Introduzione al progetto Interculture map

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Introduzione al progetto Interculture map

di Sandra Federici e Andrea Marchesini Reggiani

                                             Nessun concetto di un mondo esterno si lascia delimitare
                                                    nettamente rispetto al concetto dell’uomo agente.
                                                    Fra l’uomo che agisce e il mondo esterno tutto è,
                                                                       piuttosto, interazione reciproca,
                                                      i loro cerchi d’azione sfumano l’uno nell’altro;
                                               per quanto le rappresentazioni possano essere diverse,
                                                                   i loro concetti non sono separabili.
                                                                   (Walter Benjamin, Angelus novus)

Il progetto di ricerca e scambio di esperienze Interculture map ha come oggetto le azioni che
promuovono la conoscenza, il dialogo e la convivenza delle diverse “culture” presenti oggi in
Europa.

Le basi del progetto di ricerca
La ricerca parte dalla constatazione dell’ampia diffusione in Europa di iniziative (culturali, sociali,
mediatiche, educative…) che presuppongono uno sforzo di pensare soluzioni per la convivenza di
gruppi e individui di diverse origini socio-culturali, a volte realizzate con il coinvolgimento attivo di
autori e attori non europei, e genericamente collegabili alla presenza nel continente di un tessuto
sociale multiforme dovuto al fenomeno dell’immigrazione. La ricerca Interculture map propone dei
percorsi di lettura in questo mare magnum di azioni (Giuseppe De Rita ha parlato per l’Italia di
«valanga di sociale che ha invaso la cultura italiana negli ultimi cinquant’anni»,1 in cui si riscontra
una grande varietà di iniziative, dal piccolo modulo didattico sulle favole del mondo in una scuola
elementare al master per il management interculturale proposto da una “Scuola per l’economia
interculturale”.2 È nata da un’esigenza di riflessione e definizione di linee guida che da alcuni anni
ha portato il mondo degli operatori socio-culturali a superare la prospettiva pauperistica e benevola
e a darsi strumenti comuni di dibattito e informazione,3 a cercare un supporto formativo per
aumentare la professionalità, a promuovere ricerche e studi per migliorare il patrimonio di
conoscenze.
Abbiamo deciso sin dall’inizio di articolare la ricognizione (che per la limitatezza dei mezzi è
qualitativa e a macchia di leopardo) delle buone pratiche in Europa in diversi settori d’azione,
tenendo ben presente il carattere “funzionale” della loro distinzione: educazione e formazione,
“qualità della vita” (lavoro, salute, politiche abitative), arti, media ed editoria.
Quelli che prima di altri si sono trovati ad affrontare la presenza di cittadini non autoctoni nelle
attività di cui erano responsabili, sono gli operatori dei settori sociale ed educativo, assieme agli
attori specializzati nell’intervento sociale e volontario: ong, cooperative sociali, mediatori,
associazioni interculturali o di immigrati.
Sono così nate numerose iniziative esplicitamente “finalizzate al dialogo e all’integrazione di
persone appartenenti a culture differenti”, o alla conoscenza di culture altre per favorire la
coesistenza multiculturale in relazione all’aumento del fenomeno dell’immigrazione in Europa
degli ultimi tre decenni (possiamo definirle azioni con intenzione interculturale “politica”). Per
“politica” intendiamo esplicitamente legata ai temi attuali nella gestione della società e degli
organismi statali e internazionali. Lo spirito militante genericamente vivo di questi operatori ha
trovato spazi di manovra nell’ambito delle politiche d’integrazione (europee, nazionali, locali)
messe in campo soprattutto da direzioni generali/ministeri/assessorati sociali ed educativi, per far
fronte a uno dei compiti più importanti e imponenti che gli amministratori devono oggi affrontare.
