Il sentimento della famiglia ne I Promessi Sposi

Pagina creata da Letizia Fiore
 
CONTINUA A LEGGERE
Cristanziano Serricchio

             Il sentimento della famiglia ne I Promessi Sposi
                             di Cristanziano Serricchio

       Uno dei temi più suggestivi e illuminanti de I Promessi Sposi, degno di me-
ditazione in tempi come i nostri, è certamente quello della famiglia, non solo per i
molteplici richiami di ordine estetico ed ideologico, ma anche etico e religioso, mi-
nacciata com’è da certo relativismo culturale dilagante in una società, specie quella
occidentale, impoverita di valori e incerta nelle sue tensioni e intenzioni.
       La sacralità e centralità della famiglia fondata sul matrimonio costituisce il
motivo centrale e il fine conclusivo di tutta la narrazione manzoniana, ossia la con-
dizione persuasiva ed efficace per rappresentare sul piano poetico e sociale la varia
e composita realtà umana e additare, specie alle nuove generazioni, la speranza ri-
generatrice che deriva dalla condizione di una famiglia unitaria, meno sola e fragile,
integra nella concezione cristiana della vita.
       Per Alessandro Manzoni il sentimento della famiglia è il modo stesso di con-
cepire la vita con le sue miserie e le sue passioni, con le fuggevoli gioie e i dolori,
costantemente presente in ogni pagina. Non v’è personaggio, o episodio che non
riconduca, in un modo o nell’altro, a considerare questo elementare e insopprimi-
bile valore della vita, sia quando, ad esempio, la supremazia della famiglia è così
pressante da coartare e annullare la personalità di Gertrude, sia quando il ricordo
di essa è del tutto spento, come nel cuore inaridito della vecchiaccia nel castello
dell’Innominato.
       Sono esempi estremi, che congiuntamente ad altri tipi e modelli di fami-
glia, rappresentati nel concreto spettacolo del romanzo, offrono la misura della
capacità inventiva e di penetrazione psicologica dello scrittore nella intima realtà
individuale e sociale, e costituiscono il fertile humus poetico, in cui è possibile co-
gliere nella sua dimensione cristiana la natura etico- religiosa del meditare e sentire
manzoniano.
       Il poeta, che fu schivo dal parlare di sé, dei propri sentimenti e delle proprie
passioni, e geloso custode della propria intimità familiare, si rivela, tanto nella li-
rica (basti pensare a Ermengarda) quanto nella prosa (e molti possono essere gli
esempi), un profondo e sottile indagatore del cuore umano e sapiente conoscitore
dei problemi e bisogni, delle ansie e speranze tanto dei grandi quanto degli umili
protagonisti della sua cantafavola, destinata ad aprire la grande fioritura del ro-
manzo europeo.

