L'idea del confine e della liminalità: dai processi semiotici della mente ai processi educativi1.

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L'idea del confine e della liminalità: dai processi semiotici della mente ai processi educativi1.
“Quaderni di Ricerca in Didattica” N.3, 2020
 G.R.I.M. (Department of Mathematics and Computer Science, University of Palermo, Italy)

 L’idea del confine e della liminalità: dai processi semiotici
 della mente ai processi educativi . 1

 Roberto Capone
 University of Salerno

 E-mail: rcapone@unisa.it

 Abstract. Questo lavoro è incentrato sulle idee di confine e di liminalità che sono alla base di
 molti processi mentali. Esso è parte di un più ampio progetto, che ha lo scopo di mettere in re-
 lazione l’idea di confine, analizzata dal punto di vista psicologico, con l’idea di confine nei
 processi educativi, fino a giungere a postulare la necessità di una educazione interdisciplinare
 come possibile viatico all’eccessivo frazionamento tra le discipline. Partendo dall’idea polise-
 mica di confine presente in diversi ambiti del sapere (geografia, biologia, antropologia, filoso-
 fia, matematica) e dalla dimensione del confine come strumento nei processi di mediazione
 semiotica legati alla psiche, l’attenzione è stata focalizzata sull’importanza del confine tra le
 discipline. Si è fatto riferimento agli studi di Lotman, in particolare quelli descritti in Saggio
 sulla Semiosfera; ad alcune idee di Valsiner, che emergono da Culture in minds and societies.
 Foundation of cultural psychology, ad alcune idee di De Luca Picione che emergono dalla mo-
 nografia La mente come metafora, la mente come testo: una indagine semiotico-psicologica dei
 processi di significazione. Ci siamo riferiti, inoltre, all’idea di interdisciplinarità emersa da una
 pubblicazione del 1972 dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
 (OCSE), intitolata Interdisciplinarity: Problems of Teaching and Research in Universities.

 .
 1. Introduzione

 La parola confine viene dal latino (cum-finis) e, come in italiano, indica la conclusione di qualcosa, di un
terreno più propriamente (in latino veniva usata proprio per indicare una delimitazione territoriale); 'con-fine'
vuol dire che quella conclusione è comune, è la stessa per entrambi i terreni. Ognuno dei due terreni, cioè, fi-
nisce, ha termine, è limitato, si conclude sulla stessa linea. I confini sono lo strumento mediante il quale ri-
conosciamo e classifichiamo il molteplice con cui siamo quotidianamente costretti ad interagire. Sono le li-
nee che definiscono le mappe che ci facciamo del mondo: del mondo sociale così come del mondo che
emerge attraverso le trame della nostra vita individuale (Varzi, 2005). In chiave ontologica, la nostra idea è
che i confini delineati tra le discipline vadano non necessariamente superati ma riconosciuti come luogo in
cui la cornice acquista senso, luogo in cui avvengono trasformazioni. In chiave semiotica, la nostra idea è
che i confini possano innescare processi isomorfici di significazione tra le culture contribuendo a rafforzare
alcune competenze, che, agite in un solo contesto disciplinare, rimarrebbero limitate, prima fra tutte il saper
vivere. Questo articolo pone le basi teoriche di una “educazione all’interdisciplinarità” carcando di cogliere il
nesso tra alcuni processi mentali e i processi educativi. Un confine può assumere, dunque, una connotazione
cronotopica: delimita un’area geografica, rappresenta la discontinuità tra due o più contesti, segna un inizio e
una fine, contraddistingue due eventi. In queste accezioni, l’idea di confine è intesa in senso ontologico.
D’altro lato, si può pensare al confine come strumento semiotico che permette processi dinamici di sviluppo
ed elaborazione psichica (DeLuca Picione & Valsiner, 2017).
 In questo saggio, viene descritto il confine, nelle sue diverse accezioni, nei vari ambiti del sapere (geogra-
fia, biologia, antropologia, filosofia, matematica) soffermandoci sulla dimensione del confine come strumen-
to nei processi di mediazione semiotica legati alla psiche, fino a focalizzare l’attenzione è stata focalizzata
sull’importanza del confine come elemento di separazione/unione tra le discipline.

 2. Diverse idee di confine
L’idea di confine è polisemica e comune a molte aree disciplinari. Faremo una panoramica del significato del
confine in questi diversi ambiti.

 1 Questo articolo nasce come sintesi del primo capitolo della tesi di Laurea sostenuta dall’autore in Psicologia dei
linguaggi espressivi, artistici e multimediali dal titolo: La funzione del confine e della liminalità nei processi educativi:
la matematica come possibile intreccio tra le discipline.

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 2.1 I confini geografici
Quando si parla di confine politico, ovvero della linea che “separa” uno Stato da un altro, ci si riferisce pro-
prio al concetto originario della parola. Il confine politico è la linea che separa lo spazio soggetto al potere di
uno Stato dallo spazio soggetto al potere di un altro Stato: il confine politico separa territori che hanno leggi
e organizzazioni differenti. Anche nel caso delle separazioni fra province, per esempio, o fra comuni, si parla
di confine pur essendo più appropriato parlare di limite (amministrativo).
I confini politici tra stati spesso sono distinti convenzionalmente in naturali e artificiali, intendendo che, in
certi casi, i confini seguono qualche elemento naturale del paesaggio (per esempio un fiume o la riva del ma-
re), e allora vengono detti naturali; in altri casi, invece, seguono una linea del tutto arbitraria, come nel caso
delle linee rette che separano gran parte degli Stati dell'Africa, i cui confini furono decisi dalle potenze colo-
niali e allora vengono detti artificiali o anche geometrici, perché non tengono conto degli elementi naturali
del paesaggio.
Recenti studi sui confini geografici coinvolgono anche elementi culturali, ontologici e filosofici legati alla
cosiddetta svolta ontologica in area filosofica (Martin e Heil, 1999; D’Agostini, 2002) L’analisi del rapporto
tra confini geografici ed elementi culturali, inoltre, ha mostrato alcune continuità tra border studies e ontolo-
gia della geografia (o meglio, dei confini geografici). Tutte queste visioni hanno in comune l’assunzione del
ruolo della cultura nel processo di riconoscimento dei confini e, al contrario, come i confini a volte determi-
nino azioni e comportamenti. (Tambassi, 2018)
Se facciamo un salto indietro nel tempo, nell’antica Grecia il confine era una linea netta, che divideva i Greci
dai barbari e delimitava il loro spazio, quello legato alla civiltà, da quello del mondo selvaggio (si ricordi che
il termine βάρβαρος, in greco, significa straniero, estraneo). Un confine significativo era rappresentato dalle
colonne d’Ercole, identificate con lo Stretto di Gibilterra, il punto di massima vicinanza tra Europa e Africa,
che per quasi duemila anni continuò a rappresentare il limite del mondo, da cui sarebbe stato folle uscire.
Anche nella Roma delle origini il confine era indispensabile per definire l’identità dei romani rispetto agli al-
tri. Romolo fonda Roma proprio tracciandone i confini nella terra con un aratro. Questa linea era
il pomerium, la linea sacra che separava la città dallo spazio indistinto.
Ci si chiede, a questo punto, se sia il confine a creare la diversità o, al contrario è la diversità a tracciare un
confine. Infatti, il confine, da un lato racchiude al suo interno ciò a cui attribuiamo il valore di “nostro”, il
“noi” compresi. Al contempo, però, si creano “l’altro” e l’alterità, togliendo a chi lo traccia la possibilità di
essere ciò che pensa di essere.

