Impressioni d'Etiopia - CTG
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Impressioni d’Etiopia Quanta gente in cammino dal mattino fino all’imbrunire!! bambini ed adulti carichi di merci ( taniche per l’acqua, fascine di canne da zucchero, sorgo, mais, legna etc…) camminano con disinvoltura tra carretti trainati da asini e mandrie ( di zebù, pecore, capre ed asini) che occupano disordinatamente la strada; taxi collettivi, corriere, Bajaj e camion completano il traffico. Bambini e ragazzi sorridenti imbracciando libri e quaderni si dirigono verso le rispettive scuole. Chissà, tutte queste persone, da dove vengono, quanta strada devono percorrere quotidianamente per comperare o vendere?! I nostri autisti sono sempre puntuali, cordiali e disponibili. Io viaggio sulla jeep n°4, l’autista si chiama Muluken ( per gli amici Mule) ed è bravissimo ad evitare le numerose buche sul percorso ed a fare lo slalom nel convulso traffico della capitale. Inoltre è sempre pronto a segnalarci qualcosa di significativo, specialmente i vari tipi di uccelli illustrandoceli con l’ausilio di un bel libro a tema. Le mani: quelle di chi ti invita a danzare che siano al villaggio etnia Dorze od alla cena etnica ad Addis Abeba. Le mani, a volte invadenti, dei bambini con il caratteristico richiamo “yu yu” chiedendo birr, pen o…altro ma anche imparano a contare fino a 10 dall’amarico all’italiano alla festa del Meskel mentre aspettiamo l’accensione del falò. La mano salda e gentile di Baru di etnia Borana che mi aiuta nella discesa e risalita al cratere di El Sod e canta una filastrocca per aiutare Maria Teresa a superare un momento di crisi durante la risalita. Penso a quanto strani possiamo sembrare noi quando visitiamo i villaggi delle varie etnie. Qui siamo noi gli stranieri. Guardiamo e fotografiamo, curiosi, i Karo i Konso gli Hammer. Ma forse non ci rendiamo bene conto che anche noi abbiamo i nostri “riti” e
modi per affermare la nostra appartenenza ad un “clan” ( piercing, tatuaggi, ma anche abiti tradizionali, divise, inni e processioni…). Tiziana Viaggio in Etiopia La valle dell’Omo Breve riflessione Oggi riguardavo le foto e mi sono detta : “Sto rivedendo il nostro album di famiglia” perché noi veniamo da lì, da quelle terre dove è stata ritrovata Lucy ed altri ominidi, tutti nostri parenti evolutivi. Ed è dalla Rift Valley che è iniziata la migrazione che continua e continuerà perché l’uomo è “migrante” per sua natura. Ma quante differenze!!!!!! “Noi siamo più evoluti” questa è l’affermazione ricorrente. Ma più evoluti in che cosa? nel voler possedere sempre di più nell’usare in maniera indiscriminata i beni che la natura ci elargisce nel rifiuto del diverso nell’essere sempre in “affanno” Abbiamo visitato vari villaggi, etnie diverse, ma una cosa li accomunava: la serenità, la tranquillità, ma soprattutto il loro vivere in comunità, la condivisione. Da noi a volte non si conosce nemmeno chi abita nello stesso condominio.
Quindi due considerazioni conclusive: abbiamo le stesse radici nonostante ci riteniamo più evoluti, dobbiamo riconoscere che gli altri possono darci molto. Luisa Fasolo Etiopia 2018 La nostra grande avventura nella Valle dell’Omo LORO “Popoli della Valle dell’Omo, dove tutto è iniziato” recitava il titolo del viaggio in Etiopia. Io dico: dove tutto è rimasto lì nella notte dei tempi. Dal canto mio credo di aver scoperto il “buco nero” dell’Africa. In tutti i sensi. Un buco dal quale quelle popolazioni faticano ad uscire perché legate a tradizioni ancestrali condite con un intruglio di magia, religiosità e tradizioni varie; un buco dove si frustano le donne forse per puro predominio maschile e dove queste vittime si beano di ferite sanguinanti e di piaghe virulente che esibiscono con chissà quale orgoglio anche quando diventano orribili cicatrici sulla schiena; un buco dove il giovane maschio è sottoposto a iniziazione col rischio di essere espulso a vita dalla società se non riesce a saltare su un palcoscenico fatto di schiene di tori, anzi di zebù, frastornati da chiassosi balli e schiamazzi tribali; un buco dove le donne per essere più belle si massacrano il labbro per inserirvi un piattello sempre più grande e sempre più pesante. Avevo già visitato l’Etiopia nella regione del Tigray e dello Scioa e ne ero rimasta impressionata profondamente sia per il livello di povertà di quel popolo che cammina e sia per la bellezza delle chiese rupestri e per la maestosità dei picchi montuosi. Ma stavolta a colpirmi è stata l’arretratezza