                                         113
Il sentimento della famiglia ne I promessi Sposi

       Indubbiamente il lievito della sua invenzione poetica, che gli permette di dar
vita a una folla di personaggi, così vari e diversi tra loro da rappresentare la coralità
delle tensioni e sofferenze umane, Manzoni lo trova nella sua esperienza di uomo
e di padre di numerosa famiglia, avvinto dal fascino della madre e dall’amore per
la moglie, e provato dal dolore per i numerosi lutti. Giulia ed Enrichetta restano i
modelli femminili, dai quali nascono i personaggi più delicati della sua poesia, fra
cui Ermengarda e Lucia.
       Né si può trascurare la suggestione del rapporto familiare Alessandro-Giu-
lia-Enrichetta, che richiama, sia pure su altro piano, l’altro rapporto Renzo Agnese
e Lucia. Egli era andato corroborando la forza del suo sentire non solo nella quoti-
diana esperienza di vita domestica, ma anche alla luce della sua meditazione etico-
religiosa, che lo porta dalla dimensione illuministica a quella cristiana e cattolica,
per cui il dramma umano è sentito attraverso le pene della vita, e la soluzione è
offerta dalla fiducia in Dio e dall’intervento costante della Provvidenza.
       Il modello di famiglia delineato nel romanzo da Manzoni, in rapporto a que-
sta visione della vita, è quello che, attraverso ostacoli e difficoltà di ogni sorta,
alla fine riusciranno a realizzare i due giovani promessi sposi. Ma quale diffici-
le cammino dovranno percorrere, quali e quante traversie, riservate a ciascuno di
essi, dovranno affrontare e superare: Lucia col sentimento pudico e potente del
suo amore, che le accende il volto di improvvisi rossori, e con la dolcezza del suo
carattere mite illuminato da una sconfinata fiducia nella Provvidenza; e Renzo con
la furia lieta dei suoi vent’anni, instancabile pellegrino in un mondo di soprusi e di
miserie, sorretto sempre da una indomabile forza fisica e morale, e deciso a tutti i
costi a far sua la semplice contadinotta brianzola che ama.
       È una famiglia che nasce dalle sofferenze e privazioni e che si andrà forman-
do attraverso i patimenti e le persecuzioni. Lucia è sola con la madre vedova e dalla
sua educazione attinge, con la purezza dei costumi e la fede cristiana, la semplice
genuinità del suo comportamento. Anche Renzo, privo di genitori, è solo nella lot-
ta per vincere, da buon montanaro, ostacoli e pericoli sempre nuovi. In Lucia vede
la compagna che riempirà di amore e di conforto la sua solitudine e sarà la madre
dei suoi figli, e in Agnese ritrova, con la saggezza e l’innata bontà della popolana,
le dolcezze materne da lungo tempo perdute. Per questo già si considera parte in-
tegrante della famiglia e chiama Agnese madre e ne segue fiducioso i consigli, come
quello di ricorrere all’Azzeccagarbugli o quello del matrimonio per sorpresa, per-
ché sa che quei pareri spregiudicati non hanno altro fine che il loro bene, e perché
egli sente di essere riamato da lei con puro amore materno. Qui il sentimento della
famiglia è tutto fondato sull’amore, sulla sanità dei principi morali e religiosi, cui si
ispira la loro esistenza e sulla dedizione di ciascun membro agli altri.
       Agnese, che ricorda le buone vedove onorate del Vangelo, è orgogliosa di
essere madre di Lucia, e felice di poter avere Renzo per genero. Se le tribolazioni di
questi tre umili popolani si concluderanno, dopo tante vicissitudini, con la morte