 2.2 Alcuni confini biologici
Quando si parla di confine in biologia, sembra quasi immediato il riferimento alla pelle.
La pelle è il rivestimento più esterno del corpo di un vertebrato. Nei mammiferi e in particolare nell'essere
umano, è l'organo più esteso dell'apparato tegumentario e protegge i tessuti sottostanti (muscoli, ossa, organi
interni). La pelle è costituita da una serie di tessuti di origine ectodermica e mesodermica, che può avere va-
ria colorazione, struttura fisiologica e organica. Come mediatore tra l'organismo e il mondo esterno, la pelle
nei vertebrati svolge diverse funzioni:
Svolge la funzione protettiva in quanto barriera anatomica contro potenziali agenti patogeni ed eventuali
agenti nocivi; essa costituisce la prima linea di difesa dell'organismo contro le aggressioni esterne;
svolge una funzione sensibile in quanto nella cute sono presenti numerose terminazioni nervose con varie
funzioni; svolge la funzione di regolazione termica; svolge la funzione di assorbimento in quanto si lascia at-
traversare da piccole quantità di ossigeno, azoto e anidride carbonica; svolge, infine le funzioni difensiva, di
attrazione sessuale e di riserva.
La pelle, in campo psico-somatico, riveste un ruolo importante perché rappresenta, in senso metaforico, il
contatto con il mondo, con l’extracorporeo; si configura come elemento di separazione tra il dentro e il fuori.
Rappresenta anche l’elemento di contatto con ciò che è prossimo (si pensi all’espressione “questa persona mi

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piace a pelle, “ho una sensazione a pelle” ad indicare quello che Kahneman, nel 2011, definisce fast thinking
(Kahneman, 2011): è il pensiero veloce della mente, istintiva ed emotiva che produce continuamente impres-
sioni, intuizioni, intenzioni e sensazioni.)
La pelle entra in gioco direttamente con una specifica funzione di personalizzazione, in-
fatti, definendo i confini del corpo, delimita me da non me: «La risorsa che si mette a disposizione facilita
la tendenza innata del bambino ad insediarsi nel corpo e a godere delle funzioni corporee, accettan-
do la limitazione assicurata dall’epidermide, una membrana delimitante che separa il me dal non
me» (Winnicott, 1975). Il colore della pelle diventa a volte espressione identitaria di appartenenza ad una
razza e, con differenti modalità, la pelle si mostra come un supporto semiotico ai processi di significazione e
di rappresentazione simbolica divenendo al tempo stesso espressione di una identità e espressione di appar-
tenenza a una identità culturale.
La membrana cellulare, detta anche membrana plasmatica, è un sottile rivestimento, che delimita la cellula in
tutti gli organismi viventi, la separa dall'ambiente esterno, ne regola gli scambi di elementi e sostanze chimi-
che. In alcune cellule, dette cellule eucariote, delimita anche gli organelli interni alla cellula. La membrana
cellulare presiede all'omeostasi cellulare, grazie alla sua permeabilità selettiva.
Per la sua posizione di interfaccia, la membrana plasmatica, oltre alla funzione strutturale, svolge altre fun-
zioni essenziali:
 1. La funzione di isolamento fisico, poiché rappresenta una barriera tra liquido intracellulare e liquido
 extracellulare.
 2. La funzione di filtro selettivo, che lascia passare alcune sostanze piuttosto che altre, assicurando così
 l'integrità biochimica del citoplasma;
 3. La funzione di superficie di comunicazione, permettendo sia lo scambio di informazioni tra l'am-
 biente intra- ed extracellulare, sia l'interazione fisica con le strutture extracellulari circostanti.
 4. La funzione di superficie catalitica, dato l'abbondante numero di enzimi ad essa legati, in gran parte
 coinvolti nella produzione di messaggeri intracellulari.
 5. La funzione di supporto strutturale, attraverso le proteine di membrana ancorate al citoscheletro e
 le giunzioni cellulari mantiene la forma della cellula.

 Figura 1. Schematizzazione della membrana cellulare

Attraverso la membrana cellulare avviene il trasporto di sostanze: in alcuni casi, il trasporto avviene con la
partecipazione attiva della cellula; in altri casi la membrana svolge un ruolo passivo permettendo ad alcune
sostanze di attraversarla senza consumo di energia; in altri casi, il trasporto è facilitato da alcuni mediatori,
che sono presenti nella membrana stessa e che vengono definiti carrier o vettori. Questa immagine ci sembra
alquanto evocativa perché è usata da Lotman (1985) e sarà ripresa anche in questo lavoro.

