Immagine e supporto 5. Igino Domanin - Led on Line

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5.
Igino Domanin

Immagine e supporto
Per una genealogia del visibile
                                                                     domanin@tiscalinet.it

Il problema di una filosofia dell’immagine si situa nel crocevia tra il concetto e
la sua presentazione sensibile. Se da un lato il pregiudizio logocentrico tende
ad annichililire la presenza visibile e a mortificare l’esperienza sensibile, dal-
l’altro l’affermatività dell’immagine non può soppiantare il discorso e sog-
giogarlo alla propria emotività archetipica.
       Se la crisi del primato del medium alfabetico e la diffusione di nuove tec-
nologie comunicative hanno sancito un prepotente ritorno dell’immagine co-
me veicolo di senso privilegiato, non bisogna trascurare gli effetti ideologici di
questo esito.
       I situazionisti, per esempio, già negli anni Sessanta avevano individuato
nella rappresentazione spettacolare la forma di dominio più sottile, pervasiva e
totalizzante delle società occidentali. L’universo delle immagini e del loro po-
tere di simulacro era penetrato nelle profondità della vita materiale. Al di là
degli equivoci umanistici e della descrizione delle nuove forme di alienazione
della affluent society, le analisi di Debord ponevano il problema di una nuova on-
tologia della rappresentazione.
       In particolare, in molte tendenze della filosofia heideggeriana e franco-
fortese esiste una tendenza iconoclasta, tipica di molta parte della filosofia
contemporanea, che identifica il problema della rappresentazione sensibile e
dell’immagine con l’affermatività nichilistica del soggetto conoscente. In que-
sto quadro, l’esperienza sensibile si qualifica immediatamente come il mero
negativo del concetto o come, più in generale, non sapere. Anche negli atteg-
giamenti antimetafisici c’è il riscontro di questo paradigma. L’immagine, cioè,
possiede un carattere eversivo nei confronti dei codici della significazione e
diviene il luogo d’accoglienza dell’aspetto non-concettuale dell’esperienza. La

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dimensione estetica diventa la proiezione utopica della liberazione dal dominio
della totalità oppure l’alterità irriducibile rispetto alla presa della metafisica del-
l’identità.
      Vorremmo qui suggerire, al contrario, una prospettiva ermeneutica che
focalizzi la propria attenzione sugli aspetti ricettivi della comprensione. Se il
discorso heideggeriano sull’opera d’arte indicava nell’evento veritativo il nu-
cleo essenziale dell’esperienza di comprensione, nello stesso tempo metteva in
ombra il carattere estetico di quel processo di comprensione. Il legame concre-
to tra techne e aisthesis si trova così a essere fondato nel destino del sogget-
tivismo moderno e nello schema epocale dell’oblio dell’essere.

1. IL RITRATTO: UN REGIME DI VISIBILITÀ

Il percorso che qui in breve seguiremo intende al contrario radicalizzare
l’ermeneutica dell’immagine, allo scopo di perseguire una genealogia dell’im-
magine che affonda le proprie radici nel nesso di techne e aisthesis. Per svolgere
alcune considerazioni su questo punto affronteremo la lettura di alcuni passag-
gi di un importante saggio di Jean-Luc Nancy Le regard du portrait 1. Il confron-
to con questo testo potrà aprirci la strada a qualche conclusione teorica.
      In questo piccolo volume il filosofo francese affronta il problema filoso-
fico della ritrattistica pittorica. L’indagine su questa forma di dipinto non si
presenta come un tentativo di filosofia della pittura o dell’immagine. Siamo di
fronte a un movimento chiasmatico rispetto a ogni tentativo di comprensione
concettuale della pittura. Al contrario, o meglio per una sorta di reversibilità
necessaria e immanente, si tratterà di vedere come è la pittura stessa, nel suo
aspetto tecnico-estetico, a determinare e rendere possibile una certa logica di
discorso.
      “Un ritratto – scrive Jean-Luc Nancy – secondo la definizione o la de-
scrizione comuni, è la rappresentazione di una persona per se stessa.” Il filoso-
fo francese sottolinea come quest’espressione codificata sottenda l’idea del
soggetto assoluto. L’immagine di una soggettività assoluta, ovvero sciolta da
ogni legame con l’esteriorità, si fonda sulla possibilità di mettere in opera una sua
raffigurazione sensibile, una sua presentazione concreta sul supporto pittorico.
      D’altra parte, e di quest’assenza bisognerà tenere conto, la determinazio-
——————————
      1 Cfr. J.-L. Nancy, Il ritratto e il suo sguardo (2000), tr. it. di R. Kirchmayr, Raffaello
Cortina, Milano 2002.