                                            114
Cristanziano Serricchio

di don Rodrigo durante la peste e col sospirato matrimonio, celebrato dal non più
pavido don Abbondio, ad accoglierli non sarà più la vecchia casetta piena di tristi
ricordi, ma la nuova casa nel nuovo paese di adozione.
        Nel doloroso distacco dai propri monti è il malinconico addio ad un passato
non certamente felice, e il segno di una maturità conseguita con la lotta e le priva-
zioni, temprati dal dolore, ma sorretti dall’amore vicendevole, che cementa la loro
unità, e dalla speranza fidente in un avvenire non lontano di pace. In Renzo e Lucia
il sentimento della famiglia diventa sentimento dell’amore, in cui quello umano,
anche se tenuto a freno, non è soffocato ma esaltato da quello divino.
        Di ben altra natura e ispirata a ben diversi principi è la famiglia di Gertru-
de, su cui grava, secondo la giusta osservazione di Mario Sansone, un’ «atmosfera
pesante e oppressiva». Accanto alla ingenua purezza di Lucia, Gertrude acquista
un rilievo più intensamente fosco e drammatico. Il suo sguardo penetrante, le sue
ambigue parole rivelano subito il male interiore che la tormenta, ma anche il tenue
lume di una speranza di poter trarre un qualche bene dal bene che si accinge a fare
a quella creatura così fiduciosa in lei ma anche tanto diversa.
        Gertrude è la vittima ignara e indifesa del più errato concetto di famiglia,
espresso da una società impostata su leggi assurde e ingiuste. La polemica di Man-
zoni contro le storture giuridico-sociali più moralmente inique del Seicento si
appunta anche contro il formalismo diffuso nell’educazione, condannato persino
dagli oratori sacri dell’epoca come Jacques Benigne Bossuet e Jean-Baptiste Mas-
sillon. Il principe, cui il poeta nega il nome di padre, perché, tutto preso dal falso
splendore del proprio casato, si fa disumano carnefice della figlia, è anch’esso vit-
tima di una falsa concezione secentesca dell’onore e della dignità della famiglia e
delle condizioni sociali e politiche del tempo.
        Nell’apparente splendore che lo circonda, tra lo sfarzo dei saloni, proprio
quando con la sua autorità domina incontrastato sulla povera Gertrude come sul-
la principessa e sul principino, oltre che sugli altri figli cadetti, sui familiari e sulla
servitù, egli è tremendamente solo, privato degli affetti più elementari, rispettato e
temuto da tutti, ma non amato da alcuno, né dalla figlia Gertrude che ha terrore al
solo «rumore dei passi di lui», né dal figlio primogenito, al quale tutti gli altri sono
stati sacrificati, perché destinato, come scrive Manzoni, «a conservar la famiglia, a
procrearr cioè dei figliuoli, per tormentarsi a tormentarli nella stessa maniera».
        Triste eredità che annienta in lui, col retaggio del casato e della ricchezza,
ogni sentimento di libertà e di amore. La solitudine smembra questa famiglia, e
la lontananza distrugge gli affetti più cari. I figli cadetti sono tutti allontanati e
rinchiusi in collegio. Il solo educato in famiglia è il principino. Anche Gertrude
ancora fanciullina è relegata in convento, tra bambole vestite da suora e santini,
senza poter così mai acquistare confidenza con la madre, né questa con lei. Quan-
do pensava alla famiglia «il pensiero se ne arretrava spaventato». «Il solo castello
nel quale Gertrude», annota Manzoni, «potesse immaginare un rifugio tranquillo e

                                           115
Il sentimento della famiglia ne I promessi Sposi

onorevole [...] era il monastero». Quando vi entra per sempre, Gertrude, assetata di
affetto paterno e familiare e di amore, si ritrova tutto ad un tratto inaridita, frustra-
ta, condannata suo malgrado ad una vita di rinunce non desiderata, senza neppure
il conforto di un sia pur tenue barlume di fede, che la famiglia, nella sua ipocrita
congiura, aveva del tutto spento in lei.
        Quando Manzoni va alla ricerca, come in questo caso, di una definizione più
approfondita della condizione umana, attraverso una continua verifica della realtà
sociale, è portato a registrare nell’aristocrazia della nascita, anche lui nobile, spesso
la presenza riprovevole del falso orgoglio di casta, congiunto al freddo calcolo, al
puntiglio licenzioso e a un sentimento snaturato della famiglia. La legge si basa
sulla violenza, il potere sulla negazione dei diritti altrui.
         Basti pensare a don Rodrigo, al conte Attilio, a Egidio, all’Innominato pri-
ma della conversione, a questa specie umana, guasta dalla falsa formazione familia-
re e dalle male abitudini della loro posizione sociale. Sono personaggi senza luce di
coscienza sui quali grava un senso falso della dignità familiare.
        Fra tutti questi personaggi d’autorità, l’Innominato e il cardinale Carlo Bor-
romeo costituiscono la mirabile coppia in cui Manzoni scolpisce con potenza mi-
chelangiolesca e forza poetica l’ideale superiore di purezza e di perfezione evangelica
cui può pervenire l’animo umano, sia attraverso il tormento del travaglio interiore,
sia mediante una vita d’abnegazione e d’umiltà, che scorra limpida come ruscello. Si
può pertanto notare che fra Manzoni e i potenti come fra Manzoni e gli umili non c’è
distacco sentimentale, perché gli uni e gli altri, al di là del rapporto sociale che spesso
li unisce anche quando li contrappone fra loro, sono visti, contrariamente a quanto
afferma Antonio Gramsci, nella loro più schietta interiorità, secondo la natura e la
gradazione di responsabilità morale e umana di ciascuno, per cui ogni creatura è rap-
presentata anche artisticamente sempre sub specie aeternitatis, destinata per questo a
risolversi dal piano individuale a quello del trascendente.
        Manzoni ha un senso profondo ed evangelico della verità umana, perché egli
sa guardare con sentita penetrazione psicologica e con bonomia, prima che i perso-
naggi, gli uomini stessi ai quali si ispira. Gli individui, soli con se stessi, i gruppi o le
folle che animano le grandi scene di massa del romanzo, nelle vicissitudini durante
il forzato viaggio dei promessi sposi, diventano occasione per cogliere e rappresen-
tare la verità dolente delle cose, particolare e universale al tempo stesso.
        Non vi è, è vero, polemica sociale, c’è però l’impegno del poeta a esplorare in
tutti i sensi la condizione drammatica degli uomini, a tutti i livelli, potenti o umili,
oppressori o oppressi, accomunati dalla stessa ansia di vivere, tormentati dal male
stesso di vivere, per cui non vi può essere speranza alcuna di bene senza la fiducia
in Dio e nell’opera della Provvidenza.
        I vari accenni a condizioni e a episodi di vita famigliare, come quella di Lu-
cia, o del sarto del villaggio, esempio di una felice vita cristiana, ma altri possono
essere gli esempi, danno la misura della capacità di Manzoni di penetrare nel «guaz-

