Itunes festival 2012 - by Giorgio De Martino

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festival 2012

    by Giorgio De Martino
iTunes Festival 2012:
Londra, Roundhouse, 18 settembre 2012

                                             «Proporre alcuni tra i più grandi compositori di
                                           sempre ad un pubblico giovane e abituato ad altri
                                                 generi musicali significa offrire un favoloso
                                            repertorio operistico nella sua vera natura, come
                                             musica di e per il popolo di tutte le età e tramite
                                                    tutti i mezzi oggigiorno a disposizione».
                                                                                Andrea Bocelli

Qui, dove è passata la storia…
Per il rock è l’equivalente di ciò che il teatro alla Scala di Milano rappresenta per l’opera
lirica: su questo palco i Pink Floyd hanno tenuto il loro primo spettacolo dal vivo; qui Jimi
Hendrix ha imbracciato la sua chitarra Fender Stratocaster. Di fronte al pubblico rovente
di questo tempio profano circolare, si sono esibiti i Led Zeppelin, i Jefferson Airplane, i
Rolling Stones, David Bowie, Bob Dylan… Nel 1968, sullo stesso palco, c’erano i Doors alla
loro prima esibizione londinese, guidati da Jim Morrison, che cantava, appeso al micro-
fono, madido di sudore e imbottito di stupefacenti.
Un passato mitico, tra luci e ombre, ed un presente di grande fermento, rendono elettrica
l’aria che si respira alla Roundhouse, auditorium-icona che ha fatto la storia della scena
musicale psichedelica negli anni ’60 e del punk nel decennio successivo.
Londra, area settentrionale, Camden Town. È il cuore alternativo della capitale inglese, è
una delle arterie giovanili che da mezzo secolo pompa nuova linfa creativa. A pochi passi
dalla stazione metropolitana di Chalk Farm, con la sua lunga facciata di piastrelle smaltate
d’un indefinito color vino malchiuso, ecco il tondo della storica arena musicale, rimessa a
nuovo qualche anno fa grazie a un imponente maquillage.
Qui, di fronte a un uditorio gremito, di fronte a tanti ragazzi, in uno scenario tecnologico
da megaconcerto rock, con vampe di luce blu sparate dall’alto di decine di fari, a perime-
trare lo spazio, e uno schermo gigante composto da un puzzle di monoliti, ha cantato un
tenore lirico.
Qui, il 18 settembre, sono volate emozioni forti e, per molti tra i presenti, nuove. Dal palco
sono stati trattati temi scottanti: per settanta minuti è stata dichiarata vincente la forza del-
la bellezza. È stato coniugato l’amore, nelle accezioni di seduzione, ma anche di rivincita su
una morale ipocrita. Amore, nella sua dimensione erotica, in quella dell’amicizia trionfante
sugli impulsi, in quella dell’invocazione di chi alza gli occhi al cielo.
Concetti destabilizzanti, rivoluzionari come tutto ciò che fa pensare, concetti tramutati
all’istante in “emozioni di pancia”, attraverso il canto e il supporto di un’orchestra sinfonica
e di un coro. Musica innovativa, note che infrangono gli schemi, come nella tradizione
della Roundhouse…
Pagine che hanno, in media, un secolo e mezzo di vita.
È l’ennesimo prodigio di una voce nota, è la consueta quadratura del cerchio che Andrea
Bocelli ha realizzato attraverso un’apparente scommessa. Apparente, perché l’azzardo por-
ta con sé un margine d’incertezza sul risultato… In questo caso, più che una scommessa,
sarebbe corretto definirla una lezione.