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ne dello spazio assoluto nel quale si costituisce questa figura di soggettività
tutta ripiegata al proprio interno, mette da parte l’interrogazione sulla tecnica
che è immanente alla pro-duzione dell’immagine.
      La problematica del ritratto, dunque, si situa all’incrocio tra filosofia e
pittura, poiché è in gioco l’esposizione del soggetto nella sua disvelatezza. Ossia
nella sua nudità, nell’assenza di veli che celino la presentazione della sua figura.
La mossa teorica di Nancy consiste nel mettere in controluce la problematica
hegeliana dell’opera d’arte e del suo rapporto col concetto.
      La filosofia hegeliana indica nell’aver luogo dell’opera la mediazione che
supera e annulla la contraddittorietà dell’esperienza sensibile nell’affermazione
del logos, per cui non ci sarebbe un’estetica trascendentale, bensì una filosofia
dell’arte e della morte dell’arte nella quale la raffigurazione sensibile viene tra-
scesa nella presa concettuale della sua significazione.
      Nel contesto delle Lezioni di estetica di Hegel il ritratto viene assai valoriz-
zato, poiché esso rappresenta nell’arte della pittura il punto medio tra interiori-
tà ed esteriorità 2. Ma il riconoscimento di questa crucialità del ritratto viene
assoggettato a una concezione della mimesis che contrappone l’originale e la
copia. La superficie del dipinto non può che essere l’imitazione di una realtà
esterna. Hegel non può pertanto risolvere il problema della presentazione del
soggetto assoluto nell’immanenza “superficiale” della tela e deve rinviare la
mediazione assoluta tra interno a esterno nella risoluzione concettuale della
contraddizione.
      La filosofia del soggetto non riesce così a cogliere il rapporto a sé che ap-
partiene all’esecuzione del ritratto, ma lo oblia all’interno dello sviluppo della
dialettica dell’in sé e per sé. In questa dialettica, come è noto, non c’è spazio per
la singolarità a sé stante e, con essa, per la presentazione sensibile. In effetti,
l’elemento sensibile può esserci solo come rinvio simbolico all’unità dell’idea.
Ma in questo destino finisce per trovare le ragioni del proprio annullamento. Il
pensiero totalizzante cattura la singolarità, la spoglia del suo patrimonio sensi-
bile, e la sussume all’interno del concetto. La concretezza dell’esperienza sen-
sibile viene deposta e sacrificata in favore della vita dello Spirito.
      La teoria nichilistica dell’arte prende le mosse da qui. Il significato del-
l’esperienza artistica è nel suo concettualizzarsi e privarsi dello spessore sensi-
bile. Anche là dove si tenterà una contrapposizione con questa destinazione
storico-effettuale dell’arte, essa sarà già anticipata dalla programmaticità dialet-
——————————
     2 G.W.F. Hegel, Lezioni di estetica, parte II, sezione III, cap. 1, 2 C, tr. it. di P.
D’Angelo, Laterza, Roma-Bari 2000. Cfr. pure G.W.F. Hegel, Estetica, tr. it. di N. Merker,
Einaudi, Torino 1987, p. 53.