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 2.3 Il confine dal punto di vista dell’Antropologia
In Antropologia culturale, si è data molta importanza all’idea di confine, legata ai riti di passaggio (Turner,
1969) e alla situazione di liminalità (Van Gennep, 1960). La vita di ciascun individuo è segnata da riti di
passaggio: la nascita, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la laurea, il matrimonio, la morte possono
essere contraddistinti come riti di passaggio legati a elementi situazionali in società o a cambiamenti indivi-
duali e ognuno di questi passaggi è legato ad una crisi, intesa, nell’accezione etimologia del termine, come
rottura tra un prima e un dopo, tra un me e un non me.
L’antropologo Van Gennep propone un modello per lo studio dei riti di passaggio descrivendo il fenomeno
in tre fasi distinte: a) separazione (dalla vita normale), b) margine, c) aggregazione (intesa come ritorno alla
vita sociale attraverso l’acquisizione di un nuovo status).
Questi passaggi danno origine ad una fase intermedia in cui non si è né di qua né di là, che Van Gennep defi-
nisce margine o limen, che rappresenta una zona di ambiguità, di prossimità, una sorta di limbo sociocultura-
le, in cui la propria identità è messa in bilico perché subentrano processi di ambiguità e di ibridazione
(in cui si può essere simultaneamente né adulti né bambini, né maschi né femmine, né uomini né ani-
mali, né vivi né morti). Questa fase di transizione è una fase di trasformazione in cui è come se gli iniziandi
fossero privati di una precisa identità.
Il concetto di liminalità deriva dal termine latino limen, che in italiano potrebbe essere tradotto con la parola
soglia. Quando si parla di liminalità si fa riferimento a quella condizione per cui gli individui non si sentono
né qui né lì (Born & Soderlund, 2015). Vivono, infatti, la liminalità tutti quei soggetti che si trovano in uno
stato di transitorietà ed incertezza rispetto al futuro e che non hanno la possibilità o il potere di risolvere la
loro situazione di incertezza.
La liminality non è altro che una delle tre fasi del rito di passaggio, è quello stato in cui più di una volta nella
vita, ognuno di noi si è sicuramente trovato. Van Gennep, nel 1909, nel libro Les Rites de Passage, analizzò i
riti di passaggio attraverso le vite degli individui e dei gruppi, e arrivò a notare che questi eventi hanno tutti
una struttura sottostante comune (Van Gennep, 1960), che si articola in tre fasi.
 • Separation: la quale comprende tutti quei comportamenti simbolici che portano al distacco di un in-
 dividuo, o del gruppo, da una condizione di stabilità che precede il momento di rottura (Turner,
 1987). In questa fase i soggetti coinvolti nel processo di separazione si staccano dal flusso di attività
 quotidiano (Turner, 1969). È come se gli individui prendessero consapevolezza di un cambiamento o
 della necessità di un cambiamento e con specifici comportamenti rendessero più marcata la linea di
 separazione tra il prima e il dopo.
 • Liminal (anche detta marginal o transition): è una fase di ambiguità, in cui tutti i costrutti del passato
 si sgretolano. L’individuo, sebbene non appartenga più al precedente stato, non è stato ancora incor-
 porato da quello successivo e l’ambiguità risiede proprio nel fatto che durante questo tempo i sogget-
 ti vivono situazioni che hanno reminiscenze del periodo precedente e contemporaneamente stimoli
 dal periodo seguente. Turner, nel 1982, ha definito questa fase una specie di limbo proprio per il suo
 carattere ambiguo (Turner, 1982). Liminality vuol dire trovarsi a cavallo tra uno stato e l’altro, tra il
 prima e il dopo, è come stare sulla soglia della porta senza aver completamente lasciato la stanza
 precedente né essere entrato in quella successiva. È per sua natura una fase di transizione e come tale
 caratterizza molti cambiamenti importanti nella vita degli individui, come per esempio anche il pe-
 riodo che precede il matrimonio.
 • Incorporation (o riaggregation): in questa fase il soggetto viene incorporato nel nuovo stato, che do-
 vrebbe essere relativamente stabile e ben definito (Borg, 2014). La fase di transizione è completa-
 mente ultimata e in virtù dell’appartenenza ad un nuovo status l’individuo ha diritti e doveri ben de-
 finiti e strutturati e ci si aspetta che si muova nel nuovo spazio in conformità alle nuove norme
 comportamentali e secondo specifici standard etici (Turner, 1987). Come già accennato, Van Gennep
 sviluppò il concetto di rito di passaggio in seguito a studi di tipo antropologico, ma fu lo stesso auto-
 re a sottolineare come questo fenomeno non sia confinato solo a specifiche crisi biologiche (Turner,
 1987). Turner fa, inoltre, notare come lo sviluppo del rito di passaggio possa tranquillamente uscire

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 dai confini sociologici per andare ad abbracciare anche realtà diverse come per esempio quella poli-
 tica.

 2.4 Limiti, continuità, discontinuità
L’idea di ciò che avviene ai bordi è una idea che ha affascinato molto i matematici. Si pensi a tutto lo svilup-
po dell’analisi infinitesimale e allo studio dei limiti o alla Topologia. Infatti, se prendiamo due grandezze x e
y, di cui x è la variabile indipendente, con x definita in X e y in Y, possiamo studiare come varia la y rispetto
alla x all’interno del suo dominio X. Le cose si complicano nei punti di frontiera, ovvero quei punti che, pur
non appartenendo al dominio, giocano un ruolo importante per capire la relazione tra le due variabili x e y.
Lo studio dei matematici si è focalizzato su concetti che precisassero quelli intuitivi di punti di un insieme
che si accumulano intorno a un prefissato punto, punti interni a un insieme, ecc., e di stabilire, relativamente
a tali concetti, tutte le possibili proprietà e conseguenze. La formulazione e gli sviluppi della nozione di limi-
te partono dalla nozione di intorno di un punto che traduce il concetto intuitivo di zona circostante ad un pun-
to, approfondendo i concetti intuitivi di punti di un insieme che si accumulano intorno ad un prefissato punto,
punti interni ad un insieme. Se f è una funzione reale definita nel sottoinsieme X di R, e x0 è un punto di ac-
cumulazione al finito per X, è possibile esaminare l’andamento dei valori f(x) che la funzione assume in pun-
ti x, diversi da presi via via più vicini a ! . Una prima situazione che si può verificare è che esista un nume-
ro reale l tale che a punti x appartenenti a X, diversi da ! , presi via via più vicini a ! la f faccia
corrispondere numeri reali ( ) anch’essi via via più vicini a l, tali che − è un numero piccolo quan-
to si vuole purché si considerino punti ≠ !
Si dice che il numero reale l è il limite della funzione f in ! o anche che f(x) converge a l, o che tende a l in
 ! e si scrive
 lim = 
 !→!!

quando, comunque si consideri un numero reale > 0, esiste un numero reale > 0 tale che si abbia
 − 
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Un’altra eventualità che si possa verificare è che a punti x di X, diversi da ! , presi via a sempre più grandi,
senza che necessariamente accada che se ! e ! sono due qualunque punti di X tali che ! − ! >
 ! − ! si abbia ( ! ) ≤ ( ! ) ma solo nel senso più generale che ( ) è grande quanto si vuole purché
si considerino punti ≠ ! sufficientemente vicini a ! . Tale situazione può essere precisata come segue:
Si dice che +∞ è il limite della funzione f in ! o anche che ( ) diverge positivamente o che tende a +∞ in
 ! e si scrive:
 lim = +∞
 !→!!

quando per ogni numero reale > 0 esiste un numero reale > 0 tale che si abbia
 > 
per ogni punto ∈ tale che
 0 < − ! < 

 Figura 3. Limite infinito in un punto: rappresentazione geometrica.

