Israelizzare la politica americana, palestinizzare il popolo americano

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Israelizzare la politica americana, palestinizzare il popolo americano
Israelizzare la politica americana,
palestinizzare il popolo americano
Jeff Halper

19 giugno 2020 – Mondoweiss

Israele non ha influenzato le forze dell’ordine USA addestrandole ad essere più
violente, ma piuttosto è stato un modello per la creazione dello Stato securitario
americano.

Recentemente si è dedicata molta attenzione all’“addestramento” che la polizia
americana ha ricevuto da Israele. È esteso e pervasivo. Tuttavia il punto non è che
Israele abbia reso la polizia USA più violenta. Già oltre un secolo fa, prima ancora
che venisse creato lo Stato di Israele, era violenta e repressiva. Non è neanche
che Israele abbia contribuito alla militarizzazione della polizia USA. Lo fa,
ovviamente, ma in risposta ai cambiamenti fondamentali sulla scena politica ed
economica americana.

L’“israelizzazione” della polizia americana è iniziata in seguito all’11 settembre,
ma tre sviluppi fondamentali negli USA spiegano il perché. Primo, dall’11
settembre gli effetti depressivi del neoliberismo, a iniziare dalla presidenza
Reagan, ma che già avevano determinato gravissime disparità sociali e salariali
negli anni di Bush e Clinton. Hanno iniziato a invocare “legge ed ordine”, guerre
interne (alla droga, alla delinquenza, agli “estremisti di sinistra”) con la necessità
di controllare e pacificare un precariato, una classe sottoccupata e sottopagata in
costante aumento, i “lavoratori poveri” [working poor] e i molto poveri in buona
parte razzializzati [cioè definiti e discriminati su base razziale, ndtr.]. I poliziotti
sono gli scagnozzi del capitalismo.

In secondo luogo, dall’11 settembre gli USA hanno perso l’Unione Sovietica e il
comunismo come minaccia esterna/interna che potesse essere sfruttata per
giustificare politiche repressive e antidemocratiche in patria. Dato che la
minaccia “terroristica” era diventata una questione poco importante ai tempi di
Clinton, essa non era strettamente legata al livello nazionale. Questo legame, la
terza causa dell’“israelizzazione” della polizia, è iniziato con l’11 settembre.
Israelizzare la politica americana, palestinizzare il popolo americano
Il Patriot Act [legge antiterrorismo che ha rafforzato i sistemi di sicurezza e
repressivi, ndtr.], che fino ad oggi limita i diritti civili e il giusto processo in
America, è stato emanato meno di due mesi dopo. Esso era chiaramente già
pronto nel cassetto in attesa dell’occasione buona. E di nuovo, il mantenimento
dell’ordine pubblico diventa il veicolo per un complessivo nuovo compito
paramilitare: la “sicurezza nazionale”.

Questo è lo scenario. Non è stato una creazione di Israele. Ma Israele è uno Stato
securitario fin dalla sua fondazione nel 1948 – ed avrebbe persino messo le sue
radici come società altamente militarizzata fin dall’inizio del Ventesimo secolo. È
stato durante gli ultimi 125 anni di colonialismo d’insediamento che si è
sviluppato lo Stato securitario israeliano. La continua guerra di Israele contro il
popolo/nemico palestinese all’interno ed all’estero, con tutta l’intrinseca
insicurezza e la preoccupazione securitaria che ne consegue, lo ha posto
esattamente dove l’America post 11 settembre voleva trovarsi. Israele ha fornito
agli USA – e in particolare alla polizia ed alle agenzie della sicurezza degli Stati
Uniti – politiche, insegnamenti, strutture paramilitari ed armamenti già pronti di
cui [gli USA] erano privi ma di cui avevano bisogno per costruire uno Stato
securitario americano. Israele ha fornito il modello e l’armamentario.

Ma qual è stato il problema? Perché gli USA non avrebbero potuto semplicemente
mettere in atto le politiche, creare la struttura e produrre le armi favorevoli a uno
Stato securitario, soprattutto ora che ha la giustificazione per la “sicurezza
nazionale”? La risposta è analoga al concetto di “color-blindness” [secondo il
quale i cittadini non devono essere giudicati in base al colore della pelle, ndtr.]. In
“The New Jim Crow” [La Nuova Jim Crow, in riferimento alle norme
segregazioniste e razziste degli Stati del Sud prima della fine formale della
segregazione razziale, ndtr.] Michelle Alexander descrive il dilemma di imporre
politiche di repressione razziale in un momento in cui (gli anni ’60 e ’70)
manifestazioni esplicite di razzismo non erano più accettabili. Documenta come la
guerra contro la droga abbia accolto il programma razzista ma sotto l’etichetta
della lotta alle droghe, contro cui pochi avrebbero potuto obiettare. Gli USA
hanno avuto lo stesso problema nella transizione allo Stato securitario. Come
avrebbero potuto subordinare le libertà civili a favore della repressione poliziesca
conservando al contempo la loro immagine in quanto democrazia?

In particolare il problema che gli USA dovevano affrontare nel rafforzare la loro
polizia perché si dedicasse alla sicurezza nazionale era il muro rappresentato dal
Posse Comitatus Act [legge che pone dei limiti all’uso della forza militare
all’interno del territorio USA, ndtr.] del 1878. Come leggi e norme simili in altri
Stati europei, il Posse Act separa rigidamente l’applicazione della legge
all’interno (sicurezza interna) dall’impiego dell’esercito (sicurezza esterna). È più
o meno così:

Ciò non significa che l’esercito non possa essere utilizzato all’interno [del Paese].
La Guardia Nazionale gioca occasionalmente questo ruolo. Ma perché venga
chiamato ad intervenire l’esercito vero e proprio, come ha cercato di fare Trump a
Washington, doveva essere invocato un poco chiaro Insurrection Act [Legge
contro l’insurrezione] e il Pentagono si è rifiutato [di farlo].

Quindi, benché le imprese USA abbiano la possibilità di produrre armi da guerra,
il “muro” ha posto loro dei limiti nello sviluppo di armamenti di tipo militare per
la polizia. Ciò apre un ampio mercato per Israele, non solo per l’armamento
bellico per le forze dell’ordine su misura per il cliente, ma anche per il mercato
civile. L’Israeli Weapons Industry [Industria Israeliana degli Armamenti] (IWI) ha
aperto un fabbrica a Middletown, Pennsylania, in cui produce, per esempio, un
mitra Uzi delle dimensioni di una pistola per la polizia. Questa fabbrica produce
un’ampia gamma di armi da guerra per le forze dell’ordine, compresi modelli di
fucili automatici Galil e Tavor e un fucile tattico [cioè per le forze di polizia, ndtr.]
chiamato Zion-15. Israele è anche il leader mondiale per i droni, che produce al
60% per il mercato estero. I droni sono diventati fondamentali per i dipartimenti
di polizia negli USA, ma anche in questo caso il “muro” rappresenta un intralcio: i
droni sono in genere utilizzati per la sorveglianza, ma quelli armati sono ancora
vietati alla polizia USA.