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tica della tesi hegeliana. Il mero rovesciamento sensibile del discorso della
“morte dell’arte”, ogni resurrezione della carne dell’arte si colloca in quella
“negatività” anticipatrice.
      Nancy entra in collisione con il discorso hegeliano, decostruendolo me-
diante la radicalizzazione delle tesi dello stesso Hegel. Cercando di mostrare
come le condizioni di possibilità dello stesso discorso hegeliano dipendono da
un dispositivo mimetico che non è riducibile alla relazione metafisica tra
l’originale e la copia.
      Nel caso del ritratto, allora, ci troviamo nel suo rovescio paradossale.
Non si tratta di annichilire l’esperienza estetica nell’affermatività assoluta della
soggettività. Al contrario, l’esposizione del soggetto non è contenuta nel con-
cetto, bensì nell’esteriorità di un rapporto mimetico. L’interiorità del soggetto
è prodotta in rapporto all’esteriorità del dispositivo mimetico.
      Nancy argomenta come la tradizione pittorica del ritratto si basi sul-
l’organizzazione del quadro attorno a una figura, che risulta essere il fine esclu-
sivo della rappresentazione. Gli storici dell’arte hanno messo in rilievo come
nel ritratto il personaggio non è colto in alcuna azione, e nessuna espressione
può assumere che non sia riconducibile alla persona stessa.
      “Il ritratto – scrive Nancy – fa riferimento soltanto a sé, perché fa riferi-
mento soltanto a sé: per la precisione al sé in quanto altro, sola condizione af-
finché vi sia rapporto” 3. L’aseità del ritratto poggia sul fatto che il sé non è
un’identità rispetto alla quale esiste successivamente il problema di una rap-
presentazione. Ma è già originariamente un rapporto a sé coincidente con la
rappresentazione stessa. Il ritratto, cioè, non rimanda al di là di se stesso, ma
all’immanenza dei propri tratti pittorici. La verità del quadro coincide qui con
la nudità del soggetto che deve essere colta nella singolarità della sua effet-
tuazione sulla tela. Per questo motivo Nancy indica come la soggettività as-
soluta sia costituita dall’evento della sua pittura. La questione del soggetto, del-
la sua evenienza pura e del proprio ego sum, deve essere affrontata a partire dal-
la sua messa in opera dal dispositivo della tela.
      Si tratta, quindi, di dipingere il soggetto dal “di dentro”. Sospendendo
ogni dipendenza da ciò che è “fuori”. In altri termini l’autonomia del ritratto
implica l’interruzione di una relazione: un non-rapporto 4. L’esecuzione della
figura del ritratto (gesto che – come suggeriremo – non può non ricorrere al-
——————————
      3  J.-L. Nancy, op. cit., p. 21.
      4  Su questo punto, sulla problematica del non-rapporto come esperienza del “di fuo-
ri” (dehors) vedi il saggio di M. Foucault, “Il pensiero del di fuori”, in M. Foucault, Scritti let-
terari (1994), a c. di C. Milanese, Feltrinelli, Milano 2004.

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l’implementazione di una techne) deve sottrarre il soggetto a ogni condiziona-
mento o motivazione eteronoma. Ecco, dunque, la dialettica paradossale e de-
costruttiva che è all’opera nel ritratto: l’auto-allo-costituzione della soggettività.
L’interiorità del soggetto si produce in forza di un movimento che trae la figu-
ra dal rapporto che lo vincola a un “fuori”, a un’alterità che lo soverchia e mi-
naccia di annullarlo. L’origine del soggetto si trova pertanto nel rapporto e nel-
la differenza con un’esteriorità rispetto alla quale deve ritrarsi.
       Nancy delinea, perciò, una modalità passiva della costituzione del sogget-
to, che rinvia alla sensibilità piuttosto che all’azione. Il soggetto è disposto da
un’installazione (una mise en place) che è interna alla trama pittorica. Il sup-
porto, la superficie della tela, è la base e il fondamento della soggettività as-
soluta. La sostanza del soggetto assoluto è il suo supporto. Il dispositivo tec-
nico che appartiene all’abilità, quindi, della pittura eccede il soggetto, nel senso
che si colloca in quella soglia che separa e assegna interiorità ed esteriorità. Il
supporto non è indifferente per la soggettività. Non lo è nella misura in cui
l’evento della soggettività non può essere disgiunto dall’orizzonte di una certa
arte, di una certa techne che ne dischiude la presentazione e lo ritrae dall’ab-
braccio mortale con l’alterità.
       Il soggetto assoluto (che si è perciò ritratto dall’esteriorità) è prodotto,
dunque, qui e ora nella esecuzione di una tecnica. Ed è qui il legame con
l’aisthesis, con una sfera sensibile che vincola la produzione del soggetto al-
l’implementazione della techne. In questa ricettività del soggetto, che in questo
caso, per esempio, si lascia dipingere e ritrarre, è sintetizzato l’intrico origina-
rio e costitutivo della carne e delle sue protesi.
       La sensibilità, cioè, non è una proprietà del soggetto, ma è correlata alle
modalità di produzione della soggettività. Il soggetto, cioè, si costituisce ospi-
tando ciò che non può mai assimilare in un’identità. La sostanzialità del sog-
getto è in tal modo un rapporto. Anzi un supporto sul quale s’inscrive il fun-
zionamento di un dispositivo.