L’iTunes Festival: il mondo in platea
La stazione di Chalk Farm, sulla Northern Line, è un fabbricato del primo Novecento che
sembra volere indicarti la strada: un cuneo aguzzo (sul cui aculeo s’apre l’ennesimo “food
& wine” aperto 24 ore) che idealmente punta il dito proprio verso quella cupola circolare
un po’ lugubre, d’un marrone-grigio autunnale.
Proprio non si direbbe, ma l’edificio è uno dei più gettonati templi di Dioniso della con-
temporaneità. I manifesti, che ne accompagnano la curvatura, prefigurano solo in parte
ciò che può offrire, al suo interno, questo veterano dell’industrializzazione anglosassone
ottocentesca.
Non vi si faceva musica, nel 1846, quando è stato costruito. Era luogo adibito alla manuten-
zione e riparazione dei treni a vapore. Era un punto di snodo per i convogli che collega-
vano le stazioni di Camden e Euston. Nella sua carriera, segnata da chiusure e riaperture,
la Roundhouse è stata adibita persino a distilleria di gin (di proprietà dei Gilbey’s, griffe
etilica assai nota, famiglia londinese di mercanti di vino fin da metà Ottocento).
Rinnovata nel 2006, da allora, entro lo spazio crepitante dei suoi margini senza spigoli, si
sfornano performance di musica pop dal vivo ai massimi livelli, ma anche di teatro e di
danza. Dal 2009 è sede dell’iTunes Festival, l’evento digitale più seguito nel mondo.
Figlio della Apple, l’iTunes Festival propone una maratona concertistica a ingresso libero
che coinvolge il meglio della musica amata dal pubblico giovanile. Ogni evento è trasmesso
gratuitamente in diretta streaming, potendo così contare su una platea globale composta
da chiunque, nel mondo, sia connesso alla rete.
Quest’anno sono più di sessanta, i beniamini internazionali presenti in un calendario che
copre le trenta serate consecutive dei giorni settembrini. La lista comprende solisti e gruppi
tendenzialmente venerati dai teenagers, molto amati dai ventenni, apprezzati dai trenten-
ni, sentiti nominare dai quarantenni, sconosciuti ai cinquantenni.
Ma nell’elenco delle “guest star” c’è un nome che sbaraglia i target e se ne fa un baffo dei
segmenti di mercato: un cantante che ha, indubitabilmente, un passato e un presente an-
che pop, ma che si permette il lusso di proporre qui un programma pressoché interamente
classico, che comprende una pagina sacra di Schubert, un duetto lirico di Bizet che persino
certuni melomani ritengono al di fuori della loro portata, e poi pagine di Verdi, Mascagni,
Puccini…
L’artista in questione canterà, dal principio alla fine, senza concedere un ammicco gio-
vanilistico, senza ricorrere a trucchi di comunicazione, gestuali o verbali, per stemperare
l’impatto con un’arena che è, sulla carta, così poco abituata a un simile repertorio, di fronte
ad un pubblico, sulla carta, così “difficile”. Risultato? Puro entusiasmo e tifo da stadio.
Ecco la lezione, che emerge dal cerchio magico della platea londinese: chi ritiene che la
musica cosiddetta “colta” – e l’opera lirica in particolare – sia forma d’arte di difficile godi-
mento o comunque elitaria, se è in buona fede, sbaglia, se è in cattiva fede, sta frodando le
nuove generazioni.
Per disperdere un simile, pericoloso equivoco (che spesso ha il retrogusto di un’astuta,
globale strategia di marketing) basta assistere a uno dei tanti concerti di Andrea Bocelli,
occasioni che abitualmente radunano svariate decine di migliaia di persone…
Quello realizzato nell’ambito dell’iTunes Festival è però un evento esemplare. E per im-
parare la lezione, basta aver letto negli occhi dei neofiti presenti, averne osservato lo stu-
pore, l’entusiasmo, l’eccitazione, di fronte alle storie e ai sentimenti che si sono dipanati
attraverso la voce di Andrea, alle emozioni primarie messe in gioco.