Si dice che −∞ è il limite della funzione f in ! o anche che ( ) diverge positivamente o che tende a +∞ in
 ! e si scrive:
 lim = −∞
 !→!!

quando per ogni numero reale < 0 esiste un numero reale > 0 tale che si abbia
 
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Dal punto di vista geometrico, significa dire che, considerando numeri reali ∈ via via sempre più vicini
a ! , i punti del diagramma di f di ascissa x, hanno ordinata via via sempre più grande (risp. più piccola). È
evidente, dal grafico riportato, che c’è qualcosa che separa ciò che si trova a sinistra da ciò che si trova a de-
stra rispetto ad una retta verticale, che assume il ruolo di un confine invalicabile. I matematici chiamano que-
sta retta asintoto (dal greco ἀ ύ = ℎ ) Questa retta è come se facesse da confine,
come se segnasse una discontinuità tra le due parti di grafico pur essendo le due parti di grafico espressione
di una medesima realtà.
Altre situazioni “limite” che si possono verificare sono le seguenti:
si dice che l è il limite della funzione f in +∞ o per x che tende a +∞ (risp. −∞, o per x che tende a −∞) e
si scrive:
 lim!→!! ( ) = (risp. lim!→!! ( ) = )
Quando per ogni numero reale > 0 esiste un numero reale esiste un numero reale > 0 (risp. < 0) tale
che, non appena ∈ e > (risp. < ), si ha che
 − 0 esiste un numero reale esiste un numero reale > 0 (risp. < 0) tale
che, non appena ∈ e > (risp. < ), si ha che ( ) > 
In figura, possiamo vedere una interpretazione geometrica di quanto detto.

 Figura 6. Limite infinito: rappresentazione geometrica

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Come si può notare dagli esempi descritti, il limite, in matematica rappresenta una soglia, un limen appunto,
che in alcuni casi è invalicabile, in altri casi rappresenta l’avvicinamento da più direzioni, quasi un punto di
incontro. In alcuni casi un limite può rappresentare una continuità, in altri casi una rottura, una discontinuità.
Se f non è una funzione continua in ! , essa si dice discontinua nel punto ! oppure che presenta una discon-
tinuità in ! e tale punto si dice di discontinuità per f. Dire che f è discontinuità equivale a dire che il limite
non esiste oppure, pur esistendo tale limite, si ha
 lim ( ) ≠ ( ! )
 !→!!

La discontinuità di una funzione reale f si suole classificarle nella seguente maniera:
 I) Se esiste ed è finito il lim!→!! ( ) ma lim!→!! ( ) ≠ ( ! ) la discontinuità si dice eliminabi-
 le;
 II) Se, essendo ! di accumulazione per X a sinistra e a destra, esistono e sono finiti entrambi i limi-
 ti
 lim ( ) , lim ( )
 !→!!! !→!!!

ma sono diversi, la discontinuità si dice di I specie;
 III) Se la discontinuità non è né eliminabile né di prima specie, essa è di seconda specie.
Riassumendo, in matematica, ci sono confini che non si attraversano ma l’approssimarsi ai confini genera
opportunità e occasioni: i confini assumono così una loro dimensione, una struttura ontologica.

 2.5 Alcuni accenni topologici
La topologia (dal greco τόπος, tópos, "luogo", e λόγος, lógos, "studio", col significato quindi di "studio dei
luoghi'") è una branca della geometria che studia le proprietà delle figure, e in generale degli oggetti matema-
tici, che non cambiano quando viene effettuata una deformazione senza strappi, sovrapposizioni o incollatu-
re (Rudin, 1970).
La topologia considera l’estensione come luogo di prossimità o vicinanza tra punti e loro insiemi, suggeren-
do snodi terminologici legati ai lemmi limite, estensione, continuità, connessione, coerenza.
Si definisce topologia una collezione di sottoinsiemi di un insieme tali che:
 • L'insieme vuoto e appartengono a : ∅ ∈ ; ∈ 
 • L'unione di una quantità arbitraria di insiemi appartenenti a appartiene a ;
 • L'intersezione di due insiemi appartenenti a appartiene a .
Uno spazio topologico è una coppia ( , ), dove è un insieme e una topologia. In uno spazio topologico
gli insiemi che costituiscono si dicono aperti in . I complementari degli insiemi aperti sono detti chiusi,
sempre in analogia con gli insiemi chiusi di .
Inoltre, dalla terza condizione di topologia, e per induzione, si deduce che l'intersezione di un numero finito
di insiemi appartenenti a appartiene a .
Definizioni equivalenti (sebbene poco usate) possono essere date attraverso la collezione dei chiusi (ovvero
dei complementari degli aperti), oppure attraverso le proprietà degli intorni, o ancora attraverso l'operazione
di chiusura.
Una delle proprietà degli spazi topologici è la separabilità. Uno spazio topologico è separabile se contiene un
sottoinsieme numerabile e denso. La separabilità è definita da alcuni assiomi, detti di separazione:
 è ! se per ogni coppia di punti x e y di esiste un aperto U che contiene x e non contiene y, o viceversa
(in altre parole, la topologia distingue i punti).