2. FILOSOFIA DELL’IMMAGINE COME ERMENEUTICA PERFORMATIVA

In quest’ottica gli aspetti epocali e destinali, enfatizzati da Heidegger nel-
l’interpretazione dell’opera d’arte come messa in opera della verità, possono a loro
volta essere sottoposti a una paradossale decostruzione. Nel trascendimento
della verità, infatti, viene appunto sacrificata la sensibilità. La passività cieca e
senza garanzie, l’esposizione del soggetto agli effetti del proprio supporto, al

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radicamento nell’artificio produttivo della techne, sono aspetti resi caduchi dalle
penetranti analisi heideggeriane.
       Si tratta dunque di una lettura essenzialistica che, al pari di quella hege-
liana, disgiunge la referenza ontologica dalla presenza sensibile.
       Al contrario è possibile un indagine che nella finitudine del medium, cioè
nell’operatività del dispositivo tecnico-artistico, renda possibile una genealogia,
per esempio, dell’immagine e dell’esperienza di pensiero che vi è implicata e
destinata. Il testo di Nancy , infatti, accentua, rispetto al privilegio del momen-
to veritativo, la funzione della messa in opera. La performatività della messa in
opera è il dispositivo di techne e aisthesis che radica l’effetto di verità dell’opera
nella finitudine del medium che supporta la sua espressione.
       Se la performance è appunto ciò che appartiene al dominio dell’evento,
dobbiamo allora anche aggiungere che l’ontologia dell’opera d’arte si fonda
sull’intreccio di evento e ripetizione. Ovvero sulla singolarità dell’evento che fa
sì che l’opera ci sia, cioè pervenga al proprio modo d’essere, solo in virtù di un
esecuzione o di una “messa in opera”. Gadamer ha descritto questo processo
per cui l’opera d’arte si fonda ontologicamente sul rapporto con l’interprete 5.
Il filosofo tedesco, però, sulle orme di Heidegger, per compiere questo passag-
gio teorico in realtà opera deliberatamente un trascendimento della dimensio-
ne estetica. In altri termini, la sensibilità si trova a essere espunta dall’ontologia
dell’opera.
       A nostro avviso, invece, si deve tentare una radicalizzazione della pro-
spettiva ermeneutica che decostruisca l’opposizione che contrappone in tal
modo verità storico-effettuale ed esperienza sensibile. Da un lato
l’ermeneutica di Gadamer, per esempio, coglie assai efficacemente il gioco di
differenza e ripetizione che costituisce la temporalità dell’opera. La singolarità
dell’evento interpretativo, proprio a partire dalla sua irriducibile differenza,
mantiene in essere e, quindi, custodisce l’opera nel suo perdurare. Dall’altro
l’evento ermeneutico, ovvero la performance interpretativa che entra nella co-
stituzione dell’opera stessa, non è un processo svincolato dalla materialità del
medium nel quale si svolge. Gadamer, potremmo dire, ha una concezione lo-
gocentrica dell’“interpretazione”, poiché considera l’evento interpretativo
coincidente con la linguisticità del medium alfabetico.
       Potremmo considerare il testo di Nancy come il paradigma di una rispo-
sta decostruttiva al logocentrismo ermeneutico. A nostro avviso, si tratterebbe
di compiere una radicalizzazione dell’ermeneutica, una ermeneutica del-
——————————
      5 Cfr. H.G. Gadamer, Verità e metodo (1960), tr. it. di G. Vattimo, Bompiani, Milano
1983, pp. 25-207.