Nella città della Regina
Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto ciò
che la vita può offrire. La massima (di Samuel Johnson) ha due secoli e mezzo di vita, ma
potrebbe essere stata concepita ieri.
Andrea Bocelli è un artista rigoroso. Similmente a un ginnasta prima della gara, osserva
una serie di norme, a tutela della concentrazione e della salute fisica. Nelle ventiquattrore
che precedono un concerto, persegue la regola del silenzio e del riposo assoluto. Ovunque,
ma non a Londra.
La tentazione è forte, oltremisura: il fatto è che, potendo volare, le distanze in Europa co-
prono in genere un intervallo che non eccede quello tra la colazione ed il pranzo. Il cielo
accompagna l’artista, dalla sua amata regione fino alla capitale inglese, in uno spazio di
tempo ridotto… Restare in attesa per molte ore, nel camerino della Roundhouse, con Lon-
dra fuori, è persino immorale. Qualcosa di simile, Andrea deve avere pensato, optando di
concedersi in via eccezionale una passeggiata, insieme alla sua compagna Veronica, nella
città più bella del mondo (Italia a parte, s’intende!).
Ma tra pochi giorni, la famiglia Bocelli potrà nuovamente assaporare l’umido fascino di
Londra: non più il Camden, ma l’esclusiva e verde South Kensington, dove un’altra leg-
gendaria struttura circolare (ispirata agli anfiteatri romani: nulla di nuovo, sotto il sole…),
la Royal Albert Hall, accoglierà l’artista, consegnandogli il premio speciale dei “Classic
BRIT Awards” per celebrare il suo primo ventennio di folgorante carriera.
Ma anche in novembre, ancora inglese, parlerà la sua agenda: è previsto, infatti, un tour in
Gran Bretagna che lo porterà il 6 a Dublino, l’8 a Belfast, il 10 a Birmingham, l’11 a Liv-
erpool, per chiudere il 14 e il 15 nuovamente a Londra. Una tappa, quest’ultima, che si è
dovuta raddoppiare a furor di popolo.
La Roundhouse, nel frattempo, trabocca di un pubblico a maggioranza giovanile, esigente,
curioso. La diretta in streaming pretende una tempistica precisa: dal buio carico d’attesa,
emerge la voce festosa e piccante di Myleene Klass, presentatrice d’eccezione che nei trat-
ti del volto propone l’alchimia d’una fortunata mescola di cromosomi (babbo austriaco,
mamma orientale).
Myleene, personaggio pubblico molto amato e pieno di talenti, attrice oltre che musicista,
sottolinea da subito l’eccezionalità della serata. Introduce quindi il tenore toscano, ricor-
dando come nella sua carriera abbia già incantato le platee di tutto il mondo, e capi di
stato, e papi, mentre «ottanta milioni di persone hanno avuto il piacere di acquistare un
suo disco».
L’illuminazione della Roundhouse si concentra esclusivamente sul rosa brunito del suo
viso e del decolté, e sul colore rosso-seduzione del suo vestito da sera. Il resto, per ora,
è buio ancorché brulicante di respiri. Solo le piccole luci dei leggii degli orchestrali e dei
coristi della “British Philarmonic” – già schierati – rompono la consegna, disegnando agli
occhi del pubblico tenui squarci di spartiti.
Bypassando il rischio d’esaurire l’introduzione in pirotecnie di numeri superlativi (inevita-
bilmente avare di concetti), è la stessa voce registrata di Andrea che, alternandosi a quella
della bella Myleene, saluta il pubblico e l’immenso uditorio del web (che lo sta seguendo
da oltre sessanta paesi), con un breve messaggio che, nella sua confidenziale semplicità,
sembra riassumere il senso della sua carriera…
«Ho provato spesso un incontenibile desiderio di dare una nuova definizione di musica,
di dire almeno qualcosa di diverso, di mio, su questa nobile arte a cui devo un’infinità di
ore felici. La musica è per me un bisogno, come quello dell’amore, ed è anche e soprattutto
il mio destino. Un destino che ho sempre sognato di dividere con voi. Ed ora, il sogno è
divenuto realtà. Grazie di essere qui».