                                             116
Cristanziano Serricchio

zabuglio del cuore umano» per rappresentarne i sentimenti più vivi e sofferti. La
madre, che depone sul carro dei monatti Cecilia la figliola morta, è la glorificazione
più altamente poetica del sentimento materno, della pietà di una madre dinanzi
alla propria creatura morta, il simbolo stesso del dolore che richiama alla mente
l’immagine evangelica della Madonna e del Cristo morto, celebrata nel canto ia-
coponiano dello Stabat Mater, e scolpita più incisivamente nella stupenda Pietà
da Michelangelo, anch’essa colta nell’intimità di un sentimento pacato e fermo di
dolore e di amore filiale. È la pietà del dolore cristiano e universale, rassegnato e
fiducioso, velato di tristezza ma aperto alla speranza.
       Infine, padre Cristoforo che scioglie Lucia dal voto, nelle ultime parole che
pronuncia, raccomanda: «Se Dio vi concede figliuoli, abbiate in mira d’allevarli per
Lui, d’istillar loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini, e allora li guiderete bene in
tutto il resto». Qui l’immagine sacra della famiglia si completa nel legame spirituale
più sentito a tenerla unita. Il quadro conclusivo, che sembra assumere il tono di una
semplice cronaca famigliare, ha una pacata ma incantata validità artistica. «Prima che
finisse l’anno del matrimonio venne alla luce una bella creatura, e fu [...] una bambi-
na. Ne venner o col tempo non so quant’altri [...] E furon tutti ben inclinati».
       Quanta poesia in tale scorcio di vita famigliare con la presenza serena di
Lucia, Renzo, Agnese. Il vecchio Alessandro, rileggendo il brano e forse ripen-
sando alla sua famiglia, deve aver gioito nella «tentazione di stare un po’, ancora,
in compagnia dei suoi burattini». In questo ritratto di famiglia felice egli si ritrova
con tutte le debolezze e speranze degli uomini additando in cuor suo, proprio
nella sacralità della famiglia, vivissimo esempio per tutti, il bene supremo concesso
all’intera umanità sofferente.
       Tornare pertanto a rileggere il romanzo de I Promessi Sposi, oggi, in una
società tormentata da aspirazioni materialistiche, può essere una buona occasione
per verificare la validità e attualità del suo messaggio poetico. La critica, del resto, a
tal proposito e in rapporto a idee e valori affettivi nel mondo manzoniano, è andata
intensificando la ricerca rivelando spesso le perplessità di valutazione soprattutto
nella definizione del rapporto fra il dato ideologico e quello inventivo che costitui-
sce la struttura sostanziale del capolavoro manzoniano.
       Prescindendo da certe forzature critiche, non sempre di natura filologica e
artistica, il ritratto che finora si è tentato di comporre di Manzoni scaturisce dalla
penetrazione, oltre il semplice dato biografico, degli aspetti della vita interiore del-
lo scrittore in rapporto alla ricca problematica filosofica, etico-religiosa e politico-
sociale del suo tempo. Così il giudizio di Manzoni diventa anche il giudizio sulla
funzione dello scrittore e dell’intellettuale in una società caratterizzata da tensioni
di natura illuministica e rivoluzionaria da un lato e da tendenze moderate e con-
servatrici dall’altro.
       Nella coralità non sempre concorde di queste voci resta pur sempre valido e
illuminante l’incontro con la pagina manzoniana, l’unico modo possibile per per-

