno Stato, ma i diritti di una minoranza”,
«Oasis», 04/10/2019, https://www.oasiscenter.eu/it/imam-centocelle-ennhada-elezioni-tunisia.
69
   Intervista all’imam Mohamed Ben Mohamed, 24/04/2019.

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Non lo abbiamo fatto e non lo facciamo. Distinguiamo totalmente tra le due cose»70.

La sala di preghiera si presenta, come di consueto, nelle vesti di un’associazione culturale
impegnata in numerose attività, di tipo culturale, sociale ed educativo. In particolare, l’ambito
formativo non si limita all’insegnamento religioso e linguistico rivolto ai bambini, svolto nel fine
settimana nei locali di una scuola pubblica, ma investe anche la formazione pedagogica
dell’insegnanti coinvolti. La moschea costituisce, inoltre, un punto di riferimento fondamentale
non solo per la comunità musulmana capitolina ma anche per ciò che concerne il dialogo
interreligioso e la società civile nel suo insieme: particolarmente fruttuosa è la collaborazione
con la Chiesa cattolica e con la comunità evangelica, con le quali vengono portate avanti diverse
iniziative, affiancate dalle giornate di “moschea aperta” o dagli iftār (la rottura del digiuno) aperti
a tutti nel periodo di Ramadan. Sebbene l’imam motivi l’affiliazione all’UCOII con una necessità
rappresentativa ed economica, il suo posizionamento dottrinale e politico sembrerebbe indicare
un’affinità discorsiva71, corroborata dal rimando al Consiglio Europeo della Fatwa e della Ricerca
come riferimento religioso e dall’invito in moschea di esperti afferenti all’Associazione degli
imam e delle guide religiose, due realtà a cui è collegata l’UCOII.

La moschea el-Fath, o moschea della Magliana, si presenta invece come un’associazione
autonoma. L’organizzazione della sala di preghiera sembra essere accentrata nella figura
dell’imam, l’egiziano Sami Salem, che per un brevissimo periodo ha assolto anche la funzione di
imam della Grande Moschea, verso la quale si mostra attualmente critico. L’imam,
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particolarmente presente sulla scena pubblica italiana attraverso la partecipazione al
programma Piazza Pulita e la realizzazione di due documentari (Il primo giorno di Dio, 2015, e
Almeno Credo, 2017), afferma di non avere particolari riferimenti intellettuali. La moschea è
legata al mondo istituzionale egiziano: al suo interno ha infatti sede una scuola che prepara al
rilascio del diploma da parte dell’ambasciata egiziana72.

Egiziano è anche l’imam della moschea Rahma, nata nel 2009 per iniziativa di alcuni credenti
musulmani di origine nord-africana residenti nel quartiere periferico di Ponte di Nona.
Inizialmente posta sotto l’ombrello dell’associazione Eddawa, facente capo alla moschea Omar,
attualmente si autodefinisce indipendente. L’imam è stato tra i fondatori del CAIL, ma se n’è poi
distaccato criticando la creazione dell’ennesima organizzazione rappresentativa italiana73.
Segnaliamo infine la presenza minoritaria della corrente sciita e di quella sufi, quest’ultima
articolata in nove diversi “ordini”, tra cui spiccano le confraternite Burhāniyya e Murīdiyya74.

70
   Ibid.
71
   Ennahda si colloca infatti nella stessa corrente religiosa, quella dell’Islam politico, della Fratellanza Musulmana,
alla cui tradizione è legata l’UCOII. Vedi Annalisa Frisina, The Union of Islamic Communities and Organisations and
related groups in Italy, in Peter, F., Ortega, R., Islamic Movements of Europe. Public Religion and Islamophobia in
the Modern World, I. B. Tauris, London 2014, 115-118, p. 116.
72
   Intervista all’imam Sami Salem, 13/06/2019.
73
   Intervista all’imam Mohamed Amr, 20/12/2019.
74
    Per una trattazione approfondita delle confraternite sufi presenti a Roma, vedi Alessandra Caragiuli, Islam
Metropolitano, pp. 135-189. Per informazioni sulla comunità sciita romana, rimandiamo alla stessa opera, pp. 191-
223.

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