Una seconda fonte della militarizzazione israeliana della polizia USA viene dalla
stessa esperienza israeliana. Il sionismo, come il “destino manifesto” degli USA, è
un movimento di colonialismo d’insediamento. Poiché ogni popolo colonizzato
resiste alla propria espulsione ed eliminazione, la comunità dei colonizzatori vive
in una condizione di continua insicurezza, di permanente emergenza, in cui ogni
aspetto della vita è militarizzato.

Buona parte della violenza nella cultura americana deriva dalle campagne di
genocidio contro i nativi americani (Andrew Jackson [noto per la sua spietatezza
nei confronti dei nativi americani, ndtr.] è il presidente preferito da Trump), e
molti film western ruotano attorno a sceriffi e capi della polizia, mostrando
proprio come polizia e colonizzazione violenta siano strettamente legati. Tuttavia
dagli anni ’80 del XIX secolo il regime colonialista americano aveva
complessivamente pacificato i nativi americani. Ciò gli rese possibile trasformarsi
in un regime più civile: la promulgazione del Posse Act del 1878 servì a “rendere
civile” la polizia. Ciò in Israele non è mai avvenuto. I palestinesi continuano ad
essere una potente fonte di resistenza alla colonizzazione e quindi Israele è
l’unico Paese dell’Occidente a non separare le forze dell’ordine civili dall’esercito.
Al contrario, criminalizzando la resistenza palestinese come “terrorismo”, Israele
associa il mantenimento dell’ordine pubblico all’esercito. Quindi in Israele la
polizia non è separata dall’esercito ma è legata a un insieme di unità paramilitari
che svolgono le due funzioni, come illustrato qui:
Questo è il tipo di ristrutturazione delle forze di polizia degli USA che Israele
promuove. La polizia israeliana, lungi dall’essere solo un ente civile incaricato di
mantenere la legge e l’ordine, è un’organizzazione paramilitare che risponde al
ministero della Sicurezza Interna, integrata nei più complessivi organismi militari
e per la sicurezza in base al regime di “emergenza permanente”. Israele vede
come “nemico” la maggioranza della popolazione del Paese, i cittadini palestinesi
di Israele e i non cittadini dei Territori Occupati, oltre ad altri segmenti della
società israeliana, dai richiedenti asilo africani ai progressisti e alle persone di
sinistra “filo-arabe”. La principale linea di condotta della polizia israeliana non è
quindi principalmente di carattere civile – proteggere la società come un tutto
unico – ma riguarda contro-insurrezione e controterrorismo.

A questo riguardo la polizia israeliana è all’avanguardia. Il suo sito ufficiate
definisce il suo ruolo come “prevenzione di atti di terrorismo, smantellamento di
ordigni esplosivi e impiego contro azioni terroristiche”, solo questi si allontanano
da questioni tradizionalmente relative alla polizia come il mantenimento della
legge e dell’ordine, la lotta contro il crimine e il controllo del traffico. Il
controterrorismo è la “mentalità”, con una notevole sovrapposizione tra
“mantenimento dell’ordine ad alta intensità” e “guerra a bassa intensità” che sono
uno “spazio di intervento” securocratico. L’ex-direttore dello Shin Bet e all’epoca
ministro della Sicurezza interna, Avi Dicher, parlando davanti a 10.000 agenti di
polizia che partecipavano all’ [incontro dell’] Associazione Internazionale dei Capi
della Polizia a Boston, ha utilizzato il termine “crimiterrorismo” per sottolineare
“l’intimo rapporto tra la lotta contro la criminalità e contro il terrorismo”.
“Crimine e terrorismo sono due facce della stessa medaglia,” ha affermato.

La mitica reputazione di Israele come principale potenza antiterrorista al mondo
gli conferisce un grande potere al Congresso, al Pentagono, nei circoli della
sicurezza nazionale e nella polizia. La polizia paramilitare israeliana rientra bene
nelle tendenze paramilitari già presenti nei dipartimenti di polizia americani. Già
a metà degli anni ’60 Filadelfia e Los Angeles organizzarono squadre SWAT –
SWAT significava originariamente “Special Weapons Attack Team” [Squadra di
Attacco con Armi Speciali], non proprio un concetto civile. Ciò diede inizio a
quella che Radley Balko chiama “la nascita del poliziotto guerriero”. Oggi l’80%
delle forze di polizia hanno squadre SWAT.

Diamo una breve occhiata a come le forze di polizia americane applicano i principi
del manuale di antiterrorismo di Israele al controterrorismo nelle città americane.
Accogliendo il concetto israeliano secondo cui l’intelligence è la chiave per la
prevenzione e l’interdizione, all’inizio degli anni 2000 il NYPD [New York City
Police Department, il più grande dipartimento di polizia urbano degli Stati Uniti,
ndtr.] ha formato l’”Unità Demografica” che invia agenti in borghese, noti come
“rastrelli”, per mappare il “terreno umano” dei quartieri delle minoranze prese di
mira – “modellati”, secondo una fonte del NYPD, “su come le autorità israeliane
operano in Cisgiordania.” Gli informatori, noti come “pulci delle moschee”, hanno
monitorato sermoni e attività delle moschee. Un’“unità di interdizione del
terrorismo” ha fatto indagini sui loro dirigenti, e un’altra squadra, l’Unità per i
Servizi Speciali, conduce un lavoro sotto copertura – in qualche caso illegale –
fuori da New York.

Nel 2012 il NYPD ha persino aperto un ufficio in Israele, situato nel quartier
generale della polizia del distretto di Sharon a Kfar Saba, per “cooperare
quotidianamente con la polizia israeliana”. “Se un attentatore suicida si fa
esplodere a Gerusalemme, il NYPD accorre sul posto,” ha affermato Michael
Dzikansky, un poliziotto del NYPD che presta servizio in Israele. “Sono stato lì per
fare la domanda di New York: ‘Perché qui? C’era qualcosa di unico in quello che
ha fatto l’attentatore suicida? C’era stato un qualche preavviso? Una falla nella
sicurezza?’ In seguito Dzilansky è stato co-autore di un libro, Terrorist Suicide
Bombings: Attack Interdiction, Mitigation, and Response [Attentati terroristici
suicidi: blocco dell’attacco, riduzione del danno e risposta], un altro esempio di
come le prassi securitarie israeliane entrino nelle forze dell’ordine negli Stati
Uniti.

Cathy Lanier, capo della polizia di Washington, che una volta ha affermato che
“nessun’altra esperienza della mia vita ha avuto tanto impatto sul modo di fare il
mio lavoro quanto andare in Israele,” ha autorizzato posti di controllo nel
quartiere difficile di Trinidad, nel nordest della capitale, per monitorare e
controllare la violenza di strada e l’illegale traffico di droga.