                                           117
Il sentimento della famiglia ne I promessi Sposi

venire ad un rapporto più vivo e reale col mondo del poeta e della società, in cui
egli si inserisce operativamente e responsabilmente, proprio in quel famoso decen-
nio 1815-1825, tormentato dal crollo delle istituzioni tradizionali e da condizioni
di incertezza socio-politica e linguistica.
        Il programma di Manzoni, sorretto da una profonda e sofferta esperienza
religiosa e da una lucida meditazione ideologica, appare così rivolto a formare
intellettualmente e moralmente la coscienza e l’intelligenza degli italiani, adom-
brata, argutamente, nei suoi venticinque lettori, in un periodo particolarmente
delicato della situazione del nostro paese. Di qui nasce l’eccezionale impegno di
Manzoni nell’opera di rinnovamento della nostra cultura, di ricerca della verità
umana e di chiarificazione e affermazione dei valori etici e religiosi, civili e sociali
della vita.
        Se da una parte egli mirò, secondo Lanfranco Caretti, «a demistificare l’hi-
storia ufficiale», condannando la violenza e il sopruso, la viltà e la rinuncia, la cor-
ruzione e l’ignoranza, nella difesa cristiana della dignità e della libertà degli uomini,
dall’altra tentò di svelare e interpretare la realtà attraverso una continua verifica
della storia, i cui protagonisti sono anche gli umili, depositari ingenui, ma pur au-
tentici, dei valori di vita insegnati dal Vangelo. La poetica giovanile dell’ eletto sen-
tire, ricca di fermenti morali e ispirata a principi di comprensione e di solidarietà
umana, continua ad essere ne I Promessi Sposi il suo modo di sentire la realtà, colta
nei vari aspetti del valore e della miseria, in cui i protagonisti della storia, umili e
potenti, oppressi e oppressori, diventano oggetto di tutta una complessa proble-
matica etico-sociale, ma soprattutto centro di un’arte volutamente disliricata di
Manzoni per dare una struttura nuova e possibilmente oggettiva al romanzo.
        Per questo I Promessi Sposi possono considerarsi per certi aspetti una rap-
presentazione impersonale della storia umana, in cui le vicende dei vari protagoni-
sti, dai maggiori ai minori fino alle masse corali, paiono svolgersi da sé, senza che
l’autore faccia sentire la sua presenza per determinarle, tanto viva è in lui l’esigenza
di raccontare con una certo distacco la vita drammatica e passionale delle sue crea-
ture. Ma la sua apparente assenza di partecipazione lirica agli eventi e ai sentimen-
ti rappresentati è opportunamente contemperata dalla prospettiva etico-religiosa
nella quale la sua concezione cristiana lo porta a cogliere l’essenza stessa del vivere.
«Sentire e meditare» diventa pertanto la formula del suo essere poeta, per cui l’og-
gettività del sentire si identifica con la soggettività del meditare, e il sentimento
espresso nella ricca e notevole vicenda del romanzo si viene a identificare col suo
pensiero fino a costituire l’intuizione fondamentale da cui nasce e vive la poesia de
I Promessi Sposi.
        Si può dire che Manzoni senta sentimentalmente le grandi idee ispiratrici
della sua visione umana e religiosa del vivere, il che gli consente di superare la con-
cezione pessimistica e tragica del reale e di cogliere anche nelle sventura la presenza
di un significato trascendente. La ricca tematica e la struttura del romanzo sem-