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l’ermeneutica, una decostruzione che rinvenga la genealogia dell’opera nel
fondamento del proprio supporto. L’implementazione tecnologica che sup-
porta l’opera è, infatti, veicolo di specifici modi di esperienza sensibile. L’im-
magine, per esempio, è sempre l’effetto di una specifica installazione. Non è
possibile compiere un’ermeneutica dell’immagine prescindendo da un’analisi
del suo modo di produzione. La forma-quadro dell’immagine deve essere
compresa a partire dalla genealogia che ha consentito l’installazione di un cer-
to regime di visibilità.
       Ritorniamo all’ermeneutica del ritratto proposta da Nancy. Nella parte
finale, dopo aver esposto la funzione del ritratto nella costituzione della sog-
gettività, il filosofo francese affronta la questione decisiva di una filosofia della
pittura: lo sguardo. Nancy indica nel “guardare” la peculiarità del ritratto. La
figura è sempre nell’esercizio di uno sguardo. Ma nello stesso tempo questo
sguardo è senz’oggetto. Lo sguardo, perciò, non rinvia all’orizzonte della visi-
bilità, poiché il soggetto è privo d’intenzionalità e, quindi, non vede nulla 6. Per
questo motivo la soggettività in questione nel ritratto – la soggettività assoluta
– non è riconducibile a una fenomenologia delle sintesi passive dell’ego.
       Come accade, per esempio, nel Ritratto di Auguste Pellerin di Matisse gli oc-
chi della figura sono neri come il fondo su cui si staglia. La faccia coincide con
il fondo pittorico, o, meglio, il fondo del supporto costituisce la superficie del
viso. Potremmo dire che, nell’analisi di Nancy, viene mostrato come il sup-
porto o il dispositivo peculiare di una tecnica pittorica produca la soggettività
del dipinto. La macchina di pittura forma il campo di visibilità del proprio
“quadro”. Noi che vediamo il dipinto nello spazio dischiuso dal supporto della
tela e delle materie che vi si sovrappongono, possiamo aprire il nostro sguardo
soltanto entro la finitudine di quel peculiare campo di visibilità storico-effet-
tuale.
       Il ritratto, per esempio, muta il campo di visibilità prodotto dalla tecnica
dell’icona. In quest’ultimo caso la figura è un tramite della presenza divina a
partire dalla sua costituitiva assenza. Il visibile è polarizzato verso una trascen-
denza simbolica, del quale è indice il risalto e l’inattingibilità del fondo. Mentre
nel ritratto è il fondo a risalire, a immanentizzarsi nella figura de-sacralizzata e
laica del soggetto 7.
       Le pratiche di visibilità che sono generate da queste tecniche di rap-
presentazione rinviano a un campo di relazioni storico-effettuali completa-
mente differenti. Noi non vediamo allo stesso modo, poiché i regimi di visibi-
——————————
     6   Vedi J.-L. Nancy, op. cit., pp. 54-55.
     7   Ivi, pp. 41-46.

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lità nei quali funziona l’attività dell’occhio sono variabili. Si potrebbe dire che
un regime di visibilità poggia su determinati concatenamenti ottici. L’occhio è
sempre catturato all’interno di un dispositivo di relazioni, che lo direziona en-
tro certe pratiche dello sguardo. Per cui una storia concettuale della pittura
non può prescindere da una genealogia in grado di descrivere la formazione
dei dispositivi dei concatenamenti ottici. L’iconologia deve integrarsi con la
genealogia.
      L’ermeneutica, quindi, radicalizzandosi in senso genealogico dovrebbe
rapportarsi al medium che è immanente e supporta la propria esperienza di
comprensione. In questa prospettiva il circolo ermeneutico diventa un disposi-
tivo circuitale, in grado di retroagire, in base ai meccanismi riflessivi e mac-
chinici di feedback; sulle condizioni stesse dell’esperienza interpretativa. Anche
sulle forme della sensibilità che sono implicate nella comprensione. Contra-
riamente alla riduzione della sensibilità e della sfera estetica di molta parte del-
l’ermeneutica testualista e culturalista.
      Questa prospettiva, dunque, definisce il processo interpretativo come
un’ermeneutica riflessiva, intendendo con ciò un processo di tipo sistemico,
nel quale l’“interpretazione” è costantemente interpretata e performata.
      La problematica dell’immagine pertanto deve essere analizzata e interpre-
tata rispetto al medium che supporta la dinamica di comprensione e che è im-
plicato nell’ontologia dell’opera d’arte. Ontologia è qui un campo di relazioni
nel quale i vettori tecnici e sensibili sono in un rapporto determinato e costi-
tuivo con il dischiudersi degli ambiti di senso e significazione. La visibilità è,
dunque, l’effettualità di un’implementazione, nel quale è messa in opera
un’installazione dello sguardo che risponde a un insieme di rapporti e di prati-
che determinate.
      L’ermeneutica dell’immagine, quindi, è sempre in una relazione perfor-
mativa con lo sguardo che indaga e comprende, ma che è a sua volta catturato
dalle forme di visibilità che l’immagine stessa è in grado di produrre.
      Come sostiene Jean-Luc Nancy nel caso del ritratto: mentre noi guar-
diamo il quadro, esso ci ri-guarda.

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