Ovviamente “guerra” è stato a lungo un concetto politico americano, soprattutto
per quanto riguarda le relazioni razziali. L’ordine pubblico americano diventò
apertamente militarizzato quando Reagan dichiarò la “guerra alla droga”, che, a
sua volta, venne accentuata ulteriormente fino a una vera e propria guerra da
Bush [padre]. All’inizio degli anni ’90 egli inaugurò un programma che consentiva
che ulteriori equipaggiamenti, armi e veicoli tattici militari venissero trasferiti
alle forze dell’ordine per essere utilizzati nella “repressione della droga”.
L’amministrazione Clinton militarizzò ulteriormente l’attività della polizia con
l’approvazione del Violent Crime Control and Law Enforcement Act [Legge per il
Controllo della Criminalità Violenta e Ordine Pubblico] del 1994 (redatto da Joe
Biden). Secondo Alexander ciò pose le basi giuridiche per il sistema di caste su
base razziale degli Stati Uniti, in quanto ebbe come risultato l’incarcerazione di
massa e la privazione dei diritti civili di milioni di persone di colore. Nel 1997
l’amministrazione Clinton istituì il programma 1033, che estese il trasferimento di
equipaggiamento militare alla polizia. Oggi la polizia ad Oxford, Alabama, ha un
cellulare blindato e a Lebanon, Tennessee, ha un carro armato.

Ora in seguito all’11 settembre si aggiunge a tutto ciò la vera e propria “guerra
contro il terrorismo” e in pratica ogni americano è sottoposto a un controllo
dell’ordine pubblico e a una privazione dei diritti di tipo militare, soprattutto
attraverso il Patriot Act, un’aggressione alle libertà civili che sottopone gli USA a
uno stato di emergenza permanente. Esso concede alle autorità il potere di un
giusto processo abbreviato– e ciò più di ogni altra cosa se non altro descrive il
comportamento della polizia americana oggi. (Il Patriot Act è stato confermato dal
Congresso sotto ogni amministrazione). Il modo militarizzato in cui sono stati
smantellati i campi di Occupy [movimento internazionale contro il potere
finanziario iniziato negli Usa nel 2011, ndtr.]. ha evidenziato che i giovani bianchi
di classe media scontenti del neoliberismo possono essere repressi altrettanto
facilmente della comunità nera.
In conseguenza di tutto ciò la polizia, che a lungo ha mal sopportato il “muro” che
frenava la sua propensione alla violenza e alla repressione – che, di fatto, è stata
in primo luogo l’intenzione originaria per la creazione della polizia – ora ha una
giustificazione giuridica e ideologica per intaccarlo. Quindi il massimo “contributo
di Israele alla polizia USA è il concetto di Stato securitario, il suo stesso modello
di democrazia militarizzata. Lo Stato securitario spacciato da Israele è in realtà
un sofisticato Stato di polizia la cui popolazione è facilmente manipolabile da
un’ossessione per la “sicurezza”. È uno Stato guidato da una logica di guerra
permanente, in cui la richiesta di “sicurezza” ha la meglio su ogni difesa della
democrazia. La seguente figura mostra la logica circolare dell’evoluzione dello
Stato securitario.

In generale, il lavoro della polizia, con nomi diversi, è garantire l’ordine pubblico
dell’endemica insicurezza del capitalismo predatorio. Guerra contro la droga,
guerra contro il crimine, guerra globale contro il terrorismo, “guerre securitarie”,
“guerre contro il popolo”, “guerre per le risorse,” repressione delle rivolte,
campagne per la legge e l’ordine e altri eufemismi. Ciò che unisce comunità di
colore povere e discriminate su base razziale, lavoratori in generale, precari della
classe media e giovani che cercano solo di entrare nel mondo del lavoro è che
l’economia neoliberista non ha posto per loro oltre il lavoro a tempo determinato,
e che tutti voi, se minacciate il sistema che vi sta distruggendo, dovrete affrontare
la polizia – gli scagnozzi del capitalismo. Questo è il vero atteggiamento della
tolleranza zero circolare trasferito alla polizia dallo Stato securitario. Ciò
corrisponde perfettamente nel corso della storia al ruolo della polizia, da cui
proviene la sua cultura violenta. Se gli USA possono essere spronati lungo il loro
percorso per diventare uno Stato securitario (non difficile da vendere), allora
Israele non solo si guadagnerà un enorme mercato per le tecnologie repressive,
ma un sicuro alleato nella sua lotta contro la resistenza palestinese.
Addestramento della polizia e hasbara [propaganda in ebraico] sono intimamente
legati.

E quindi ecco l’addestramento della polizia americana da parte di Israele.
All’inizio del 2002, poco dopo l’11 settembre, iniziò una sfilza di programmi di
addestramento. L’American Jewish Institute for National Security Affairs [Istituto
Ebraico Americano per le Questioni di Sicurezza Pubblica] (JINSA),
un’organizzazione che sostiene che non c’è differenza tra gli interessi della
sicurezza nazionale di USA e di Israele, inaugurò il suo Law Enforcement
Exchange Program [Programma di Scambi sull’Ordine Pubblico] (LEEP). Esso
collabora con la polizia nazionale israeliana, il ministero della Sicurezza Interna
israeliano e l’agenzia della sicurezza israeliana (Shin Bet), ed è appoggiato
dall’Associazione Internazionale dei Capi della Polizia, dall’Associazione degli
Sceriffi delle Principali Contee, dall’Associazione dei Capi delle Principali Città e
dal Forum di Ricerca Esecutiva della Polizia per portare in Israele capi della
polizia, sceriffi, importanti quadri delle forze dell’ordine, direttori della sicurezza
nazionale a livello statale, commissari di polizia statali e dirigenti delle forze
dell’ordine federali per la “formazione”. Finora oltre 9.500 funzionari delle forze
dell’ordine hanno partecipato a dodici conferenze. “Le competenze raccolte
dall’osservazione e dall’ addestramento durante il viaggio dell’LEEP,” ha
proclamato il colonnello Joseph R. (Rick) Fuentes, sovrintendente della polizia
dello Stato del New Jersey, sul sito del JINSA “hanno suggerito importanti
cambiamenti della struttura organizzativa della polizia statale del New Jersey ed
hanno portato alla creazione della sezione per la sicurezza nazionale.”

L’ Anti-Defamation League [organizzazione della lobby filoisraeliana negli USA,
ndtr.] (ADL) ospita due volte all’anno una Scuola Avanzata di Addestramento a
Washington. La sua “scuola” ha addestrato più di 1.000 professionisti dell’ordine
pubblico USA, che rappresentavano 245 organismi federali, statali e locali. L’ADL
gestisce anche un seminario nazionale di contro-terrorismo (NCTS) in Israele,
portando funzionari di pubblica sicurezza da tutti gli USA in Israele per una
settimana di intenso addestramento sull’antiterrorismo, mettendoli in rapporto
con la polizia nazionale israeliana, l’IDF [esercito israeliano, ndtr.], l’intelligence e
i servizi di sicurezza di Israele.
E ricordate l’IWI, il produttore dell’israeliana Uzi? Gestisce un’accademia di
polizia a Pauldon, Arizona, aperta al pubblico come alla polizia. E poi c’è il
Georgia International Law Enforcement Exchange [Scambio Internazionale delle
Forze dell’Ordine della Georgia] (GILEE), situato in un cubo nero nell’edificio
dello Stato della Georgia ad Atlanta, un altro importante centro israeliano di
addestramento della polizia.