Non c’è comune per quanto piccolo che non abbia all’interno dei compiti della propria giunta la
delega all’immigrazione, o all’integrazione, o all’intercultura, o alla pace…
Notiamo che proprio queste intenzioni “politiche” hanno dato spazio ad azioni incentrate su
elementi che potremmo per convenzione definire “più strettamente culturali”. Infatti, nell’ambito di
queste politiche, e soprattutto dei programmi di finanziamento che le mettono in pratica, sono
spesso previste linee indirizzate alla promozione della conoscenza interculturale e del dialogo, che
mirano non ad affrontare un’urgenza, ma ad agire a un livello intermedio, sul medio-lungo periodo,
per favorire un clima nuovo.
Sono nati così i progetti di sensibilizzazione dove soprattutto nei primi anni i temi della cultura in
senso stretto (intesa come patrimonio identitario, come creatività e arte) sono stati a volte trattati in
modo un po’ maldestro, vicino al folklore. Ma negli anni le ONG si sono sempre più attrezzate per
queste finalità di comunicazione, migliorando costantemente la loro capacità comunicativa,
approfondendo studi e ricerche e avvalendosi di collaborazioni qualificate, soprattutto grazie
all’officina dei progetti di educazione allo sviluppo,4 che hanno fornito materiali e idee anche per
progetti interculturali indirizzati alle scuole.
Essendo l’educazione interculturale quasi in tutta Europa un tema extracurricolare e
transcurricolare, le scuole hanno messo in atto soluzioni di diverso tipo, tra le quali le più seguite
appaiono l’inserimento di attività interculturali in determinati periodi nella programmazione
scolastica (soluzione definita “estemporanea” da Elio Damiano);5 e l’individuazione di contenuti
interculturali all’interno di discipline già esistenti (soluzione “delle materie ospitanti” sempre
secondo Damiano).
Questo tipo di progetti viene realizzato, generalmente, con l’apporto esterno di operatori, educatori,
associazioni interculturali, ong operanti nel campo dello sviluppo e dei diritti umani.
«Secondo alcuni, questa collaborazione significa la conferma di una certa irrilevanza della
problematica, affidata a soluzioni estemporanee e a collaborazioni con enti esterni. In realtà, (…) la
possibilità di trattare i temi interculturali come prospettiva trasversale appare, allo stato attuale, una
soluzione rispondente alla particolare struttura dell’educazione interculturale e alle esigenze
dell’approccio (…) “alla diversità”. L’introduzione trasversale e interdisciplinare dell’educazione
interculturale nella scuola risponde alla necessità di lavorare sugli aspetti cognitivi e relazionali più
che sui contenuti, evitando l’oggettivizzazione delle culture, la loro decontestualizzazione, il rischio
di folklore e di esotismo. Tuttavia, è chiaro che questo non può divenire un alibi per continuare
sulla via delle improvvisazioni, eludendo l’introduzione di uno spazio curricolare specifico. Uno
spazio orario di questo genere deve essere concepito nella forma di una nuova “educazione alla
cittadinanza”. In un ambito curricolare di questo tipo potranno essere integrati gli aspetti più
propriamente interculturali.»6
L’inserimento o meno di un curriculum specifico sembra essere uno dei temi cruciali del dibattito
europeo nel settore della didattica interculturale.
Tuttavia, come abbiamo già detto, il progetto Interculture map per come l’abbiamo proposto alla
Commissione europea non vuole fermarsi al settore scolastico ed educativo. La nostra esperienza
come rivista ci ha portato nell’ultimo decennio a documentare un grande numero di attività
incentrate su culture differenti realizzate da istituzioni, associazioni, industrie culturali, case editrici
senza che sia espressa la motivazione prioritaria di contribuire all’integrazione culturale degli
immigrati (intenzione interculturale “politica” non prioritaria o addirittura assente). Si tratta di
esposizioni artistiche, spettacoli musicali e teatrali, pubblicazioni letterarie, prodotti mediatici che
consentono un contatto con mondi culturali diversi dalle popolazioni cosiddette maggioritarie, che
trovano però origine in una determinata politica culturale di un ente che abbia preso coscienza del
cambiamento sociale in atto in Europa. «Il fenomeno delle migrazioni ha portato all’avvento in tutta
Europa (e in particolare nelle grandi città) di società multietniche con cui le istituzioni culturali
tradizionali non sono in grado di confrontarsi, in quanto in larga parte nate come emanazione dello
stato nazione e della cultura nazionale, e fondate su un presupposto di coesione e omogeneità
piuttosto che di diversità e convergenza.»7
Queste politiche culturali internazionali e legate ai temi sociali hanno conosciuto dagli anni
Novanta in poi un successo crescente, grazie al fenomeno dell’internazionalizzazione dell’arte.