in termine assoluto. Si dirà: siamo sicuri che il progresso sia la forma migliore del vivere? Forse non lo siamo. Ma constatare che al mercato vendono persino la pietra levigata e il sasso per frantumare i semi per farne farina, beh… la cosa la dice lunga. Credo che non ci voglia molto per costruire un seppur rudimentale macinino. D’altronde se per arare trascinano ancora un bastone di legno per fendere le zolle, significa che siamo ben lontani dal mettere in moto una qualsivoglia inventiva per migliorare lo stato del vivere. Deludenti, secondo me, sono state le guide locali Michelangelo e Andrea, scoordinate e confusionarie nelle rare spiegazioni al gruppo riunito, ma talvolta date a gruppetti estemporanei: chi c’era c’era e gli altri dovevano accontentarsi del passa parola. Soprattutto la prima guida si limitava a dare sfoggio di cultura generale sull’origine delle etnie, ma con gravi lacune nel riferire – o con volontà di mascherare – realtà evidenti che ancora isolano il Paese in un mondo che corre. NOI Ma tralasciamo i miei ragionamenti personalissimi sulla qualità della vita nel sud dell’Etiopia e veniamo a noi 26 del Ctg partiti belli e pimpanti e ritornati impolverati e stremati. Ma felici, almeno per quanto mi riguarda. Sulla schiena ormai a pezzi avevamo chilometri e chilometri, ben 2500, sui fuoristrada in continuo sussulto e “schivanelle” per evitare non solo le voragini lungo il percorso (asfalto con solo tre anni di vita!), ma per non fare stragi di esseri viventi quali greggi, mandrie, uomini e bambini danzanti in mezzo alla strada. Come detto, abbiamo visto davvero cose dell’altro mondo nella nostra grande avventura nella Rift Valley guidati da Anacleto. Una volta giunti in Africa – a parte l’inconveniente del museo di Addis Abeba senza energia elettrica – i più sono partiti subito alla grande con la calata nella bocca di un antico vulcano che forma il lago nero El Sod da cui si estrae il sale. Tutto bene in discesa, ma problemi in salita: se Maria Teresa era emersa dal cratere paonazza, Loredana era simil-cadavere. In una ipotetica gara al femminile la vittoria è stata conquistata da Loretta, tallonata da Bruna. Mentre la scalatrice Clara non si è potuta esprimere: a lei il compito di “scopa”. Tra i maschi non c’è stata storia: i soliti Leonildo, Elio, Lorenzo… dai muscoli di ferro. A parte la parentesi “poverella” al Borana Lodge di Yabelo dove per rifare i
letti – meglio dire giacigli – è bastato che tirassero su le coperte, siamo stati alloggiati abbastanza bene. Indimenticabile è stata la sfarzosa e affascinante Festa del Meskel a Jinka. La cerimonia per noi è stata ancor più coinvolgente dal momento che il nostro super operatore Efrem è stato invitato dalle troupe televisive locali a collaborare con loro e a salire sul palco principale per fare le riprese. Intanto il viaggio nella Valle dell’Omo proseguiva tra popolazioni primitive e abbastanza ostili, che si ammorbidivano e si mettevano in mostra in cambio di una manciata di birr (pochi centesimi di euro). E così si susseguivano molte altre situazioni da zoo che francamente facevano stringere il cuore, o quanto meno riflettere. Eppure tutti noi, con i nostri rimorsi, lì ostinati a scattare le foto e magari a brontolare se qualcuno si metteva entro il nostro mirino. Col passare dei giorni nei 7 fuoristrada della nostra carovana i singoli equipaggi rinsaldavano amicizie e ne creavano di nuove per poi ritrovarsi tutti insieme la sera nei lodge. Ma qui il bello – si fa per dire – era che ognuno stava per proprio conto a smanettare con gli smartphone che però il più delle volte non si connettevano con casa. Non solo i più giovani, a dire il vero di young c’era solo Verena, ma anche i più attempati non tiravano su lo sguardo dal display fino a quando immancabilmente non mancava la corrente. Il bello di questi viaggi impegnativi è che i partecipanti sono un po’ Moschettieri: “tutti per uno e uno per tutti”. Se qualcuno non si sente bene ecco che scendono in campo gli “esperti”. E noi avevamo addirittura tre medici: Enrichetta, Laura ed Emanuele; e due super infermiere: Tiziana e Loredana. Non mancavano i consigli di Edda, il dinamismo di Ines, il sempre presente buon senso di Ivette, le battute pronte di Loris o il sorriso accomodante di Elena. Poi c’erano le professioniste del clic Bianca e Laura. A completare il gruppo numeroso, ma tutto sommato compatto, c’erano i meno “casinisti” Paola, Patrizia, Luisa e Alberto. Insomma nella Rift Valley etiope eravamo davvero una bella comitiva. Maria Zampieri
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