L'Africa non è il Klondike e l'Europa non è la terra promessa

Pagina creata da Elisa Rosso
 
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L’Africa non è il Klondike e
l’Europa non è la terra
promessa

L’Europa non è la terra promessa, non è il paese “buono e
spazioso, il paese dove scorre latte e miele” come quello
promesso agli Israeliti liberati dall’Egitto, descritto in
Esodo 3:8. D’altro canto, nell’Africa, ahinoi, già dall’inizio
del XV° secolo si annunciava l’alba precorritrice di una corsa
al saccheggio di risorse umane e naturali, un facsimile della
corsa all’oro del Klondike che ebbe inizio nel 1896 attirando
gente di tutto il mondo, perché al contrario di quello che si
possa credere, l’Africa non è povera altrimenti non si capisce
perché dovrebbe interessare tanto alle multinazionali.

Sarebbe interessante allora capire perché tanti giovani
africani lasciano la loro terra, rischiando tutto,
attraversando il deserto, sfidando torture e affrontando le
perfide onde del mediterraneo per giungere in Europa.
Molti di loro sono più che consapevoli che il loro faticoso
viaggio sarà interrotto in Libia e lì, il loro sogno
s’infrangerà incontrando la spietata disumanità degli scafisti
e dei trafficanti di uomini . L’attuale conflitto in atto in
Libia aggrava la già precaria situazione dei migliaia di
migranti .
Perché in Italia, in particolare, si vuole convincere tutti
della povertà del continente africano e si investe di anatemi
e si scomunica chiunque osi mettere in dubbio questo “dogma”.
Qui invece questo dogma si contesta e si cerca di illustrare
un’altra verità di quella che si vuole fare veicolare.
.Fondi, finanziamenti, sussidi e aiuti a pioggia dall’Europa
all’Africa
Il 16 gennaio 2019 la Commissione europea ha adottato il
budget annuale umanitario di 1.6 miliardi di euro per il 2019,
il cosiddetto “budget iniziale”. Questo è il budget più alto
finora adottato dall’Ue per crisi umanitarie.

In un articolo di Galli della Loggia sul Corriere , il
28.6.2018 si leggeva che l’UE versa 14 miliardi di euro in
media ogni anno. A questi, continua il politologo, vanno
contati i fondi che si versano alla Libia e alla Turchia per
contrastare l’immigrazione. Ancora da conteggiare i fiumi di
versamenti che l’Africa beneficia anche in parte dei 51,5
miliardi di euro del Fondo Europeo di sviluppo (FES), fondo
istituito nel 1957 nel Trattato di Roma, che l’Unione europea
ha messo a disposizione per il periodo 2014-2020. Se poi si
considerano le contribuzioni e le donazioni varie da parte del
volontariato ed a questi si sommano le spese che l’Italia e
altri paesi Ue sostengono per il mantenimento degli immigrati
già sul territorio, si avrà infine un costo globale, anche se
molto approssimativo, di quello che implica la voce
“immigrazione”.

Da tutte queste elargizioni, quante effettivamente
arrivano agli africani in crisi?
Facile rispondere alla domanda. Mentre il paese è ricco di
risorse, la popolazione ha un livello di povertà assoluto. Lo
sfruttamento è generale. Le immense ricchezze del continente
sono sempre state oggetto di scambio commerciale con l’esterno
e con evidente vantaggio di mercati stranieri.
Il ricavo economico delle svariate risorse del continente,
risorse naturali, idriche, forestali, energetiche come
petrolio e gas, minerarie come oro, argento,diamanti ,ferro,
rame, carbone, bauxite, titanio, uranio e non solo e poi i
prodotti per l’esportazione come il caffè, il cotone, il
cacao, il tè e le gomme, non coinvolgono la popolazione. Si
calcola che il loro livello di povertà sia di un dollaro Usa
per giorno.

L’Africa è il paese degli estremi opposti
Nel continente però,ci sono anche territori con livelli di
vita al pari di quelli occidentali. Uno di questi è il
Sudafrica. Si trovano grandi aziende agricole, grandi
strutture industriali, grandi aziende che hanno rilevanza
mondiale. A modo esemplificativo si cita la SAB – South
African Brewery che con una continua politica di acquisizione
in tutto il mondo è attualmente il primo produttore di birra.
Controlla fra l’altro la Peroni italiana.
Da non sottovalutare il settore terziario, sia dei servizi che
del turismo che dimostra una continua crescita, godendo di
risorse naturali accessibili e una buona stabilità in Namibia,
Kenya, Egitto, Marocco e Etiopia.
Fiore all’occhiello dell’economia di successo è quella degli
stati isolani di Seychelles, Riunione, Mauritius e Capo Verde.

Ritorna la domanda: perché tanta gioventù cerca allora di
espatriare?
A questa domanda già in parte è stato risposto. Le cause
geografiche e climatiche c’entrano in parte. Le guerre tribali
non dovrebbero influenzare,perché ogni paese ha avuto la sua
brava guerra, il suo bravo periodo di terrorismo e la gioventù
non è espatriata , al contrario sono rimasti per difendere
territorio e popolazioni.
Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un
giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per
tutta la vita.(Confucio)
E’ un fatto innegabile che la ricostruzione industriale
dell’Europa, le nascenti economie asiatiche e persino lo
sviluppo industriale americano hanno tutti lucrato di materie
prime a basso costo “saccheggiate” dal continente, facendo sì
che l’Africa anziché godere di un sviluppo industriale e
agricolo che avrebbe dovuto produrre nuovi posti di lavoro, in
realtà ha subito un sfruttamento minerario senza alcun
beneficio per le popolazioni indigene. Le stesse potenze
europee hanno amministrato nuovi territori e c’è chi li
amministra tutt’ora, per averne un beneficio economico senza
investire nel futuro di quella gente.

Il Papa emerito Benedetto XVI sostiene il diritto di non
emigrare:
“Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che
il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non
emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella
propria terra, ripetendo con il Beato (ora Santo) Giovanni
Paolo II che “diritto primario dell’uomo è di vivere nella
propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si
tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono
all’emigrazione”, (Discorso al IV Congresso mondiale delle
Migrazioni, 1998)”.

Fermo restando il diritto sacrosanto a non emigrare, cioè il
diritto a essere in condizione di rimanere nella propria
terra; constatato che le potenzialità del continente sono
immense e non aspettano che di essere messe a disposizione
delle comunità locali ;visto che l’Europa e non solo,
stanziano miliardi di euro come aiuti; visto e considerato che
da indagini fatte, di tutti questi miliardi alla popolazione
non arrivano che pochi spiccioli; assodato che le
multinazionali sono quelle che da sempre hanno lucrato sulle
ricche risorse del continente, è arrivato il momento di
cambiare politiche. Anziché elargire miliardi e miliardi,
consegnandoli in mani a chi finora non ha saputo tradurli in
strutture e benessere per gli africani, l’Europa e l’occidente
dovrebbero cambiare politica e cioè anziché soldi liquidi
inviare ditte, ingegneri, tecnici e quant’altro con
progettazioni per avviare strutture, costruire strade, ponti,
porti, vie di comunicazione anche fluviali, adoperando il know
how europeo, impegnando mano d’opera indigena, pagandola con
salari contrattuali normali.

Solo così si potranno evitare a migliaia di emigranti di
arenarsi nei campi in Libia, cadere nelle mani dei trafficanti
per poi essere usati dai partiti per le campagne elettorali.
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