Il Ministero di Giustizia smentisce Il Dubbio e Sansonetti
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Il Ministero di Giustizia smentisce Il Dubbio e Sansonetti ROMA – “Mai chiesta intervista al ministro e, di conseguenza, mai negata, né al direttore Sansonetti, né ad altri giornalisti de ‘Il Dubbio’, testata che seguiamo sempre con grande interesse considerate le tematiche trattate e il livello di approfondimento“. Così l’Ufficio stampa di via Arenula smentisce seccamente alcune indiscrezioni pubblicate oggi su “Il Fatto Quotidiano“. “Si precisa, onde evitare equivoci di sorta e per quanto probabilmente superfluo, che, al di là di quelle che potranno essere scelte di indirizzo redazionale, mai vi è stata alcuna interferenza di sorta del ministro Bonafede, che neppure consta essersi rifiutato di rilasciare interviste al quotidiano ‘Il Dubbio‘” aggiunge Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense, editore di fatto del quotidiano Il Dubbio , che di fatto smentisce e ridicolizza la “fake news” del giornale diretto da Marco Travaglio e la gola profonda che aveva ispirato la falsa notizia. Il Consiglio Nazionale Forense, editore del quotidiano Il Dubbio, avrebbe deciso di sostituire il direttore del medesimo quotidiano, Piero Sansonetti, con Carlo Fusi, un volto noto del giornalismo italiano sicuramente più equilibrato dell’attuale direttore. Adesso Sansonetti e qualche suo “fedelissimo” con la fedina penale più che sporca possono mettersi l’anima in pace.
“Nel 2019 cattureremo Matteo Messina Denaro” ROMA – “Il 2019 sarà l’anno della cattura di Matteo Messina Denaro”. Questo è il monito lanciato dal procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, in un’intervista a www.Gnewsonline.it, il nuovo quotidiano d’informazione online del Ministero della Giustizia. In un colloquio con Massimo Filipponi, il procuratore De Raho ha fatto il bilancio del suo primo anno alla guida della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, evidenziando i risultati ottenuti e valutando i provvedimenti legislativi adottati in materia di lotta alla corruzione e quelli che favoriranno l’ingresso di nuovi magistrati e di personale amministrativo nella macchina della Giustizia. De Raho si è anche soffermato sulle figure e sugli insegnamenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ricordando come l’intuizione dei due magistrati abbia modificato profondamente e potenziato le tecniche di indagine e di contrasto alla criminalità organizzata. Sulla latitanza del boss Messina Denaro, il procuratore ha dichiarato: “Le reti che lo attorniano e che lo sostengono sono sempre numerose ma di volta in volta, mese dopo mese, si interviene tagliandole. Così facendo ci si avvicina all’obiettivo e credo che il 2019 sarà proprio
l’anno della fine della sua latitanza”. “È la prima delle novità di questo 2019 e vogliamo che Gnews diventi un punto di riferimento per l’informazione nell’ambito della giustizia, che lo faccia avendo come bussola i principi del giornalismo e la conseguente autonomia che questi portano con sé. Anche per questa ragione vorremmo che fosse uno spazio di dibattito e cominciamo subito ospitando nelle nostre colonne i contribuiti di alcuni degli attori principali della giustizia” si legge nell’editoriale. Su Gnewsonline.it si possono trovare gli interventi di Andrea Mascherin, presidente del Consiglio Nazionale Forense, Antonio De Notaristefani, presidente dell’Unione delle Camere Civili, Francesco Minisci, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali. “Quello di oggi è, quindi, un ulteriore passo concreto che compiamo per attuare quell’apertura delle porte di via Arenula già intrapresa dal ministro Alfonso Bonafede. E per farlo abbiamo un nuovo strumento, creato grazie alla collaborazione fra l’Ufficio stampa e la Direzione generale per i Sistemi informativi automatizzati del Ministero. Il quotidiano sarà gestito dall’Ufficio stampa e informazione di via Arenula. Chiunque volesse collaborare può scrivere all’indirizzo email ufficio.stampa@giustizia.it per sottoporre le sue proposta. Noi ci siamo. Un buon anno a tutti i lettori” conclude l’editoriale. Il caso Cesare Battisti. Nonostante la disinformazione di un certo giornalismo “militante”, estradizione sempre più vicina ROMA – Secondo il quotidiano il Dubbio, finanziato dal Consiglio Nazionale Forense attraverso una sua fondazione, contro il volere di alcuni ordini territoriali che hanno fatto ricorso persino al Tar, a cause anche delle perdite vicine al milione di euro del giornale diretto da Piero Sansonetti, sarebbe “impossibile riportare Cesare Battisti in Italia rispettando le leggi brasiliane. Per rimpatriarlo occorre necessariamente violare le norme. Questo sostiene il gruppo di sei avvocati dell’ex militante dei Proletari armati per il comunismo
condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi compiuti negli anni Settanta di cui lui si dice innocente” . Secondo la giornalista del Dubbio, “se una strada legale per il rimpatrio forzato invece c’è, l’ambasciata italiana a Brasilia non l’ha ancora trovata“. Forse sarebbe il caso che qualche autorevole penalista italiano facesse ai giornalisti del Dubbio un bel corso accelerato di procedura penale, e che spieghi loro che le sentenze non si valutano, ma si rispettano. Magari aggiornandosi…visto la presa di posizione del ministro della Giustizia brasiliano Torquato Jardim già consigliere del Tribunale Superiore Federale (TSF), ritenuto un “fedelissimo” del presidente Temer di cui è tra i più ascoltati consiglieri in materia giuridica.
il ministro Torquato Jardim “Cesare Battisti”, spiega il ministro Jardim in un’intervista alla Bbc Brasil, “ha rotto il rapporto di fiducia con il paese che lo sta ospitando. Ha cercato di uscire da Brasile senza una ragione precisa dicendo che stava andando a comprare materiale da pesca. In questo modo ha rotto quel rapporto di fiducia che si instaura sempre tra un ospite particolare come l’italiano e il Paese che lo accoglie. Ha commesso un illecito. Stava andando in Bolivia con una somma di denaro superiore a quella consentita e senza un valido motivo apparente”. Una presa di posizione non da poco a cui il Guardasigilli Andrea Orlando plaude apprezzando il mutamento di valutazione sulla vicenda da parte del governo brasiliano. La polizia federale brasilia sta “controllando ogni passo” dell’ex membro dei Proletari Armati per il Comunismo, da quando ha ottenuto la libertà provvisoria seguita all’arresto per sospetto traffico di valuta il 5 ottobre a Corumba, al confine con la Bolivia. Gli agenti hanno ricevuto l’ordine di tenere sotto controllo la casa di Cananeia, sul lungomare paulista, dove l’italiano ha dichiarato di aver stabilito la propria residenza, per accertare e confermare la sua presenza sul posto.