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 è ! se per ogni coppia di punti x e y di esistono due aperti U e V tali che U contiene x e non y, men-
tre V contiene y e non x (equivalentemente: i punti sono chiusi).
 è ! o di Hausdorff se per ogni coppia di punti x e y di esistono due aperti U e V disgiunti che li conten-
gono, rispettivamente.
 è regolare se per ogni punto e chiuso F disgiunti esistono due aperti U e V disgiunti che li contengono,
rispettivamente.
 è ! se è ! e regolare (implica ! ).
 è completamente regolare se per ogni punto e chiuso F disgiunti esiste una funzione continua a valori
reali che vale 0 su F e 1 su x (implica la regolarità).
 è T3½ se è ! e completamente regolare (implica ! ).
 è normale se per ogni coppia di chiusi disgiunti F e G esistono due aperti disgiunti U e V che li contengo-
no rispettivamente (implica la completa regolarità).
 è ! se è ! e normale.
L'ipotesi che lo spazio sia ! nelle definizioni di ! e 3½ e ! in quella di ! fa sì che ciascuno di questi as-
siomi sia un raffinamento dei precedenti.
Senza entrare nel dettaglio della separabilità, tale proprietà ci consente di fare la distinzione tra punti interni,
esterni e di frontiera.
Un punto ! dell’insieme A si dice interno a A se e solo se esiste un intorno U di ! interamente contenuto
in A. L’insieme dei punti interni all’insieme A si dice l’interno di A e si indica con . Anche i punti esterni
all’insieme A sono topologicamente dei punti interni, nel senso che sono interni al complementare di A, 
cioè l’insieme dei punti non appartenenti ad A.
L’insieme dei punti di frontiera di A forma la frontiera di A, F(A). La natura bifronte (o divisa) della frontiera
consiste nel fatto che un insieme e il suo complementare hanno la stessa frontiera. La topologia indebolisce il
principio del terzo escluso. La frontiera funziona da terzo. Un punto P dello spazio o è all’interno di A o è
all’interno del complementare, è alla frontiera comune F(A). Gli insiemi , e F(A) costituiscono una ripar-
tizione triadica dello spazio topologico che contiene l’insieme A.

 Figura 7. Rappresentazione dei punti interni, esterni e di frontiera

Se poi tra due spazi topologici A e B esiste un’applicazione biunivoca,
 : → 
cioè una relazione che a ogni elemento del primo fa corrispondere uno ed un solo elemento del secondo e che
ammette un’applicazione inversa da B ad A anch’essa continua, cioè

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 !! : → 
allora si dice che gli spazi topologici sono topologicamente equivalenti o omeomorfi, cioè si ottengono l’uno
dall’altro attraverso applicazioni che non introducono sovrapposizioni (per via della biunivocità) né soluzioni
di continuità (per via della bi-continuità). Una circonferenza e un quadrato sono spazi topologici omeomorfi,
come la ciambella e la tazzina di caffè, che si possono trasformare l’una nell’altra con continuità, cioè senza
salti né strappi.
Una superficie può essere vista come uno spazio topologico connesso e di Hausdorff tale che ogni suo punto
ha un intorno aperto omeomorfo ad un aperto del piano ! .
Ci sono alcune superfici che non hanno un dentro e un fuori, un al di qua e al di là perché sono al contempo
la faccia interna ed esterna della medesima realtà osservata da posizioni diverse.

 2.6 Il confine in alcuni processi psicologici

Lo sviluppo psichico nasce da situazioni di dinamicità tra l’io e l’ambiente; è alimentato da crisi, rotture se-
miotiche e successive ricostruzioni, riconfigurazioni e ristrutturazioni relative al binomio soggetto/ambiente.
La ristrutturazione di un contesto, ovvero il ridare forma ad uno scenario in cui i segni sono interpretabili,
può essere visto come un processo dinamico la cui continua evoluzione soddisfa il secondo principio della
termodinamica2.
La riconfigurazione è l’esito dei momenti di crisi e di rottura semiotica che avvengono nel campo di intera-
zione. È infatti impossibile pensare un campo di relazioni che non sia in movimento e che non presenti delle
discontinuità. Le stesse condizioni per la vita sarebbero impedite, in quanto un campo immobile, statico è un
campo che ha raggiunto un livello massimo di entropia, che in termini semiotici potremmo definire come sta-
to di simmetria assoluta tra tutti i segni.

 «La crisi e la discontinuità sono pertanto le condizioni necessarie dello sviluppo di qualsiasi attività se-
miotica, che generando un’asimmetria all’interno del campo produce confini, quali spazi topologici instabili
 generatori di senso (è questa l’idea della mente come processo dialogico a partire dalle asimme-
 trie/differenze del campo). Allo stesso tempo, la nostra discussione si è concentrata anche sull’importanza
 che riveste la nozione di continuità per rendere possibile qualsiasi forma di sviluppo e trasformazione del
 processo di significazione. Infatti, senza alcuna cornice di riferimento stabile – garante della continuità e
della permanenza locale di alcune direttici di significazione, che costituiscono uno sfondo ermeneutico di in-
terpretabilità della propria esperienza – non acquisterebbe alcun significato la crisi, la rottura e le differen-
 ze all’interno del campo. Continuità e discontinuità sono quindi nozioni necessarie per la definizione del
 contesto, quale spazio vitale, orizzonte di senso, scenario biopsichico-culturale» (De Luca Picione, 2015).

Un campo potrebbe essere ripensato come uno spazio topologico a più dimensioni per la presenza di processi
trasformativi discontinui e processi di stabilità continuativi, in cui si manifestano relazioni di relazioni di
contiguità ed opposizione tra le esperienze, semioticamente mediate.
Le genesi di un campo si ha a partire da una crisi, una rottura che segna una discontinuità, una ferita che si
rimargina: si creano così posizioni diadiche in antitesi tra loro, da cui emerge successivamente un posizio-
namento modale

 «come espressione della soggettività che avvia una complessificazione delle gerarchie transitorie di segni e
al processo di traduzione e testualizzazione della propria esperienza (generando nuovi domini di stabilità at-

 2 Esistono diverse formulazioni del secondo principio della termodinamica, tra cui una che fa riferimento alla fun-
zione di stato entropia, ovvero al grado di disordine di un sistema fisico. In questo caso, il secondo principio asserisce
che l'entropia di un sistema isolato lontano dall'equilibrio termico tende ad aumentare nel tempo, finché l'equilibrio
non è raggiunto.

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traverso la ricorsività degli atti traduttivi), fino all’incedere di una nuova discontinuità (cioè una nuova crisi
 che produce la biforcazione dello sviluppo del sistema)» (De Luca Picione, 2015)

Riprendiamo dal libro “La mente come forma, la mente come testo” la schematizzazione sotto riportata del
ciclo semiotico del processo di significazione:

 Figura 8 Ciclo semiotico del processo di significazione

D’altra parte,
 L’organizzazione di confini è indispensabile per consentire sia processi di stabilizzazione che
processi di trasformazione delle identità. I confini consentono di proteggere il sistema semiotico, garantendo
 la continuità dell’identità attraverso il mantenimento della differenziazione e permettono il confronto con
 l’altro (cioè la traduzione semiotica) innescando un processo di trasformazione. Da un punto di vista dina-
mico-temporale, le parti centrali di un sistema semiotico sono più lente nel trasformarsi e più stabili. Un nu-
 cleo identitario è caratterizzato da processi graduali; si pensi per esempio ai valori fondamentali di riferi-
 mento nella vita delle persone, alle ideologie, alle prassi consolidate, agli habitus nel valutare ciò che
 accade e nell’attribuire senso all’inatteso. Tali processi di significazione hanno una velocità di trasforma-
 zione lenta e graduale e tendono alla conservazione e all’omeostasi.

