Trombino ? Storia della filosofia occidentale. I. La filosofia greca. Stoicismo

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Trombino ? Storia della filosofia occidentale. I. La filosofia greca. Stoicismo

Marco AurelioMario Trombino
Storia della filosofia occidentale. I. La filosofia greca.

Stoicismo

1. La scuola stoica in Grecia e a Roma
L'antica idea dei poeti arcaici e dei primi filosofi ionici - che il mondo sia regolato da Zeus, suprema forza ordinatrice di tutto
l'essere, nell'incessante ciclo della nascita e della morte secondo l'ordine del tempo - ritorna nella filosofia di un intellettuale
originario di Cizio, nell'isola di Cipro, il padre della scuola che più di ogni altra darà l'impronta culturale al mondo ellenistico e
romano sino all'avvento del Cristianesimo: Zenone, il padre dello stoicismo.
Non ci è più possibile distinguere in tutti i particolari il suo pensiero da quello dei successori, perché non ci sono pervenute le sue
opere. Egli d'altra parte, al contrario di Epicuro, ha lasciato ampia libertà di ricerca ai seguaci, ed a lungo essi si sono susseguiti, per
secoli, arricchendo l'originario messaggio del fondatore di ampi studi, di approfondimenti filosofici e morali, fino a fare dello
stoicismo la comune maniera di sentire di una larga parte della società colta - in Grecia come a Roma.

1.1. Stoicismo antico, medio, nuovo
Sul modello dell'Accademia platonica, ad Atene Zenone ha fondato una propria scuola, con una organizzazione rigorosa degli studi e
della ricerca, guidata da uno scolarca. Zenone ed i suoi diretti successori Cleante e Crisippo - vissuti nel III secolo a.C. -
costituiscono la sezione più antica della scuola stoica, caratterizzata da una notevole unità di dottrina.
Poi, tra il II ed I secolo a.C., la scuola si diffonde ampiamente nel mondo romano. E' il cosiddetto medio stoicismo, le cui personalità
dominanti sono i filosofi Panezio e Posidonio.
In ultimo, nel periodo dell'Impero, la filosofia stoica diviene patrimonio della classe dirigente, acquisendo caratteri nuovi. Quella
stoica non è più tanto una scuola organizzata come luogo di studi e di ricerca, quanto una dottrina diffusa che costituisce l'orizzonte
spirituale della classe colta. E' in questo periodo - tra il I e il II secolo d.C. - che operano i più importanti filosofi dell'antica Roma.
Essi danno dello stoicismo una versione profondamente rinnovata: Seneca (un uomo di Stato), Epitteto (uno schiavo liberato),
Marco Aurelio (un imperatore).

1.2. Logica, fisica, etica
Fin dall'insegnamento di Zenone, lo stoicismo si è articolato in tre discipline fondamentali, seguendo un indirizzo uniformemente
diffuso nelle scuole ellenistiche: la logica, la fisica, l'etica. Questa partizione nasce non solo da considerazioni di carattere teoretico,
ma anche dalla necessità di organizzare gli studi e le ricerche in maniera sistematica. Le scuole ellenistiche, infatti, non operano più
come centri di ricerca fortemente ancorati alla realtà umana e sociale di una determinata polis, con preoccupazioni teoriche ed

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insieme politiche ed un ruolo organico all'interno di quella società. Esse si rivolgono al cittadino dei grandi regni ellenistici.
Della scuola di Zenone non fanno parte né gli schiavi né le donne come invece avveniva nel "Giardino" di Epicuro. Vi si trovano
però uomini provenienti da diverse regioni dell'Oriente, in buona parte di stirpe non greca: lo stesso fondatore della scuola, Zenone,
è fenicio, originario di un'isola non greca, Cipro, e diversi filosofi della scuola hanno dovuto imparare il greco da adulti perché
provenienti da altre realtà culturali. La scuola è quindi un grande centro di studi di carattere internazionale, ed offre corsi sistematici,
per i quali è necessaria una organizzazione rigorosa. I filosofi stoici, come gli altri delle scuole concorrenti (soprattutto l'Accademia
e il Peripato) sono innanzi tutto dei ricercatori e dei "professori" che operano all' interno di regolari istituzioni scolastiche. Col tempo
alcune di esse (come quella di Posidonio a Rodi frequentata da Cicerone nel I secolo) finiscono col diventare le scuole in cui si
forma la classe dirigente romana, organizzate in modo simile a quello delle grandi istituzioni universitarie moderne. Per questo
motivo la divisione della filosofia in tre discipline risponde ad una distinzione tematica interna alla filosofia stessa, ma serve allo
stesso tempo a scopi pratici, connessi alla strutturazione dell'insegnamento.

1.3. Formare l'uomo
L'obiettivo primario dello stoicismo - così come dell'epicureismo - è di carattere pratico: formare l'uomo, il saggio. L'etica
costituisce quindi la disciplina fondamentale in un mondo in cui il cittadino colto non si rivolge alla religione per trovare
soddisfazione alle intime esigenze del suo spirito, ma alla filosofia. Epicureismo e stoicismo incarnano modelli di vita assai
differenti, ma assolvono alla stessa funzione di guida spirituale all'interno di una società in cui gli antichi valori e gli antichi dèi
vanno scomparendo. (Nessuna meraviglia, quindi, se entrambe le scuole saranno duramente combattute - e sconfitte - dal
Cristianesimo fin dal suo sorgere).
"Secondo gli stoici, le parti della filosofia, ossia la fisica, l'etica e la logica, in realtà non erano parti della filosofia stessa, ma parti
del discorso filosofico. Volevano dire che, quando si tratta di insegnare filosofia, si deve proporre una teoria della logica, una teoria
della fisica, una teoria dell'etica. Le esigenze del discorso, insieme logiche e pedagogiche, obbligano a fare queste distinzioni. Ma la
filosofia stessa, e cioè il modo di vivere filosofico, non è più una teoria divisa in parti, ma un atto unico che consiste nel vivere la
logica, la fisica e l'etica. Allora non si fa più la teoria della logica, ossia del ben parlare e del ben pensare, ma si pensa e si parla
bene, non si fa più la teoria del mondo fisico, ma si contempla il cosmo, non si fa più la teoria dell'azione morale, ma si agisce in
maniera retta e giusta" (P. Hadot).
Tra epicureismo e stoicismo vi è tuttavia questa differenza, che Epicuro ha considerato la filosofia soltanto come dottrina volta al
perseguimento della felicità umana: la logica e la fisica sono quindi finalizzate all'etica, e non hanno ragion d'essere
indipendentemente da essa, secondo la celebre massima: "Vana è la parola di un filosofo, se non allevia qualche sofferenza umana".
Zenone e i suoi primi seguaci, invece, hanno un interesse profondo anche per le discipline teoretiche, e seguono quindi il modello
offerto dalle grandi filosofie del passato, soprattutto quelle di Democrito e di Aristotele, con la loro organica sistemazione delle
scienze in una universale "enciclopedia" del sapere.
Lo stoicismo dell'età imperiale, però, è essenzialmente interessato all'etica e così la filosofia diviene essenzialmente una meditazione
sulla vita, una ricerca della saggezza e della felicità. Col tempo, l'aspetto pratico prende quindi nettamente il sopravvento.

