IL TRIDUO PASQUALE IN FAMIGLIA - FRATERNITÀ DI EMMAUS - VIVIAMO LA NOSTRA PASQUA!
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Fraternità di Emmaus Il Triduo Pasquale in famiglia Viviamo la nostra Pasqua! A cura di Giovanna Pauciulo
G li ultimi giorni della vita di Gesù hanno un particolare significato perché rappresentano la sintesi e il culmine della sua missione. Per questo motivo la celebrazione del Triduo pasquale deve essere vissuta con la più grande cura in quanto c’immerge in quelle vicen- de che possiamo considerare come centro e cuore dell’unico mistero della salvezza. Dal punto di vista liturgico il Triduo trova la sua conclusione nell’annuncio pasquale ma i gesti e le parole del Risorto orientano lo sguardo alla Pentecoste, vero punto di arrivo di quel lungo itinerario di conversione iniziato il giorno delle Ceneri. Il Triduo pasquale è un’esperienza di fede che coinvolge tutta la comunità ecclesiale attraverso una liturgia particolarmente ricca di segni e di parole. Quest’anno assume ancora più chiara- mente il volto della conversione. Siamo totalmente immersi nella pandemia, smarriti, diso- rientati e frastornati. Siamo titubanti e forse facciamo i conti con la nostra poca fede. In questo contesto come possiamo celebrare la Pasqua? Come possiamo contemplare la risurrezione se siamo atterriti e schiacciati dalla paura di questo nemico invisibile? Come possiamo partecipare con gioia ai divini misteri se abbiamo timore di uscire dalle nostre abitazioni? Negli anni scorsi forse abbiamo vissuto con superficialità il tempo della Quaresima, anche il Triduo apparteneva più ad una certa ritualità consolidata piuttosto che un momento di rinnovata adesione a Gesù, morto e risorto per noi. Oggi, invece, ci riscopriamo maggiormente incerti sul futuro, siamo perciò totalmente in attesa del giorno beato della Risurrezione del Signore auspicando la liberazione da questo nemico invisibile che ci fa stare in ginocchio e piegati sotto il peso della paura! Il Triduo ha una chiara impronta ecclesiale e si svolge essenzialmente attraverso le celebrazioni liturgiche. Anche quest’anno potremo parteciparvi attraverso il mezzo televisivo. E tuttavia, le particolari condizioni del nostro tempo hanno permesso – e quasi costretto – a tener conto anche della sua dimensione domestica. La nostra proposta invita riscoprire e rinnovare l’alleanza coniugale e così prendere coscien- za di quella speciale vocazione che gli sposi hanno ricevuto nel giorno delle nozze, quella di essere sacramento dell’amore di Dio e pilastri della chiesa domestica. Che cosa significa questa definizione? La famiglia cristiana fondata sul sacramento del matrimo- nio diventa una piccola chiesa in cui sono gli sposi stessi i ministri di Dio. Sono essi che orientano e benedicono facendo così della loro casa il luogo dove Dio dimora. In questa dinamica la chiesa domestica vive tre dimensioni ecclesiali: l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza. • Vive l’annuncio quando con docilità si mette in ascolto della Parola di Dio e con autorità la proclama; • vive la celebrazione quando fa della preghiera un appuntamento quotidiano, fa della vita e di ogni evento una lode e un ringraziamento, quando vive e celebra il perdono e la riconciliazione fraterna; • vive la testimonianza quando diventa luogo di comunione, di accoglienza e di carità. Come si può intuire, si tratta di un cammino di autentica santità, un cammino senza dubbio esigente ma anche affascinante. La riflessione che proponiamo in questo opuscolo, cerca di rileggere il Triduo Pasquale alla luce della promessa nuziale e nelle indicazioni dei gesti da vivere con i figli, tenta di dare qualche suggerimento utile per vivere questi giorni santi nella chiesa domestica. -2-
Celebrare la Pasqua del Signore, significa celebrare l’alleanza nuziale, di Cristo sposo con la Chiesa sua sposa, sancita nel sangue della croce. Da ciò ogni relazione sponsale umana trova si- gnificato e giovamento. Per gli sposi cristiani la Pasqua del Signore è una prodigiosa occasione per tornare alle origini dell’amore sponsale, rinnovare l’offerta e gustare i frutti della fecondità. In una parola significa rinnovare il patto nuziale. Viviamo ogni giorno avendo sullo sfondo le parole della promessa: Io N. accolgo te N, come mio sposo/a. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. -3-
