IL REALISMO SCIENTIFICO POPPER E EINSTEIN A CONFRONTO

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IL REALISMO SCIENTIFICO
                          POPPER E EINSTEIN A CONFRONTO

                                               Juan José Sanguineti

    Pubblicato in in Il Fare della Scienza (a cura di F. Barone ed altri), numero del 1997 della
                     rivista Contratto, Il Poligrafo, Padova 1997, pp. 97-122.

1. Introduzione

        La filosofia della scienza di K. Popper nasce dal desiderio di capire la crescita della
conoscenza umana, con un atteggiamento ottimista e al contempo sobrio. La scienza cresce
senza un ordine particolare, non eseguendo un programma a priori, nella misura in cui via via si
allontana dagli errori (grazie agli urti imprevedibili con la realtà) e perciò procedendo
necessariamente verso la verità.
        L'elemento costruttivo nella crescita nella conoscenza scientifica, nella visione di
Popper, non è il risultato di un metodo prefisso. Non vi è un metodo scientifico che serva a
garantire automaticamente il progresso verso la verità (ma tale progresso si presuppone).
Popper ha affermato chiaramente: "il metodo scientifico non esiste"1. La scienza indaga sugli
enigmi della natura e ne propone le soluzioni in modo creativo, senza formule in anticipo di un
successo scontato. La razionalità si arrende davanti alla meraviglia imprevedibile della scoperta.
E' questo il paradosso di un Popper forse non ancora completamente compreso: il paradosso
del razionalista critico aperto simultaneamente alla fede nella realtà, alla creatività e alla "non
esistenza del metodo scientifico"2.
        Nelle pagine che seguono intendiamo approfondire la posizione epistemologica di
Popper alla luce di un confronto con Einstein, nella prospettiva del realismo della scienza.
Questo confronto potrà contribuire, a nostro avviso, a chiarire meglio alcune caratteristiche
profonde del pensiero di Popper, in parte accennate in queste considerazioni introduttive.

1 K. POPPER , Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, vol. I: Il realismo e lo scopo della scienza, ed. Il
Saggiatore Economici, Milano 1994, p. 35.
2 Cfr. ibid .
2

2. La crescita della scienza come rettifica

         La ragione svolge in Popper una funzione di controllo critico, come capacità di
discussione o di messa in dubbio di una tesi data. Essa non è creativa, dal momento che nessun
accorgimento metodologico potrà mai suscitare le scoperte geniali di un Newton o di un
Einstein. Nella mente dello scienziato deve "balenare" una nuova idea, una percezione originale
del modo di rapportarsi delle cose del mondo. Se tale idea è gratuita, l'esperienza s'incaricherà
di confutarla. Se viene formulata in modo furbesco per evitarne le possibili confutazioni, siamo
davanti alla pseudo-spiegazione che non fa onore alla scienza. In definitiva, il tribunale
dell'esperienza, rappresentando in qualche modo la realtà, deciderà sul valore delle nostre
congetture intellettuali.
         La scientificità esige dunque la contrastabilità empirica o razionale: una teoria è
scientifica se lascia coraggiosamente aperte le porte alla possibile contraddizione. Le nostre
idee, essendo limitate, devono essere criticabili. Le contraddizioni, nella loro durezza, sono
positive e salutari perché garantiscono la possibilità della correzione. Senz'altro è questa
l'atmosfera tipica popperiana per quanto riguarda la sua visione dello sviluppo scientifico.
         Le contraddizioni sono il motore indiretto del progresso scientifico razionale, non nel
senso dialettico hegeliano (non essendo la verità una sintesi di posizioni antagonistiche). La
contraddizione è il vaglio delle teorie, l'indicazione che qualcosa non funziona nella spiegazione
scientifica abituale o proposta. Essa serve indirettamente alla crescita della scienza, ma niente di
più: non può essere costruttiva perché non suggerisce nuove idee3. La possibilità di venir
contraddetti da chiunque (dalle esperienze, dagli altri, dalle nostre proprie incoerenze) comporta
la perenne disponibilità ad "imparare dai nostri errori". Il contesto popperiano è
l'apprendimento, operato in base alle successive correzioni (forse non è male ricordare che
Popper, come il suo connazionale Wittgenstein, fu maestro elementare nei suoi anni giovanili).
         Ma la correzione non comporta necessariamente un cambiamento rivoluzionario. Il
tramutamento di paradigma costituisce in Kuhn una rivoluzione scientifica. Il punto centrale
nell'epistemologia di Popper invece è alquanto diverso. La costante tensione critica della
scienza "in stato eroico" non corrisponde in lui ad una sorta di "epistemologia delle rivoluzioni
permanenti". Una teoria importante può essere sostituita da un'altra migliore, più feconda, più
verosimile, e questo fatto può essere chiamato, senz'altro, rivoluzione. Ma lo spirito della
filosofia popperiana pone l'accento sulla correzione, più connaturale all'ambientazione
pedagogica della sua filosofia: imparare dai nostri errori. Altrimenti non si capirebbe perché
Popper vede nelle nuove teorie l'avvicinamento progressivo verso la verità, un punto
inesistente nell'epistemologia di Kuhn. Il riconoscimento autocritico dei propri errori per
avvicinarsi alla verità definisce in buona misura il concetto di correzione o di rettifica.
         Nell'ortodossia popperiana, le teorie che sono riuscite a superare le prove più rigorose

3 Cfr. sulla visione popperiana della contraddizione dialettica, POPPER , Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna
1972, pp. 535-540.
3

sono migliori approssimazioni alla verità. Ma se vi sono delle approssimazioni successive (per
cui parliamo di progresso speculativo delle scienze e non soltanto di progresso tecnico), allora
sembra esserci un elemento di continuità nella serie di teorie in sostituzione. Un cambio totale
comporterebbe l'incommensurabilità dei paradigmi di Kuhn, nei quali scompare l'idea di
progresso.
          La continuità fondamentale esistente nell'arco delle scienze moderne, tranne poche
eccezioni per il caso di teorie molto esotiche, è facilmente accettata dagli scienziati attuali come
un fatto storico. La fisica galileiana e newtoniana sono profondamente rivoluzionarie nei
confronti dell'antica fisica greco-medievale (pur non mancando neanche qui certi elementi di
continuità)4. Ma oggi consideriamo la teoria geocentrica tolemaica come semplicemente falsa.
La teoria della relatività e la meccanica quantistica invece non sono rivoluzionarie nella stessa
misura nei confronti della fisica classica di Newton. Uno studente di scienze oggi deve
conoscere la meccanica classica, mentre non ha bisogno di studiare le teorie fisiche degli
antichi5.
          La fisica classica può considerarsi vera a un certo livello di approssimazione. Non
possiamo dire che la scienza contemporanea l'abbia falsificata completamente. La scienza di
Newton dovette correggersi riguardo al modo completo in cui veniva compresa dal suo
fondatore. Ovviamente quella teoria contraddice Einstein se viene presa in tutti gli elementi
contestuali con cui era pensata originariamente. Ma non ne è in contraddizione se viene intesa
come un'approssimazione valida per i corpi della vita ordinaria (mentre è invalida per i corpi a
velocità vicina a quella della luce). In questo senso è possibile introdurre delle correzioni
importanti ed essenziali nella continuità dello sviluppo di una scienza, senza dover sempre
abbandonare del tutto la teoria precedente.
          La teoria della falsazione di Popper presa letteralmente comporta invece la falsità tout
court della teoria confutata. Ma da quanto è stato detto, sembra più convincente
un'interpretazione continuista dell'evoluzione delle scienze, almeno per molti casi e a certi
livelli, dal momento poi che le teorie scientifiche sono per Popper delle successive
approssimazioni alla verità: se la nuova teoria risulta preferibile e più vera, vuol dire che la
teoria respinta, al meno se un tempo veniva razionalmente accettata, non era semplicemente
"falsa", ma piuttosto meno vera, cioè parzialmente vera. Anzi la teoria respinta, se viene meglio
conosciuto l'ambito in cui era valida, dovutamente corretta diventa anche più vera di prima,
quand'era nota senza troppa coscienza della sua precisa parzialità.
          Con queste osservazioni ovviamente andiamo al di là di Popper e in qualche senso lo
correggiamo: sembra opportuno distinguere allora tra "semplice falsità" e "verità parziale"
(emblematicamente: tra Tolomeo e Newton) o, in altre parole, bisognerebbe riconoscere diversi
sensi specifici nella continuità o discontinuità nelle scienze, storicamente rilevanti. L'esigenza di