Nell’intervista rilasciata alla Bbc Brazil, il ministro della Giustizia Torquato Jardim si è soffermato sulla serie di sentenze giuridiche degli ultimi giorni, ricordando che la decisione di non concedere l’estradizione di Battisti, adottata dall’ allora presidente Lula poteva essere rivista entro 5 anni, cioè è sta prescritta nel 2015. Il consigliere-ministro del Supremo, Marco Aurélio Mello su questo punto. si espresse in maniera molto chiara “Per una revisione”, ricorda Jardim nell’intervista “era necessario un fatto nuovo. E quel fatto è avvenuto quando Battisti ha cercato di passare la frontiera con la Bolivia violando la legge brasiliana sull’esportazione di valuta”.
La posizione del Guardasigilli brasiliano ha un influente alleato, cioè João Doria, figura emergente del PSDB, lo stesso partito di Temeril, ed attuale potente sindaco di San Paolo, probabile prossimo candidato alla presidenza nelle elezioni dell’ottobre 2018, il quale a sua volta ha colto l’occasione di una visita a Milano per esprimere una posizione netta sulla tumultuosa vicenda legata all’ex militante dei Pac. “Adesso in Brasile abbiamo un Governo veramente democratico . Non possiamo dare protezione ad un criminale come Battisti. La richiesta di estradizione del Governo Italiano deve essere concessa e applicata”. Infatti a “salvare” Cesare Battisti fu l’ex- presidente Luiz Inacio Lula da Silva, proprio nel suo ultimo giorno di mandato il 31 dicembre del 2010, negando l’estradizione. Cesare Battisti si arrampica sugli specchi sostenendo che è stata una trappola, e che è stata pianificata proprio per incastrarlo. Nessun tentativo di fuga. A suo dire un “normale viaggio in Bolivia per comprare cose che laggiù costano meno” e concede brevi interviste solo a quotidiani e tv brasiliane E lo fa seguendo una strategia mediatica ben precisa con il chiaro intento di condizionare la decisione del Governo brasiliano. Parla al paese che lo ospita, quello che deve decidere il suo futuro. Due giorni fa aveva dichiarato che la sua eventuale estradizione equivaleva “ad una condanna a morte”. In realtà la condanna a morte l’hanno subita le persone che lui ha ucciso in Italia prima di fuggire in Brasile. Ma tutto questo il Dubbio non lo racconta…
Oggi Battisti si è scagliato contro l’Italia, dalla pagine di Folha de Sao Paolo, il quotidiano più letto nella capitale economica-finanziaria del Brasile, definendo il proprio Paese un “paese così arrogante”. Latitante da 36 anni, condannato in via definitiva a due ergastoli per due omicidi e altri due per concorso in omicidio, sostiene che “in Italia sono convinti che sia un compito facile portarmi via da qui. Nei miei confronti c’è un chiaro atteggiamento di orgoglio e vanità”. Il ministro della Giustizia brasiliano Jardim ha comunque consigliato il presidente Temer prima di firmare il decreto presidenziale pronto da giorni per l’estradizione ad attendere il verdetto del TSF, il Tribunale Superiore Federale , a cui si è rivolta la difesa di Battisti per chiedere l’”habeas corpus”, la conferma della libertà che blocchi l’estradizione. Secondo Jardim “Si deve procedere nel massimo rispetto della nostra giurisprudenza, non si può correre il rischio di un annullamento da parte del Supremo”. La decisione sull’habeas corpus spetta al giudice monocratico Luiz Fux. E sempre secondo indiscrezioni di fonte brasiliana, il Governo starebbe già preparando un parere, nel caso in cui la Corte ritardasse la sentenza o stabilisse che la decisione spetta all’esecutivo. Ma per ora il governo sembra intenzionato ad agire solo dopo che il giudice si sarà pronunciato. E Battisti ha sempre più probabilità di rientrare in Italia ed espiare le sue pene, che di restare a fare il “latitante” in Brasile.
Ministero Giustizia-Cassazione: processo penale telematico, sulla Gazzetta Ufficiale decreto per notifiche cancellerie Il Guardasigilli Andrea Orlando ROMA – Prosegue l’opera di complessiva innovazione di tutti gli aspetti organizzativi e normativi legati al processo telematico. Da oggi sarà infatti in Gazzetta Ufficiale il decreto firmato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando con il quale, sentiti l’Avvocatura Generale dello Stato, il Consiglio Nazionale Forense e i Consigli degli Ordini degli avvocati, vengono autorizzate le notificazioni a persona diversa dall’imputato a cura delle cancellerie della Corte Suprema di Cassazione, come previsto dall’art. 16 del decreto-legge 179/2012, convertito nella legge 221/2012. Il decreto sarà in vigore a decorrere dal quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione. “Dopo il via libera nel gennaio 2016 alle comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili della Suprema Corte, oggi facciamo un altro grande passo avanti, questa volta nel settore penale”, commenta soddisfatto il Guardasigilli. “D’altronde un processo moderno deve rinnovarsi anche nello stile
degli atti processuali: le sentenze, come gli atti della difesa, non sono fine a se stessi ma debbono servire al processo. L’inevitabile cambiamento culturale richiesto nell’approccio al processo nelle sue diverse fasi è legato anche alle misure di degiurisdizionalizzazione, oggetto di ripetuti interventi normativi e organizzativi che abbiamo messo in campo in sintonia e piena collaborazione con magistrati, avvocati e operatori del diritto”. Il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, dott. Giovanni Canzio, ha espresso viva soddisfazione per il traguardo conseguito: “sono certo che, come è avvenuto per il giudizio civile, anche quello penale di legittimità beneficerà dei vantaggi, in termini di efficienza e di più razionale organizzazione del lavoro di cancelleria, derivanti dall’adozione della tecnologia telematica. Il sistema delle notificazioni telematiche nel giudizio penale di cassazione rappresenta, del resto, un ulteriore, significativo tassello di un processo di innovazione che vede fortemente impegnata la Corte negli ultimi anni.“ Il quotidiano “Il Dubbio” oggetto di cause interne all’ avvocatura. La decisione al Tar Lazio ROMA – Non è piacevole preoccuparsi dei problemi editoriali di un concorrente, ma non ci si può esimere allorquando si tratta dell’organo di stampa del Consiglio Nazionale Forense, cioè l’ Ordine Nazionale degli Avvocati. Stiamo parlando del quotidiano Il Dubbio diretto dal bravo collega Piero Sansonetti, edito con la dichiarata intenzione di far sentire la voce dell’avvocatura sui temi di attualità. L’Associazione Nazionale Forense cui aderisce il Sindacato Avvocati di Bari nella scorsa primavera ha aperto una vera e propria guerra interna, con un ricorso depositato dinnanzi al Tar Lazio.