Giovedì Santo Io accolgo te come mio sposo/a Il verbo accogliere suppone il verbo donare. Nel matrimonio ciascuno può accogliere l’altro perché ci si dona reciprocamente. È un cerchio ininterrotto di donazione e accoglienza. Così il calice è sempre pieno di amore, vi è una circolarità in cui nulla si perde ma tutto è consegnato. Nel cenacolo, a partire da quell’ultima Cena del Giovedì Santo, Cristo si offre per la sua sposa, la Chiesa, la comunità dei fedeli, l’umanità. Una sposa non sempre fedele e che non sempre lo accoglie. Ma proprio in ragione di questa infedeltà Egli si dà: “Prendete e mangiate… Prendete e bevete…”. Cristo sa di essere rifiutato, tradito, condannato è perciò stesso che il suo donarsi è più autentico e gratuito, senza pretese. Il suo amore sorpassa e supera il rifiuto. L’invito “Fate questo in memoria di me” non solo spiega l’ultima ragione dei suoi gesti ma prolunga nel tempo il valore salvifico di quello che Lui ha compiuto una volta e per sempre. La chiave di lettura coniugale e familiare è il verbo: DONARE. Gli sposi sanno bene quante volte nella quotidianità della vita coniugale e familiare è necessario esercitarsi per divenire dono per l’altro. Nel dono eucaristico del Corpo e Sangue di Cristo, gli sposi ritrovano le ragio- ni dell’essere l’uno dono per l’altro e insieme dono per i figli. Il darsi di Cristo nell’ultima Cena è modello e via per il reciproco donarsi degli sposi e divenire perciò testimoni ed educatori nel contesto familiare. La sfida della diversità “Nella promessa l’io e il tu sono collegati dal verbo accogliere: “Io accolgo te”. Accogliere vuol dire: fare spazio, dare ospitalità, accettare l’altro; cogliere, cioè saper prendere i frutti che l’altro porta con sé; leggere [nel suo senso etimologico vuol dire cogliere con gli occhi] quello che l’altro porta nel cuore; raccogliere che letteralmente significa accogliere nuovamente, gettare sempre la rete, perché nulla vada perduto. L’io e il tu sono e rimangono distinti e a volte anche distanti, solo l’accoglienza li avvicina e li unisce in un’unica storia. L’espressione liturgica “come mio sposo” precisa la forma che assume il legame nuziale. Non ti accolgo come un prezioso collaboratore, una persona con cui condividere le cose più importanti della vita. E neppure come un amico, un confidente, una persona con la quale posso aprirmi e dire tutto quello che penso. Ti accolgo come sposo: questo vocabolo viene dal latino spondeo (participio: sponsus) che significa prometto. Lo sposo è dunque colui che ha promesso. Essere sposi vuol dire dunque essere legati ad un’altra persona”. (Tratto da Silvio Longobardi, Con la grazia di Cristo prometto… , Editrice Punto Famiglia, 2020). Impegno da vivere nella chiesa domestica • È bene che nel pomeriggio del Giovedì Santo, la sala da pranzo (soggiorno) sia preparato come se si dovesse consumare la cena. Si metterà la tovaglia da tavola migliore, dei fiori, -4-
la Sacra Bibbia aperta sul brano evangelico dell’Ultima Cena, e certamente non devono mancare i segni del pane spezzato, una brocca di vino e i bicchieri, un catino con l’acqua e un grembiule con asciugatoio. Questa preparazione può avvenire anche con i bambini più piccoli in modo da spiegare loro i vari segni, usando la lettura del Vangelo. • La sera gli sposi si ritrovano intorno alla mensa preparata con i figli e ciascuno si impe- gna sull’esempio di Cristo a: • a farsi dono e creare le condizioni per essere accolti dagli altri membri della famiglia (coniuge, figli); • ad accogliere il dono che l’altro fa di sé, che è diverso dall’accogliere l’altro come voglio io, o come intendo io il dono, è l’invito a rispettare la modalità del dono dell’altro, senza pretese; • a per-donare, essere pronto a restituire all’altro la sua dignità battesimale, pronto a ricucire ogni strappo, risanare ogni ferita, asciugare ogni lacrima procurata all’altro. Ciascuno che proclama il suo impegno davanti agli altri prende l’asciugatoio e lo passa a chi gli è seduto accanto. • Questo momento viene sigillato la condivisione del pane e un piccolo sorso di vino (anche per i più piccoli) e con lo scambio della pace. Ciascuno può arricchire questo momento con un canto, una musica che i bambini possono suonare e cantare. -5-