Mentre il nucleo di un sistema semiotico è più stabile, legato a strutture che danno sicurezza e che, in un cer-
to senso, garantiscono l’esistenza del sistema stesso, invece lungo i confini si può assistere, per dirla con
Lotman, a processi esplosivi (Lotmann, 2009) che, come sarà chiarito in seguito, da un lato, possono rappre-
sentare una minaccia per l’identità del sistema semiotico; d’altro canto, essi possono rappresentare
l’opportunità per il suo sviluppo e l’integrazione di parti nuove.
Il confine, dunque, è un’area nevralgica, capace di assorbire e di accelerare gli stimoli delle aree periferiche,
e poi di trasmetterli alle strutture centrali (De Angelis, 1996); è uno spazio di potenzialità (De Luca Picione
& Freda, 2016) caratterizzato da rapidi mutamenti, instabile, indefinitamente autopoietico; è il luogo delle
contraddittorietà in cui tesi e antitesi trovano la loro sintesi sublime.

 3. Juri Lotman: semiosfera, confine, interdisciplinarità

Il semiologo russo Jurij Lotman è capofila della cosiddetta scuola di Tartu (o Tartu-Mosca), in Estonia, che
raccoglie l’eredità degli studi della scuola formalista e del primo pensiero strutturalista. Riprenderemo dei
suoi studi, le idee di semiosfera, di confine e di interdisciplinarità dalle opere La semiosfera. L'asimmetria e
il dialogo nelle strutture pensanti (1985), Universe Of The Mind: A Semiotic Theory Of Culture (1990), Cul-
ture and Explosion (2009), On the semiosphere (1984). Lotman ha dedicato molti dei suoi studi all’idea di

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confine, introducendo il concetto di Semiosfera come spazio nel quale i diversi sistemi di segni in una cultu-
ra (la lingua, l’arte, le scienze, la matematica, ecc.) possono sussistere e generare nuove informazioni e de-
scrivendo la cultura secondo una prospettiva semiotica, come “sistema di segni dotati di senso”. Lotman in-
troduce l’idea di Semiosfera nel saggio omonimo risalente al 1984, riprendendo il concetto di Biosfera di
Vernadskij. Per analogia con la Biosfera, la Semiosfera è lo spazio in cui una cultura può vivere, e al di fuori
della quale non è possibile la semiosi. Lotman difende la necessità di un approccio olistico alla cultura che
dia precedenza al rapporto intero/insieme (ovvero la semiosfera stessa) sulle singole parti. In questo senso,
Lotman, che si rifà agli studi dello scienziato russo Vernadskij, si pone in aperta polemica nei confronti di
tutta una tradizione, che, in accordo con la terza regola del Discorso sul Metodo di Cartesio, si prefigge di
isolare un oggetto di analisi relativamente semplice per poi estrapolarne un modello generale.
 “L’universo semiotico può essere considerato un insieme di testi e di linguaggi separati l’uno dall’altro. In
questo caso tutto l’edificio apparirà formato da singoli mattoni. È però più feconda l’impostazione opposta.
Tutto lo spazio semiotico si può considerare infatti come un unico meccanismo (se non come un organismo)
[…] Se si mettono insieme più bistecche non si ottiene un vitello, mentre tagliando un vitello si possono ave-
 re bistecche. Allo stesso modo, sommando una serie di atti semiotici particolari, non si otterrà l’universo
semiotico. Al contrario, soltanto l’esperienza di questo universo - ovvero la semiosfera - fa diventare realtà
 il singolo atto segnico” (Lotman, 1985)
Il modello di Lotman, da un lato presenta la semiosfera come lo spazio necessario perché una cultura so-
pravviva e questo richiede la presenza di un confine che delimiti spazi culturali diversi; d’altro lato postula la
necessità di meccanismi traduttivi che permettono la connessione tra una sfera e l’altra. La cultura, secondo
Lotman, vive quindi questa continua tensione tra l’apertura e l’innovazione a ciò che è diverso da sé e pro-
cessi inversi di omogeneizzazione. L'opposizione tra interno ed esterno è molto importante e caratterizzante
rispetto ad una cultura. Per quanto riguarda lo spazio interno, esso è caratterizzato da confini secondari, che
delimitano lo spazio riservato ai singoli sistemi di segni.
Il confine, che è poroso e permeabile, è il luogo dove avvengono i processi traduttivi:
“il confine semiotico è la somma dei filtri di traduzione. Passando attraverso questi, il testo viene tradotto in
 un’altra lingua (o lingue) che si trovano fuori dalla semiosfera data”.
 (Lotman and Uspenskij,1975, p. 58-59)
Il confine della semiosfera funge quindi da membrana con duplice funzione: da una parte serve a delimitare
un interno da un esterno e a limitare la penetrazione di testi estranei, dall’altra a filtrare e trasformare ciò che
è esterno in interno: da questo secondo punto di vista si definisce come un vero e proprio spazio, un luogo in
cui la commistione dei linguaggi, passando attraverso una loro destrutturazione e primitivizzazione, porta a
processi di creolizzazione (Pezzini & Sedda, 2004). La cultura è un meccanismo semiotico la cui interpreta-
zione è legata alla metafora spaziale e soprattutto all’uso funzionale del confine. La funzione del confine è
parallela a quella della biochimica, un filtro che traduce l’interno in esterno e viceversa. Il confine può essere
inteso dunque come incubatore di una serie di processi culturali periferici.