Quindi la questione non è l’uso della “violenza” nell’addestramento della polizia
israeliana e statunitense. Paradossalmente la violenza interpersonale così
caratteristica della polizia americana in situazioni di conflitto è assente in Israele.
Raramente la polizia israeliana ammanetta persone o tira fuori le armi, la prima
reazione dei poliziotti americani. La “violenza” nel controllo dell’ordine pubblico
in Israele è più controllata, come lo è in combattimento. È meno un tipo di
violenza da macho, e penso che sia una lezione fondamentale che Israele cerca di
impartire alla polizia americana: colpisci ancora più in fretta di come fai. Giacché
Israele non deve rispettare tutte le futili formalità di leggere ai sospettati i loro
diritti o di interagire con loro, come abbiamo visto nell’uccisione di Rayshard
Brooks ad Atlanta la scorsa settimana. Dato che i diritti civili continuano a
condizionare la sicurezza nazionale negli USA, ciò può essere ancora più
possibile. Ma al contempo la polizia israeliana non passa così improvvisamente
dall’arrestare a sparare. Preferisce reagire solo con il controllo della situazione.

Ma quando c’è la necessità di sparare, la polizia israeliana passa rapidamente alla
modalità militare. Un funzionario di polizia americano racconta quello che ha
appreso durante il suo periodo in Israele con un’unità speciale di polizia “Yaman”,
simile a una squadra SWAT:

“Quando si tratta di sparare la principale differenza tra l’addestramento israeliano
e quello americano è la nostra filosofia sulla distanza ravvicinata o il
combattimento urbano. La maggior differenza tra quello che fanno gli israeliani e
quello a cui siamo addestrati a fare noi americani è che loro spesso
consiglierebbero di andare quasi a capofitto verso una postazione del nemico
sparando all’impazzata. Ciò in genere dura una manciata di secondi, quindi
ricaricare rapidamente ha un’importanza notevole nel successo dell’azione.
Nell’addestramento avremmo avanzato di 40 o 50 metri alla volta in un contesto
urbano, sparando nel contempo all’impazzata. Negli USA l’attacco è più controllato.
Ci hanno insegnato di sparare eventualmente raffiche in colpi di tre secondi e poi
cercare un posto per metterci al riparo. Non è così che fa il sistema di sicurezza
israeliano, e sebbene possa essere troppo audace in qualunque circostanza, nel
giusto contesto non posso pensare a un modo più efficace per conquistare
terreno.”

Tutto ciò rientra in quello che chiamo Palestina Globale. Non penso che Israele
stia sviluppando tutto il suo armamento sofisticato, le tecnologie di repressione, le
tattiche di controllo della popolazione e il suo contesto di Stato securitario solo
per il controllo dei palestinesi. Loro sono le cavie, i Territori Occupati solo un
laboratorio. Questa parte del complesso militare-industriale israeliano è orientata
all’esportazione, e la vostra polizia la sta comprando. Steven Graham conclude: “É
in corso l’integrazione tra i complessi securitari – industriali e quelli militari-
industriali di Israele e Stati Uniti. Ancor più di questo: i complessi securitari-
militari-industriali delle due Nazioni sono diventati indissolubilmente connessi, al
punto che ora sarebbe ragionevole considerarli come un’unica entità diversificata
e transnazionale.” Perciò mettete insieme i pezzi. Come la polizia USA si è
“israelizzata”, voi, il popolo americano, vi siete “palestinizzati”.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

Per chi critica Michelle Alexander,
i palestinesi non meritano diritti
civili
Amjad Iraqi

23 gennaio 2019, +972

Lo scandalo da parte di personaggi dell’establishment ebraico in
merito all’editoriale di Alexander sul New York Times a sostegno dei
diritti dei palestinesi ricorda le reazioni degli americani bianchi al
movimento per i diritti civili decenni fa.
Il forte editoriale di Michelle Alexander sul “New York Times” di sabato (“E’
tempo di rompere il silenzio sulla Palestina”) prima del giorno della
commemorazione di Martin Luther King Jr., è stato presumibilmente una pietra
miliare per il movimento per la Palestina negli USA.

Primo, per chi l’ha scritto: Alexander, l’autrice del fondamentale libro “The New
Jim Crow” [in riferimento alle leggi segregazioniste nel Sud degli Stati Uniti,
ndtr.] è un’illustre avvocatessa e un’intellettuale stimata per il suo attivismo e la
sua erudizione sul razzismo negli USA, che non può facilmente essere liquidata
come “marginale”.

Secondo, per dove è stato scritto: in un importantissimo giornale, che ospita più
frequentemente editoriali di sostenitori di Israele come Bari Weiss, Matti
Friedman, Bret Stephens, Shmuel Rosner, persino ministri come Naftali Bennett
[attuale ministro dell’Educazione di Israele e dirigente del partito di estrema
destra dei coloni, ndtr.].

Terzo, per quando è stato scritto: Alexander è l’ultima importante afro-americana
negli ultimi mesi ad aver espresso a voce – e ad essere presa di mira per questo –
la sua solidarietà con il popolo palestinese, dopo che altri, come Tamika Mallory
[attivista della Marcia delle Donne, ndtr.], Marc Lamont Hill [accademico,
scrittore, attivista e personaggio televisivo, ndtr] e Angela Davis [storica dirigente
del movimento per i diritti degli afro-americani e accademica, ndtr], hanno
affrontato pubblicamente insulti e sconfessioni.

E quarto, perché è stato scritto: per sfidare il diffuso timore delle conseguenze, da
parte di molti americani progressisti, di criticare pubblicamente Israele e parlare
a favore dei diritti dei palestinesi.

Lo scandalo per l’editoriale di Alexander è arrivato rapidamente da gruppi e
personalità dell’establishment ebraico. Alcuni di essi vale la pena leggerli per
intero, se non altro per testimoniare l’isteria e la chutzpah [termine hiddish per
arroganza, ndtr], di dire a una donna nera come commemorare uno dei più
importanti leader afro-americani della storia, o come interpretare la sua
consapevolezza dell’ingiustizia:

        L’Anti-Defamation League [Lega contro la Diffamazione, uno dei principali
        gruppi della lobby filoisraeliana negli USA, ndtr.] (ADL): “Abbiamo un
        grande rispetto per Michelle Alexander e per il suo lavoro innovativo sui
diritti civili, ma il suo articolo sul complesso conflitto israelo-palestinese è
       pericolosamente errato, ignora avvenimenti fondamentali, la storia e le
       responsabilità condivise di entrambe le parti per la sua soluzione.”