2. Physis e logos
I primi filosofi greci hanno introdotto nella cultura greca i concetti di physis e di logos, tra cui fin dalla riflessione eraclitea si è
cercato un rapporto. Lo stoico Zenone, fondatore della scuola, riprende questa antica tradizione.

2.1. La physis
Quando i filosofi ionici hanno posto il problema dell'archè, hanno concepito per la prima volta in termini non legati al mito il
problema dell'origine delle cose. Anche nella poesia il problema era posto. La Teogonia di Esiodo è certamente il frutto di una
profonda ricerca e rappresenta un notevole progresso intellettuale perché concepisce le potenze che compongono l'universo come
frutto di una generazione, intesa in termini divini: per risolvere il problema delle origini del mondo applica alle vicende
cosmologiche e divine i processi generativi che osserva negli esseri viventi, piante ed animali. I filosofi ionici operano quindi su un
terreno su cui le generazioni precedenti dei poeti hanno già lavorato. La loro idea della physis era tuttavia nettamente originale, e
permetteva di impostare per la prima volta in maniera consapevole il problema dell'origine in termini assoluti. In Esiodo infatti
anche il primo degli dèi, il Caos, è divenuto, e non si fa parola di un elemento originario non divenuto. I filosofi ionici, invece,
pongono il problema dell'origine a partire da un elemento - acqua, apeiron, aria, e così via - che non sia a sua volta il prodotto di una
evoluzione. Concepiscono quindi la natura secondo l'analogia della pianta: come dal seme nasce l'albero - secondo un percorso

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evolutivo necessario che sviluppa ciò che è proprio del seme - così la natura si sviluppa a partire da un elemento originario (e il
problema è determinare quale) che contiene in sé, come il seme, il principio del suo sviluppo. Physis non è quindi la natura come un
insieme di elementi eterogenei, ma come un tutto omogeneo in divenire: è propria infatti della natura delle cose la tendenza al
movimento, allo sviluppo, e il cosmo va inteso sul modello di un organismo biologico che si sviluppa sulla base del proprio
principio vitale. La physis è quindi concepita come forza vivente.

2.2. Il logos
Fin da Eraclito compare la riflessione filosofica sul logos. Il termine significa tanto discorso quanto ragione, ma i due significati
sono strettamente connessi. Logos, infatti, è il pensiero discorsivo, è il lavorio di ricerca che la mente compie partendo da
informazioni e da stimoli che le provengono dal mondo esterno. Il logos opera nell'uomo, come ragione, permettendogli di porre
ordine tra le informazioni sensibili altrimenti del tutto disordinate che, per essere comprese, hanno bisogno di essere connesse tra
loro, secondo precise articolazioni. (Il logos non è quindi la nous, la mente che - come pensiero puro - non ha bisogno del mondo e
delle sue informazioni. Così il Dio aristotelico non è logos, ma nous.)
Il logos ha dunque un aspetto umano-soggettivo ed uno cosmico-oggettivo: nell'uomo è la forza della mente - che si manifesta come
ragione - che ricerca l'ordine ed il senso nelle cose attraverso il dialogo interiore, elaborando ipotesi e vagliandole, cercando
argomentazioni a favore e contro, e così via; nella natura è la catena della necessità naturale, per la quale c'è sempre una ragione per
ciò che accade.

2.3. La forza ordinatrice dell'universo
Sin dai frammenti di Eraclito, benché oscuri, è possibile osservare che la prima filosofia ionica ha posto in stretta correlazione i due
concetti di physis e di logos. Il pensiero discorsivo - cioè il lavoro mentale di sistemazione del magma delle forze in opposizione in
un tutto ordinato - non è una forza che dall'esterno operi sulla physis. Uno stesso logos, scrive Eraclito, governa l'uomo e il cosmo, e
non intende dire, con ingenuo antropomorfismo, che l'universo somiglia ad un uomo, dotato di corpo e di mente. Intende invece
affermare che la stessa forza ordinatrice opera come ragione cosciente nell'uomo e come physis nel cosmo, cioè come forza organica
che tende allo sviluppo continuo della propria natura (la stessa forza che trasforma il seme in albero).
La percezione del mistero della vita non è estranea a questa visione dell'uomo e delle cose. Già in Eraclito leggiamo che, per quanti
sforzi si facciano, non è possibile giungere ai confini del proprio logos: tanta è la sua profondità. Ed allo stesso modo l'universo ci si
presenta carico di mistero perché la nostra forza di comprensione non è pari all'immane compito, ed è già una grande conquista
intellettuale avere intuito la legge fondamentale dell'universo: che uno solo è il logos, una la physis. La forza che plasma l'universo è
quindi una componente dell'universo stesso ed è, come logos, forza del pensiero, come physis forza generatrice.
L'universo non è insensato. Nell'ordine del tempo, c'è una ragione per la vita, una ragione per la morte, una ragione per la pioggia e
il vento, una ragione per il movimento del mare. Ed una ragione per i moti del cuore umano. Per l'antico pensiero ionico è la legge di
opposizione e di compensazione che regola il mondo, l'antica Dike del linguaggio esiodeo. Penetrare questa ragione è il compito che
i filosofi hanno sentito come proprio.