 Figura 9. Schematizzazione della struttura cellulare

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Ogni volta che vengono trasmesse informazioni attraverso questi confini e c’è uno scambio tra strutture e
sottostrutture diverse con “irruzioni” semiotiche di alcune strutture in territorio “estraneo”, si generano nuo-
ve informazioni. L’interdisciplinarità sembra possa essere considerata la genesi di queste manifestazioni che,
se analizzate in senso semiotico, delineano precisamente le traiettorie delle trasformazioni culturali. Le cultu-
re disciplinari, infatti, si riconoscono solo attraverso le loro proiezioni di alterità e tale alterità può essere col-
ta solo grazie alla funzione del confine interposto tra gli spazi metaforici che caratterizzano un certo dominio
disciplinare. Juri Lotman, rifiutò definitivamente il modello "ingegneristico" dello studio semiotico della
realtà, proponendo un approccio basato sul poliglottismo scientifico, visto non come una mancanza episte-
mologica di sistematizzazione e di uniformazione, ma come la natura stessa della scienza che, come l'arte, è
al tempo stesso una e poliedrica.
Questo approccio è dettato dal fatto che
"così come le diverse scienze comprendono diversi aspetti della vita e non possono essere sostituite da un'u-
nica scienza universale, così le diverse forme d'arte creano diverse immagini della realtà reciprocamente in-
 traducibili" (Lotman 1994[1993]: 46-47).
Secondo Lotman, in altre parole, l'interdisciplinarità è il percorso attraverso il quale è possibile ottenere una
visione complessa della realtà. Nell'ultima pagina della sua ultima elaborazione teorica pubblicata postumo,
Unpredictable Mechanisms of Culture (1993), Lotman (1994[1993]: 106) afferma chiaramente:
The path on which science now finds itself opens up a unified perspective on the knowledge contained in var-
 ious fields. In place of individual methods for the study of the biological or social, physical or historical as-
pects of the world that surrounds us, we are returning once again to the issues that worried Aristotle and the
 scholars of the Middle Ages: the unified structure of scientific knowledge. Along this path we encounter a
 fundamental problem: the relationship between the individual and the general.
 (Lotman 1994[1993]: 106)
La scienza si trova oggi di fronte alla necessità di allargare gli orizzonti disciplinari verso una prospettiva di
unificazione delle conoscenze dei vari settori, attraverso un confronto dinamico e dialogico dei diversi meto-
di individuali per lo studio del mondo che ci circonda. Questo tentativo unificatore sembra un grande passo
in avanti dei nostri tempi sebbene, andando a ritroso nel tempo, l’idea di una struttura unificata del sapere
scientifico abbia affascinato Aristotele e molti studiosi del Medioevo. Si torna all’annosa questione filosofica
del rapporto tra particolare e universale. Quando Lotman parla dell’importanza di un confronto tra le disci-
pline, ci tiene a specificare che bisogna stare attenti affinché l’interdisciplinarità non diventi una "Torre di
Babele" del sapere umano, ma dovrebbe piuttosto sorgere come una struttura complessa in cui individuale e
generale si compenetrano l'un l'altro, creando così un'unità di pensiero comune.
Lotman (2009) parla di processi esplosivi che possono avvenire lungo i bordi, lungo i confini. Questi proces-
si rappresentano una minaccia per l’identità del sistema semiotico, ma, dall’altro lato rappresentano anche la
possibilità stessa di sviluppo e di integrazione di nuove parti e funzioni. Ancora una volta viene spontaneo il
riferimento alle membrane biologiche, dotate di enzimi che fungono da catalizzatori che favoriscono e acce-
lerano l’introiezione di sostanze nutritive in modo regio-selettivo. I confini rappresentano un equilibrio di-
namico tra il mantenimento della stabilità interna a un sistema semiotico e la possibilità di trasformazione,
tra la dissoluzione entropica e lo sviluppo di nuove strutture. Osserviamo allora che sebbene la nozione di
confine veicoli nel senso comune significati di separazione, definizione, chiusura, demarcazione tra distinte
entità, tuttavia, il rovescio della medaglia del confine è costituito proprio dalla sua capacità e funzione di
creare relazioni e strutture topologiche dinamiche, consentendo confronto, scambio e dialogo (Lotman, 2005;
Freda & De Luca Picione, 2014; De Luca Picione & Freda, 2016b; Valsiner, 2014).
Le seguenti idee, rimarcate nel pensiero di De Luca Picione, evidenziano che la configurazione di differenti
livelli di confini semiotici (consistenti di segni e simbolizzazioni maggiormente generalizzate) realizza la co-
struzione di cornici di senso dal diverso grado astrazione e riferimento. Piuttosto che tratteggiare uno scena-
rio statico e immutevole, quindi, i confini pongono una griglia semiotica dinamica di riferimento per il pen-
siero, le azioni, le relazioni e i processi di narrativizzazione. I confini, dunque, realizzano principalmente
processi di differenziazione, a livello temporale, tra un prima e d un dopo (passato/futuro), a livello topologi-

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co, interspaziale, tra un dentro e un fuori (soggetto/oggetto), a livello topologico, intraspaziale, tra un Me e
un non-Me (soggetto/alterità). La semiotizzazione dei confini consente quindi l’organizzazione del tempo,
dello spazio e delle relazioni tra soggetti. La funzione del confine come dispositivo semiotico, atto a distin-
guere e connettere allo stesso tempo, richiama la funzione alfa di Bion (1970, 1972): esso rende possibile un
processo di simbolizzazione che abilita il pensiero e l’azione, il legame tra i segni e l’esperienza, trasforman-
do l’amorfa, indistinta e invasiva emozionalità in un campo semiotico differenziato ed elaborabile.
Non sempre la traduzione attraverso un confine avviene con facilità. Nella immagine seguente (fig. 10) sono
illustrate tre diverse situazioni:

 Figura 10. La dinamica della struttura liminale dei bordi (De Luca Picione & Valsiner, 2017, p.540)

la situazione A rappresenta casi in cui il passaggio attraverso la struttura laminare del confine avviene con
estrema facilità. Valsiner fa l’esempio di un workshop che avviene in un contesto in cui i partecipanti sono
mentalmente disposti a confrontarsi con altre prospettive, opinioni, punti di vista. Il confine viene attraversa-
to con facilità creando una situazione temporanea di incontro delle varie prospettive con la possibilità
dell’ibridazione delle stesse.
La situazione B rappresenta il caso in cui il passaggio attraverso il confine avviene con una certa resistenza.
Valsiner fa l’esempio di un assicuratore che cerca di convincere un potenziale cliente a firmare una polizza
assicurativa. Il primo fornisce varie ragioni, storie e vantaggi e incontra la resistenza del secondo. Se l'assicu-
ratore raggiunge il suo scopo di persuasione (si verifica la condizione B), supera la resistenza (cioè si attra-
versa un confine) del cliente.
La terza situazione rappresenta il caso di invalicabilità di un confine. Si verifica quando non c’è possibilità di
contatto tra due diverse culture ed è bloccata qualsiasi possibilità di permeazione del confine. Valsiner asso-
cia questa situazione al caso di una campagna elettorale tra due avversari politici. Si ha una vera e propria
chiusura alle posizioni dell’altro quasi una sorta di autodifesa all’eventualità di essere contaminati dall’altro.
Riassumendo, riprendiamo da Lotman lo studio della cultura come sistema semiotico dinamico proiettato al-
la trasformazione e al cambiamento e, nel contempo, intento alla conservazione, alla stabilità dei confini, che
si autodefiniscono e si rafforzano proprio dalla loro permeabilità selettiva. Questo processo di codifica e de-
codifica di pratiche esogene e di integrazione con quelle endogene dà origine a un meccanismo semiotico
che rafforza e definisce i confini stessi e che rende la cultura come un processo e come un prodotto allo stes-
so tempo.