Venerdì Santo Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Cristo è imprigionato, deriso, schiaffeggiato, processato, crocifisso. È l’epilogo del tradimento di Giuda. Ma anche l’esito della deliberata decisione di Cristo di consegnarsi come agnello immolato. Questa offerta non è indolore. Cristo sperimenta la solitudine e trova il silenzio del Padre e dello Spirito: “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato”. Non poteva essere al- trimenti! Il Padre tace o almeno non interviene perché il dono del Figlio sia totale ed integro. Sulla croce, Cristo è l’immagine di un uomo abbandonato da Dio e che perciò può incontrare solo la morte. Ma è proprio il sacrificio di morte, morte d’amore che Cristo vuole lasciare alla sua amata sposa. La chiave di lettura coniugale e familiare è il verbo: OFFRIRSI. L’amore ci interpella, ci met- te in gioco, ci chiede di uscire dal comodo anonimato per assumere le nostre responsabilità. L’amore è perciò impegno, lotta, fatica, sofferenza, condivisione, patto. Quante volte durante la quotidianità coniugale e familiare si sperimenta la solitudine dell’abbandono, l’incompren- sione, l’infedeltà, la mancanza di una intimità. La tenerezza, il dialogo, la comprensione, la fedeltà, la condivisione spesso si esigono ma non si offrono. È l’amore che conduce Cristo in croce. Il crocifisso è l’emblema della forza e della follia dell’amore. L’amore ci dà la forza di raccogliere la sfida del dolore, l’angoscia e i mille perché che ogni giorno innalziamo verso il cielo. Il dolore cioè alimenta e accresce l’amore. E l’amore, se è autentico, si mostra sempre più forte del dolore. Ogni giorno nel contesto domestico i coniugi e la famiglia tutta imparano così a ricevere e accogliere grazia su grazia per vivere il quotidiano incarnato fatto di gioie e dolori, di salute e di malattia. Il garante della fedeltà “È Cristo il garante della fedeltà. Se gli sposi rimangono uniti a Lui hanno la certezza di cu- stodire il dono dell’amore: “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto” (Gv 15,5). L’amore coniugale è dunque appeso alla grazia, la sua fecondità dipende da molti fattori ma, nella prospettiva di fede, il primo e indispensabile pilastro è l’unità con Gesù Cristo. Gli sposi non inseguono un sogno ma seguono una Persona, si lasciano guidare dalla Parola del Vangelo, s’impegnano a camminare sulle orme di Cristo. La promessa è per sua natura un patto che l’uomo fa con se stesso, con il prossimo e con Dio. Alcuni vedono o vivono la fedeltà coniugale come una gabbia che imprigiona la libertà, come una scelta che soffoca i sentimenti e le emozioni. La vera promessa invece è liberante perché scioglie l’uomo dalle catene invisibili che lo tengono legato a se stesso, alla logica degli umori e alla tirannia delle emozioni. Il patto coniugale richiede e suppone un continuo -6-
uscire da se stessi. Non si tratta di rinunciare alle proprie ragioni ma di imparare a non asso- lutizzarle. Ed è proprio questo l’impegno più faticoso”. (Tratto da Silvio Longobardi, Con la grazia di Cristo prometto… , Editrice Punto Famiglia, 2020). Impegno da vivere nella chiesa domestica • Il pomeriggio del Venerdì Santo si provvederà a realizzare in casa il Golgota. Intanto tutti i crocifissi che sono in casa fin dal mattino vengono coperti con un panno (in queste azioni è sempre bene farsi accompagnare dai bambini, soprattutto i più piccoli molto sensibili ai gesti). E poi si sceglie il crocifisso più grande che è in casa e lo si pone al centro del tavolo, dove la sera prima la famiglia si è ritrovata. Questa volta il tavolo sarà coperto con un panno rosso. • La sera del Venerdì Santo gli sposi si ritrovano con i figli in casa anzitutto per scoprire i crocifissi coperti e per ritrovarsi di nuovo intorno a quella mensa che stavolta è traboc- cante dell’offerta dello sposo. Ciascuno si impegna sull’esempio di Cristo: • a riconoscere davanti agli altri le proprie debolezze e perciò a comunicare il bisogno dell’affetto dell’altro/degli altri; • a tenere vivo quel sì iniziale dell’amore coniugale e perciò spezzare la solitu- dine e aprirsi alla comunione, anche quando non si ha voglia; verificare perciò la qualità dell’amore familiare (famiglia aperta alla preghiera, alle necessità dei fratelli); • a rinnovare la fiducia nella vita e fugare ogni paura della morte e prepararsi ad affrontare il dolore che inevitabilmente incontriamo sul nostro cammino. • Ciascuno dopo che si è assunto il suo impegno davanti agli altri bacia il crocifisso (è bene farlo fare anche ai più piccoli, chiedendo loro un piccolo impegno a loro compren- sibile e realizzabile). Questo momento viene sigillato poi con lo scambio di un bacio tra gli sposi e tra genitori e figli in riscatto del bacio di Giuda. -7-