2.4. Contro l'idealismo platonico
L'interpretazione platonica della physis ha introdotto un elemento di radicale rottura in questo quadro unitario. Platone ha esplorato
l'ipotesi che il mondo autentico dell'essere non debba essere cercato nella natura e nelle sue leggi interne, ma altrove, al di là del
tempo e dello spazio, in un "luogo" metafisico senza tempo, in cui non vi sia alcun mutamento e dove ogni "divenire" scompaia: un
"luogo" in cui la bellezza sia eternamente bellezza, la giustizia eternamente giustizia e, soprattutto, il bene sia eternamente il bene,
senza capovolgersi nel suo contrario, come accade nel mondo della nostra esperienza, dove un atto d'amore provoca odio e un gesto
di bontà arreca dolore.
Platone avanza l'ipotesi che la physis in se stessa sia insensata, e tutto il suo senso le derivi da un mondo esterno, penetrabile solo
attraverso la forza del pensiero puro, del nous. Non si tratta di concepire l'ordine proprio della natura, come per il logos eracliteo, ma
di "contemplare" intellettivamente l'ordine eterno della realtà vera, leggendone, semmai, il riflesso in questo mondo che passa,
inconsistente nella sua labilità. L'Eros, forza possente, ci aiuterà in questo compito, come demone intermedio tra uomini e dèi -
secondo l'immagine mitica che Platone utilizza nel Simposio -, ma poi la mente con la sua sola forza dovrà accedere alla vera
conoscenza.
Anche in Platone permane il senso profondo del mistero del cosmo. La sapienza non è per l'uomo: occorre accettare che la filo-sofia
sia solo amicizia della sapienza. Il percorso verso la realtà senza tempo è una lenta e faticosa marcia di avvicinamento che l'anima

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compie, simile ad uno schiavo che dall'oscura caverna proceda verso le regioni della luce - senza mai giungere pienamente alla meta.
Di ciò che accade all'anima immortale, una volta libera dai vincoli del corpo - prigione dell'anima - Platone può raccontare solo nei
miti, esplorando così il mondo dell'ignoto.
Con il suo idealismo Platone si oppone alla visione unitaria dell'universo, separando in due sfere ontologicamente diverse la materia
e lo spirito. Rompe quindi quell'unità tra pensiero e materia - tra logos e physis - che gli antichi filosofi greci avevano contemplato.
Contro Platone gli stoici tornano all'antico pensiero eracliteo. Non si tratta naturalmente di un ritorno "ingenuo", come se non ci
fosse stata la ricerca filosofica di Platone e di Aristotele. Come Epicuro, anche gli stoici tengono ben conto delle "ragioni"
dell'idealismo, e vi si contrappongono con altre argomentazioni. Devono quindi molto alla tradizione ateniese del V e del IV secolo.
Saranno riconoscibili su vari punti gli influssi di Platone e di Aristotele, ma forse maggiore da un punto di vista etico è stata
l'influenza del grande maestro del V secolo, quel Socrate che, per fedeltà alle sue idee, accetta serenamente la morte, ed incarna per
le generazioni a venire l'ideale del saggio, dell'uomo libero padrone di sé.
Per lo stoicismo - come per Eraclito - un solo logos domina dunque il cosmo, e si manifesta nell'uomo come nelle cose. Una è la
physis, e ad essa dobbiamo rivolgere tutta la nostra attenzione di ricercatori della verità.

3. Lo stoicismo e il logos
L'asse portante dell'interpretazione stoica della realtà è il concetto di logos, ripreso dalla tradizione filosofica greca ed interpretato in
modo originale, fino a farne la chiave per la spiegazione di ogni aspetto della realtà.

3.1. Dualismo-monismo
Platone aveva sostenuto l'ipotesi dualista (differenza reale tra l'universo fisico spazio-temporale e l'universo dello spirito), lo
stoicismo invece sostiene l'ipotesi monista (da monos, uno: materia e spirito sono due forme della stessa realtà).
Il problema da cui muove la filosofia antica è la scoperta -, che risale al pensiero di Eraclito e di Parmenide - di due sfere della
realtà: la materia e il pensiero. Nell'uomo il filosofo osserva l'interazione tra la forza del corpo e la forza della mente: materia e
pensiero si mostrano nella loro connessione. Il pensiero astratto, il logos, concepisce in sé gli elementi sensibili della materia; la sua
forza penetra negli aspetti nascosti delle cose; la decisione presa all'interno dello spirito si prolunga in azioni del corpo e la mente
governa tutto il comportamento della persona, sia fisico che spirituale. Tuttavia, la relazione tra le due sfere è oscura. E' questo il
problema: fare luce razionale su questa oscurità.
Rifiutando la visione platonica, lo stoicismo concepisce l'universo come un cosmo unitario. Nel Tutto - entità fisica ed allo stesso
tempo spirituale - il logos è forza, energia vivificatrice, che plasma l'inerte e passiva materia dandole una forma ed uno scopo. Nulla
è stabile e fermo nella physis - secondo l'intuizione, ancora oscura, di Eraclito -, ma ogni cosa è presa dal vortice del movimento.
Quale forza lo genera? Che cosa si esprime nell'incessante moto degli astri, nel gioco delle maree, nella mutevole vita degli esseri
che popolano la Terra? Una sola forza pervade ogni aspetto del Tutto: l'energia del logos che guida il mondo verso la propria
destinazione e conferisce il significato razionale ad ogni evento.

3.2. Materia-spirito
Dobbiamo concepire questa forza come materiale o spirituale? La domanda è mal posta, perché presuppone - platonicamente,
secondo una concezione ignota ai presocratici - che materia e spirito possano esistere l'uno indipendentemente dall'altro: da un lato
la materia senza vita, dall'altro lo spirito creatore; realtà indipendenti, concepiti ciascuno nella propria sfera. L'esperienza non ci dice
questo, ma è in accordo con l'antica visione eraclitea della physis: la materia non è affatto senza vita, ma è vivente; lo spirito non è
affatto separato dalla materia, ma è la forza vitale interna ad essa.
Dovremmo concepire viventi le piante e gli animali, e non la Terra che li nutre? Dovremmo concepire vivente l'essere che respira, e
non l'aria che permette la vita? Certo, non si deve concepire il cosmo sull'analogia dell'uomo e dell'animale. Queste ultime sono
forme individuali dell'essere, dotate di coscienza personale e nulla ci dice che il pianeta Terra abbia forme simili di coscienza. Ma
dire che la Terra, il Sole e gli astri sono viventi non significa affatto dire che essi pensano come l'uomo o hanno coscienza nella sua
stessa maniera. Abbiamo esperienza di molteplici forme di coscienza in natura: la pianta orienta le foglie nella direzione della luce, e
"sa" quindi quale sia la posizione del Sole. Ma non possiamo dire che questa forma di sapere sia analoga a quella dell'uomo. Pensare
che nell'universo vi sia una ragione profonda sottesa ad ogni essere, che tutto plasma e muove verso uno scopo determinato - e, come
vedremo, buono - non significa immaginare una coscienza sul modello umano dilatata fino a coincidere con il cosmo.
"Dal cosmo deve trarre origine tutto ciò che le sue parti hanno in sé: non solo il sostrato corporeo, ma anche il movimento, l'anima,
la ragione, la perfezione morale. Noi dobbiamo quindi attribuire tutto ciò anche al cosmo stesso. In primo luogo la vita. (...) Questo

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fu per la Stoa un principio indiscusso: solo la ristrettezza di una prospettiva antropomorfica può negare che il mondo, preso come un
tutto, sia un essere animato dotato di ragione e perfetto" (M. Pohlenz).