       L’American Jewish Congress [Congresso Ebraico Americano, altro potente
       gruppo filo-israeliano, ndtr.] (AJC): “La memoria di Martin Luther King
       non è una clava morale da brandire contro ogni causa o Paese che uno
       disapprova. L’editoriale di Michelle Alexander è una vergognosa
       usurpazione. Tutti noi abbiamo da fare un lungo cammino per
       raggiungere la cima della collina [riferimento al famoso discorso di Martin
       Luther King “Ho un sogno”, ndtr.]. Non c’è bisogno di prendersela con il
       democratico Israele.”

       David Harris, presidente dell’AJC: “L’articolo di Michelle Alexander: in
       sintesi chiede la fine di Israele/ cita con approvazione gli estremisti/
       invoca l’appoggio di Martin Luther King senza basi concrete/ ignora: la
       ricerca della pace da parte di Israele dal ’48; la natura di Hamas; il
       terrorismo; i rifugiati ebrei dai Paesi arabi.”

       David Friedman, ambasciatore USA in Israele. “Michelle Alexander ha
       torto sul NYT di oggi. Se Martin Luther King oggi fosse vivo penso che
       sarebbe molto orgoglioso del suo solido appoggio allo Stato di Israele. Un
       arabo in Medio Oriente che sia gay, donna, cristiano o desideri istruzione
       e miglioramento personale non potrebbe fare niente di meglio che vivere
       sotto (la bandiera israeliana).”

       Michael Oren, deputato alla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] di
       Kulanu [partito di centro israeliano, ndtr.] ed ex-ambasciatore israeliano
       negli USA: “L’ambasciatore Friedman ha ragione, ma Israele deve
       intraprendere passi seri per difendersi. Mettendo sullo stesso piano
       l’appoggio nei confronti di Israele con quello alla guerra del Vietnam e
       l’opposizione a Martin Luther King Alexander ci delegittimizza
       pericolosamente. È una minaccia strategica e Israele deve trattarla come
       tale.”

Prevedibilmente queste personalità dell’establishment stanno cercando di
potenziare i parametri del discorso “accettabile” sul conflitto. Per quanto li
riguarda, non esiste alcuna posizione eticamente legittima a sostegno dei diritti
dei palestinesi. L’unica cosa che i palestinesi producono sono razzi e razzismo,
chiunque sia associato alla loro causa è in errore o è antisemita.

È particolarmente ironico che quelli che accusano Alexander di manipolare
l’eredità di King sono anche noti per sostenere, tra le altre cose, che utilizzare
tattiche non violente come il boicottaggio contro Israele è razzista,
discriminatorio, provocatore, e/o dannoso. King, e il movimento dei diritti civili nel
suo complesso, vennero accusati delle stesse cose durante le loro campagne di
disobbedienza civile negli anni ’50 e ’60.

Come ha raccontato Jeanne Theoharis sul “Time” [importante periodico USA,
ndtr.] di questo mese, il governo USA, l’FBI e le forze di polizia locali utilizzarono
una pesante sorveglianza, la forza brutale e denunce penali per sabotare King e
altri dirigenti neri, vedendo le loro attività come “pericolose”, “demagogiche” e
“sovversive”. Dati di sondaggi e risposte ai media dell’epoca mostrano
ulteriormente che, lungi dall’essere rispettato, il movimento dei Diritti Civili era
di fatto “profondamente impopolare” tra la maggioranza dei bianchi americani sia
nel Sud che nel Nord:

“La maggioranza degli americani pensava che esso (il movimento) stesse andando
troppo lontano e gli attivisti del movimento stessero diventando troppo estremisti.
Alcuni pensavano che i loro obiettivi fossero sbagliati; altri che gli attivisti
stessero prendendo la strada sbagliata – e la maggioranza dei bianchi americani
era soddisfatta dello status quo così com’era. E quindi, criticavano, controllavano,
demonizzavano e a volte criminalizzavano quelli che sfidavano il modo in cui
stavano le cose, rendendo il dissenso molto oneroso.”

Ciò descrive precisamente le condizioni del movimento per la Palestina di oggi.
Non solo nel discorso pubblico americano le richieste di diritti per i palestinesi
sono spesso viste come estremiste (soprattutto il diritto al ritorno), ma
l’opposizione alle politiche israeliane deve affrontare una struttura politica e
legale aggressiva finalizzata a reprimerla. Questo include le nuove leggi federali e
statali che hanno lo scopo di criminalizzare il movimento BDS e di confondere le
critiche ad Israele con l’antisemitismo.

Inoltre il fatto di descrivere frequentemente Israele come una vittima
dell’oppressione palestinese, o che entrambe le parti condividano alla pari le
responsabilità è un inganno che nasconde l’evidente asimmetria del conflitto.
Spiegando perché era disonesto dire ai neri americani di fare di più per superare
la diseguaglianza a loro danno, una volta King disse a un giornalista: “È una beffa
crudele dire a un uomo senza scarpe che deve risollevarsi da solo con le sue
forze.” È in mala fede proprio come dire che i palestinesi hanno da rimboccarsi le
maniche mentre sono sottoposti all’esilio, all’occupazione, al blocco, alla
discriminazione e alla repressione del dissenso.

Come ha notato Alexander, all’epoca King era un sostenitore esplicito di Israele e
del sionismo. Tuttavia divenne sempre più difficile per lui conciliare quella
posizione con i valori universali che propugnava. Oggi è persino ancora più chiaro
che il fatto di credere nella giustizia, nell’uguaglianza e nel risarcimento per i
popoli oppressi – richieste che sono al cuore della causa palestinese – sia
all’antitesi dell’obiettivo di Israele di conservare la superiorità ebraica e della sua
visione della non violenza palestinese come equivalente alla violenza.

È questa consapevolezza che ha portato oggi molti attivisti afro-americani – che
hanno seguito, si sono basati sulla e trasformato l’eredità di King – a includere i
diritti dei palestinesi nella loro lotta per la giustizia globale. Come ha scritto
Alexander, le pratiche israeliane sono diventate inevitabilmente “un richiamo
all’apartheid in Sud Africa e alla segregazione “Jim Crow” negli Stati Uniti,” e
come tali richiedono che i progressisti siano coerenti con i valori che affermano di
sostenere. Il fatto che una persona come Alexander abbia aggiunto la sua voce a
questo crescente movimento potrebbe ulteriormente allargare la porta perché
altri facciano lo stesso.

Benché sia impossibile sapere quello che King avrebbe creduto oggi, si può
immaginare che sarebbe rimasto sconcertato da quanto siano simili le reazioni
alla causa palestinese a quelle degli americani bianchi alla sua causa. Nonostante
quanto sostengono i critici di Alexander, il vero tradimento dell’eredità di King è
pensare che i palestinesi debbano rimanere sottomessi alle pretese suprematiste
di Israele, come se non meritassero gli stessi diritti per i quali King lottò affinché
li ottenesse il suo stesso popolo.