Sabato Santo Per amarti e onorarti E Gesù emesso un alto grido spirò (Mt 27,50). Lo Spirito di Cristo effuso sull’umanità non può fare altro che ritornare a Cristo e perciò condurre con sé la sua Sposa. Ecco allora che dentro l’evento drammatico della morte in croce prende forma l’alleanza. Dopo il grido disperato e sofferente di Cristo, c’è il silenzio. Il grande silenzio della morte, ma il silenzio non è vuoto, è la condizione necessaria per permettere al Dio trino di operare. Ecco il Sabato Santo. L’attesa della resurrezione si riempie del desiderio di poter affermare la vittoria sulla morte. Cristo muo- re per la sua Chiesa. Nel suo darsi a lei, Cristo in realtà la plasma in sposa, bella e degna. Egli si svuota fino a fare uscire il suo Spirito d’amore, Spirito che infonde ed effonde nel cuore della sua Sposa sicché essa può così riamare il suo Sposo con lo stesso Amore. La chiave di lettura coniugale e familiare è il verbo: GENERARE. L’amore, che nella sua ebbrezza conduce l’uno all’altra racchiude in sé il dolore del distacco da sé. Amare significa morire a se stessi per accogliere l’altro ed insieme consegnarsi ai figli (la paternità). L’abbraccio coniugale si innalza su gli altri possibili gesti affettivi e allora gli sposi sperimentano la fecon- dità di coppia che dà vita ad una coppia nuova, al figlio e ai figli della provvidenza. Così pur sperimentando nella quotidianità il fallimento dell’amore, non riusciamo a sopprimere il desi- derio di poter affermare la vittoria dell’amore sulla morte, come cantiamo nell’inno pasquale: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa”. Il comandamento dell’amore “Scriveva Rainer Maria Rilke: “L’amore è un’occasione per maturare, per diventare in se stessi un mondo per la persona amata” È una verità semplice e in apparenza fin troppo scontata. Ed è invece quella che più facilmente viene accantonata: l’amore è una sfida da accogliere ogni giorno, ed è una sfida molto impegnativa perché coinvolge tutta la persona in ogni suo aspetto. L’amore non è quel sentimento che cambia magicamente la vita. È solo una premessa di un’opera tutta da fare. La liturgia nuziale è il primo passo di una storia tutta da costruire. Con pazienza e tanta fatica. Onorare sembra una parola d’altri tempi, oggi è ben poco usato, soprattutto in relazione al legame coniugale. Eppure, a leggere in profondità, contiene delle sfumature importanti per dare all’amore una forma concreta. Onorare vuol dire anzitutto riconoscere nel coniuge l’immagine di Dio, amare il Creatore attraverso la creatura e considerare lo sposo come un canale di grazia. Onorare significa avere stima del proprio coniuge, riconoscere il suo valore e le sue capacità. Onorare vuol dire, infine, riconoscere e rispettare la dignità del coniuge e -8-
impegnarsi perché possa realizzare le sue capacità”. (Tratto da Silvio Longobardi, Con la gra- zia di Cristo prometto… , Editrice Punto Famiglia, 2020). Impegno da vivere nella chiesa domestica Durante la giornata del Sabato Santo il tavolo, intorno a cui si sono svolti i riti di giovedì e venerdì viene reso spoglio, nudo. Sul tavolo solo candele spente. Una per ogni membro della famiglia. La famiglia custodisce il silenzio e alimenta la speranza che Cristo, luce del mondo risorga. I rumori di casa sono ridotti (si spegne e si copre la televisione, la radio, …), lo scam- bio verbale è essenzializzato, i pasti frugali, anche il modo di giocare dei bambini deve essere organizzato perché scelgano una modalità sommessa, in modo che anch’essi comprendano che è un giorno di sospensione tra la vita e morte, ma soprattutto di attesa della pienezza. Nel contesto dell’unità familiare ciascuno si concede uno spazio e un tempo di solitudine e preghiera personale per rielaborare esperienze drammatiche, di litigio, di chiusura e perciò progettare nuove vie di riconciliazione. Nel momento di preghiera del Sabato sera gli sposi si ritrovano con i figli, intono a quel tavolo per consegnarsi i propositi: • compiere gesti che esprimano una ritrovata unità, più matura, che non chiude né si chiude, ma si apre all’Altro, come anima e alito di vita; • di purificare ogni giorno i gesti di affetto e tenerezza reciproci e di vivere la procreazione responsabile, la castità coniugale; • di amare in silenzio, restare accanto nonostante tutto, saper attendere, non fuggire di fronte alle prove di fronte alla mancanza di assunzione delle proprie responsabilità. Questo momento viene sigillato con lo scambio delle candele che saranno accese durante la recita del Rosario. Insieme a Maria vogliamo attendere l’alba della resurrezione. -9-