3.3. Il logos secondo gli stoici
Il logos dell'uomo è la forza del pensiero che gli permette di plasmare le cose fino a creare con la cultura e la civiltà quasi una
"seconda natura" - nella città ben costruita, nei campi coltivati, nello spazio segnato da strade e ordinato dalla legge come territorio
dello Stato. Che nell'universo vi sia una ragione profonda significa concepire questo logos dell'uomo come il prolungamento in una
persona, dai tratti individuali, di una forza razionale cosmica - la stessa forza che si esprime nell'inconscio movimento della materia.
Si osservi il processo della generazione di una pianta. La natura segue delle fasi estremamente precise, facendo sì che il seme abbia
nel tempo una lunga serie ordinata di trasformazioni, fino a diventare albero. Tutto accade come se il seme fosse "programmato" (la
parola, ovviamente, è moderna) per divenire albero, se nella sua struttura vi fosse già inscritto il fine. Una mente ha operato questo?
Non dobbiamo immaginare la mente che guida l'universo sul modello della mente umana. L'uomo procede per tentativi ed errori,
torna sui suoi passi, riprende la ricerca, è condizionato da mille fattori esteriori e psicologici. Il cosmo non procede affatto così: la
via delle cose è segnata con assoluta perfezione, il seme diventa albero in un ciclo ininterrotto di nascita e di morte che dura da
molto tempo (quanto? è un problema da esaminare), gli astri compiono un movimento incessante, senza nessuna delle incertezze
umane.
Dai tempi più antichi gli uomini hanno concepito come Dio una simile forza che gli stoici concepiscono come logos. Ed anche fra
gli stoici alcuni spiriti sono profondamente attratti da una interpretazione in chiave religiosa dell'universo. Cleante, l'allievo di
Zenone che, alla sua morte, diviene scolarca è dominato da un profondo sentimento religioso, e lucidamente esprime la sua fede in
un Dio (la sua è una visione pienamente monoteista) come principio vivificatore del cosmo in un inno che ci è stato tramandato.
Cleante chiama Zeus questo logos: ma che importano i nomi? Molti nomi, e nessuno, si addicono a Dio, perché le parole umane non
ne colgono la perfezione. Nel nome "Zeus" (Dio dai molti nomi) si deve vedere il riflesso della concezione di Esiodo, di Eschilo, di
cui Cleante qui è erede.

3.4. Dio è immanente
Nel concepire questa divinità, non si pensi al messaggio cristiano, lontano ancora di secoli. Il Dio di Cleante e degli stoici non è altra
cosa dall'universo. E' l'intima forza che pervade tutto il cosmo, lo guida e gli conferisce senso. Non è puro spirito contrapposto alla
materia, ma l'elemento vivificante della materia (nella fisica, come vedremo, sarà concepito come fuoco, materia vivente, pura
energia). Dio è immanente.
Gli stoici sono i primi filosofi a concepire in piena consapevolezza l'ipotesi dell'immanenza. Il termine deriva dal verbo latino
immanere (restar dentro) e si contrappone al termine trascendenza, con il quale indichiamo la tesi platonica che il mondo dello
spirito trascenda la , natura e sia eterno (cioè sia per natura ontologicamente separato ed indipendente dalla materia e dal tempo). La
tesi stoica sul cosmo è che Dio, cioè la forza dello spirito, è dentro la natura - che il logos è l'elemento vivificante della physis - e
non può concepirsi alcuna realtà eterna ed immobile, alcuna idea fuori dal tempo. Il Tutto è scandito dal movimento e guidato
secondo ragione verso il bene dalla propria intima costituzione divina (concezione finalistica dell'universo). In questo senso l'uomo -
l'essere della natura in cui il logos divino si prolunga nella pienezza della sua cosciente razionalità - è affine alla natura di Dio e
Cleante può concludere la sua preghiera con queste parole:

"Nessun dovere è più alto per gli dèi e gli uomini
che celebrare la legge che gli uni e gli altri nel giusto unisce".

4. La logica
Nella enciclopedia delle scienze dello stoicismo la logica occupa un posto di grande rilievo ed è propedeutica alle altre discipline.
Essa infatti studia tanto i processi di dimostrazione della verità quanto i percorsi della conoscenza umana volti alla ricerca della
verità. Su questo fondamento possono essere costruite la scienza della natura e la vera conoscenza del bene.

4.1. Fondamento sensibile delle idee
Gli stoici ritengono che la mente dell'uomo alla nascita non possieda alcun contenuto proprio. La tesi platonica che la conoscenza sia
anamnesi - tesi che presuppone un sapere innato, benché "dimenticato" - è del tutto scartata. (Da questo punto di vista la spiegazione
della conoscenza umana è affine a quella data dall'epicureismo).

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La mente è passiva nella fase di ricezione delle informazioni che provengono dal mondo esterno. Diviene attiva nella fase di
elaborazione delle impressioni sensibili ritenute nella memoria. Le informazioni i del mondo esterno si accumulano nella mente
associandosi tra loro e ogni nuova esperienza sensibile non è del tutto nuova se non per il bambino nelle prime fasi
dell'apprendimento. Nel bambino ormai formato e nell'adulto le nuove informazioni richiamano alla mente le precedenti che hanno
lasciato la loro traccia nella memoria.
Da questo meccanismo mentale nascono le prolessi, cioè le anticipazioni che la nostra mente è in grado di compiere sulla realtà
futura: poiché l'esperienza passata ha mostrato costantemente certe associazioni, allora la mente si predispone ed attende che un
evento si verifichi al verificarsi di un altro, come è avvenuto nel passato.
L'accumularsi delle esperienze permette quindi all'uomo di formare le idee, cioè i concetti generali che raccolgono una grande massa
di informazioni sensibili in ragione della loro affinità. Per gli stoici le idee non hanno quindi affatto una natura indipendente
dall'esperienza, come riteneva Platone, perché il logos dell'uomo (il suo intelletto) non opera se non in rapporto al mondo di cui
l'uomo è parte. Non si può dare una conoscenza puramente intellettiva. Le idee sono solo nozioni comuni, generalizzazioni
dell'esperienza che tutti gli uomini formano in maniera molto simile perché identica è la loro mente e molto simili sono le loro
esperienze.