4 Cfr. su questo punto il nostro lavoro Scienza aristotelica e scienza moderna, Armando, Roma 1992.
5 Cfr. sul tema, R . MARTÍNEZ, Congetture, certezze e verità: la natura fallibile della conoscenza scientifica, in AA. VV..,
La verità scientifica, Armando, Roma 1995, pp. 73-97.
4

queste correzioni tuttavia procede dall'interno della stessa teoria di Popper della verità come
"verosimiglianza approssimativa", soprattutto se vogliamo mantenere coerentemente la nozione
di verità ed evitare la tesi kuhniana dell'incommensurabilità dei paradigmi6. In altre parole, tale
esigenza vuole essere in armonia con la convinzioni di Popper secondo cui nella scienza

possiamo dire de aver fatto un autentico progresso: sappiamo più di quanto sapevamo prima.7

         Le comprensibili difficoltà di una nozione di verità come quella popperiana, in parte
aristotelica, nel senso realistico di "adeguamento della mente alla realtà", e in parte kantiana
come "idea regolativa", nascono dal desiderio di spiegare il progresso speculativo delle scienze.
Einstein paragonava tale progresso all'ascesa di una montagna, in cui un identico paesaggio,
sempre più in alto, via via si scorge in una migliore prospettiva. La metafora suggerisce "la
continuità nella discontinuità" di molti progressi scientifici nella scoperta della verità. Popper
cita a questo proposito un testo di Einstein:

Non si potrebbe concedere a una teoria destino migliore di quello di dover indicare essa stessa la strada per
introdurre una teoria più comprensiva nella quale essa sopravvive come caso limite8.

        Ma cerchiamo ora di chiarire come entrambi gli autori, Popper e Einstein, concepivano
in questo senso la conoscenza scientifica della realtà.

3. Convenzionalismo e realismo: Popper e Einstein

         Vogliamo proporre in seguito, in base a una presentazione accurata di testi brevi, una
serie di paragoni che riteniamo significativi tra questi due autori, anche a partire dal fatto che
Popper ricevette una forte ispirazione da Einstein scienziato e filosofo, forse più ampia di
quanto ordinariamente si pensi. Einstein costituiva per il filosofo austriaco il modello genuino
del lavoro scientifico creativo ed originale. Il rigoroso atteggiamento scientifico del fondatore
della teoria della relatività spinse il giovane Popper al superamento del marxismo e della
psicoanalisi di Freud, due dottrine che evitavano sistematicamente i confronti critici.
         La tesi principale di questo contributo è che la filosofia della scienza di Popper parte,
insieme ad Einstein, da una peculiare situazione a cavallo tra il convenzionalismo e il realismo,
con tendenza ad una progressiva accentuazione del realismo. Ma Popper non seguirà Einstein

6 L'approssimazione alla verità non va intesa in Popper in un senso puramente matematico, come raffinatezza sempre
maggiore nei calcoli predittivi. Popper, com'è noto, respinge l'interpretazione strumentalistica della scienza. Le nuove
teorie hanno idee nuove, più abbraccianti, capaci di ridimensionare le idee precedenti ma irriducibili ad esse.
7 POPPER , La scienza normale e i suoi pericoli, in Critica e crescita della conoscenza, a cura di I. LAKATOS e A. MUSGRAVE
(ed.), Feltrinelli, Milano 1986, p. 127.
8 In POPPER , Poscritto, vol. I, cit., p. 151.
5

nel suo realismo deterministico, e se ne allontanerà precisamente con la sua dottrina
indeterministica del "mondo aperto". Popper diverrà così, in ultima analisi, un filosofo della
libertà, avendo superato il mondo causalmente chiuso del suo amico Einstein.
         Ora rammentiamo il punto cui eravamo arrivati poc'anzi. La creatività scientifica
costituisce per Popper un prodigio inspiegabile. Ma una volta che lo scienziato ha intuito
un'ipotesi che promette di essere reale e feconda, la dovrà sottomettere alla critica. La critica
non tenterà di dimostrarne la verità con argomenti osservativi, ciò che è impossibile, ma ne
metterà alla prova la verosimiglianza attraverso una serie di sforzi destinati sinceramente alla sua
falsificazione. E' questa ovviamente la conosciuta tesi popperiana della falsabilità.
         Questa tesi si può anche rintracciare in Einstein, evidentemente in un modo non
sviluppato. La Logica della scoperta scientifica è del 1934, essendone l'idea centrale la
falsabilità empirica come criterio di scientificità di una teoria. Ma la sorpresa è trovare
quest'idea espressa già da Einstein nel 1919:

Una teoria può essere riconosciuta come errata se ha un errore logico nelle sue conseguenze, o come inesatta se
un fatto non è d'accordo con le sue conseguenze. Ma la verità di una teoria non si può mai dimostrare, dal
momento che non si sa mai se in futuro non ci capiterà di trovare un'esperienza che ne contraddica le
conseguenze.9

         Il principio di falsabilità viene spiegato qui con estrema semplicità e acutezza:
l'esperienza può decidere sulla falsità di una teoria, non sulla sua verità. L'induzione è
insufficiente: l'esperienza si limita alla confutazione ma in se stessa non insegna nulla di
positivo.
         Ancora un altro testo einsteiniano del 1922 formula la medesima idea con lucida
sinteticità:

La natura, o più precisamente l'esperimento, è un giudice inesorabile del suo lavoro [di quello dello scienziato], e
non molto amichevole. Mai dice di sì a una teoria. Nei casi più favorevoli, dice forse, e nella maggior parte dei
casi dice semplicemente di no. Se un esperimento è d'accordo con la teoria, questo significa per quest'ultima un
forse. E se non è d'accordo, significa di no. Probabilmente ogni teoria sperimenterà qualche giorno il suo no; la
maggioranza ne fanno l'esperienza non appena vengono concepite.10