(traduzione di Amedeo Rossi)
Com’è cresciuta la campagna per
il boicottaggio di Israele nel 2018?
Nora Barrows-Friedman

31 dicembre 2018, Electronic Intifada

Il 2018 è stato un anno di vittorie degli attivisti per i diritti umani nonostante
pesanti pressioni, attacchi e tentativi propagandistici da parte di Israele e dei suoi
gruppi lobbistici di ripulire la sua immagine.

All’inizio dell’anno si è appreso che l’alleanza del presidente USA Donald Trump
con gruppi suprematisti bianchi e personaggi antisemiti ha spinto verso il basso
l’appoggio nei confronti di Israele, soprattutto tra i giovani ebrei americani.

In ottobre un altro sondaggio ha confermato che il sostegno a favore di Israele
viene soprattutto dalla base di Trump, un ricettacolo di opinioni di estrema
destra, di nazionalisti bianchi e di cristiani sionisti, mentre quello da parte di altri
americani continua a ridursi.

All’inizio dell’anno l’AIPAC, il più potente gruppo della lobby israeliana al
Congresso [USA], ha dovuto ammettere di dover affrontare crescenti difficoltà nei
suoi tentativi di consolidare l’appoggio a Israele tra i dirigenti progressisti
americani.

Tuttavia l’AIPAC, insieme all’“Anti-Defamation League” [Lega contro la
Diffamazione, ndtr.] e gruppi di pressione simili, hanno continuato a insistere a
favore di una legge federale – l’“Israel Anti-Boycott Act” [Legge contro il
Boicottaggio di Israele, ndtr.] – che intende criminalizzare i sostenitori del
movimento per il boicottaggio, anche se a porte chiuse l’ADL è giunto alla
conclusione che tali leggi sono inefficaci e incostituzionali.

Ma ci sono segnali che persino i sostenitori più accaniti di Israele al Congresso
hanno iniziato a tirarsi indietro.

Proprio nelle scorse settimane i senatori Bernie Sanders del Vermont e Dianne
Feinstein della California hanno esortato i principali leader del Congresso a
togliere l’Israel Anti-Boycott Act da un pacchetto di norme di bilancio, facendo
riferimento a palesi violazioni del Primo Emendamento [primo articolo della
Costituzione USA, ndtr.].

Ali Abunimah, di “The Electronic Intifada”, ha sottolineato che , dopo il
premeditato massacro di palestinesi a Gaza del 30 marzo da parte di Israele,
nessun democratico di entrambe le Camere del Congresso USA ha parlato in
difesa delle azioni di Israele, una notevole differenza nella politica di parlamentari
che nel passato lo hanno immediatamente fatto.

Ciò riflette il riconoscimento della sempre più negativa immagine di Israele,
soprattutto tra la base democratica.

Gli attacchi di Israele contro gli attivisti del BDS sono stati a volte assurdi – come
quando alla fine del 2017 un gruppo israeliano sostenuto dal Mossad per la lotta
giudiziaria ha denunciato due attivisti neozelandesi per aver spinto con successo
la pop star Lorde ad annullare la sua esibizione a Tel Aviv.

Gli attivisti citati in quell’azione legale – che secondo esperti di diritto non
potrebbe essere applicata – hanno sfruttato la pubblicità derivante dal caso per
raccogliere fondi a sostegno di un centro per l’assistenza psichiatrica a Gaza e per
suscitare maggiore attenzione sulla crisi umanitaria in tutta la Palestina.

La diffusione da parte di “The Electronic Intifada” di un documentario censurato
prodotto da Al Jazeera sulle strategie della lobby israeliana negli USA ha
contribuito a svelare i tentativi di Israele e dei suoi lobbisti di spiare, calunniare e
intimidire i cittadini USA che appoggiano i diritti umani dei palestinesi,
soprattutto del movimento BDS.

Nonostante attacchi, calunnie e minacce da parte di Israele, gli attivisti a favore
del boicottaggio continuano a ottenere notevoli risultati – con sommo sgomento
dei dirigenti israeliani.

“Stiamo evidenziando i crimini e le politiche di apartheid di Israele e facendo
pressione per porvi fine,” hanno rilevato importanti attivisti del movimento BDS
nella loro riunione annuale sui risultati più importanti del boicottaggio.

Ecco alcune delle principali vittorie del BDS su cui “The Electronic Intifada” ha
informato nel corso dell’anno.
Israele continua ad avere un’immagine negativa

Nel 2018 alcuni artisti hanno continuato a rinunciare ad esibirsi in Israele, in
seguito a insistenti appelli da parte di attivisti per i diritti umani in Palestina e in
tutto il mondo.

Shakira e Gilberto Gil hanno guidato una lista di importanti cancellazioni, mentre
decine di DJ e produttori musicali si sono pubblicamente impegnati a non esibirsi
nello Stato dell’apartheid.

Durante l’estate il festival israeliano “Meteor” si è chiuso senza la sua artista più
importante, Lana del Rey, che ha rinunciato al suo spettacolo pochi giorni prima
che il festival iniziasse, affermando di voler “trattare tutti i suoi fan allo stesso
modo.”

Altre sedici esibizioni del festival “Meteor”, compreso quello di “Of Montreal”
[gruppo musicale USA, ndtr.] sono state annullate dal festival in seguito a
pressanti appelli da parte di attivisti palestinesi e internazionali a rispettare la
richiesta di boicottaggio.

In aprile l’attrice israelo-americana Natalie Portman si è rifiutata di ricevere un
premio a Gerusalemme, a quanto pare in seguito ai massacri di palestinesi da
parte di Israele, con grande sdegno e sconcerto dei dirigenti israeliani.

In giugno 11 registi LGBTQ si sono rifiutati di consentire a Israele di utilizzarli
per occultare i suoi crimini, unendosi al boicottaggio del TLVFest – il festival
internazionale LGBT di Tel Aviv.

Alcuni artisti hanno boicottato anche il Film Festival di Istanbul, dopo che si è
saputo che Israele lo stava sponsorizzando.

Il boicottaggio culturale ha ottenuto successi anche nel mondo dello sport, in
quanto in giugno la nazionale di calcio argentina ha annullato una partita molto
importante con Israele dopo un’intensa campagna internazionale iniziata in
Argentina e che ha travolto l’America latina e la Spagna. Tifosi e attivisti hanno
sollecitato l’Argentina e la stella della squadra, Lionel Messi, a non aiutare Israele
a nascondere i massacri di civili disarmati a Gaza.

All’inizio dell’anno una corsa motociclistica sponsorizzata dalla Honda in Israele è
stata annullata in seguito a pressioni di attivisti BDS.
In autunno altri tentativi propagandistici di Israele sono falliti e grandi cuochi a
livello internazionale hanno rinunciato al festival “Tavole Rotonde”, mentre una
fonte diplomatica israeliana ha ammesso che centinaia di eventi culturali inclusi
nella “Saison France-Israël” [Stagione Francia-Israele], “non hanno avuto nessun
successo riguardo all’immagine di Israele in Francia, o a quella della Francia qui
[in Israele, ndtr.].”