4.2. L'assenso
Attraverso le informazioni sensibili la realtà viene rappresentata nella nostra mente. Non tutte le rappresentazioni però vengono
accolte dal logos. L'uomo, infatti, può sospendere il giudizio di verità e procedere a delle verifiche, o può rifiutare il proprio assenso
di fronte ad una informazione che appaia contraddittoria o equivoca. L'uomo concede il proprio assenso solo alle rappresentazioni
che appaiano evidenti, o su cui i dubbi siano stati fugati. Solo così si giunge alla rappresentazione catalettica, cioè accolta dalla
mente. Questo meccanismo dell'assenso è di particolare importanza perché rivela che la mente di fronte al mondo esterno possiede
un potere di decisione autonomo, e questa autonomia si rivelerà cruciale in sede etica.

4.3. La formazione dei giudizi di valore
Di particolare importanza è l'analisi stoica sulla formazione dei giudizi di valore, perché è sulla base di questi che l'uomo compirà le
proprie scelte.
L'atto di apprensione di una rappresentazione non è neutro rispetto al problema del valore, perché l'uomo istintivamente si pone
sempre la domanda sull'utilità o i pericoli che possono derivare da quanto accade nel mondo esterno. Così per ogni rappresentazione
l'uomo, guidato dal proprio istinto di conservazione, formula un proprio giudizio "etico". La somma di questi singoli giudizi
concorre a formare nell'uomo un criterio per la determinazione di ciò che porta alla felicità e di ciò che invece provoca dolore: della
virtù e del vizio.
In sede etica si dovrà tenere conto del fatto che l'uomo potrà raggiungere la saggezza solo se sarà capace di formare nella maniera
più corretta i propri giudizi di valore, ed una cura particolare andrà posta nel percorso pedagogico che porta il giovane alla
maturazione della propria personalità.

5. La fisica
L'importanza della fisica come disciplina autonoma nell'ambito della filosofia stoica deriva dal fatto che suo oggetto è il cosmo, e
dunque il Tutto, concepito nella sua unità e indagato nelle linee di forza che lo pervadono. La fisica è dunque allo stesso tempo una
metafisica (perché indaga la natura dell'essere ed è scienza delle cause ultime) ed una teologia (perché Dio è immanente alla physis e
divina è la forza che plasma e governa l'universo fisico).
Problema fondamentale è quello di determinare il rapporto tra la materia, in sé passiva, ed il logos, la forza vivificatrice. Come può
la stessa forza cosmica agire in ciascuno dei corpi che compongono l'universo?

5.1. Il cosmo è finito
Precisiamo innanzitutto che l'universo è concepito dagli stoici finito e circolare, come un insieme saldamente unitario, compatto,
legato dalla forza cosmica. Non esiste dunque il vuoto all'interno del cosmo, ma solo al suo esterno: lo spazio senza materia lo
circonda da ogni parte, letteralmente lo contiene. Per quanto grande sia, l'universo, essendo finito, è governato dalla forza del logos,
concepito anch'esso finito, ma perfetto. (E' questo un tratto proprio del pensiero greco, che - con l'eccezione dell'epicureismo -
considera perfetto il finito, ciò che è compiuto nella sua natura, che è completo).

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5.2. Il pneuma
Il logos che muove e governa il mondo non è un concetto astratto, né un Dio trascendente che in virtù della propria potenza creatrice
plasmi la materia senza un intermediario fisico, ma con la sola forza della sua volontà formatrice. Al contrario, il logos opera sul
mondo dal suo interno: esso è quindi la forza vivente della natura, capace di plasmare la materia assumendo tutte le forme possibili.
Con la concezione del logos, lo stoicismo rifiuta la distinzione platonica tra pura materia e puro spirito (idea) e concepisce in modo
nuovo l'antico fuoco di Eraclito. Questi, in oscuri frammenti, aveva concepito il logos come fuoco, forse perché vedeva nel calore la
sorgente della vita e nel fuoco ammirava l'incessante movimento e la forza con cui trasforma e purifica gli elementi. Gli stoici
riprendono questa antica concezione del fuoco. Dovendo indicare il modo in cui l'universo è tenuto insieme nella sua unità e
plasmato dall'energia, vedono nel soffio vivificatore del fuoco l'elemento plasmatore della materia. Questo soffio vivificatore è
chiamato dagli stoici pneuma.
Questa teoria deriva, come il pensiero ionico arcaico, dalla interpretazione unitaria di osservazioni diverse. Deve avere avuto un
peso notevole il fenomeno delle eruzioni, che i Greci potevano osservare nei vulcani attivi dell'Italia meridionale, come l'Etna. Le
eruzioni mostrano con tutta evidenza che sotto la crosta terrestre c'è il fuoco vivo, che in particolari condizioni emerge verso la
superficie. Lo stesso fuoco gli stoici possono osservare nei cieli, nel Sole soprattutto, fonte primaria di vita per l'universo. Lo stesso
fuoco, sotto forma di calore, possono osserarare negli esseri viventi, che lo producono al loro interno. Tutto appare come se uno
stesso fenomeno, il calore, possa essere osservato nelle situazioni più diverse: l'energia che muove il mondo è dunque il calore, ed
essa pervade tutto con il suo potere vivificante.
Si pensi ancora alle eruzioni. La lava, materia infuocata e fluida, raffreddandosi diviene dura come pietra: ecco l'origine degli
elementi. Dopo la lunga azione del Sole e del vento sulla lava raffreddata, poi, le prime piante possono vivere su di essa, divenuta
terreno coltivabile: così dalla materia infuocata ha origine la vita, divenendo essa alimento per gli esseri viventi. "Il pneuma non solo
percorre, in diverso grado, tutto il mondo, ma stabilisce l'essenza qualitativa delle cose individuali. Anzi, le proprietà delle cose non
sono altro che correnti di pneuma, staccatesi, grazie alla forza informatrice del logos, dalla hyle (materia). Le qualità non sono
incorporee, non sono qualcosa che esista isolatamente di per sé - non c'è realmente un ?bianco? in sé -: esse sono sempre legate a un
sostrato, sono pneumata corporei. Esse però - se facciamo astrazione dall'elemento primo, il fuoco - non rimangono mai pure, ma si
mescolano l'una con l'altra; e poiché hanno la possibilità di compenetrarsi in modo totale, dalla loro unione può sorgere un nuovo
corpo, quel corpo per esempio che in ogni sua parte è giallo, pesante, duro e raccoglie molte altre qualità in una unità concreta, che
noi designamo col nome di ?oro?. E' questa la soluzione materialistica del problema riguardante la cosa una, fornita di molte qualità,
problema che Platone, dal punto di vista idealistico, aveva tentato di risolvere con l'ipotesi di una partecipazione alle idee" (M.
Pohlenz). L'espressione pneuma, soffio caldo, richiama l'esperienza della respirazione, che nel mondo greco è sin dalle origini uno
dei simboli stessi della vita animale e - dai tempi del mito - oscuramente connessa con l'anima, con lo spirito stesso del vivente.
L'universo è dunque concepito come un'immensa (ma finita) quantità di materia permeata - ovunque - dal pneuma, soffio caldo
dell'energia del logos. Una stessa vita nel cosmo e nel respiro dell'uomo.
Questa grandiosa visione cosmica, secondo l'antico pensiero greco, accomuna l'uomo alla radice stessa della natura e sottolinea i
legami, piuttosto che le differenze, tra la persona e l'ambiente, tra l'elemento fisico e l'elemento spirituale, tra la materia e il pensiero.
In sintesi: tra l'uomo e il Tutto.