         Il rapporto primitivo e concordante Einstein-Popper potrebbe dunque essere delineato
come una traiettoria, non troppo strettamente cronologica, in cui entrambi gli autori, a partire da
una peculiare posizione affine al convenzionalismo, muovono più decisamente verso il realismo
epistemologico. In questo percorso convivono due tesi apparentemente contrarie: il
convenzionalismo vede nelle teorie e ipotesi scientifiche delle semplici creazioni dello spirito;
per il realismo, invece, le teorie scientifiche, se confermate, corrispondono alla struttura

9 Cit. in D. HOWARD , Realism and Conventionalism in Einstein's Philosophy of Science. The Einstein-Schlick
Correspondence, "Philosophia Naturalis", 21, 1984, p. 620. Il testo appartiene al saggio di Einstein Induktion und
Deduktion in der Physik.
10 Nota del 11-11-1922, in Albert Einstein. The Human Side, New Glimpses from his Archives, selezione ed edizione di
testi a cura di H. DUKAS e B . HOFFMANN, Princeton Univ. Press, Princeton 1979, pp. 18-19.
6

intrinseca della realtà del mondo. Ma nei testi di Einstein-Popper si vedrà in che senso queste
due posizioni non sono completamente antitetiche ma rivelano una specifica posizione
metodologica.

3. 1. Il convenzionalismo in Einstein-Popper

        I. Einstein. Negli scritti e conferenze di Einstein ritroviamo spesso accenni
convenzionalistici non meramente occasionali. Nel suo discorso tenuto ad Oxford nel 1933,
Einstein dichiarava che i principi fisici fondamentali sono creazioni libere dello spirito umano11.
Questa libertà non comporta un capriccio soggettivistico. La libertà creativa deriva dal fatto che
l'esperienza non sarebbe mai capace di suggerire, ad esempio, le complicate formule
matematiche contenute nelle equazioni delle teorie più sofisticate, come quelle di Maxwell o
dello stesso Einstein. Tali equazioni non sono state ricavate dalla semplice osservazione dei
fenomeni, ma sono state ottenute attraverso la costruzione concettuale ("libera" nei confronti
dell'esperienza), per essere poi ricondotte all'applicazione dei fatti empirici.
        Einstein impiegava un'identica espressione nei suoi commenti ad un'opera di Russell: i
concetti sono freie schöpfungen des Denkens, libere creazioni del pensiero12. Egli arriva
addirittura ad attribuire questa caratteristica allo stesso concetto di essere:

'Essere' è sempre qualcosa che noi costruiamo con la mente, cioè qualcosa che noi supponiamo con assoluta
libertà (in senso logico). La giustificazione di tali costrutti non sta nel fatto che essi derivino dai dati dei sensi.
Questo tipo di derivazione (nel senso di deducibilità logica) non è mai possibile, nemmeno nell'ambito del
pensiero prescientifico. La giustificazione dei costrutti che per noi rappresentano la 'realtà' sta soltanto nella loro
capacità di rendere intelligibile ciò che è dato dai sensi.13

        In questo senso Einstein confessa di sostenere una posizione kantiana liberalizzata, nella
quale le categorie mentali non sono rigide ma possono cambiare col tempo.

L'atteggiamento teorico che noi difendiamo si distingue da quello di Kant solo in quanto noi non concepiamo le
'categorie' come se fossero immutabili (condizionate dalla natura del pensiero), ma come se fossero (in senso
logico) libere convenzioni.14

        Il convenzionalismo era una tentazione frequente nella filosofia della scienza degli inizi
del Novecento (basti pensare a Mach, Duhem e Poincaré, essendo quest'ultimo lo scienziato
più ammirato da Einstein). La crisi feconda delle geometrie non-euclidee, l'assiomatismo
logico, la teoria della relatività e la fisica quantistica avevano scosso la comoda rappresentazione

11 Cfr. A. EINSTEIN, Comment je vois le monde, Flammarion 1934, pp. 163-173.
12 Cfr. EINSTEIN, Remarks on Bertrand Russell's Theory of Knowledge, in AA. VV. The Philosophy of Bertrand Russell,
ed. P. A.   SCHILPP,   Evanston (Illinois) 1946.
13 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo (autobiografia di Einstein e saggi di diversi autori), ed. P . A. SCHILPP,
Einaudi, Torino 1958, p. 613.
14 Ibid., p. 619.
7

classica del mondo fisico di Newton-Euclide. Un cambiamento concettuale talmente complesso
e lontano dall'esperienza comune non consentiva l'impostazione di un facile induttivismo
metodologico. La fisico-matematica appariva come un metrica, fra tante possibili, destinata
all'inquadramento di un mondo parzialmente idealizzato.
         Il convenzionalismo einsteiniano comunque non si dimostrava auto-soddisfatto col
semplice criterio della comodità metrica (la teoria migliore sarebbe la metrica più comoda o più
semplice). Certamente se l'esperienza ci lascia liberi e non ci costringe ad abbracciare una
teoria, bisogna sceglierne una tra le molte possibili. Ma la scelta non dev'essere un arguzia
logica o pratica, bensì un'intuizione fiduciosa e anche misteriosa sulla natura della realtà, quasi
come una scommessa speculativa che poi sarà in qualche modo confermata dalle risposte
dell'esperienza. In questo senso il convenzionalismo di Einstein si allontana dallo
strumentalismo pragmatico e segue invece la via di una profonda fiducia speculativa nella
verità.

Il compito supremo del fisico -scriveva Einstein nel 1918- è quello di arrivare alle leggi elementari universali
dalle quali poter poi costruire il mondo mediante la pura deduzione. Non esiste nessun filo logico che porti a
queste leggi; soltanto l'intuizione, basata sulla comprensione congeniale dell'esperienza, è in grado di coglierle.
In questa incertezza metodologica, si potrebbe supporre che vi è un numero arbitrario di sistemi possibili di
fisica teorica, tutti ugualmente giustificabili; e quest'opinione, in teoria, è senza dubbio esatta. Ma l'evoluzione
storica ha dimostrato che, in ogni momento determinato, tra tutte le possibili costruzioni, una soltanto si è
dimostrata assolutamente superiore alle altre. Chi abbia approfondito veramente nella materia non potrà negare
che, in pratica, il mondo dei fenomeni determina in modo univoco il sistema teorico, benché non esista nessun
ponte logico tra i fenomeni e i loro principi teorici.15

        L'aggancio della teoria con la realtà viene dopo, dunque, nell'esperienza sistematica ma
a posteriori, guidata dal tentativo teorico della spiegazione. Il metodo ipotetico-deduttivo
consente questa strana alleanza einsteiniana tra il convenzionalismo di primo acchito, dove il
genio creativo deve avanzare le sue scommesse, e il realismo come fede riconfermata dalla
coerenza delle deduzioni con i fatti dell'esperienza. Da qui il primato della contraddizione sulla
dimostrazione positiva.