Nella giornata di oggi il Sindacato Avvocati Bari (ANF) e Avvocati Ora hanno divulgato sui social network stralcio del bilancio di esercizio al 31.12.2016 della società editrice del Dubbio, che riporta una perdita di esercizio pari a € 836.500 depositato della Edizioni Diritto e Ragione srl , società editrice costituita il 10 dicembre 2015, avente socio unico la FAI-Fondazione per l’Avvocatura Italiana, istituita dal CNF, che ha stanziato all’atto del “lancio” sul mercato editoriale, un contributo-finanziamento complessivo di 1.100.000 euro. A contestare l’operazione editoriale del CNF anche l’ Organismo Unitario dell’ Avvocatura Sul piede di guerra anche il Movimento forense, da sempre contrario all’iniziativa editoriale del Cnf. Il segretario Massimiliano Cesali al debutto in edicola del quotidiano Il Dubbio scriveva, “è un’iniziativa in conflitto con le funzioni che la legge riconosce all’Ente e comporta un ingente impiego di denaro degli avvocati”. Peraltro, proseguiva il segretario del Movimento forense, questa scelta “rende sempre più evidente l’ambizione da parte del CNF di svolgere una funzione politica non sua, in antitesi con l’art. 39 della Legge Professionale. Ciò genera confusione negli avvocati e offre giustificazioni alla politica“. Il progetto editoriale del Dubbio si sarebbe impantanato secondo quanto ci ha raccontato una fonte interna a causa di impegni editoriali e pubblicitari assunti dal Gruppo Sole24Ore, la cui concessionaria pubblicitaria avrebbe dovuto garantire delle entrate
pubblicitarie, mai arrivate, motivo per cui Sansonetti si sarebbe rivolto recentemente alla “benevolenza” del Cav. Silvio Berlusconi, sperando nel supporto editoriale-pubblicitario della Mondadori Pubblicità e di Publitalia, società controllate dall’ (ex) Cavaliere. Dalla Nota integrativa al Bilancio 31.12.2016 della società Edizioni Diritto e Ragione Srl si legge: “In recepimento dell’art. 1 del D.Lgs. n. 173/2008, la società ha stipulato i seguenti accordi in funzione della natura e dell’obiettivo economico, dell’effetto patrimoniale, finanziario, economico: la società è stata costituita dalla Fondazione dell’Avvocatura Italiana per dar seguito alla convenzione stipulata dalla stessa con il Consiglio Nazionale Forense che mediante la Fondazione ha dato seguito all’iniziativa editoriale decisa nella seduta straordinaria del 29 ottobre 2015 e approvata nella seduta amministrativa del 19 novembre 2015. Con la stipula della predetta convenzione il CNF si è impegnato a dare copertura finanziaria e a determinare in via anticipata l’ammontare dei contributi che erogherà alla FAI tenendo conto dell’entità e della rilevanza del progetto editoriale, delle risorse di personale, mezzi e servizi necessari, nonchè delle attività svolte da quest’ultima in attuazione del predetto affidamento” “L’articolo 2427, comma 1, numero 22-quater del Codice Civile – continua la nota integrativa al bilancio 2016 – richiede che debbano risultare i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio. Si considerano fatti di rilievo quelli che, richiedendo o meno variazioni nei valori dello stesso, influenzano la situazione rappresentata in bilancio e sono di importanza tale che la loro mancata comunicazione comprometterebbe la possibilità dei destinatari dell’informazione societaria di fare corrette valutazioni e prendere decisioni appropriate. A tal proposito, si illustra la seguente informativa, nella quale viene posta evidenza della stima dell’effetto sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica ovvero le ragioni per cui l’effetto non è determinabile. In ottemperanza agli impegni assunti dal CNF per l’attuazione del progetto editoriale per tramite della FAI è stato deliberato per il 2017 un finanziamento a copertura delle eventuali perdite pari a euro 1.000.000,00.”