                                            118
Cristanziano Serricchio

brano articolarsi mirabilmente nell’ambito di questa poetica, dove il sentimento
diventa romanticamente il motivo animatore della sua poesia.
       Vi sono pagine in cui le descrizioni e figurazioni si ispirano alla più semplice
verità quotidiana e domestica, come in quello scorcio di vita serena e di intimità
famigliare nel borgo al chiudersi di una giornata di lavoro (VII). È un quadro di
limpida poesia, in cui il sentimento della famiglia assume il tono delicato e malin-
conico di certa pittura fiamminga e l’espressione nella sua semplicità preannuncia,
specie nei tocchi misurati delle campane, l’addensarsi di eventi tristi. Lo stesso
sentimento si avverte nella brevissima scena del distacco dei due promessi, in quel-
la che doveva essere la loro notte nuziale: «Comiciava a imbrunire. Buona notte,
disse tristemente Lucia a Renzo, il quale non sapeva risolversi d’andarserne. Buona
notte, rispose Renzo, ancor più tristamente» (III).
       In questo, come in altri esempi, si nota la straordinaria capacità narrativa di
Manzoni, rivelatrice della sua partecipazione umana alla umile realtà quotidiana
rappresentata. Si può anche osservare che il sentimento della famiglia sia stretta-
mente legato a quello della casa, sul quale il poeta richiama costantemente l’atten-
zione del lettore, ogni volta che l’incalzare degli avvenimenti lo porta a considerare
l’incertezza terrena della condizione umana. Il tema della casa diventa anche il
tema della nostalgia, ad esempio nel pianto segreto e dolcissimo di Lucia, preludio
chopiniano alla trasfigurazione poetica del sentimento soffuso di abbandono lirico
e di accorata commozione nel famoso addio. Lucia vive tutta nelle vibrazioni di un
sentimento d’amore non certamente tiepido, ma carico di quell’ansia che nasce dal
turbamento di una passione profonda, che però vuol trovare il suo giusto appaga-
mento nel crisma della legge divina.
       Lo stesso sentimento afferra Renzo, dopo la separazione dolorosa, andando
verso Milano. La tristezza nostalgica di Renzo, sulla quale insiste Manzoni, è resa
più profonda dalla vista dei momenti più altamente drammatici della sommossa
milanese. Qui l’epopea popolare, già sottolineata da Natalino Sapegno, nasce dal
moto spontaneo di affetto e di solidarietà del poeta per chi è nella sventura, e, am-
pliandosi sino alla visione corale di masse assetate di giustizia, assume proporzioni
e risonanze altamente epiche, fusa al turbinio delle passioni e delle ansie terrene,
nella presenza risolutrice del soprannaturale.
       Manzoni descrive con intensità drammatica e svela, al di là di ogni distacco,
la sua partecipazione alla sofferenza degli umili e degli inermi. La rappresenta-
zione delle famiglie, sconvolte, smembrate o distrutte nella loro unità e sacralità,
raggiunge momenti di più sofferta e commossa partecipazione nella verità di certe
scene durante l’imperversare della peste. Sono uomini, donne, bambini, intere fa-
miglie che fuggono, apparentemente folle anonime ma costituite da persone uma-
ne, famiglie che cercano scampo altrove per ritrovarsi dopo il flagello e continuare
a vivere, ad amare, a soffrire. Spunta qui anche il tema della roba che avrà ben altro
sviluppo nel verismo verghiano.