Una teoria può essere verificata dall'esperienza, ma non esiste alcun modo per risalire dall'esperienza alla
costruzione di una teoria.16

         Nella sua conferenza presso l'Accademia Prussiana delle Scienze nel 1921, Geometria
ed Esperienza, Einstein dichiarava in questo senso che, nonostante l'inesattezza osservata da
Poincaré tra la geometria euclidea e i corpi solidi ordinari, che non sono mai perfettamente
rigidi, la geometria di Riemann assunta dalla teoria generale della relatività era molto ben
adeguata all'esperienza17. Siamo evidentemente al di là del convenzionalismo di Poincaré18.

15 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 155 (dal discorso per il compleanno di Max Planck).
16 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit., p. 46.
17 Cfr. EINSTEIN, Geometrie und Erfahrung, Springer, Berlino 1921. Questa sicurezza nella "migliore verità" della teoria
spiega anche l'azzardata proposta einsteiniana del primo modello cosmologico basato sulla relatività generale, nel
1917. Einstein stupiva il pubblico quando in questa conferenza del 1921 sosteneva la possibilità di poter dimostrare
8

L'esperienza può dimostrare le sue "preferenze" per una determinata teoria. Ma non di più, dal
momento che a un certo punto l'esperienza può anche incominciare a dire di no, per cui

le nostri nozioni sulla realtà fisica non possono mai essere definitive. Dobbiamo essere sempre pronti a cambiare
quelle nozioni -cioè la struttura assiomatica della teoria- per fare i conti dei fatti percepiti nel mondo nella
maniera logicamente più perfetta possibile. 19

         Il convenzionalismo-realismo di Einstein consiste in definitiva in una posizione matura,
assunta negli anni in cui Einstein si è allontanato dal suo primitivo atteggiamento
filopositivistico (più legato agli anni dell'elaborazione della teoria della relatività ristretta e agli
influssi di Mach). Superando il convenzionalismo di Schlick, Duhem e Poincaré, Einstein
arriva a certe convinzioni sostanzialmente identiche a quelle che saranno poi assunte da Popper:
la teoria è una proposta rischiosa e creativa da confermare indirettamente nelle conseguenze,
mediante prove sperimentali, ben sapendo che in quel lavoro forse il fisico sta preparando la
morte della propria teoria20.

        II. Popper. Vediamo ora, più brevemente, il caso di Popper. Il seguente può
considerarsi un testo parallelo a quelli citati di Einstein, affine ugualmente al convenzionalismo.
Scritto nel 1982, riflette con una particolare essenzialità una tesi classica di Popper: le nostre
teorie scientifiche

non sono semplicemente il risultato di una descrizione della natura (..) sono, piuttosto, prodotti della mente
umana: 'il nostro intelletto non ricava le sue leggi dalla natura, bensì impone le sue leggi alla natura' [citazione
di Kant, Prolegomena]. Ho cercato di perfezionare questa eccellente formulazione di Kant come segue: 'il nostro
intelletto non ricava le sue leggi dalla natura, bensì cerca -con esito disuguale- di imporre sulla natura delle leggi
che egli stesso inventa liberamente. Dunque le teorie sono invenzioni nostre o idee nostre: questo lo hanno visto
con chiarezza gli idealisti epistemologi. Ma alcune di quelle teorie sono talmente azzardate che possono urtare
con la realtà: sono le teorie contrastabili della scienza. E quando urtano, allora sappiamo che c'è una realtà:
qualcosa che può indicarci l'errore delle nostre idee. E perciò, il realista ha ragione. 21

         A nessuno sfugge che in questo brano sia veramente ricapitolata l'intera epistemologia
di Popper e se ne vede insieme la concordanza con Einstein, sia per quanto riguarda il
"kantismo liberalizzato", sia in rapporto al legame che viene a stabilirsi tra il convenzionalismo
e il realismo: i principi fisici inizialmente sono inventati e la realtà s'incarica di selezionarli con i

sperimentalmente la finitezza dell'universo e calcolarne le dimensioni.
18 Howard ritiene in questo senso che la posizione di Einstein sia al contempo convenzionalistica e realistica: cfr. D.
HOWARD , Realism and Conventionalism in Einstein's Philosophy of Science, cit., pp. 616-629. Cfr. anche A. FINE, The
Shaky Game. Einstein Realism and the Quantum Theory, The Univ. of Chicago Press, Chicago e Londra 1986, con una
visione ridimensionata del realismo di Einstein.
19 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 194 (il testo è del 1931).
20 Ibid. pp. 224-225.
21 POPPER , Postscript to the Logic of Scientific Discovery, vol. III: Quantum Theory and the Schism in Physics, a cura
di W . W . BARTLEY III, Hutchinson, Londra 1982, prefazione del 1982, I. Un testo analogo è il seguente: "quando Kant
affermò: 'il nostro intelletto non trae le proprie leggi dalla natura, ma le impone ad essa', era nel giusto. Ma sbagliava
nel ritenere che dette leggi fossero necessariamente vere, o che noi riuscissimo senz'altro ad imporle alla natura. La
natura, assai spesso, si oppone molto efficacemente, costringendoci ad abbandonare le nostre leggi in quanto
confutate" (POPPER , Congetture e confutazioni, cit., pp. 86-87).
9

suoi durissimi colpi, per cui si può anche argomentare indirettamente (e criticamente) a favore
della filosofia realistica.
         Il solo convenzionalismo rimane bloccato dall'incertezza provocata dalle esperienze
ritenute sempre ambigue e neutrali:

L'idea centrale del convenzionalista, il suo punto di partenza, è che nessuna teoria sia determinata dall'esperienza
in modo non ambiguo, e su questo punto sono d'accordo con lui. Egli crede di dover scegliere, per questa
ragione, la teoria più semplice. Però, siccome il convenzionalista non tratta le teorie come sistemi falsificabili,
ma piuttosto come stipulazioni convenzionali, è ovvio che con 'semplicità' intende una cosa diversa dal grado di
falsificabilità.22

        Certamente viene qui mantenuta la libertà creativa del pensiero o, se vogliamo, si
ribadisce una sorta di "intuizionismo creativo", kantianamente costruzionistico ma non
assoggettato a norme fisse:

Noi inventiamo -a priori- le nostre teorie, le nostre generalizzazioni, alle quali appartiene anche la nostra
percezione della forma. Una percezione della forma è un'ipotesi, è la nostra interpretazione di ciò che vediamo, e
quindi, essendo un'interpretazione, è un'ipotesi. Noi abbiamo a che fare solamente con congetture ed ipotesi (che
sono la stessa cosa). Noi abbiamo continuamente delle congetture create da noi. Esse vengono continuamente
poste in qualche modo a confronto con la realtà così che possano essere migliorate e portate ad essa più vicino.23

        In conclusione, la realtà non si presenta direttamente, bensì in un modo esclusivamente
negativo: può colpire con forza, senza rivelarne mai del tutto l'essenza. Il "convenzionalismo"
dapprima apre le porte alla creatività del pensiero, anzi stimola l'intuizionismo creativo, che
comunque è sempre inspiegabile; più tardi la ferma fiducia nel valore della falsificazione rende
lo scienziato docile a quella realtà che egli non vede, e quasi "lo converte" in un realista
metafisico24. Ecco il difficile passaggio dal convenzionalismo al realismo (un passaggio molto
problematico a nostro avviso, ma per ora non ci soffermiamo su questo punto).