Nel contempo in tutta Europa gli attivisti continuano a fare pressione sulle
emittenti televisive per non consentire a Israele di ospitare la competizione
canora “Eurovision” come parte della sua campagna di riverniciatura della sua
immagine.

Manifestanti hanno tenuto regolarmente proteste fuori dalle esibizioni di Netta
Barzilai, la vincitrice israeliana dell’Eurovisione 2018 che è stata utilizzata come
parte dei tentativi di propaganda a livello internazionale sostenuti ufficialmente
dal Paese.

Chiese, imprese e sindacati lasciano Israele

A dicembre il gigante bancario HSBC [primo istituto di credito europeo, con sede
a Londra, ndtr.] ha confermato di aver disinvestito dall’impresa bellica israeliana
Elbit Systems in seguito a una campagna dal basso.

L’impresa [israeliana, ndtr] è già stata esclusa da fondi pensione e di investimento
in tutto il mondo per il suo coinvolgimento nella fornitura di sistemi di
sorveglianza e altre tecnologie al muro di Israele e alle colonie nella Cisgiordania
occupata.

Affermando di essere la prima chiesa britannica a prendere una simile iniziativa,
in novembre la chiesa dei quaccheri ha annunciato che non avrebbe investito
alcun fondo posseduto a livello centrale che tragga profitto dalle violazioni dei
diritti umani da parte di Israele.

Unendosi ad altre congregazioni religiose cristiane degli USA, la chiesa
episcopale ha votato per l’adozione di un controllo sugli investimenti per evitare
di trarre profitto da violazioni dei diritti umani contro i palestinesi. Ha anche
deciso di tutelare i diritti dei minori palestinesi e dei palestinesi di Gaza, di
appoggiare l’autodeterminazione dei palestinesi e di chiedere la prosecuzione
dell’aiuto USA ai rifugiati palestinesi.
Un’altra risoluzione chiede un giusto accesso a Gerusalemme e si oppone allo
spostamento dell’ambasciata USA in città da parte dell’amministrazione Trump.

In agosto lavoratori del sindacato e attivisti del boicottaggio nel mondo arabo
hanno obbligato la compagnia di navigazione israeliana “Zim” a interrompere a
tempo indefinito i suoi viaggi verso la Tunisia.

La principale federazione sindacale tunisina, la UGTT, ha chiesto ai propri
membri di impedire alla nave “Cornelius A”, legata ad Israele, di fare scalo in
Tunisia ed ha appoggiato le richieste di un’inchiesta ufficiale sul commercio
clandestino con Israele.

Lavoratori giordani hanno rifiutato di fornire materiale per il gasdotto Giordania-
Israele, mentre l’impresa francese Systra si è impegnata a ritirarsi dai piani di
espansione del progetto della metropolitana leggera di Israele [a Gerusalemme,
ndtr.].

E a novembre il gigante dell’affitto per turisti Airbnb ha annunciato che avrebbe
tolto dal suo elenco di offerte proprietà in colonie israeliane nella Cisgiordania
occupata. In base alle leggi internazionali ogni colonia israeliana nei territori
occupati è illegale.

Benché a questo proposito chi sia stata una certa confusione riguardo a se – e
quando – questo cambiamento di politica aziendale verrà messo in pratica o se
l’impresa, sotto pressione di Israele, farà marcia indietro rispetto al suo annuncio,
ciò è servito a mettere in luce la complicità dell’impresa rispetto ai crimini di
guerra israeliani.

Amministrazioni locali sostengono il boicottaggio

Nonostante i tentativi della lobby israeliana di interferire sulle politiche locali e
nazionali, consigli comunali in Europa e in America Latina hanno approvato dure
risoluzioni di appoggio alla campagna BDS, con una crescente ondata di
resistenza ai crimini di guerra di Israele contro i palestinesi.

In giugno Monaghan è diventato il quinto consiglio provinciale o comunale
irlandese a dichiarare il proprio sostegno al BDS. Ha fatto seguito al voto in aprile
di Dublino, diventata la prima capitale europea a farlo, che ha aderito a un
boicottaggio contro Israele e di conseguenza ha interrotto un contratto con HP,
una ditta di computer da lungo tempo complice dell’occupazione militare di
Israele.

Più o meno nello stesso periodo il consiglio comunale di Valdivia, in Cile, ha
approvato una mozione che sostiene la campagna BDS e ha dichiarato la città
“zona libera dall’apartheid”.

Una serie di iniziative di “zona libera dall’apartheid” simili è stata approvata da
più di 30 città spagnole.

A maggio anche Bologna, la settima città d’Italia per numero di abitanti, ha
chiesto un embargo militare contro Israele [sulla scia di Bologna anche i consigli
comunali di Torino e Napoli hanno approvato la stessa richiesta. ndtr]

A giugno la Norvegia ha approvato una mozione che appoggia il diritto di singole
città di boicottare colonie israeliane, assestando un duro colpo a politici di destra
che avevano cercato di opporsi ai boicottaggi approvati nelle città di Trondheim
and Tromsø.

Nel Regno Unito membri del partito Laburista hanno votato a larga maggioranza
l’appoggio al congelamento della vendita di armi contro Israele.

Leggi contro il BDS sono state bloccate o contestate

Nel 2018 nelgi USA sono state bloccate leggi che cercavano di zittire il diritto al
boicottaggio.

Tribunali federali hanno sentenziato contro leggi anti-BDS in Arizona e nel
Kansas, mentre ricorsi legali sono stati presentati a tribunali del Texas e
dell’Arkansas contro l’imposizione del giuramento di lealtà verso Israele.

In febbraio attivisti dei diritti umani nella città di Maplewood, in New Jersey,
hanno contribuito a sconfiggere una decisione locale che avrebbe condannato il
movimento BDS. La risoluzione era stata presentata al consiglio comunale da
rappresentanti di gruppi di sostegno a Israele che hanno fatto pressione su altre
città vicine perché adottassero risoluzioni simili.

E attivisti in Missouri e in Massachusetts hanno fatto con successo una campagna
per bloccare misure contro il BDS a livello statale.
In Germania – che è stata ostile all’attivismo BDS e ha stabilito di equiparare il
sostegno ai diritti della Palestina con l’antisemitismo – a settembre attivisti locali
del boicottaggio hanno ottenuto una significativa vittoria che potrebbe costituire
un precedente legale in tutto il Paese.

Il tribunale municipale di Oldenburg ha sentenziato che una precedente decisione
del consiglio comunale di annullare un evento del BDS nel 2016 era illegale e
violava la libertà di espressione e di riunione. È stata la prima volta che un
tribunale amministrativo tedesco ha dichiarato illegale vietare un evento del BDS.

Studenti approvano risoluzioni radicali che proteggono i diritti dei
palestinesi.

Resistendo a pressioni della lobby israeliana, di siti web che in modo oscuro
stilano liste di proscrizione e di campagne di vessazioni mirate, attivisti
studenteschi in tutti gli USA, in Canada e in Europa si sono mantenuti fermi nel
sostenere i diritti dei palestinesi e hanno chiesto ad amministrazioni universitarie
di disinvestire dai crimini israeliani di occupazione e apartheid.