Minoranze etniche e gruppi maggioritari coesistono da sempre all’interno di una stessa società, ma
a questa costante in Europa si è aggiunta, negli ultimi vent’anni, la specificità della convivenza tra
autoctoni e immigrati, a causa dell’ultima ondata migratoria dal Sud al Nord del mondo. Di
conseguenza, sempre più artisti si sono interessati ai problemi del confronto Nord-Sud, sviluppo-
sottosviluppo, ricchezza-povertà, cultura di massa e radici culturali. Il fenomeno delle biennali,
sorte ovunque, ha consentito l’incontro tra gli artisti di tutto il mondo. Analoghe trasformazioni si
riscontrano negli ambiti della musica, del teatro, della produzione letteraria, dove un festival senza
invitati non europei sarebbe considerato “out”; mentre il mondo dei media e dell’editoria si sta
attrezzando sempre di più per andare incontro a nuovi pubblici e a nuovi bisogni di informazione.

Come valutare un’azione sociale o culturale?
Come si è detto, il progetto ha avuto tra i fini principali quello di costruire una mappa di iniziative
per orientarsi, per avere spunti, per confrontarsi con altre idee, per riapplicare metodologie già
sperimentate.
Per far questo è stato necessario riflettere su come scegliere le buone pratiche da analizzare.
Attraverso una riflessione nutrita dall’esperienza e dalle informazioni dei partner sono usciti diversi
spunti utili per selezionare i progetti. Sono stati definiti alcuni criteri per orientare la scelta: ad
esempio la preoccupazione di misurare il cambiamento ottenuto negli anni; la autovalutazione del
progetto; l’impiego di personale qualificato e formato e l’organizzazione di una strategia di
formazione del personale; l’attenzione ai problemi di comprensione linguistica; un buon livello di
documentazione interna; la presa in conto della prospettiva di genere; l’implicazione di migranti
nella preparazione o realizzazione delle azioni; la consulenza di specialisti, la trasferibilità
dell’azione in altri contesti; la continuità del finanziamento nel tempo; gli effetti politici (influenza
sulla legislazione). Questi spunti sono stati approfonditi in seminari di scambio tra operatori.
Il tema della valutazione è sentito sempre più come cruciale nel settore dell’azione sociale e
culturale. I finanziatori come le fondazioni e gli enti locali tendono a privilegiare la valutazione del
progetto rispetto alla valutazione del soggetto associativo che lo propone (di cui spesso si chiede
principalmente l’anzianità e il fatturato), così come preferiscono la valutazione ex ante rispetto alla
valutazione ex post. Si lavora più sulla dimensione dell’affidabilità preventiva che sulla produzione
di valore sociale effettivamente misurato dopo la realizzazione.8 È però innegabile che l’attenzione
stia aumentando, così come aumenta – almeno in Italia – il potere e la responsabilità delle
Fondazioni bancarie nelle politiche culturali. Si finanziano ricerche sul campo e definizioni di
metodologie di valutazione esterna, riscontrando che il mondo associativo in genere non percepisce
la valutazione come una intrusione, ma come una necessità per il miglioramento della propria
azione.9
Resta la consapevolezza della complessità del tema, in quanto si tratta di elementi misurabili in
maniera scarsamente oggettiva. Si può indagare sull’impatto sul target raggiunto dal progetto,
lavorando su dati numerici che consentono una comparazione, ma non sempre è possibile una
valutazione quantitativa, e comunque non può esaurire la comprensione dell’azione. Ci si può
chiedere fino a che punto il progetto ha soddisfatto le motivazioni interculturali, ma la risposta sarà
sicuramente molto di-scutibile. Altra questione su cui riflettere è l’opportunità di valutare la qualità
culturale specifica del prodotto (con recensioni di professionisti della disciplina, ad esempio). Un
primo problema è dato dal fatto che i prodotti creativi sono soggettivi e non valutabili
oggettivamente. In secondo luogo, solitamente essi sono valutati attraverso le opinioni e gli
apprezzamenti di due comunità: la “critica” e il “pubblico”. Ci potrà essere un “prodotto
interculturale” che ha un buon riscontro di critica ma è poco seguito dal pubblico europeo e meno
ancora da quello dei migranti. Avrà un impatto minore nel breve periodo, ma se è di buona qualità
potrà essere utilizzato più a lungo e più proficuamente in seguito. I professionisti delle discipline
artistiche sono molto severi e spesso alieni dal mondo degli operatori dell’integrazione, tuttavia il
loro giudizio può aiutare ad avere una “tensione” rigorosa verso la qualità.