3. 2. Il realismo epistemologico

         Agli inizi del secolo Einstein aveva provato una certa simpatia verso il positivismo di
Mach, al quale era stato introdotto tramite il suo collega Michele Besso a Berna. Il lavoro nella
relatività generale suscitò in lui una forte convinzione realistica che non abbandonerà mai:

Io cominciai con un empirismo scettico più o meno come quello di Mach. Ma il problema della gravitazione mi
convertì in un razionalista credente, cioè in uno che cerca l'unica fonte affidabile della Verità nella semplicità
matematica.25

22 POPPER , Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970, p. 148.
23 POPPER , Tre Saggi sulla mente umana, Armando, Roma 1994, p. 69.
24 Popper si discosta da Einstein soltanto nel non ritenere necessario che il punto di partenza intuitivo del sapere sia
sempre di carattere matematico. Secondo Einstein, osserva Popper, "la scienza ha inizio con intuizioni, ed esattamente,
a suo avviso, da intuizioni matematiche. Penso che ciò sia corretto, ma non decisivo. Non si tratta sempre di una
intuizione matematica" (POPPER , Società aperta universo aperto, Borla, Roma 1984, p. 42).
25 EINSTEIN, lettera a C. Lanczos, 24-1-1938, in Albert Einstein. The Human Side, cit., p. 67. "Il mio abbandono del
10

       E' significativo il suo rifiuto del "realismo convenzionalistico" di Schlick, col quale
prima concordava. Nel 1930 Einstein gli scriveva infatti:

in un modo generale, la sua presentazione non corrisponde certamente al mio stile concettuale nella misura in cui
trovo l'insieme del suo orientamento troppo positivistico (...) la fisica è il tentativo di costruire concettualmente
un modello dell'universo reale e della struttura che gli viene data dalle leggi (..) Lei sarà sorpreso del 'metafisico'
Einstein. Ma ogni animale di quattro o due zampe è, in questo senso, un metafisico.26

        Il realismo scientifico è uno degli aspetti basilari del pensiero einsteiniano, collegato alla
sua stessa vocazione come scienziato e alle ispirazioni di fondo del suo lavoro. Questo realismo
comunque era poliedrico e non ingenuo. Einstein aveva uno spirito acuto e non semplificava i
problemi: talvolta può capitare, scrive parlando evidentemente di se stesso, che l'uomo di
scienza appaia agli occhi dell'epistemologo

come una specie di opportunista senza scrupoli: che gli appaia come un realista, poiché cerca di descrivere il
mondo indipendentemente dagli atti della percezione; come un idealista, poiché considera i concetti e le teorie
come libere invenzioni (non deducibili logicamente dal dato empirico); come un positivista, poiché ritiene che i
suoi concetti e le sue teorie siano giustificati soltanto nella misura in cui forniscono una rappresentazione logica
delle relazioni fra le esperienze sensoriali. Può addirittura sembrargli un platonico o un pitagorico, in quanto
considera il criterio della semplicità logica come strumento indispensabile ed efficace della sua ricerca.27

        L'elemento centrale tra queste possibilità resta comunque il realismo, un realismo
"pitagorico" se vogliamo, compatibile con il metodo dei tentativi ed errori e con l'apertura della
scienza a nuove scosse e a nuove revisioni:

La fisica è un tentativo di afferrare concettualmente la realtà, quale la si concepisce indipendentemente dal fatto di
essere osservata. In questo senso si parla di 'realtà fisica'.28

        Il realismo einsteiniano, stimolato in parte da quello di Max Planck29, (e coincidente in
parte con il pensiero di un altro grande realista del Novecento: G. Frege), si rivela una fede
metafisica più fiduciosa nelle riuscite dell'intelletto matematico anziché nelle variabili
manifestazioni dei sensi:

La fede in un mondo esterno indipendente dal soggetto che lo percepisce è la base di tutta la scienza naturale. Ma
poiché la percezione dei sensi ci informa soltanto indirettamente di questo mondo esterno o 'realtà fisica', noi
possiamo afferrarlo solo con mezzi speculativi.30

positivismo avvenne soltanto quando lavorai nella teoria generale della relatività": lettere a D. S. Mackey, 26 aprile e
22 maggio del 1948, citato in A. FINE, The Shaky Game. Einstein Realism and the Quantum Theory, cit., p. 86.
26 EINSTEIN, citato in G. HOLTON, Où est la réalité? Les réponses d'Einstein, in AA. VV., Science et Synthèse, Gallimard,
Parigi 1967, p. 135.
27 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit. p. 630.
28 Ibid., p. 43.
29 Cfr. sul tema, i nostri lavori Il Realismo nella Filosofia della Scienza Contemporanea, "Aquinas", 32, 1989, pp.
525-541 (su Max Planck) ed Einstein y el realismo científico, "Sapientia", 47, n. 184, 1992, pp. 131-150.
30 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 194.
11

          Nella citata conferenza ad Oxford nel 1933 Einstein dichiarava arditamente:

In un certo senso io ritengo vero che il pensiero puro possa afferrare la realtà, come sognavano gli antichi.31

         Questa posizione epistemologica comporta evidentemente che il mondo sia indipendente
dall'atto psichico con cui ce lo rappresentiamo o dall'io che conosce il mondo: la realtà
trascende l'atto di misurazione e di sperimentazione dello scienziato. In questo senso, Abraham
Pais, il noto biografo di Einstein, inizia la sua opera Subtle is the Lord con un aneddoto
ambientato a Princeton, in cui Einstein gli chiese:

Veramente è convinto che la Luna esista solo se la si guarda?32

        Per il realismo einsteiniano, il mondo della scienza ci trasferisce quasi religiosamente
fuori da noi, ci fa dimenticare di noi stessi ed estasiarci nella contemplazione di una realtà
immensa e meravigliosa che ci trascende e ci rende infinitamente piccoli. Einstein visse questi
sentimenti sin dalla sua giovinezza:

Fuori c'era questo enorme mondo, che esiste indipendentemente da noi, esseri umani, e che ci sta attorno come
un grande, eterno enigma, accessibile solo parzialmente alla nostra osservazione e al nostro pensiero. La
contemplazione di questo mondo mi attirò come una liberazione (...) Il possesso intellettuale di questo mondo
extrapersonale mi balenò alla mente, in modo più o meno consapevole, come la meta più alta fra quelle concesse
all'uomo. 33

       Il realismo scientifico e anche "mistico" e religioso di Einstein era la motivazione più
profonda del suo lavoro:

Quando io -ricorda Reichenbach-, in una certa occasione, domandai al professore Einstein come avesse trovato la
sua teoria della relatività, egli rispose di averla scoperta perché era profondamente convinto dell'armonia
dell'universo.34