Il concerto
 Andrea Bocelli e Carlo Bernini guadagnano il proscenio, attraversano il palco a braccetto,
fino all’altezza del podio. Ed è spettacolo nello spettacolo: in quell’entrata in scena, sorri-
dente, complice, sicura, pacata, c’è l’esperienza di una vita on stage, insieme…
Perché i due si conoscono da quasi trent’anni, e da quasi trent’anni, colleghi e amici, fanno
musica insieme. Da quando Andrea era uno studente universitario che coltivava la pas-
sione per il canto e si manteneva suonando nei pianobar. Da quando Carlo era un ventenne
fresco di conservatorio, pianista di belle speranze che, dopo non poche remore, aveva ac-
cettato di dare lezioni a quel vulcanico, atipico studente, più grande di lui di qualche anno.
Insieme, con l’arrivo del successo internazionale, hanno girato il mondo, condividendo
migliaia di ore in aereo tra le nuvole ed altrettante di attesa, negli alberghi e nei camerini,
e poi di musica, sotto le luci della ribalta…
Indizio, anche questo, utile a comprendere di quali valori siano alimentate quelle esecuzi-
oni che poi arrivano al cuore delle persone, senza distinzione di latitudine. La voce è spec-
chio dell’anima: dice chi sei, senza possibilità di bleffare. Il canto di Andrea esprime un
carisma etico che si può recepire ovunque, e senza discriminazioni d’età…
Accade anche ora, nell’arena londinese, mentre, tra gli applausi, migliaia di telefonini si
allungano oltre le chiome degli spettatori, per catturare i suoni e le immagini della serata,
creando l’effetto di un presepe di tecnologici lumicini.
Bocelli sorride ai teenagers d’oltremanica, inaugurando il concerto con un brano che vuole
esprimere la gioia dell’appartenenza alla propria terra. È ‘O sole mio: non una pagina lirica,
ma una melodia entrata comunque a pieno titolo tra i “classici” di sempre.
Il sole cantato, nel celeberrimo ritornello, è un sole fisico ma anche metaforico, carico di
energia e di speranza. La canzone italiana più conosciuta nel mondo – sorta d’inno nazion-
ale alternativo – da oltre cent’anni scalda il cuore ed emoziona gente d’ogni razza e d’ogni
età. E i ragazzi della Roundhouse non sono da meno.
Lungo i cinque monoliti che compongono lo schermo dietro il palco, intanto, scorrono car-
toline dall’Italia, meraviglie paesaggistiche e architettoniche, squarci sui frutti del terreno
e dell’ingegno di un paese che per secoli ha dato una casa sicura alla cultura della bellezza.
A seguire, ecco il sognante Adagio tratto dal “Concierto de Aranjuez” di Joaquín Rodrigo,
diventato canzone nella versione di Lorin Maazel. Per l’occasione, sul palco sale anche un
duo di chitarristi, i CARisMA: insieme a Bocelli, gli unici ospiti italiani in calendario, in
questa edizione del festival.
Le proposte si fanno via via più impegnative, la temperatura della sala non cede di un
grado… La porzione in scaletta dedicata alla musica sacra comprende dapprima l’Ave
Maria schubertiana, poi Amazing grace, celeberrimo inno scritto nel ‘700 da John Henry
Newton, già mercante di schiavi, ma in seguito pastore anglicano e convinto sostenitore
dell’abolizione della schiavitù.
Spazio alla lirica, con i salti mortali e la parata di acuti di un’aria brillante tratta da “La fille
du régiment” di Gaetano Donizetti, seguita dal meditativo, commovente Intermezzo sin-
fonico tratto dalla “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni.
Il pubblico segue, nota per nota. Ascolta, senza dar segni d’impazienza, le introduzioni
proposte da Myleene Klass, piccole mappe virtuali per destreggiarsi tra i brani. È il mo-
mento del duetto da “Les pêcheurs de perles” di Georges Bizet, partitura tanto raffina-
ta quanto apparentemente controindicata, per orecchie giovanili o inesperte. Ed è un’es-
perienza euforica, toccare con mano come, da un sito storicamente trasgressivo come la
Roundhouse, dove molte rivoluzioni musicali sono state dichiarate, venga sbugiardato an-
che questo tabù.
 Per interpretare questo intenso brano che celebra l’amicizia, Andrea Bocelli invita sul pal-
co un collega che, suo amico, lo è davvero, e da molti anni: Gianfranco Montresor, com-
pagno di tante avventure operistiche, baritono veronese che pochi mesi fa ha debuttato, qui
a Londra, alla Royal Opera House Covent Garden.
Il concerto prosegue con pagine di Giuseppe Verdi e di Giacomo Puccini; per il duetto O
soave fanciulla da “La Bohème” e per il Brindisi da “La traviata”, accanto ad Andrea, il so-
prano Sabina Cvilak, già applaudita nel corso della scorsa edizione del “Teatro del Silenzio”
a Lajatico.
Myleene annuncia l’ultima pagina in scaletta, il pubblico scalpita, in perfetto stile rock.
Replicando a tanto calore, Carlo Bernini alza la bacchetta sul tema di Time to Say Good-
bye, primo di due fuoriprogramma. La chiusura è riservata al Nessun dorma dalla “Turan-
dot” pucciniana.
Dalla sala, il consenso al calor bianco non accenna a diminuire. Andrea torna, sorridente:
«sfortunatamente, abbiamo finito i brani. Ed anche la voce», scherza. Nel frattempo Carlo
torna sul podio e spiega agli strumentisti il punto da cui partire, per riproporre le ultime
battute del Nessun dorma… Un’operazione che richiede alcuni “lunghi” secondi. Nell’atte-
sa Andrea, divertito, gioca con la platea: «la faccenda si fa complicata… E lo sapete perché?
Perché il direttore parla l’inglese ancor peggio di me».

A riflettori spenti
Un trionfo. Nonostante ciò, Bocelli non rinuncia, come d’abitudine, alla propria rigorosa,
perfino caparbia propensione all’autocritica… Sono le cinque del mattino, quando – attra-
verso uno scambio epistolare, via posta elettronica – riflette sulla propria performance. Al
principio, spiega, la voce era a posto. Verso la fine forse si è un po’ affaticata, complice qual-
che imprecisione tecnica e la stanchezza per il viaggio, che s’è fatta sentire… «Diciamo che
poteva andare meglio, ma poteva anche andar peggio», è la sua conclusione. Valutazione
che, tradotta nella percezione dell’ascoltatore, anche del più esigente, identifica una serata
d’eccezione, piena di grande musica, grandi interpretazioni, grandi emozioni. Per fortuna
il video del concerto è in rete, a testimoniarlo.
«La cosa più straordinaria è stata la risposta del pubblico», commenta Bocelli, «di quel
pubblico abituato ad ascoltare ben altro tipo di repertorio. Questo significa che la musica
seria potrebbe ancor oggi far breccia tra i giovani, se solo venisse comunicata nel modo
giusto».

Giorgio De Martino

                                             È evidente che la musica può mutare il carattere
                                              morale dell’anima; e, se ha questa possibilità, è
                                                  chiaro che in essa debbono essere esercitati
                                                                         ed educati i giovani.
                                                                                   Aristotele
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