                                         119
Il sentimento della famiglia ne I promessi Sposi

        L’unità della famiglia, oltre la morte, è vista come compimento del dolo-
re terreno e inizio della serenità celeste. Il più puro dei sentimenti umani, quello
materno, specie nell’episodio di Cecilia, è esaltato e trafitto dal più acuto dolore
dinanzi alla tragica certezza della morte. E tutto questo è detto con una tonalità
stilistica, una misurata scansione ritmica che innalza l’episodio, sul piano artistico,
alla dignità della più alta poesia. È superfluo ricordare altri momenti in cui l’amore,
il dolore, l’istinto materno sono rappresentati, come in varie scene profondamente
umane al lazzaretto e nello «spedale d’innocenti».
        Renzo nel suo pellegrinaggio (c’è forse la suggestione virgiliana di Enea, o
quella dantesca, sia pure su piani diversi?) diventa protagonista e spettatore del-
l’eterno dramma dell’umanità alla ricerca del vero significato della propria condi-
zione umana, sorretto e guidato dalla forza coraggiosa di vincere difficoltà e osta-
coli di ogni sorta, e raggiungere, attraverso l’esperienza del dolore e del male, il
bene perduto. Commedia divina e umana quella dantesca, umana e divina al tempo
stesso, si potrebbe dire, quella rappresentata da Manzoni. In essa il sentimento
della famiglia occupa, come si è visto, un posto certamente non di secondo piano.
Si noti ancora che quando Renzo, dopo aver cercato a lungo Lucia nel lazzaretto,
sente la sua voce, la vede «chinata sopra un lettuccio», ossia nell’atteggiamento più
congeniale alla donna, quello della dedizione al sacrificio.
         Padre Cristoforo, che scioglie Lucia dal voto, nelle ultime parole che pro-
nuncia (XXXVI), non è soltanto il sacerdote e il confessore, ma il padre, perché
l’immagine sacra della famiglia si completa nel legame spirituale più sentito a tener-
la unita. L’intonazione etico-religiosa ed oratoria del brano, sottolineata da critici
di grande levatura, è la logica conclusione di una vicenda, narrata da un grandissi-
mo poeta, che ha della vita una visione cristiana e cattolica. In questa esortazione,
che non può essere assunta come il vero «sugo di tutta la storia», trova la sua più
limpida espressione la concezione filosofico-religiosa di Manzoni nel superamento
delle ultime remore giansenistiche e nella visione di dolore e di speranza che egli
ha della vita.
        È il momento conclusivo di quel crescendo drammatico, che dalla appari-
zione singolare di don Abbondio, colto nella sua proverbiale calma, passa via via,
attraverso l’avvicendarsi di altri personaggi di primo piano o minori, in un numero
che si va facendo sempre più vasto, alla rappresentazione corale di masse, che si
muovono perché sospinte da preoccupazioni e bisogni diversi e spesso contra-
stanti, in cui si incontrano e si scontrano umili e potenti, oppressi e oppressori,
buoni e malvagi, tutti però accomunati da una condizione esistenziale dolorosa
e drammatica, che anche quando sembra toccare il fondo della malvagità e della
disperazione, si apre a poco a poco alla speranza e alla salvazione, mentre in ogni
recesso dell’anima si va facendo strada il lume della Provvidenza.
        Il tono pacatamente dimesso e sorridente, che assume il finale de I Promessi
Sposi, e che non trova il consenso totale della critica, è giustificato dallo stesso