        Non era questa una frase occasionale. Il realismo einsteiniano non comportava una
"posizione intellettuale", bensì una persuasione vissuta fino al punto di toccare gli strati religiosi
e anche affettivi della sua personalità. Sarebbe un errore emarginare questo settore della sua vita
come se fosse estrinseco al suo lavoro creativo. Per lui la scienza aveva un senso
contemplativo, nella migliore tradizione dei classici:

Il mio lavoro scientifico è motivato da un desiderio irresistibile di capire i segreti della natura, e da nessun altro
sentimento. 35

31 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 169.
32 A. PAIS, 'Sottile è il Signore...'. La scienza e la vita di Albert Einstein, Boringhieri, Torino 1986, p. 15.
33 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit. p. 4.
34 H. REICHENBACH, Il significato filosofico della teoria della relatività, in A. Einstein, scienziato e filosofo , cit. p.
240. Reichenbach si aspettava una risposta scientifica o logica, mentre la replica di Einstein si colloca sul versante
filosofico.
35 EINSTEIN, in Albert Einstein. The Human Side, cit., p. 18.
12

        Lo spirito di contemplazione trascendente, come abbiamo accennato sopra, coincide con
quello che potremmo chiamare la "religiosità" einsteiniana:

Non trovo un'espressione migliore che il termine religioso per indicare questa fiducia nel carattere razionale della
realtà e nel fatto che sia accessibile alla ragione umana, almeno in una certa misura. Dove questo sentimento è
assente, la scienza degenera in un empirismo senza senso. Mi spiace se i preti si approfittano di questo, non si
può rimediare.36

         In questo senso Einstein spiegava nel 1918, in occasione del 60º compleanno di Max
Planck, che la perseveranza nel lavoro di quest'ultimo non era dovuta ad una ferrea
autodisciplina o ad una grande energia, bensì a quel tipo di sentimenti forti che si trovano nelle
persone religiose o innamorate37.
         Veramente la scienza e l'amore della verità, il realismo trascendente e la religione erano
molto vicine, secondo Einstein, in un nucleo ultimo della persona, per cui egli pensava che la
religione stava non solo psicologicamente ma anche storicamente alla radice del lavoro
scientifico creativo e perseverante:

La scienza può essere creata solo da coloro che sono integralmente convinti delle aspirazioni verso la verità e
verso la comprensione. Ma questa sorgente di sentimento nasce dalla sfera della religione, alla quale appartiene
anche la fede nella possibilità che le regole valide per il mondo dell'esistenza siano razionali, comprensibili, cioè,
con la ragione. Non riesco a concepire un vero scienziato senza una fede profonda.38

         La religiosità cosmica e panteistica di Einstein, ampiamente conosciuta, non dovrebbe
portare a minimizzare l'importanza di queste espressioni, nelle quali si dimostra, malgrado
tutto, l'esistenza in Einstein non solo di una vera religiosità, quantunque imperfetta, ma
soprattutto il suo stretto legame con il realismo trascendente.
         Nonostante il limite del approccio fondamentalmente matematico, ma ben lontano ormai
dal convenzionalismo, si può dire che in Einstein nell'intuizione dell'armonia matematica della
natura emerge il pensiero di una intelligenza suprema che egli nomina Dio. Alla lettera di una
bambina di New York che gli aveva fatto domande di natura religiosa, Einstein rispondeva:

Uno spirito è manifesto nelle leggi dell'universo, uno spirito enormemente superiore a quello dell'uomo, dinanzi
al quale noi con le nostre modeste capacità ci dobbiamo sentire umili. In questo senso la ricerca scientifica
conduce a un sentimento religioso particolare. 39

         Analogamente, in un appunto di lettera indirizzata ad un banchiere (forse non inviata) e

36 EINSTEIN, Lettera a M. Solovine del 1-1-1951, in Lettres à Maurice Solovine, Gauthier-Villars, Parigi 1956, p. 110.
37 Cfr. EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 156. Simili espressioni riguardo alla perseveranza incredibile dei
grandi geni come Keplero o Newton, nonostante gli ostacoli della vita pratica immediata e i frequenti fallimenti, si
leggono in Comment je vois le monde, cit., pp. 37-38.
38 EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, Boringhieri, Torino 1965, p. 135. Sul rapporto storico-culturale tra la
religione cristiana e la scienza occidentale si sono espressi molti autori (Duhem, Whitehead, Dawson, Jaki): cfr. il
nostro studio Scienza aristotelica e scienza moderna, cit., pp. 81-100.
39 Ibid., p. 33 (24-1-1936).
13

trovato nei suoi archivi, a una domanda anche religiosa Einstein replicava:

la mia religiosità consiste in una umile ammirazione di fronte a uno spirito infinitamente superiore che si rivela
nel poco che possiamo comprendere della realtà col nostro intelletto debole e transitorio.40

        Il sentimento di umiltà intellettuale e insieme religiosa, legato al senso della meraviglia
di una natura prodigiosa, incomprensibilmente comprensibile, misteriosamente penetrata da
un'intelligenza superiore, portava ad Einstein a vedersi piccolo come un bambino:

Lo studio e in generale la ricerca della verità e della bellezza è una sfera di attività nella quale ci è consentito di
rimanere sempre bambini lungo tutta la nostra vita.41

       In una lettera del 29 settembre del 1947 per l'80º compleanno di Juliusburger si
esprimeva in termini analoghi:

la gente come te e me, benché mortali come chiunque altro, non diventano mai vecchie per quanto a lungo
vivano. Voglio dire che noi non smettiamo mai di essere come bambini incuriositi dinanzi al grande Mistero nel
quale siamo nati.42

         II. Popper. Uno sguardo al realismo metafisico di Popper rivela tratti simili a quelli di
Einstein, anche se privi dell'accento religioso. Coincidono entrambi, in forte sintonia con
Planck, nel loro rifiuto più deciso del fenomenismo di Berkeley, sinonimo per Popper di
idealismo soggettivistico, e soprattutto nel rifiuto dell'interpretazione del fisico filosofo
responsabile dell'introduzione della filosofia del esse est percipi nell'epistemologia moderna,
cioè di Ernst Mach. Era appunto la filosofia di Mach quella che portava a pensare che la luna
(cioè qualsiasi oggetto fisico) non era una realtà bensì un'elaborazione concettuale che
ricapitolava le nostre sensazioni allo scopo di poterci muovere con sicurezza nel mondo. Popper
era consapevole del cambiamento avvenuto in Einstein dopo i suoi lavori nel campo della
relatività generale:

L'origine del positivismo in fisica può essere cercato in parecchi grandi errori, uno dei quali è il positivismo o
idealismo di Mach (...) Einstein respinse questa concezione quando aveva 40 anni circa (1926), e se ne lamentò
profondamente nella sua età matura (1950). 43

       Il realismo in Popper è il convincimento irremovibile dell'esistenza di un mondo
indipendente dalle nostre conoscenze. La scienza non è una modificazione dei nostri stati di
coscienza né una semplice strategia intesa ad impadronirsi tecnicamente delle cose, bensì
un'autentica conoscenza (congetturale) della struttura del mondo e delle sue leggi naturali. Gli

40 Ibid., p. 66 (l'appunto è scritto sulla lettera ricevuta dal banchiere del 5-8-1927).
41 Ibid., p. 83. Così scriveva ad Adriana Enriques nell'ottobre del 1921, in occasione di un congresso a Bologna
organizzato da suo padre il professore Federico Enriques.
42 Ibid., p. 82.
43 POPPER , Postscript, vol. III, cit., prefazione del 1982, I.
14

enunciati scientifici esprimono qualcosa di essenziale sul mondo.