Il fatto che un’azione sia ripetuta nel tempo può essere considerato un fatto positivo? Forse sì:
significa che c’è stato un riscontro e una “domanda” continuativa ed è pur sempre un dato
misurabile e confrontabile. Non è però vero il contrario, anche perché ci sono azioni concepite
come uniche o azioni che vorrebbero ripetersi ma non riescono per motivi esterni non legati alla
loro qualità.
Il fatto che un progetto venga rifinanziato può spingerci a valutarlo positivamente? In alcuni casi sì,
in tanti no: purtroppo (soprattutto in Italia) le logiche che spingono i finanziatori non sono sempre
legate alla qualità o all’impatto, bensì alla rappresentatività del soggetto proponente e alla sua forza
negoziale nella spartizione delle risorse disponibili.
E il successo di mercato? Non si può negare che il successo di mercato (inteso come “n” persone
che estraggono dal portafoglio “n” euro per consumare un prodotto culturale) sia un dato positivo.
Non è sempre utile snobbare le logiche della cultura di massa, anche se bisogna tenere conto che
sono applicabili solo ad alcune azioni. Le attività interculturali sono realizzate da agenti
appartenenti a settori protetti che non hanno le strutture, il savoir faire e le risorse per inserirsi nei
circuiti di mercato, secondo le regole che governano le industrie culturali. Si tratta spesso di
prodotti finanziati per volontà politiche e quindi a fruizione gratuita per aumentare il target
raggiunto. Può però essere proficuo stimolare collegamenti tra il mondo non profit e il mercato
(come nel caso di alcuni festival culturali sul Sud del mondo il cui numero di spettatori aumenta
continuamente).
Per concludere, ogni azione va interpretata e qui interviene la scelta dell’osservatore, la sua volontà
di interpretare questa azione da un punto di vista economico, o psicologico, o sociologico… La
scelta delle categorie interpretative è effettivamente soggettiva, ma poi l’analisi ha una certa
oggettività, grazie all’applicazione di strumenti stabiliti dalle diverse discipline.
Oltre a questo lavoro sulle prassi, il progetto Interculture map ha da subito cercato di soddisfare
un’esigenza di un approfondimento teorico, con una prospettiva che tenesse in conto la
multidisciplinarietà della riflessione sull’intercultura. La collaborazione con l’università di Urbino
ha permesso di passare in rassegna le ricerche specificamente dedicate a questo tema da parte delle
varie forme di riflessione filosofica, dall’epistemologia alla filosofia del diritto all’antropologia.
Una ricerca specifica, realizzata da Massimo Repetti, è stata dedicata alle formazioni universitarie
proposte nell’Europa dei 25 paesi, e ha mostrato la molteplicità degli orientamenti teorico-
metodologici nell’affrontare la diversità dell’offerta di strumenti di formazione all’intercultura.