                                            120
Cristanziano Serricchio

Manzoni, che in una lettera al figliastro Stefano Stampa scrive celiando: «Anche a
me piace di più il lieto fine; e non ho potuto trattenermi dalla tentazione di stare
un po’ ancora in compagnia dei miei burattini».
       Se il matrimonio può essere finalmente celebrato da Don Abbondio solo
dopo che si è accertato della morte di don Rodrigo, se dopo il rito religioso, come
si è detto, gli sposi sono invitati al palazzetto di don Rodrigo per il pranzo nuziale
offerto dal signor marchese, se nella residenza del bergamasco, dove viene messa
su una casa più grande, fornita di mobili, di corredo e di attrezzi, Renzo si infuria
perché gli altri non trovano bella Lucia, tutti questi elementi di vita domestica e
giornaliera non solo non diminuiscono il valore poetico e umano del racconto, ma
servono a riportare, per così dire, la calma dopo la tempesta, in modo che «le ulti-
me ondate di narrazione», come osservava finemente Baldini, si vengono spegnen-
do gradatamente in un «pianissimo pieno di riposo e di dolcezza». Si è detto che
«sentimentalmente il Manzoni era piuttosto frigido» (Montanelli). Io credo che a
dimostrare il contrario sia proprio una rilettura attenta, specie da parte dei giovani,
e senza pregiudizi, dei Promessi Sposi.

Bibliografia essenziale

Manzoni dopo un secolo, in «Italianistica» (1973).
Cultura e Scuola, n. 49-50 (1974).
Cesare ANGELINI, Invito al Manzoni, Brescia 1968.
Antonio BALDINI, Il finale dei Promessi Sposi, in «I libri del giorno», Milano 1923.
Lanfranco CARETTI, Dante Manzoni e altri studi, Milano-Napoli 1964.
Lanfranco CARETTI, Manzoni. Ideologia e stile, Torino 1972; «Cultura e Scuola»,
(1974), n. 49-50.
Arcangelo LEONE DE CASTRIS, L’impegno del Manzoni, Firenze 1965.
Francesco DE SANCTIS, La letteratura italiana nel sec.XIX, a cura di L. Blasucci,
Bari 1953.
Michele DELL’AQUILA, Manzoni. La ricerca della lingua nella testimonianza del-
l’epistolario, Bari 1974.
Giuseppe GALLAVRESI, Manzoni intimo, vol. III, Milano 1923.
Antonio GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, Torino 1950.
Giovanni GETTO, Storia della letteratura italiana, Rizzoli 1972.
Arturo CJEMOLO, Il dramma di Manzoni, Firenze 1973.
Alessandro MANZONI, Tutte le opere, a cura di A. Chiari e F. Ghisalberti, Milano,
Mondadori.
Alessandro MANZONI, Lettere, a cura di C. Arieti, 3 tomi, Milano 1970
Renzo NEGRI, Manzoni diverso, Milano 1976

                                         121
Il sentimento della famiglia ne I promessi Sposi

Alberto MORAVIA, Alessandro Manzoni e l’ipotesi di un realismo cattolico, in «L’uo-
mo come fine», Milano 1963.
Giorgio PETROCCHI, Manzoni. Letteratura e vita, Milano 1971.
Filippo PIEMONTESE, Manzoni, Brescia 1973.
Luigi RUSSO, Ritratti e disegni storici dal Manzoni al De Sanctis, Bari 1953.
Luigi RUSSO, Personaggi di Promessi Sposi, Bari 1963.
Mario SANSONE, L’opera poetica di Alessandro Manzoni, Messina 1947.
Mario SANSONE, A. Manzoni, in «Orientamenti culturali», La letteratura italiana.
I Maggiori, II, Milano 1956.
Natalino SAPEGNO, Manzoni tra De Sanctis e Gramsci, in «Società», VII, I. (1952).
Natalino SAPEGNO, Ritratto del Manzoni ed altri saggi, Bari 1961.
Donato VALLI, Romagnosi e Manzoni tra realtà e storia, Lecce 1968.
Raffaele MICCIOLO, Il pensiero pedagogico di A. Manzoni, Adrian, 1996.

                                           122
Puoi anche leggere