5.3. L'eterno ritorno
E' in questo contesto che si colloca la concezione stoica del tempo. Sin dalle prime ricerche etnografiche ed antropologiche compiute
dai Greci, in particolare nell'età dei sofisti, si era osservato che l'umanità non sembra avere una lunga storia alle sue spalle. Non è
osservabile un tempo molto lungo dalle origini dell'uomo all'età presente. Altre osservazioni suggerivano poi l'idea di una perenne
trasformazione degli elementi intorno all'uomo, e lasciavano pensare a tempi più lunghi. Ad esempio, in posizione elevata, ben
lontano dal mare, si ritrovavano nelle rocce conchiglie ed altri fossili, che non possono derivare se non dal mare: come mai si
trovavano in posizione così elevata, a volte in montagna?
La natura ha una sua storia, ed un suo preciso ordine, ma evidentemente quest'ultimo non è sempre stato lo stesso. Da quanto tempo
il mondo dura nella condizione attuale? E per quanto tempo vi rimarrà? La più comune concezione rappresenta il tempo come un
procedere lineare, un flusso continuo che non torna mai su se stesso: un incessante procedere senza ritorni. Questa idea, legittimata
dalla riflessione sulla esperienza psicologica dello scorrere del presente, pone tuttavia il problema dell'origine e della fine: il tempo
ha avuto inizio? C'è un termine al suo cammino? Almeno l'origine della physis deve essere considerata qualcosa di più di una
ipotesi. E prima? Già antichi filosofi, come Empedocle, avevano supposto che l'intero cosmo avesse un ciclo (Empedocle pensava
allo stato attuale dell'universo come ad un momento del fluire perenne del tempo in cui l'amore e l'odio si bilanciano, ma pensava

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anche a due momenti opposti - iniziale e finale - in cui l'uno o l'altro, ciclicamente, finisse col prevalere). Diversa la concezione
degli stoici, che considerano la vita dell'universo come un ciclico fluire, ma sul fondamento di una concezione circolare e non lineare
del tempo.
Gli stoici pensano che alla fine dei tempi l'universo debba avere termine con una conflagrazione universale, venendo distrutto
completamente dal fuoco (chiamano ekpyrosis, cioè incendio, conflagrazione, questo evento cosmico, che porrà fine allo stato
attuale dell'universo). Ma pensano che dopo questo evento - ciclicamente - abbia di nuovo inizio l'attività del pneuma che plasma il
mondo, vivificando la materia e avviando ancora l'opera di formazione della natura.
Il nuovo ciclo è concepito assolutamente identico al precedente, e così tutte le volte, nel grande anno, cioè nel periodo di tempo
compreso tra il momento della formazione e quello della distruzione. La ragione per cui ogni cosa tornerà ad essere, in un nuovo
mondo, così come era nel precedente, sta nel fatto che il movimento complessivo del cosmo è regolato dalla suprema forza del
pneuma, nel quale si esprime la ragione del Tutto, il logos. Esso è perfetto e non può che evolversi ogni volta al meglio, e quindi in
maniera identica alla precedente, visto che non ha condizioni esterne che possano influenzarne il corso.
Il mondo nella sua forma attuale non è dunque eterno, ma nasce e muore ciclicamente. Eterna è invece la sostanza di cui è composto.
"Il cosmo è eterno se per esso intendiamo la sostanza del mondo; è nato ed è perituro in quanto diakosmesis (ordinamento
dell'universo), e cioè dispiegamento della sostanza nell'attuale varietà di forme. E tale diakosmesis è da intendersi come unica nel
presente, in quanto opera dell'unico logos creatore, ma nel corso dei tempi si è ripetuta infinite volte e infinite volte si ripeterà" (M.
Pohlenz).

5.4. I logoi spermatikoi
Quanto agli strumenti della formazione dell'universo, cioè agli anelli intermedi tra l'unico logos e la molteplicità delle forme della
physis, gli stoici hanno elaborato una originale concezione sul fondamento di osservazioni sperimentali e dell'influsso dell'antica
ricerca dei presocratici sugli elementi fondamentali (si ricordino, ad esempio, Empedocle, Anassagora e Democrito). Gli stoici
osservano nella realtà una grande molteplicità di elementi qualitativamente differenti, che si trasformano secondo la loro intima
natura: osservano il ciclo vitale che permette alla terra di nutrire le piante, agli animali di cibarsi di elementi vegetali trasformandoli
nelle componenti del proprio corpo, e così via. Ne traggono la conclusione che l'unico logos si prolunghi nel mondo,
differenziandosi in mille forme e trasformandosi nella molteplicità degli elementi fondamentali della natura: sono questi i logoi
spermatikoi, le ragioni seminali, i semi da cui traggono origine, sviluppandosi, tutti gli esseri del mondo, nei quali vive la forza del
logos.
Dopo la conflagrazione universale, l'ekpyrosis, il mondo riprende il proprio incessante ciclo attraverso questi elementi che dall'
interno plasmano la materia, conferendo ad ogni cosa la sua propria natura, destinata ad evolversi secondo l'intima sua necessità.