Pasqua di Resurrezione Tutti i giorni della mia vita È Pasqua. La notte oscura ha lasciato il posto all’alba della resurrezione. Dio ha mantenuto le sue promesse. Non ci ha lasciato da soli. Cristo è risorto! Alleluia! Ora abbiamo la certezza dell’amore invincibile di Dio sgorgato dall’attraversamento dell’abisso infernale. Quello stesso amore che è riversato e sperimentato nella sacramentalità del matrimonio. Nella mattina di Pa- squa gli sposi sperimentano tangibilmente la dissomiglianza da Cristo, la loro inadeguatezza, perché il loro patto nuziale pur essendo mistero non è mai il grande Mistero, ma se essi vivono la grazia sacramentale del matrimonio essi sono riflesso vivo, vera immagine, storica incarna- zione del patto Cristo/Chiesa. Vivere il per sempre “Tutti i giorni vuol dire “ogni giorno”: non interessa contare i giorni, anche perché non cono- sciamo la somma; quello che conta è far entrare l’amore in ogni angolo dell’esistenza. Non possiamo fare calcoli, siamo invece impegnati a vivere ogni giorno nella luce dell’amore. Tutti i giorni, anche quelli in cui il vento non soffia e tutto appare vuoto e insignificante. La vicenda umana, tanto più quella di una famiglia, non è sempre fasciata di eventi straordinari, spesso deve fare i conti con la grigia e monotona fatica di impegni sempre uguali ma è proprio que- sta la sfida più bella ed esaltante del per sempre. Nel Rito del matrimonio non mancano ovviamente i riferimenti a quella pienezza che gli spo- si potranno gustare solo al termine della vita, una delle preghiere di benedizione si conclude in questo modo: “Custodiscano nel cuore una profonda nostalgia di te fino al giorno in cui potranno, con i loro cari, lodare in eterno il tuo amore”. E tuttavia, la formula liturgica che sigilla il patto nuziale invita a fare dell’amore la veste dei giorni feriali, la luce che rischiara la fatica quotidiana. In fondo è questa la sfida: manifestare nell’oggi della storia la presenza amorevole di quel Dio che ha creato tutto per amore e conduce tutti all’eterna gioia”. (Tratto da Silvio Longobardi, Con la grazia di Cristo prometto… , Editrice Punto Famiglia, 2020). Impegno da vivere nella chiesa domestica Il giorno di Pasqua gli sposi alla presenza dei figli rinnovano la promessa nuziale con la for- mula propria del giorno del matrimonio. Ora questo rinnovo è vissuto con maggiore senso di responsabilità, le parole pronunciate pesano di più. La Pasqua azzera il tempo e ci riporta alla freschezza dei primi giorni, ma con la sapienza dei saggi che nel tempo hanno imparato a cono- scere il vino buono anche se raccolto in otri vecchi. Si è soli, ma non più così soli. Non importa se visibile o invisibile, con la Pasqua gli sposi rinnovano la loro comunione e diventano più forti e rinnovati. - 10 -
Prima del pranzo e della benedizione della mensa, possiamo recitare insieme questa preghiera: Padre Santo, noi ti lodiamo come famiglia perché ci hai condotti con te attraverso questo tempo santo a celebrare la Pasqua del tuo Figlio Gesù, nostro Maestro e nostro Redentore. Ti ringraziamo perché rinnovi l’alleanza con noi e non ci lasci soli in questo tempo di prova e di difficoltà. Oggi rivolgiamo fiduciosi gli occhi al cielo e siamo certi un giorno di poter sedere a mensa con te per cantare per sempre il nostro inno di gioia e di amore senza fine. Amen. Editrice Punto Famiglia www.famiglia.store Foto: p. 4: Ugolino da Siena, The Last Supper, Metropolitan Museum of Art - New York; p. 6: Pietro Lorenzetti, The Crucifixion, The Metropolitan Museum of Art; p. 8: Juan Rodríguez Juárez, Entombment of Christ, The Metropolitan Museum of Art; p. 1, 10: Perugino, The Resurrection, The Metropolitan Museum of Art. - 11 -
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