Pertanto se la matematica non è un opinione, ad oggi il quotidiano Il Dubbio è costato agli avvocati italiani la modica….cifra di due milioni di euro ! Il problema è che non basta trovare i soldi o far scrivere qualche bravo giornalista per mantenere in piedi un quotidiano con ambizioni di diffusione nazionale. Bisogna innanzitutto trovare qualcuno capace di fare l’editore. Invecese secondo gli avvocati che contestano l’iniziativa editoriale, l’ “’iniziativa grava nell’immediato quanto ai costi sugli Avvocati italiani, visto che viene finanziata dal CNF attraverso i contributi richiesti dagli ordini forensi agli iscritti, ha sollevato perplessità e dubbi circa la sua legittimità rispetto alle norme che disciplinano l’editoria e alle norme dell’ordinamento professionale“. L’iniziativa del COA Bari su Il Dubbio ESTRATTO VERBALE DEL 20 APRILE 2016 Punto n. 11 all’Ordine del Giorno (Assemblea straordinaria degli iscritti del 15/03/2016 – deliberato- determinazioni) Il Consiglio, vista la delibera assembleare degli iscritti del 15 marzo 2016, ritenendo di dover dare corso alle ulteriori indicazioni
provenienti dagli iscritti, approva il seguente deliberato: Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bari, facendo proprio il deliberato dell’Assemblea degli iscritti del 15 marzo 2016, che demanda al COA di Bari la richiesta di intervento del Ministro della Giustizia e delle Autorità competenti PREMESSO – che costituisce ormai fatto notorio, per averlo più volte comunicato il Presidente Mascherin sia negli incontri periodici con gli Ordini circondariali, sia in riunioni degli Ordini distrettuali appositamente convocati, che il CNF si è reso editore di un quotidiano generalista (“Il Dubbio”); – che l’iniziativa editoriale, presentata, in termini mediatici, come potente mezzo di comunicazione degli avvocati e, in termini politici, come strumento di contrasto ai cc.dd. “giornali delle procure”, desta perplessità in numerosi avvocati, fra i quali, quelli del Foro Barese e il Consiglio dell’Ordine che li rappresenta; – che, dalle notizie diffuse, risulta che il CNF e la propria Fondazione (FAI – Fondazione Avvocati Italiani), ha costituito una società di capitali (Edizioni Diritto e Ragione srl.), che provvederà alla pubblicazione del quotidiano; RILEVATO – che la società di capitali, denominata “Edizioni Diritto e Ragione srl”, ha quale socio unico la F.A.I., presieduta dall’avv. Mascherin, presidente del CNF; – che, ai fini della diffusione del quotidiano, i componenti del CNF, con il direttore responsabile, hanno partecipato a numerose riunioni degli ordini distrettuali, invitandoli ad offrire contributi ovvero ad abbonare “di ufficio” gli iscritti ai rispettivi albi. CONSIDERATO – che il CNF, secondo la legge 247/2012, è un Ente pubblico non economico, “soggetto solo alla vigilanza del Ministro della giustizia”, la cui funzione istituzionale è unicamente quella di “garantire il rispetto dell’Ordinamento professionale e delle regole deontologiche”, “con finalità di tutela dell’utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale” (art. 24); – che l’art. 35, nel definire in modo puntuale i compiti e le prerogative del CNF, prevede unicamente che quest’ultimo possa curare “mediante pubblicazioni, l’informazione sulla propria attività e sugli argomenti d’interesse dell’avvocatura” (lett.p); – che, conseguentemente, il vigente Ordinamento professionale non sembra consentire nè la pubblicazione di quotidiani generalisti, né la utilizzazione dei contributi annuali degli avvocati per fini diversi da quelli istituzionali (“necessari per coprire le spese della sua gestione”, art. 35 comma 2); RILEVATO ALTRESI’ – che l’art. 1 comma 13 della legge 5.8.1981 n. 416, riguardante la
disciplina delle imprese editoriali, conferma la impossibilità, per il CNF, di pubblicazione di un giornale, facendo espresso divieto agli Enti pubblici di costituire o, comunque, di acquisire partecipazioni in aziende editoriali di giornali o di periodici “che non abbiano esclusivo carattere tecnico inerente l’attività dell’Ente” Tanto premesso, rilevato e considerato, CHIEDE che il Ministro della Giustizia, nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza e le altre Autorità interessate, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento all’iniziativa editoriale assunta dal CNF con i contributi dovuti dagli avvocati (pena la sospensione dall’albo), vogliano esperire ogni opportuna indagine, operare le necessarie valutazioni ed emettere gli eventuali provvedimenti di rispettiva competenza. In particolare, chiede a) se sia conforme ai fini istituzionali del C.N.F. ed alla legge sull’editoria la pubblicazione di un giornale generalista tramite la F.A.I.; b) se al C.N.F. sia consentito utilizzare risorse degli avvocati sia provvedendo al pagamento degli stipendi dovuti al direttore e ai redattori, sia riservando al corpo redazionale appositi locali presso la sede consiliare di via del Governo vecchio. c) se sia consentito al C.N.F. sollecitare gli Ordini e le Associazioni forensi a fornire contributi e abbonamenti degli iscritti e se sia consentito, da parte di questi ultimi, abbonare “di ufficio” i propri iscritti, senza la previa acquisizione del loro espresso consenso, trattandosi non già di rivista tecnica o notiziario informativo interno, ma di normale quotidiano generalista. d) se, supposta la legittimità e correttezza dell’iniziativa, siano corrette le modalità di assunzione dei giornalisti, di scelta dei fornitori (carta, tipografo, distributore, raccolta pubblicitaria), di selezione dei collaboratori e di utilizzo delle risorse e di appostamento in bilancio delle relative voci spesa.” Si delega il sig. Segretario alla trasmissione del deliberato al Ministro della Giustizia, all’Autorità Garante per le Comunicazioni, all’Autorità Nazionale Anticorruzione, al Garante per la protezione dei dati personali, a tutti gli Ordini forensi nazionali ed ai Consiglieri. Il ricorso presentato successivamente al Tar Lazio verte su alcuni quesiti: può un ente pubblico, quale è il Consiglio Nazionale Forense, esercitare l’attività di editore di un giornale generalista? Può farsi rientrare tra le pubblicazioni su temi di interesse specifico dell’avvocatura attribuite dalla legge professionale alla cura del CNF un quotidiano che tratti temi di attualità, finanziato con i contributi degli iscritti agli ordini e che, peraltro, a meno di un anno dall’uscita, è già difficile reperire nelle edicole della città?
E resta da capire un particolare a dir poco “strano” segnalatoci da non pochi avvocati. Il quotidiano Il Dubbio risulta essere stato registrato al Tribunale di Bolzano (n. 7 del 14 dicembre 2015). Eppure il Consiglio nazionale Forense, FAI-Fondazione per l’Avvocatura Italiana, e la società editrice Edizioni Diritto e Ragione srl hanno tutti sede legale ed operativa a Roma, come anche la redazione del giornale. Cosa c’entra Bolzano ? Il procuratore di Roma Pignatone censura i “flirt” tra certi Pm ed alcuni giornalisti ROMA – Giuseppe Pignatone il procuratore capo della Procura di Roma, nella turbolenza di una pubblica polemica sottile e tecnicamente legalitaria con i propri colleghi di Napoli, ha la nota qualità di mantenere alta la propria ironia ed imperscrutabile aplomb manifestato in occasione della conferenza su “Inchieste giudiziarie, diritto di cronaca e tutela dei dati personali” organizzato dal Consiglio nazionale forense e Scuola superiore dell’avvocatura, a cui assieme il capo dei magistrati della Capitale sono comparsi correlatori di altrettanto livello: il presidente del Cnf Andrea Mascherin e il vicepresidente della Scuola Salvatore Sica, il presidente dell’Unione Camere penali Beniamino Migliucci e la vicepresidente dell’Autorità garante della Privacy Augusta Iannini (noto magistrato e moglie di Bruno Vespa) .