5.5. La provvidenza
Strettamente connessa con questa concezione è la dottrina stoica della provvidenza. Il logos, infatti, governa il mondo secondo
necessità (la stessa necessità che osserviamo nelle inesorabili leggi di natura, al cui potere non c'è nulla che sfugga). Esso, concepito
come divinità, guida tutta la physis verso il bene, fine ultimo d'ogni movimento dell'essere. Il bene non è concepito alla maniera
platonica come una istanza superiore ed eterna, immutabile, ma è applicato al mutevole mondo dell'esperienza. Bene non è quindi
tanto la destinazione finale, quanto l'orientamento attuale dell'essere delle cose che sistematicamente e necessariamente si evolve,
perché tutto è soggetto al movimento del tempo. E' questo stesso movimento ad essere buono, perché pone ordine a tutto l'essere in
ogni sua fase. Il bene è immanente nel mondo, anche se al nostro debole occhio il male può apparire vincente. Ciò dipende dal fatto
che non cogliamo il significato vero delle cose e degli eventi: li osserviamo da una angolazione ristretta, da un'ottica particolare, e
non capiamo perché sono necessari al fine della perfezione del Tutto. Niente accade per caso, tutto accade secondo necessità, perché
l'universo abbia ordine e misura.
Non c'è movimento nella physis - la caduta delle foglie in autunno, il ciclo della vita e della morte, il costante ruotare dei cieli, e così
fino al più piccolo evento che, per la nostra ignoranza, ci appare frutto del caso - che non abbia un senso nell'ordine del tutto.
La provvidenza non è l'intervento della divinità che dall'esterno agisce sul mondo per guidarne il corso verso il bene. E' la stessa
ragione intima delle cose, è il senso oggettivo dell'evoluzione cosmica. L'uomo deve affidarsi a questo cammino dalle tappe già
segnate, abbandonarsi con fiducia alla perfezione divina, anche quando essa non appaia in tutta chiarezza e il male sembri prendere
il sopravvento. Ma ciò che è male dalla visuale dell'individuo (ad esempio la morte per la preda) è bene nell'ordine del tutto (il
rapporto tra preda e predatore garantisce la vita nel ciclo cosmico del divenire).
Naturalmente è vana la pretesa di comprendere sempre le ragioni della divinità, forma immanente che regge il mondo. Rimane il

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mistero nelle cose, negli eventi, nel destino individuale, perché la mente dell'uomo non penetra fin nei più intimi segreti della natura.
E infatti la ricerca scientifica è costante, presso gli stoici. Ma la ragione ci spinge ad avere fiducia nella bontà del Tutto.
Il saggio si affida alla provvidenza appunto perché ha fiducia nella provvidenza.

6. L'ottimismo metafisico e il finalismo nella natura
Se ripercorre col pensiero il corso della propria vita, l'uomo ha l'impressione che essa sia governata dalla Tyche, l'antica dea greca
del caso, il cieco destino privo di senso che rende irrazionale ogni progetto troppo preciso a lunga scadenza: la vita soggiace infatti
ai colpi della "fortuna", nel senso latino del termine.
Per gli stoici questa maniera di pensare è frutto della nostra ignoranza del futuro, della mancanza del saldo possesso razionale della
rete di cause che determinano un evento e, soprattutto, delle conseguenze che ne deriveranno. Il saggio però non si lascia ingannare
dai limiti delle informazioni in suo possesso. Attraverso la ragione, egli sa che non c'è alcuna tyche nella natura, ma rigoroso ordine.
Tutto è regolato dalla ragione che governa il cosmo secondo il bene.

6.1. L'ottimismo metafisico
L'essere stesso è bene, è divino. Il male è solo un momento del ciclo del bene, oppure è il frutto dell'ignoranza (un errore di
prospettiva, nato dall'ottica sfocata che ci concede la nostra natura), oppure è il momentaneo prevalere dell'irrazionalità, cui il logos
saprà dare un senso positivo, volgendo gli eventi verso il bene.
Gli stoici, dunque, hanno espresso la massima fiducia nella positività dell'essere. Il loro è un profondo ottimismo metafisico: la vita,
l'essere in quanto essere, è bene.
Non si tratta di chiudere gli occhi di fronte al male del mondo, di non voler vedere l'irrazionalità della vita e la profondità del dolore
che opprime il vivente (ogni essere vivente, non solo l'uomo). Al contrario, la realtà va guardata con lucidità, oggettività: come la
scienza ha cercato di fare in ogni tempo e come i Greci avevano imparato fin dai tempi delle prime osservazioni naturalistiche. Il
male, tuttavia, va compreso nell' ottica del bene.
In questo ottimismo radicale - che ritroveremo nel pensiero medioevale cristiano - unito alla oggettiva considerazione degli eventi,
va certamente vista una forma nuova di religiosità, erede della fede, ad esempio, di Eschilo, che fa di Zeus solo un nome per il
principio razionale che pone ordine e giustizia nel cosmo. L'lnno a Zeus di Cleante non si spiega senza un profondo sentimento
religioso, che molti stoici, per tutta l'esistenza della scuola, hanno mostrato di possedere.

6.2. Il finalismo della natura
Questa fede ha un forte fondamento sperimentale. Essa nasce dalla interpretazione finalistica della natura (che, quindi, richiama
Aristotele). Gli stoici sono profondamente colpiti dall'ordine dell'universo e dal fatto che tanto gli organismi viventi quanto il cosmo
nel suo complesso appaiono orientati verso uno scopo. Si prenda il caso dell' uomo. Ogni suo organo sembra "programmato" per la
buona efficienza dell'organismo; ogni momento del suo sviluppo (dal concepimento alla nascita alla crescita) appare finalizzato al
perseguimento della migliore condizione dell'adulto; il suo corpo ha caratteristiche che lo predispongono alla parola ed alla
comunicazione spirituale con i suoi simili. Tutto accade come se una intelligenza avesse "pensato" lo sviluppo dell'uomo secondo un
preciso fine, la pienezza del suo essere. E' come se vi fosse un progetto. Troppo bella la natura, per non pensarlo, troppo pieni e
perfetti i suoi colori, le sue forme, il fascino degli elementi, il paesaggio di tutti i giorni sulle terre dei Greci: il mare, il sole, l'aria, il
profilo delle isole e dei monti.
Lo stesso accade per ogni pianta e per ogni animale. Se si pensa al ciclo delle stagioni, all'alternarsi del caldo e del freddo,
dell'umido e del secco, e così via, la physis sembra costituire una macchina meravigliosa finalizzata al bene. La bellezza stessa della
natura sembra proclamare la perfezione del divino che è in lei. Gli stoici descrivono ammirati tutto questo, ed ai loro occhi il
finalismo della natura appare come la migliore e la più razionale prova dell'esistenza di Dio come supremo reggitore dell'universo.
Forse non comprendiamo tutte le vie del mondo, qualcuna è dolorosa - forse troppo dolorosa - per noi. Ma l'uomo saggio si affida
all'ordine divino, quell'ordine che compare con tanto splendore nella bellezza del mare e della luce, nel ciclo vitale, finalizzato al
bene, degli organismi. E tra questi - in un mondo che non ha voluto, ma che contempla con occhi stupiti e che comprende con la sua
ragione - è ciascuno di noi. La ragione accomuna il nostro logos al logos divino che è in ogni cosa. L'uomo è affine a Dio. Ma come
può fuggire dalla infelice condizione in cui si trova, oppresso dal dolore e schiavo delle passioni, per giungere alle serene regioni
della vita divina, guidata dalla ragione? L'uomo può accostarsi a Dio?
Si rifletta sulla posizione dell'uomo nel cosmo. Mentre gli epicurei concepiscono l'uomo come uno dei tanti casuali prodotti del