Il dossier di Africa e Mediterraneo
In questo dossier presentiamo, oltre alle sintesi dei report di ricerca nei diversi settori (di Iolanda
Pensa per l’arte, di Massimo Bortolini per l’educazione, di Octavio Vázquez, Manuela Fernández
Borrero, Miriam Fernández Santiago, José Carlos León Variego e Patricia Vaz García per la
“Qualità della vita”, di Ian Cook, Marek Canek e Jakob Hurrle per i media e l’editoria, di Massimo
Repetti per l’università), alcuni articoli che approfondiscono argomenti specifici nell’ambito dei
diversi aspetti di Interculture map.
Abbiamo cominciato dalla filosofia, con alcuni saggi che ci presentano il contributo dato da taluni
pensatori a questioni fondamentali come il valore scientifico della nozione d’identità culturale
(Vincenzo Fano); la tolleranza e la comprensione dell’altro nel corso della storia dei popoli (David
Denby); la traduzione linguistica e la possibilità di comprensione dell’Altro (Graziella Travaglini);
l’esistenza di un unico mondo dell’esperienza, comune a tutti i soggetti, e di molteplici mondi
circostanti o famigliari, ognuno dei quali relativo a una determinata comunità umana (Vittorio De
Palma). Gli autori degli articoli hanno richiamato in campo Lévi-Strauss, Max Weber, Voltaire e
Rousseau, Derrida e Ricoeur, Husserl, intellettuali che hanno già condotto il pensiero umano a
risultati preziosi per il rigore del ragionamento e la profondità dell’analisi.
Altri contributi sviluppano diversi aspetti delle trasformazioni che si stanno attuando o subendo
nelle politiche culturali in conseguenza del cambiamento della società e del pubblico a cui ogni
azione/istituzione artistica e creativa si indirizza.
Simona Bodo sottolinea come ogni museo dovrebbe interrogarsi sulla crescente diversità culturale
dei propri pubblici, esplorando, tra le altre cose, il suo possibile contributo alla promozione della
comprensione reciproca. I diritti culturali delle comunità migranti da questione di marginale
importanza devono diventare per i musei tema ineludibile da declinare nell’ambito dell’accesso,
della partecipazione e della rappresentazione.
Ankica Kosic presenta la sua ricerca su come, in Italia, si svolge da parte delle comunità di
immigrati la partecipazione alle performance di world music, superando un generico giudizio
positivo nei confronti di questo tipo di iniziative attraverso un’analisi dei differenti tipi di eventi e
del conseguente diverso coinvolgimento del pubblico.
Alain Sancerni invita a riflettere sull’evoluzione storica del dialogo tra culture dal colonialismo, alla
ricerca etnografica, alla Négritude, alla mondializzazione, in un percorso caratterizzato da
un’importante (anche se ovviamente diversa nelle varie fasi) attenzione agli aspetti culturali. Mentre
l’articolo di Elisabetta Bartuli fa il punto sulla presenza di autori arabi nel panorama editoriale
italiano e su come sia forte la capacità di questa narrativa di “smentire” i pregiudizi sul mondo
arabo (visto come immutabile, maschilista, religiosamente orientato), Ian Cook affronta il tema
della faticosa conquista – da parte di scrittori immigrati che usano la lingua del paese ospitante – di
spazi all’interno delle culture “nazionali”, che a volte tendono a chiudersi, spaventate da queste
“intrusioni”. Anche i media si trasformano conformandosi allo spazio che devono rappresentare
diventando strumenti di coesione e integrazione sociale e culturale: è il caso dei media del sud della
Spagna e del nord del Marocco dell’area di Gibilterra (in arabo, spagnolo e inglese), analizzati in
una prospettiva storica da Juan Antonio García Galindo.
Nel settore dell’educazione, e dell’osmosi tra culture che si produce nell’atto dell’insegnamento,
proponiamo innanzitutto lo “strano caso” – raccontato da Jakob Hurrle – di un’integrazione
informale avvenuta nella città ceca di Cheb, dove sono le baby sitter ceche, assunte irregolarmente,
a trasmettere la lingua e la cultura del paese ospitante ai figli dei migranti vietnamiti, troppo
impegnati a lavorare.