Pignatone come sempre ha tenuto anche questa volta una relazione ampia, e generosamente elegante nell’occultare diplomaticamente i passaggi più aspri. che comunque non sono sfuggiti ai presenti : “Noi magistrati siamo in maggioranza sensibili al tema della privacy, ma sono le minoranze che fanno la storia o meglio la cronaca…” aggiungendo “Risalire ai responsabili delle cosiddette fughe di notizie è impossibile, ma vanno evitati assi privilegiati tra singoli magistrati e singole testate”, puntualizza il procuratore capo di Roma, che non ha fatto mancare alcune critiche al “sistema” passando ad altro argomento come se quanto detto si trattasse di un dettaglio ininfluente. Ma così non è. E lo fa senza citare giornalisti e giornali che hanno una costanza al di fuori della legalità nel rivelare segreti investigativi né Procure da cui quel segreto più spesso si propaga, per esempio quella di Napoli. Pignatone chiaramente non non ha mai parlato nello specifico di Consip. Ma è come se lo avesse fatto. utilizzando la sua nota ironia e sapiente uso dell’oratorio e delle metafore. In un passaggio del suo intervento ha spiegato come sia un bene che gli uffici giudiziari comunichino: in particolare quando vengono eseguiti provvedimenti cautelari. “ In questi casi il mio ufficio dà conto all’esterno di quello che è stato fatto: è il tema principale a Reggio Calabria, a Palermo, a Napoli è uno dei temi principali, non l’unico…”. Ma cosa voleva dire Pignatone a proposito di quanto accade a Napoli ? Forse che non sempre le misure sono comunicate e spiegate con la stessa tempestività ? O che forse in quell’ufficio lo si fa applicando criteri meno “omogenei” rispetto alle altre Procure italiane ? Concludendo Pignatone ha detto che “ci sono troppe persone che conoscono per forza di cose il contenuto delle intercettazioni: troppe perché si possa dire ‘ la fuga di notizie deve per forza venire dal pm o dal maresciallo che ha ascoltato la telefonata’: io ne conto almeno una decina nelle indagini meno complesse. E come si farebbe altrimenti a coordinare il lavoro inquirente?” si è chiesto il magistrato continuando “sulle fughe di notizie aveva ragione Sciascia: le notizie non scappano, sono consegnate, e a consegnarle sono in
tanti…“. Se il procuratore capo della Procura di Roma che ha invitato per primo i propri sostituti e la polizia giudiziaria (in linea con quanto attuato a Torino dal procuratore capo Armando Spataro) con una circolare, a trattare le intercettazioni con cautela, allora vuol veramente significare dire che il fenomeno è ingestibile. Ma poi Pignatone ha aggiunto qualcos’ altro: “Noi a Roma seguiamo un criterio nei rapporti con la stampa: pochi comunicati, solo nei casi di maggiore complessità convochiamo informali incontri senza radio e tv. Ci teniamo a evitare che ci siano giornali privilegiati rispetto agli altri”. Affermazioni queste allineate con il discorso sulle strette connivenze propagandistiche tra alcuni uffici inquirenti ed i soliti giornalisti “amici”. Il capo dei magistrati romani arriva ad un’ipotesi estrema, lanciando una stoccata a quei magistrati che hanno il loro giornalista “ventriloquo” di riferimento: “Sarebbe meglio pubblicare gli atti sul sito della Procura. A disposizione di tutti, piuttosto che lasciar prevalere ipocrisie e favoritismi”. Ma dato il livello “alto” della platea il procuratore di Roma ha dovuto incassare qualche replica. Mascherin (CNF) introducendo la discussione sul punto ha lanciato con un appello: “Prendiamo atto che i social media stritolano la dialettica per come la conosciamo, e che tocca a chi condivide la cultura del diritto, cioè a magistrati e avvocati, trovare gli anticorpi». Sica ha rincarato la dose e ricordando che ormai “un avviso di garanzia e il discredito che ne deriva costituiscono ormai condanne anticipate” mentre Migliucci (UCP) ha aggiunto: “Impossibile negare che almeno il 75 per cento delle notizie sulle indagini provenga dal circuito inquirente”. Ad onor del vero si potrebbero muovere contestazioni anche ai magistrati romani: per esempio sugli “interrogatori in streaming” alla sindaca Virginia Raggi. Riflessioni queste a cui ha fatto da
contraltare il magistrato Augusta Iannini (Garante della Privacy) la quale ha ricordato che la privacy delle persone casualmente chiamate in causa da atti giudiziari non può ridursi ad incidente necessario. “E sì, quell’espressione si deve forse all’appartenenza politica dell’interessata” ha scherzato Pignatone, che però dopo spiega: “C’è stata un’incredibile montatura: i siti di due settimanali e di un quotidiano pubblicarono le probabili domande. Ma le avrebbe sapute pronosticare anche un bambino che avesse dato appena un’occhiata ai giornali dei giorni precedenti“. Apparentemente Pignatone non intravede la soluzione a cui tende il presidente del Cnf., e seppure adotti una dissertazione apparentemente fatalista, rassegnata a un “sistema dell’informazione digitale che è troppo lontano da quella a cui è abituato uno della mia età”, mette a segno delle frecciate allorquando dice che “la magistratura è molto sfaccettata, in maggioranza sensibile a questi temi, ma poi sono le minoranze che fanno la storia, o meglio la cronaca” . Un chiaro riferimento ai colleghi partenopei che hanno confermato la fiducia al capitano dei Carabinieri del Noe da lui messo sotto inchiesta? Probabile. Nulla di esplicito chiaramente, se non l’opinione espressa secondo la quale “comunicare la giustizia è necessario, perché è giusto che l’opinione pubblica eserciti un controllo su un potere come quello giudiziario“. Ma il senso del ragionamento di Pignatone è che tutto possa avvenire nella trasparenza e legalità.. Non percorrendo… “canali” privilegiati. E sopratutto mai da un singolo pm ad una singola testata o
giornalista ventriloquo. Annullata elezione dell’ Ordine degli Avvocati di Bari e Latina Sono da rifare le elezioni dell’Ordine degli avvocati di Latina e di Bari: lo hanno deciso le Sezioni Unite civili della Cassazione con due verdetti depositati (sentenza 2481 e sentenza 2614), sollevati da due diversi gruppi di avvocati laziali e pugliesi contro il Consiglio nazionale forense che aveva respinto i reclami dei professionisti contro il nuovo Regolamento elettorale ministeriale del dieci novembre 2014 che, di fatto, ‘bloccava le liste’ prevedendo per ogni lista la presentazione di un numero di candidati pari al numero dei seggi da coprire, e la possibilità di votarla in blocco. Secondo quanto stabilito dai supremi giudici, le due sentenze con le quali il Consiglio nazionale forense aveva convalidato le elezioni di Latina e Bari, e il ‘metodò elettorale seguito, sono da annullare. In tutti e due i verdetti, la Cassazione conclude la sua decisione evidenziando che “la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, poichè le operazioni elettorali si sono svolte in applicazione di norme regolamentari illegittime, la Corte può decidere la causa nel merito, annullando le operazioni elettorali predette». Contestualmente sono stati annullati quindi anche “tutti gli atti relativi al procedimento elettorale per l’elezione dei componenti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Latina e di Bari per il quadriennio 2015-2018».