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movimento degli atomi, il pensiero stoico è dominato dall'antropocentrismo: l'uomo ha il primo posto nella scala degli esseri e la sua
anima è affine a Dio.
"A questo punto però si presentava agli stoici un problema: qual è lo scopo ultimo che la natura persegue nel suo creare? Se noi
vediamo una casa ben arredata, non ci domandiamo soltanto chi l'ha costruita ma anche per chi è stata costruita. La risposta per loro
non è dubbia: tutte le forme di vita inferiori esistono in funzione di quelle superiori. La terra nutre le piante, queste nutrono gli
animali, e gli animali servono all'uomo come strumento e come cibo. Infatti, sebbene fisicamente l'uomo sia inferiore per molti
aspetti agli animali, col suo logos egli si rende padrone di loro e di tutto il mondo. Egli è usufruttuario di tutte le cose ed è pure il
solo essere adatto e chiamato ad apprezzare la grandezza e la bellezza del mondo e a trarne motivo d'edificazione. Grazie al logos
egli è imparentato con la divinità. Dio e uomo sono gli esseri razionali, la più alta forma dell'essere, la quale svela lo scopo e il senso
del mondo. Il cosmo secondo Crisippo è ?un sistema costituito dagli dèi, dagli uomini e dalle cose create per loro?" (M. Pohlenz).
Con questo antropocentrismo gli stoici introducono un elemento nuovo nella cultura greca: esso è infatti assente non solo presso i
filosofi, ma anche presso i poeti dell'età arcaica e classica.

7. L'etica: l'uomo come elemento del sistema-universo
La filosofia è meditazione sulla vita, percorso di ricerca sulla via della felicità. Essa, come già ha voluto Epicuro, deve lenire il
dolore dell'uomo e mostrare la via della virtù all'uomo che punta alla felicità nel rispetto della natura delle cose e della propria
essenza. Anzi, il valore più profondo della ricerca sulla logica e sulla fisica - discipline che pur sono in se stesse importanti perché
rispondono al bisogno umano di conoscere la verità - è tutto nell'aiuto che la conoscenza delle cose può dare al pieno e armonico
sviluppo della vita interiore. La filosofia è, nella sua più intima ragion d'essere, meditazione sulla vita, conversione del cuore verso il
bene e la felicità. E, soprattutto, verso la libertà.
La realtà della vita, infatti, può essere penosa per l'uomo: schiavo delle sue passioni, egli vive nell'incertezza del futuro e non
conosce la via della salvezza. Vaga per il mondo, affidandosi a valori incerti e mutevoli che lo tradiranno, spesso volgendo le sue
forze verso obiettivi meschini, oppure affidandosi a certezze che finiranno talora per portarlo alla rovina.
Il saggio, invece, si volge alla filosofia per cercare la pace dell'anima, il quietarsi delle passioni, la sicurezza degli obiettivi e dei
valori verso i quali la vita è orientata nell'ordine del Tutto. Il saggio sa quello che fa, perché la conoscenza della superiore ragione
che domina l'universo lIo porta all'ottimismo metafisico, da cui discende il principio che la felicità è possibile, che la vita divina può
essere vissuta in terra, in pace con sé e col mondo, in armonia con la natura e col suo profondo principio divino.
Questo è possibile per l'uomo, questo è il messaggio di speranza che lo stoicismo rivolge agli uomini del suo tempo, messaggio
raccolto per secoli nei luoghi più diversi, da Roma all'Oriente. Questo fine avvicina la scuola stoica a quella epicurea. Rimangono
molto diversi tanto il modo di concepire l'ideale del saggio quanto la concezione della natura, a cui in ultima analisi entrambe le
filosofie rimandano per la comprensione dell'uomo.
Il regno della physis è dominato dalla legge - razionale e volta al bene - della necessità. Essa sfugge al dominio dell'uomo, ed anzi
l'uomo stesso è sotto il suo dominio: da un punto di vista esteriore, la persona è dominata dalla necessità naturale e per sopravvivere
deve operare come qualsiasi altro essere vivente, sottomettendosi al ritmo della respirazione, procurandosi il cibo, riparandosi dal
freddo e così via. E, ciò che è più grave, la persona umana è soggetta alla malattia ed al dolore come eventi della physis, necessari
all'ordine del Tutto. La morte è propria di ogni vivente, è inerente alla vita stessa, perché questa è un ciclo che ha un termine iscritto
necessariamente nel suo percorso. Tutto questo non dipende dall'uomo.
Solo in parte, attraverso la sua azione, nella quale manifesta la sua cultura ed il livello di civiltà raggiunto, l'uomo può modificare il
corso delle cose nel rispetto delle leggi di natura. E' il lavoro, in primo luogo, che opera questa trasformazione della natura
migliorando le condizioni esteriori di vita: il lavoro del contadino, che organizza su basi razionali la produzione del cibo; l'attività
del medico, che impara a conoscere i rimedi per le malattie; il lavoro dell'uomo di Stato, che impara a governare la collettività,
ponendosi al suo servizio (è questo un concetto fondamentale per gli stoici) e assicura la corretta gestione dei servizi che le sono
indispensabili. Il saggio, tuttavia, sa che tutto questo avviene nel quadro delle inesorabili leggi di natura, che alla fine prenderanno il
sopravvento. L'uomo, del resto, può modificare il corso delle cose a suo vantaggio attraverso il lavoro perché egli stesso è un
elemento del sistema, un "ingranaggio della macchina": tra le forze nelle quali si esprime il logos che governa il mondo operando
nella sua intima costituzione c'è anche l'uomo. Quando l'uomo lavora, trasformando la natura, il logos opera attraverso di lui in modo
ontologicamente non differente da quanto accade con l'azione del vento o delle acque che incessantemente modificano il volto della
Terra. In queste forze lo stesso logos è intimamente presente attraverso il pneuma: questa è infatti la forma con cui il logos agisce
fisicamente sulla natura. Allo stesso modo con il logos che è in lui l'uomo collabora al piano divino che determina il corso del
mondo.

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