La realtà dei corpi fisici è implicita in quasi tutti gli enunciati del senso comune che formuliamo; e questo, a sua
volta, implica l'esistenza di leggi di natura; così, tutte le affermazioni della scienza implicano il realismo. Questi
argomenti rendono ragionevole credere nell'esistenza di leggi di natura vere, anche se questa credenza non è né
verificabile né falsificabile ed è, perciò, metafisica.44

         La metafisica di Popper non è scientificamente argomentabile ma è razionalmente
discutibile. Egli ritiene che alcune tesi metafisiche siano vere, in particolare quelle che più sono
vicine alle grandi convinzioni del senso comune45. L'idealismo è metafisico ma non convince,
ed urta contro il senso comune, il quale in questo terreno non è per nulla abbandonato dallo
scienziato (la scienza non è altro che senso comune illuminato)46. Le scienze secondo Popper
sono guidate da certe conoscenze metafisiche significative e in particolare dall'impulso
speculativo verso la verità realistica. Ancora una volta, Popper come Einstein supera il
convenzionalismo originario con queste idee in parte kantiane ma in parte anche aristoteliche: gli
atomi, le particelle, le forze, i campi, i principi termodinamici oppure relativistici e quantistici,
pur nella loro congetturalità, sono veri, reali, descrittivi di un'autentica struttura della realtà e
relativi a leggi naturali (non soltanto "imposti" dall'uomo). I concetti della scienza non sono
semplici costruzioni strumentali della strategia pragmatica degli scienziati. La scienza e la
metafisica condividono l'aspirazione verso la verità:

Ormai non credo, come in un tempo, che vi sia una differenza tra la scienza e la metafisica in questo punto così
importante.47

3. 3. Alcuni aspetti del realismo popperiano

        Popper non consente il minimo dubbio riguardo alla tesi realistica. Non senza un
pizzico d'ironia, egli confessa che nell'inverno del 1926-27 s'imbrogliò col fenomenismo di
Mach, ma non per più di un'ora:

Non vi credetti seriamente per più di un'ora -finché, cioè, non scoprii il suo carattere idealistico.48

       Ma Hume aveva già dichiarato che l'idealista, pur potendo difendere la sua posizione
con ogni tipo di accorgimenti logici, in realtà era costitutivamente incapace di credervi nemmeno
per un'ora49. Siamo in un terreno duro e profondo, certo discutibile se emergono delle

44 POPPER , Poscritto, vol. I, cit., p. 149.
45 Il senso comune "indica le certezze di base di tutti gli uomini (...) l'insieme organico delle certezze universali e
necessarie, costitutive della conoscenza umana come tale" (A. LIVI, Le parole dell'epistemologia contemporanea,
"Cultura e Libri", n. 86, maggio-giugno 1993, p. 94).
46 Cfr. POPPER , Poscritto, vol. I, cit., pp. 148-151, tra molti altri luoghi in cui Popper esprime la medesima idea.
47 POPPER , Postscript, vol. III, cit., p. 199.
48 POPPER , Poscritto, vol. I, cit., p 114, nota 81.
49 Cfr. ibid ., p. 111.
15

difficoltà particolari, le quali comunque

non sono tali da intaccare minimamente la mia fede nel realismo. 50

        La posizione di Popper a questo livello sembra ricollegabile a quella dei filosofi che
hanno riconosciuto uno strato conoscitivo profondo e pre-razionale, quasi naturale e con
manifestazioni affettive e vitali: il sapere inespresso di Polanyi, le convinzioni vitali e
inesprimibili di Wittgenstein (negarle non è un errore, ma malattia mentale) (cfr. Sulla certezza),
o i primi principi noetici e pre-razionali di Aristotele, contro i quali non si può pensare
seriamente51. In questo senso Popper riconobbe che

il mio razionalismo non è dogmatico. Riconosco pienamente che non posso dimostrarlo razionalmente.
Confesso francamente che ho optato per il razionalismo perché odio la violenza e non mi illudo inutilmente che
tale odio abbia un qualsiasi fondamento razionale. O, in altri termini, il mio razionalismo non è autosufficiente,
ma poggia su una fede irrazionale nell’atteggiamento di ragionevolezza. Non vedo come si possa andare oltre
questo.52

        Einstein e Popper hanno sostenuto con notevole energia la convinzione realistica del
senso comune in momenti particolarmente polemici. Le critiche di Popper a Mach, Russell,
Carnap, Reichenbach e altri furono assai dure, al punto che quando Carnap tentò di presentare
Popper a Reichenbach, questi non soltanto si rifiutò di rivolgergli la parola, ma addirittura di
stringergli la mano53. Anche Einstein, quando dichiarava che la luna esiste indipendentemente
dalle nostre misure, giocava il ruolo del filosofo del senso comune, nonostante lui abbia anche
difeso la necessità di superare le intuizioni comuni nelle sofisticate elaborazioni della scienza.
        Vediamo adesso due ulteriori caratteristiche del realismo di Popper:

        1. D'una parte, Popper ha sempre collegato il realismo alla convinzione dell'esistenza
della verità, una convinzione ch'egli acquistò quando conobbe la teoria della verità del logico
Tarski. Sin d'allora, Popper per così dire s'innamorò della dottrina della verità assoluta e
oggettiva e ritenne che non vi erano difficoltà particolari per accettarla dal punto di vista della
logica formale. In Un universo di propensioni egli rammenta la sua amicizia con Tarski:

Dal punto di vista filosofico, fu l'amicizia più importante della mia vita, poiché imparai da lui la sostenibilità
logica e la forza della verità assoluta e oggettiva: fondamentalmente una teoria aristotelica (...) [la teoria logica di
Tarski] è una teoria della verità oggettiva -verità come corrispondenza dell'asserzione con i fatti- e della verità
assoluta: se un'asserzione formulata in modo inequivocabile è vera in una lingua, lo è altrettanto in qualunque
altra lingua essa sia stata correttamente tradotta. Questa teoria è il grande baluardo contro il relativismo e contro
tutte le mode intellettuali. Essa ci consente di parlare delle falsità e del fatto che noi possiamo imparare dai nostri
errori, dai nostri sbagli; essa ci consente di parlare della scienza come della ricerca della verità.54