Contro il nuovo regolamento elettorale hanno dato battaglia, oltre ai sindacati locali degli avvocati, anche l’Associazione nazionale forense (Anf) e l’Anai-Associazione nazionale degli avvocati italiani . Il Tar del Lazio e successivamente il Consiglio di Stato, avevano sentenziato con più decisioni l’illegittimità degli articoli più contestati del nuovo regolamento, ma nonostante ciò il Consiglio nazionale forense aveva ugualmente difeso la riforma e convalidato i risultati elettorali. Adesso arriveranno certamente altre decisioni della Cassazione che annulleranno le elezioni di altri Ordini laddove è stato presentato il ricorso “Da giuristi quali siamo non possiamo fare altro che prendere atto della sentenza della Cassazione pur non condividendola, perché al momento delle elezioni il regolamento era vigente e non era stato annullato“. È il commento del presidente dell’Ordine degli Avvocati di Bari, Giovanni Stefanì, alla sentenza della Cassazione che ha dichiarato nulle le elezioni forensi del 2015. La decisione delle Sezioni Unite civili della Cassazione è arrivata proprio mentre era in corso una riunione del Consiglio barese. “Abbiamo predisposto una nota da inviare a Consiglio Nazionale Forense e Ministero – ha dichiarato l’ Avv. Stefanì – per sollecitare determinazioni sull’attività dei prossimi giorni” ma a questo punto è facilmente prevedibile un commissariamento dell’Ordine fino alle prossime elezioni. Uno scontro in procura fa notizia? Non in Italia di Piero Sansonetti La notizia che il capo di una procura “striglia” i suoi vice e li accusa di “protagonismo” – dicono i vecchi e ormai ignorati manuali di giornalismo – è un fior di notizia. Così come lo sarebbe la notizia che il premier ha strigliato i suoi ministri. Se si sapesse che Renzi ha mandato a quel paese la Boschi, o Padoan, o la Madia, i giornali riporterebbe la notizia nel titolo più grande della prima pagina. I manuali di giornalismo però in questi anni sono invecchiati parecchio. E così la notizia della sfuriata del dottor Lo Voi (procuratore di Palermo, cioè capo di una delle tre o quattro procure più importanti d’Italia) oggi la conoscono solo i lettori del “Dubbio”, perché gli altri giornali l’hanno ignorata o trattata come
irrilevante. Non l’hanno ignorata per distrazione o per mancanza di qualità professionali dei capiredattori, ma per una ragione più semplice: il dottor Lo Voi – con una direttiva scritta – invitava i suoi sostituti a smetterla di mettersi in mostra concedendo interviste o passando le veline e le carte riservate ai giornalisti. Ma siccome, ormai da tempo, il giornalismo italiano vive quasi esclusivamente di veline e di carte riservate ottenute da Pm “protagonisti”, i giornali hanno pensato che fosse giusto mettere la sordina al caso, visto che se i Pm dessero retta davvero a Lo Voi, e se magari la direttiva di Palermo si estendesse al resto d’Italia, sarebbero guai per tutti. I giornali sarebbero costretti a tornare ai tempi bui di quando le notizie te la dovevi andare a cercare, dovevi diversificare le fonti, e magari era costretto persino a verificarle a cercare riscontri. E un’eventualità del genere è vista come un incubo dall’intero giornalismo italiano. E anche dagli editori. È molto difficile aprire una discussione seria sull’involuzione che il giornalismo italiano ha subito negli ultimi 25 anni, trasformandosi da strumento di informazione in “servizio di portavoce”, e diventando probabilmente il meno attendibile e il più scadente giornalismo di tutto l’occidente. Vogliamo parlarne? Magari tutti sono disposti ad ammettere che il nostro è il peggior giornalismo dell’occidente, purché si riconosca che la causa “unica” di questo decadimento è la concentrazione delle testate, e cioè lo strapotere di Berlusconi. E che i giornalisti sono innocenti. E invece no. Certamente la concentrazione delle testate è un problema (e non è causato però dal solo Berlusconi: si è parlato pochissimo, per esempio, della alleanza De Benedetti-Fiat, cioè Stampa-Repubblica, avvenuta recentemente) ma non è il problema principale. Il problema numero uno è la “concentrazione delle fonti”. Perché la concentrazione delle fonti porta necessariamente al travisamento della realtà, e quindi uccide l’informazione e la libertà di informazione. Dentro il fenomeno della concentrazione delle fonti c’è lo strapotere della “fonte” magistratura (anzi: Procura). Beh, di questo nessuno vuole discutere. E la Procura viene presa come fonte sacra non solo per le notizie, ma anche per le teorizzazioni. Se i Pm (o magari la loro associazione di categoria, e cioè l’Anm) sostengono che bisogna abolire la prescrizione, allora i giornali dicono che va abolita la prescrizione. Se dicono che la prescrizione è colpa degli avvocati, allora è colpa degli avvocati.