In maggio studenti dell’università statale della California, East Bay, hanno votato
all’unanimità a favore di una mozione che chiede il disinvestimento da imprese
che siano state riconosciute complici delle violazioni israeliane dei diritti dei
palestinesi, comprese Caterpillar, HP, la G4S e Motorola.

E rappresentanti degli studenti nel senato accademico dell’università dell’Oregon
hanno approvato una mozione per accertarsi che i fondi degli studenti vengano
disinvestiti da 10 imprese che traggono profitto dalle violazioni dei diritti dei
palestinesi da parte di Israele.

Un referendum in favore del disinvestimento è stato approvato al Barnard College
[storico college femminile, ndtr.] di New York. La misura è stata approvata
nonostante tentativi recenti e passati da parte dell’amministrazione e dei gruppi
della lobby israeliana di intimidire e calunniare studentesse e docenti che
appoggiano i diritti dei palestinesi presso il Barnard e il suo partner, la Columbia
University.

All’inizio di dicembre anche studenti dell’università di New York hanno votato in
massa a favore del disinvestimento con più di 60 gruppi nei campus e 35 membri
del corpo docente che hanno appoggiato l’iniziativa.
All’università del Minnesota gli studenti hanno approvato un referendum che
invita l’amministrazione a prendere iniziative riguardo alla sua politica di
investimenti socialmente responsabili e di disinvestire da imprese che traggano
profitto dalle violazioni dei diritti umani da parte di Israele, come anche da
prigioni, centri di detenzione per immigrati e imprese che violino la sovranità di
comunità indigene.

La Federazione Canadese degli Studenti, la maggiore organizzazione studentesca
del Canada, a novembre ha votato l’adesione al movimento BDS, la condanna
della continua occupazione e delle atrocità israeliane a Gaza e l’elargizione di
donazioni finanziarie a varie organizzazioni palestinesi di solidarietà.

La federazione, che rappresenta più di 500.000 studenti in tutto il Canada, ha
affermato anche che avrebbe appoggiato le sezioni locali per iniziare campagne di
disinvestimento dalle armi nelle singole amministrazioni universitarie.

In Irlanda l’Unione degli Studenti, che rappresenta 374.000 studenti
dell’educazione superiore, ha votato l’adesione al movimento BDS ed ha
condannato la “brutale” occupazione militare e la violazione dei diritti umani da
parte di Israele.

L’Unione ha deciso di boicottare le istituzioni israeliane che sono “complici nel
normalizzare, fornire copertura dal punto di vista intellettuale e sostenere il
colonialismo di insediamento” e di fare pressione sulle università irlandesi perché
disinvestano da imprese che traggono profitto dalla violazione dei diritti da parte
di Israele. Hanno anche ribadito il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi
espulsi da Israele.

Il voto ha fatto seguito al provvedimento votato in marzo dagli studenti del Trinity
College di Dublino in appoggio alla campagna BDS.

In primavera anche dirigenti studenteschi dell’università di Pisa, in Italia, hanno
adottato una mozione con un voto quasi unanime che chiede l’attenzione da parte
della comunità accademica verso le politiche di apartheid di Israele e il sostegno
alla campagna di boicottaggio accademico.

A novembre quella di Leeds è diventata la prima università del Regno Unito a
disinvestire da imprese coinvolte nella vendita di armi ad Israele, dopo una
campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni da parte di attivisti
in solidarietà con la Palestina.

Nel 2018 anche alcuni professori hanno continuato a dimostrare il proprio
appoggio ai diritti dei palestinesi.

In marzo un sindacato che rappresenta il corpo docente della “Los Rios College
Federation” [Federazione dei college del distretto di Los Rios] in California ha
votato quasi all’unanimità il sostegno al disinvestimento dei fondi pensione da
imprese che traggono profitto dall’occupazione israeliana.

Due insegnanti dell’università del Michigan hanno resistito agli attacchi della
lobby israeliana ed hanno difeso la loro decisione di non scrivere lettere di
presentazione per studenti che desideravano frequentare programmi di studio
discriminatori all’estero in Israele.

E in California i docenti dell’università Pitzer [un’università privata. ndtr] hanno
chiesto la sospensione dei programmi di studio all’estero in Israele con
l’università di Haifa, facendo riferimento alle politiche discriminatorie di Israele
in base all’origine e alle opinioni politiche. Il corpo docente ha anche appoggiato
il diritto degli studenti ad aderire alla campagna del BDS.

Brindiamo alle vittorie del 2018, mentre gli attivisti si organizzano per quelle che
arriveranno nel 2019.

(traduzione di Amedeo Rossi)

Come gli attivisti di Durham
hanno convinto la municipalità a
vietare l’addestramento della
polizia in Israele
Nora Barrows-Friedman

19 aprile 2018, The Electronic Intifada

Con voto unanime del consiglio comunale del 16 aprile, Durham, nella Carolina
del Nord, è la prima città degli Stati Uniti a vietare i programmi di addestramento
tra il dipartimento di polizia e le forze armate straniere, compresa quella di
Israele.

La decisione del consiglio comunale è il risultato di continue campagne di
cittadini guidate da 10 gruppi locali per i diritti civili e umani che compongono la
coalizione “Demilitarize! Durham2Palestina”, sostenuta da circa 1.400 residenti e
decine di esponenti di diverse religioni.

La coalizione è affiliata a Jewish Voice for Peace e in particolare alla campagna
“Scambio mortale”, che cerca di abolire ufficialmente i rapporti di scambio tra i
dipartimenti di polizia degli Stati Uniti e l’esercito e le forze di polizia israeliane.

MJ Edery, leader della sezione di New York della campagna Scambio Mortale, ha
detto martedì a The Electronic Intifada che per porre fine a questi programmi il
divieto di Durham sugli scambi di polizia “costituisce un esempio per altre città”.
Attraverso un lavoro simile con i gruppi locali di base, gli attivisti stanno offrendo
un’alternativa a quei programmi “costruendo sicurezza attraverso la solidarietà e
la collettività e immaginando [soluzioni] alternative alle carceri, alla polizia,
all’ICE [Il Dipartimento della Sicurezza degli Stati Uniti, responsabile del
controllo delle frontiere e dell’immigrazione, ndt], ai confini e al militarismo”, ha
aggiunto Edery.

Sotto la copertura dell’addestramento antiterrorismo, ufficiali di alto grado dei
dipartimenti di polizia degli Stati Uniti e delle agenzie federali si sono recati in
Israele per seguire corsi sulle tecniche di controllo delle forze di occupazione.

Ma questi scambi, sponsorizzati dai principali gruppi lobbistici israeliani tra cui
l’Anti-Defamation League (ADL), l’American Jewish Committee e l’American Israel
Education Foundation, una branca dell’AIPAC [American Israel Public Affairs
Committee], sono qualcosa di più della semplice formazione; mirano anche a
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