Enrique Javier Díez Gutiérrez propone un tipo di formazione, elaborato dall’Università di León, che
tra i tre principali modelli teorico-pratici della formazione interculturale – educazione
compensativa, multiculturale e interculturale – opta per la terza elaborando una proposta che mira a
costruire un programma contro-egemonico, basato sulla prospettiva dei gruppi subordinati, con
l’appoggio fondamentale della ricerca su Internet.
Rossano Colagrossi, infine, passa in rassegna le modalità possibili di partecipazione politica degli
immigrati nelle istituzioni locali, interpretandole alla luce di concetti basilari quali l’identità, la
rappresentanza, la cittadinanza, attuando inoltre un interessante confronto tra la situazione italiana
e le soluzioni messe in atto in alcuni paesi europei.
Concludiamo rimandando al sito Interculturemap.org, coordinato da Sara Saleri e Filippo Mantione,
dove sono contenuti i casi studio, i report di ricerca, e l’anagrafica dei progetti, un luogo di incontro
e scambio dove è possibile ottenere informazioni e allo stesso tempo mettere a disposizione le
proprie esperienze e idee sull’intercultura. Il sito offre perciò vari strumenti e possibilità interattive:
grazie a un dettagliato motore di ricerca, ogni utente può costruire il suo percorso, la sua “mappa
personale” all’interno di Interculture map.

Note
1 - Giuseppe De Rita, Introduzione, in Nadio Delai (a cura di), Valutare il non profit. Per una
misurazione condivisa delle attività associative, Bruno Mondatori, Milano 2005, pp. 7-9, p. 7.
L’autore prosegue «Mi viene il dubbio che la fede e la determinazione di noi pionieri abbia prodotto
una proliferazione senza senso e senza qualità di ogni iniziativa auto-qualificantesi come sociale:
riscontro troppa banalità, troppo pressappochismo, troppe tentazioni a evitare furbamente il reale,
per ambizioni accademiche o per indulgenze alla logica di un mercato, peraltro povero. E poco
benefit reale, sul piano dell’elaborazione culturale come su quello dell’effettiva efficacia dei
tantissimi interventi».
2 - Si tratta della scuola Etnica, che «si propone di dotare imprenditori, manager e professionisti
degli strumenti per valorizzare le identità migranti all’interno delle aziende, delle banche, delle
imprese sociali, delle asl e degli enti locali e per progettare, distribuire e comunicare prodotti,
servizi, spazi ed eventi welcome (sic)». Cfr. Brochure del Master in management culturale
organizzato da Etnica, scuola per l’economia interculturale per l’anno accademico 2005-2006 a
Biella.
3 - Pensiamo a riviste come Vita, sostenuta da una quantità di ong e movimenti, e a tante altre
testate di gruppi di ong, ai diversi master organizzati in collaborazione con le università, ai tanti
convegni di riflessione e confronto.
4 - Finanziate a livello europeo dalla linea di finanziamento B7-6000, che ha consentito alle ong di
sostenere molte delle spese di comunicazione e promozione della propria immagine, e a livello
nazionale dai singoli ministeri degli Esteri.
5 - E. Damiano (a cura di), Homo Migrans. Discipline e concetti per un curricolo di educazione
interculturale a prova di scuola, Franco Angeli, Milano 1998.
6 - Milena Santerini, Progettare l’intercultura, in «Animazione Sociale» n. 10, ottobre 2001.
7 - Dragan Klaic, Sopravvivere allo shock culturale: istituzioni culturali, globalizzazione e
multiculturalismo, in Simona Bodo (a cura di), Culture in movimento, M&B, Milano 2005, pp. 41-
49, p. 43.
8 - Cfr. Nadio Delai (a cura di), Valutare il non profit, cit., p. 147.
9 - Idem, p. 143.
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