nella foto la Procura di Taranto, dove i giornalisti “ventriloqui” abbondano per i pm a caccia di protagonismo L’altra sera ho partecipato a un dibattito sulla giustizia a Viterbo (nell’ambito della manifestazione culturale “Caffeina”, che da una decina d’anni si svolge tutti i mesi di giugno per un paio di settimane). Con me c’era un giornalista del “Fatto Quotidiano”, bravo e prestigioso: Fabrizio D’Esposito. E poi c’era il presidente del Cnf (Consiglio nazionale forense) Andrea Mascherin. E’ stata una discussione seria, pacata, nella quale ciascuno i noi ha cercato di aprire un dialogo vero, seppure da posizioni distanti. D’Esposito è un intellettuale laico e senza pregiudizi. E infatti, per esempio, ha riconosciuto la saggezza delle nostre posizioni sull’eccesso di carcerazione preventiva, e persino sull’assurdità di tenere in cella per 1000 giorni, senza processo, l’ex deputato Nicola Cosentino. Però a un certo punto anche lui ha rimproverato gli avvocati per la loro abitudine di tirare per le lunghe i processi, con manovre dilatorie, allo scopo di ottenere non l’assoluzione ma la prescrizione. Mascherin gli ha lanciato una sfida: “Se tu mi citi una sola tecnica dilatoria in mano agli avvocati, utile per mandare per le lunghe i processi, io ti do ragione e me ne sto zitto per tutta la sera. Ma tu non puoi citarmela, perché non esiste. Eppure tu, in perfetta buonafede, hai usato una leggenda metropolitana per dimostrare una tesi. Chi ha diffuso questa leggenda metropolitana e chi ha permesso che diventasse senso comune e dunque verità acclarata, sebbene sia una falsità acclarata? “. E’ inutile che vi dica che Mascherin, senza infrangere l’impegno, ha potuto continuare a parlare per tutta la serata… Ecco: questo è un esempio perfetto della subalternità dei giornali alle Procure e del danno che questa subalternità procura al giornalismo e a quello che Pannella chiamava il “diritto alla conoscenza”. Chissà se un giorno si potrà parlare pubblicamente di questi problemi, magari non solo sulle pagine del “Dubbio”. E magari coinvolgendo nella discussione anche i magistrati, e anche i giornalisti di tutti i giornali. *direttore del quotidiano Il Dubbio
La Procura indaga sul “buco” del bilancio dell’ Ordine Avvocati di Taranto sotto la guida dell’ Avv. Angelo Esposito. E sulla fuga di notizie… ? di Antonello de Gennaro L’intervento della Procura di Taranto che ha affidato le indagini al pm Maurizio Carbone, contrariamente a quanto pubblicato dai soliti cronisti giudiziari a “gettone” è avvenuta in conseguente di una segnalazione, obbligatoria per legge ai sensi dell’ art. 331 c.p.p. che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio, ha inteso rispettare. Singolare anche come ancora una volta la notizia sia “filtrata” dagli uffici giudiziari tarantini sulla solita stampa “ventriloqua” di alcuni magistrati, nonostante la discrezione e riservatezza adottata dal presidente Di Maggio che ha depositato personalmente il tutto soltanto giovedì scorso e direttamente negli uffici della Procura, e non a quelli della polizia giudiziaria, proprio per evitare delle possibili fughe di notizie. nella foto l’avvocato Di Maggio ed i suoi colleghi della lista che vinse le elezioni per il consiglio dell’ ordine Altrettanto singolare la ricostruzione pubblicata questa mattina da un giornalista, ben noto per non effettuare le dovute verifiche, che ha sostenuto che l’ avv. Vincenzo di Maggio l’attuale presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, sia stato in passato “vicepresidente” nel consiglio presieduto dal suo predecessore avv. Angelo Esposito, fatto e circostanza che non corrisponde al vero, e quindi è palesemente falsa. Così come nessuno dei vari giornalisti tarantini che questa mattina hanno raccontato delle bestialità si è mai soffermato alla circostanza che sotto la presidenza Esposito il segretario tesoriere era l’avvocato Fedele Moretti, attuale consigliere dell’ Ordine, principale avversario dell’ avv. Di Maggio nel corso delle ultime elezioni che lo hanno visto prevalere con un notevole suffragio .
nella foto gli avvocati della lista dell’ex-tesoriere avvocato Fedele Moretti, sconfitto alle elezioni L’attuale revisore Francesco Paolo De Giorgio, nominato dal Presidente del tribunale di Taranto, insieme al consulente fiscale dell’ ordine nell’approvare il bilancio al 31,12.2014 lasciato in eredità…(non approvato dall’ avv. Esposito), scoprirono la mancanza di documentazioni giustificative dalla precedente gestione, della somma di oltre 95mila euro. Infatti come sostiene l’ avv. Di Maggio in realtà “non furono rinvenuti alcuni giustificativi di spese, in realtà contabilizzate e quindi non di ammanchi, così come da taluni riportato. Tutto ciò indusse il Consiglio a proporre all’Assemblea l’approvazione di suddetto bilancio, inserendo per l’appunto quella partita, in realtà poca cosa rispetto al totale, quale credito per l’Ente e non come spesa e, successivamente a richiederne il rendiconto a chi l’aveva in precedenza amministrato ovvero il rimborso.” In una nota, l’ avv. Di Maggio chiarisce che “il nuovo Consiglio ha richiesto al Presidente del Tribunale la nomina del Revisore dei conti, approvato il regolamento di contabilità e dovuto, giocoforza, misurarsi nella predisposizione del bilancio consuntivo di quello precedente, relativo all’anno 2014 (di cui preciso non essere mai stato Vice Presidente) e procedere alla verifica dei conti così come opportunamente messi a disposizione dai soggetti preposti e sulla scorta della documentazione in possesso al contabile. ” Dalle verifiche effettuate sui libri contabili “ereditati” dalla gestione del Consiglio sotto la presidenza Esposito , infatti non vi era alcuna giustificazione documentale a fronte della mancanza della somma non indifferente di 95mila euro. L’ipotesi di reato per cui la Procura procede (il Consiglio dell’Ordine è ritenuto Ente non economico ma avente pubblico servizio) al momento a carico di ignoti è quella di “peculato“, o di “appropriazione indebita non aggravata” . Il nuovo Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati, come ricorda la dichiarazione “ufficiale”, è stato eletto il 9 febbraio 2015, e vede alla guida degli avvocati di Taranto e provincia l’ avv. Vincenzo Di Maggio , il quale è subentrato a seguito delle ultime elezioni al consiglio uscente, presieduto dall’avvocato Angelo Esposito, e quindi l’attuale Consiglio dell’ ordine attualmente in carica è stato quindi di fatto tenuto, o meglio costretto dai doveri d’ufficio e di Legge, non solo alla predisposizione del bilancio preventivo del 2015 (che include anche il mese di gennaio 2015 sotto la gestione Esposito–Moretti) ma anche ad approvare quello al 31 dicembre 2014,