50 Ibid., p. 167.
51 Cfr. ARISTOTELE, Analitici secondi, I, 72 a 1-25; 76 b 23-34.
52 POPPER , Congetture e confutazioni, cit., pp. 604-605. La fede di Popper, per evitare la caduta nell'"irrazionalismo",
dovrebbe essere ricondotta a nostro avviso al voûs aristotelico.
53 Cfr. POPPER , Un universo di propensioni, Vallecchi, Firenze 1991, p. 12.
54 POPPER , Un universo di propensioni, cit., pp. 11-12. Cfr. anche La ricerca non ha fine, Armando, Roma 1976, p.
147 (sul carattere oggettivo e assoluto della verità).
16

         Peraltro, la concezione della verità come corrispondenza

è stata sempre l'idea di verità del senso comune.55

         L'oggettività della verità significa la corrispondenza del pensiero alla realtà.
L'assolutezza vuol dire che la verità non rimane chiusa in un sistema semantico o concettuale: le
proposizioni vere sono enunciati legati a quadri concettuali o linguistici, i quali possono essere
spesso sufficientemente tradotti in altre lingue ed venir articolati in molti casi in diversi livelli
scientifici:

Se tentiamo, possiamo fuggire dal nostro quadro in qualsiasi momento (...) una discussione critica e un
confronto dei vari quadri è sempre possibile. E' solo un dogma, un dogma pericoloso quello secondo cui i diversi
quadri concettuali sono come lingue reciprocamente intraducibili (...) La mia controtesi è che essa semplicemente
esagera una difficoltà facendola divenire un'impossibilità.56

        La nozione popperiana di verità rimane comunque ambigua, dal momento che essa
viene invocata solo come un traguardo ideale al quale ci avviciniamo indefinitamente senza
poter mai conoscere nessuna verità concreta in modo definitivo. Di conseguenza si crede nella
verità ma non la si conosce in nessun modo, ciò che appare molto problematico per una
conoscenza basilare dalla quale dipende la possibilità stessa del linguaggio conoscitivo, come
d'altronde Popper avverte nelle citazioni sopra riportate57. Egli afferma l'esistenza della verità,
in definitiva, basandosi giustamente sul senso comune, e si esprime in rapporto alla verità degli
enunciati (quella che i classici, come San Tommaso, chiamavano la veritas mentis), mentre
invece quando parla della verità irraggiungibile, si riferisce piuttosto alla piena conoscenza della
realtà completa delle cose (la verità ontologica o veritas rei)58.

        2. Una seconda caratteristica del realismo è il fatto che secondo Popper la scoperta della
verità è spesso inattesa e sorprendente, per cui risulta anche difficile nel campo della ricerca
scientifica. L'ordine della natura non può essere dedotto dal pensiero. Potrà essere indovinato,
ma l'anticipazione geniale dello scienziato è un evento poco frequente. Per Einstein, la cosa più
incomprensibile della natura era che fosse comprensibile59. Questa celebre idea einsteiniana

55 POPPER , La ricerca non ha fine, cit., p. 102.
56 POPPER , La scienza normale e i suoi pericoli, cit., pp. 126-127.
57 E. AGAZZI ha osservato un eccessivo assolutismo nella teoria popperiana della verità, richiamandosi in questo senso
alla teoria aristotelica della verità come proprietà proposizionale, cioè di un determinato linguaggio oggettivo: cfr.
Natura e compiti della filosofia della scienza. Proposta di una nuova caratterizzazione dell'oggettività scientifica,
"Itinerari" (nuova serie), XVIII, n. 1-2, aprile-agosto 1979, pp. 128-129. La verità di un enunciato presuppone la
conoscenza del senso e del riferimento dell'enunciato: saper che cosa si dice e di che cosa si parla. La rivendicazione
popperiana della verità (contro il relativismo) è del tutto legittima, ma dev'essere sostenuta da un'adeguata
impostazione gnoseologica e metafisica, punto in cui Popper appare alquanto carente.
58 Cfr. TOMMASO D' AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 16; De Veritate, q. 1, a. 2. “Benché nessun uomo è in grado di
acquistare una conoscenza perfetta della verità, tuttavia non vi è nessuno che non abbia l’esperienza di conoscerla in
qualche modo” (In II Metaph., lect. 1, in rapporto al testo aristotelico di La Metafisica, II, 993 b).
59 Cfr. EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, cit., pp. 38-39.
17

riflette un punto in cui i grandi protagonisti della scienza sono di solito d'accordo. Sarebbe
molto più "normale" trovare il disordine (che è sempre un tipo di ordine inferiore e povero,
privo di strutture), dal momento che non vi è alcun motivo necessario per cui deva esistere il
mondo, la vita o l'uomo: ecco perché queste realtà sono mirabili. Ogni volta che lo scienziato
scopre un nuovo ordine specifico, rimane sorpreso (non se l'aspettava), come se si trovasse
dinanzi ad un segno di un'intelligenza originale e imprevedibile della natura.
         Popper sostiene polemicamente che il fenomenismo e il soggettivismo sono da
respingere perché troppo sbrigativamente eliminano ogni enigma60. Il realismo invece sostiene
l'esistenza di vere leggi naturali, senza però banalizzarle come se fossero un puro dato di fatto o
una scontata necessità:

Noi dobbiamo, credo, accettare l'esistenza di leggi di natura; ma dobbiamo farlo, temo, come un mistero che è
divenuto forse ancora più impenetrabile a partire da Einstein. 61

         Il realismo non è una posizione facile, in questo senso, perché non serve semplicemente
per

spiegare o capire perché, se deve esserci un mondo, esso debba essere un mondo pensabile, regolato dalla legge -
un mondo comprensibile a qualche intelletto; un mondo che possa ospitare la vita. 62

         Il compito scientifico può essere anche impostato in una maniera che finisce per diluire
il senso del mistero. In qualche modo è naturale questa tentazione allo scienziato, il quale,
nell'intento di rendere comprensibili le cose (attraverso le loro leggi), sottrae ad esse ciò che
hanno di sorprendente per la conoscenza non scientifica. Ma se è vero, come dice Einstein, che
la comprensibilità del mondo è incomprensibile, allora vuol dire che il mistero ricompare ad un
livello più alto. Non si cade così nel miraggio razionalistico di aspettarsi che la scienza un
giorno riesca a "spiegare" tutti i problemi speculativi: alla fine del suo percorso la scienza
dovrebbe così permettere l'uomo di riposarsi soddisfatto e senza ulteriori domande, senza
ormai nessun mistero. Una tale banalizzazione della scienza sarebbe il segno che siamo di
fronte alla pseudo-scienza. Le teorie onnicomprensive in realtà nascondono trucchi intellettuali
che le fanno apparire per quello che in realtà non sono.
         Nel suo periodo vicino al positivismo logico, Wittgenstein riteneva che la descrizione
delle scienze naturali rendeva il mondo una realtà piatta e senza enigmi, anche se almeno ne
riconosceva l'esistenza come un vero mistero, ch'egli chiamava il mistico:

Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è. 63

60 Cfr. POPPER , Poscritto, vol. I, cit., p. 169.
61 Ibid., p. 169.
62 Ibid., p. 169.
63 WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, 6.44; citato in Popper, Poscritto, vol I, cit., p. 169.
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