 4. Un modello matematico per il trasferimento della cultura attraverso i confini

In alcune situazioni, elementi di un dominio culturale migrano spontaneamente verso altri domini culturali
attraverso un processo puramente diffusivo e grazie a una forza spingente ∆C, dove ∆C = C! − C! è la diffe-

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renza tra la cultura presente nel dominio 2 e la cultura presente nel dominio 1 e può dipendere da diversi fat-
tori. Il flusso di elementi culturali che attraversano un confine può essere espresso dalla legge:
 dC
 N = − (1)
 dx
Secondo questo modello, il flusso avviene solo se C! < C! , cioè un dominio culturale più ricco tenderà a in-
fluenzare un dominio culturale meno ricco, trasferendo elementi culturali.
Non tutti gli elementi culturali si adattano facilmente al nuovo dominio. Questo dipende dalla solubilità
S = k ∙ C rappresenta quanto un elemento culturale può disciogliersi in elementi di altre culture (la parola
solubile contiene la radice del verbo greco λυω)

 Figura 11. Schematizzazione della permeabilità di una semiosfera: trasporto passivo

Se indico
 ! = ! !
e
 ! = ! !
la legge (1) si può scrivere come:
 
 = − (2)
 
Facendo l’ipotesi semplificativa che ! = ! = :

 = − ! 3
 !
 !
La quantità P = rappresenta quanto una cultura è permeabile ad elementi culturali esogeni.
 !

In questa prima situazione descritta, possono essere colte analogie con la situazione A in De Luca Picione &
Valsiner, 2017, p.540 e richiamata in precedenza.
Pensiamo, ad esempio, a quanto possa essere permeabile la cultura del popolo italiano a elementi linguistici
stranieri e a quanto invece sia difficile il passaggio inverso: nel nostro vocabolario, introduciamo fonemi
provenienti dalla lingua inglese che diventano di uso comune con estrema facilità. Questo può dipendere dal-
la permeabilità di un confine più volte squarciato con la forza che lo ha reso più vulnerabile e facile
all’attraversamento. Ad esempio, se facciamo un salto indietro nel tempo, la popolazione italiana è stata sot-
tomessa con la forza al dominio di popoli stranieri: si pensi alle invasioni barbariche, alla conquista del mare
nostrum da parte degli arabi, alla dominazione spagnola, alla dominazione austriaca. Benché alcuni attraver-
samenti del confine siano stati non spontanei, tuttavia l’incontro tra culture diverse ha sempre portato ad un
arricchimento di un certo dominio culturale. A volte è avvenuto anche il fenomeno inverso: faccio riferimen-
to a quando, dopo la conquista della Grecia da parte dei Romani, i Romani ne rimasero culturalmente assog-
gettati (“Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio”, per dirla con Orazio).
Alcuni elementi culturali, invece, più difficilmente permeano in modo spontaneo un confine. Il passaggio
può essere facilitato da vettori che ne favoriscono il trasporto. Avviene, al confine, un processo catalizzato

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(Valsiner, xxx). Un processo culturale può essere catalizzato da fattori economici, da fattori ambientali, nel
caso generale, da fattori motivazionali cosiddetti estrinseci, nel caso il fenomeno riguardi il singolo indivi-
duo.
Il fenomeno può essere schematizzato come segue:

 Figura 12. Schematizzazione della permeabilità di una semiosfera: trasporto facilitato

Un vettore E, che funge da catalizzatore, lega a sé materiale esterno ad un contesto culturale che si trova nel-
la posizione 1, formando un complesso attivato ES, e ne facilita lo sconfinamento fino alla posizione 2:
 E + S!"#$% ⇆ ES
A un certo punto, il materiale da esterno diventa interno e può sopravvivere anche senza il vettore E:

 ES ⇄ E + S!"#$%
Entrando nella sfera della psicologia, un confine molto permeabile che si ridefinisce in maniera dinamica e
autopoietica è la zona di sviluppo prossimale di cui parla L. Vygotskij intesa come “spazio metaforico" tra il
confine delle prestazioni autonome del bambino e il confine delle prestazioni assistite dall’insegnante, "spa-
zio" in cui è efficace l’intervento formativo dell’insegnante. Secondo Vygotskij, la società condivide i suoi
obiettivi cognitivi con il bambino, ed il soggetto condivide le sue convinzioni con l’ambiente attraverso un
flusso dinamico di informazioni, che potrebbe rispondere al modello del trasporto facilitato. Sulla linea di
confine e attraverso questi scambi si verifica il fenomeno dell’interiorizzazione
Grazie a questo flusso dinamico tra il me e non me, tra ciò che è interno e ciò che è esterno si verifica lo svi-
luppo culturale del bambino:
“Nello sviluppo culturale del bambino ogni funzione compare due volte su due piani dapprima compare sul
piano sociale poi sul piano psicologico. Prima compare tra due persone sotto forma di categoria interpsico-
logica poi all’interno del bambino come categoria intrapsicologica”

Un altro tipo di trasporto può essere quello che avviene in modo forzato: si pensi ad esempio, agli usi e alle
abitudini imposti dai popoli colonizzatori nel 1900.

 5. La Trasposizione culturale

 La globalizzazione e la facilità degli spostamenti ci permettono sempre più spesso di entrare in contatto
con civiltà e popoli, ci consentono di esplorare e conoscere, di superare confini geografici che ci portano ad
attraversare anche confini culturali. L’incontro tra culture non è semplice perché la percezione di altro da sé
spesso conduce a diffidenza, ad una chiusura autodifensiva, volte ci crea disagio. Nell’ambito della didattica,
è stato proposto il costrutto della trasposizione culturale (Mellone et al, 2019, Sun et al 2015) per decentrare
la pratica didattica di uno specifico contesto culturale attraverso la contaminazione delle pratiche didattiche

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