cioè l’ultimo esercizio sotto la gestione del consiglio uscente, il cui presidente e cioè l’avv. Esposito si era ben guardato di approvarlo con la propria firma. Chissà come mai… nella foto l’ avv. Angelo Esposito Nel bilancio al 31.12.2014, cioè sotto l’ “allegra” presidenza Esposito, i 95mila euro di cui mancava ogni giustificazione di spesa vennero indicati ed imputati correttamente ed approvati, come “crediti da esigere“. Successivamente il nuovo consiglio presieduto dall’ Avv. Di Maggio ha convocato e chiesto chiarimenti all’ Avv. Angelo Esposito in riferimento alle spese sostenute ma non documentate in ragione e in virtù della carica rivestita. L’assicurata produzione da parte dell’ex-presidente Esposito della documentazione necessaria mancante per anticipazioni e rimborsi in favore della sua precedente presidenza dell’Ordine, però, non ha mai avuto alcun seguito e riscontro. In una seduta del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto tenutasi prima delle recenti festività pasquali è stato deciso di convocare ed ascoltare le eventuali giustificazioni dell’ex presidente Esposito (attualmente componente del Consiglio nazionale forense) che, in un primo momento s’era dichiarato pronto a risolvere la vicenda, restituendo personalmente alle casse del Consiglio, i soldi mancanti. Ma anche questa promessa dell’ avv. Angelo Esposito non ha trovato riscontro alcuno, motivo per cui il Consiglio ha ritenuto di investire del caso la Procura di Taranto. Nella sua nota l’ Avv. Di Maggio, concludendo, si augura che le “suddette spese, al di là della documentazione fiscale a supporto, potranno essere documentate, dinanzi all’Autorità Giudiziaria, dai fatti e dalle occasioni istituzionali per cui sono state sostenute e così consentire la soluzione di questa vicenda nel migliore dei modi possibili” nella foto il nuovo procuratore capo Capristo Quello che probabilmente qualcuno un giorno dovrà spiegare è come mai
quando delle notizie coperte da segreto istruttorio finiscono nella mani dei soliti “giornalisti” amici e talvolta confidenti, la Procura della Repubblica di Taranto si gira dall’altra parte, mentre in alcuni casi si manda a processo qualche collega ben più corretto. Ma per fortuna la stagione dei conflitti d’interesse, di strane amicizie e favoritismi è ormai arrivata al capolinea: l’ex-procuratore capo Franco Sebastio è in pensione, il suo vice Pietro Argentino oltre ad essere sotto inchiesta del CSM, non potrà più fare l’aggiunto e secondo attendibili voci giudiziarie prossimo ad un trasferimento fuori Taranto, ed il pm Maurizio Carbone non è stato rieletto segretario nazionale dell’ Associazione Nazionale Magistrati. La “ciliegina” sulla torta di una necessaria auspicata legalità in procura a Taranto sarà l’arrivo del nuovo procuratore capo Carlo Maria Capristo, designato dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura dopo l’indicazione, resa nota nei giorni scorsi, da parte della quinta commissione del Csm. Capristo, 63 anni,è nato a Gallipoli (Lecce) ed ha prestato servizio a Bari e Siena prima di approdare a Trani, dove ha diretto tra l’altro l’inchiesta sul declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating. Gli avvocati di Brindisi campioni di retorica forense La scuola forense di Brindisi, superando in finale quella dell’Ordine di Bari, dopo aver battuto in semifinale Taranto e Cosenza. si è aggiudicata “Scacco d’atto”, il primo torneo di retorica e argomentazione forense applicati al caso concreto organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Taranto. Venerdì e sabato scorso 8 squadre di avvocati di varie scuole forensi italiane si sono sfidate presso l’Università degli Studi di Taranto, fra cui le Scuole forensi di Bari, Castrovillari, Cosenza, dell’Alto Tirreno. di Trani e una “squadra speciale” Taranto- Brindisi, in sostituzione della Scuola di Teramo. Ciascun raggruppamento doveva dimostrare in 15 minuti di essere più efficace nello svolgimento della difesa della parte assegnata con un discorso costruito secondo i canoni della retorica classica. I vincitori sono i praticanti legali Bernadette Cacciapaglia, Maria
Carmela Muscogiuri e Alessandro Passaro del foro brindisino. Il risultato è stato accolto con molta soddisfazione dai componenti dell’Ordine degli avvocati di Brindisi presenti alla manifestazione e dal direttore della Fondazione provinciale dell’Avvocatura. Una idea del presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, avv. Vincenzo Di Maggio, realizzata dalla Scuola Forense di Taranto, presieduta dall’ avv. Paola Donvito. Nella organizzazione è stato coinvolto tutto il direttivo della scuola, con gli avvocati Luca Andrisani, Daniele D’Elia, Mario Esposito, e con l’avv. Giovanni Fiorino in veste di tutor per la sezione penale. Un impegno importante che ha coinvolto anche lo staff della scuola, rappresentata dalla dott.ssa Maria Grazia Argento e l’assistenza del tecnico informatico Biagio Baldaro. I vincitori hanno vinto in premio un corso di inglese giuridico, tutti gli altri praticanti la visita presso una istituzione giudiziaria europea a Strasburgo o a Bruxelles. nella foto l’ avv. Vincenzo Di Maggio “Se dovessi valutare – ha detto l’avvocato Angelo Esposito del Consiglio Nazionale Forense – dalle performance viste oggi ritengo di poter esprimere ottimismo per il futuro della avvocatura” . “E’ importante tornare a valorizzare la tecnica retorica – ha aggiunto il presidente degli avvocati tarantini Vincenzo Di Maggio – intesa come capacità di argomentare le proprie ragioni, vuoi in ruolo di accusa che di difesa, sapendo affrontare ogni possibile capovolgimento di fronte che è frequente nel dibattimento processuale.” Il torneo, denominato ‘Scacco d’atto‘ s’ispira all’insegnamento di Aristotele e Quintiliano, maestri e docenti di retorica, e vedono le nostre scuole, da sempre tese a formare i futuri avvocati, competere tra loro, “dirigersi cioè insieme nella stessa direzione” della scienza e dell’arte del parlare bene (per bene, in modo etico), del parlare giusto e del parlare corretto, valorizzando chiarezza, logicità, rigore metodologico nell’esposizione e dimostrazione della conoscenza delle tecniche di persuasione e argomentazione, proprio secondo i principi della retorica giudiziaria classica. Nel rispetto delle parti richieste dalla retorica, ‘esordio, narrazione, partizione, argomentazione, confutazione, epilogo’ l’obiettivo della gara è stato voluto e diretto per far assumere
consapevolezza degli strumenti del potere dialettico-argomentativo e restituire tempo alla giustizia portando a maturazione i frutti di una formazione d’avanguardia, nella quale la tecnologia assecondi il logos predisponendo l’agone a recuperare le variabili spaziali e temporali messe in crisi da una cattiva inventio e da una pessima dispositio.
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