"Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO" - Giuseppe Favretto Ordinario di Organizzazione Aziendale

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"Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO" - Giuseppe Favretto Ordinario di Organizzazione Aziendale
“Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO”
           Giuseppe Favretto
      Ordinario di Organizzazione Aziendale

Direttore Centro Mobbing e Benessere Organizzativo

             http://cd.univr.it/mobbing/

         Università degli Studi di Verona
"Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO" - Giuseppe Favretto Ordinario di Organizzazione Aziendale
Immaginare che esista un punto di vista
      psicologico dello stress vuol dire
 snaturarne le virtù costitutive e una gran
   parte del suo fascino, ancora vivo ed
     attuale, sul fatto che esso crea un
   avvincente spazio di ricerca e azione
 interdisciplinare nel quale si collocano a
 pieno titolo almeno fisiologia, psicologia
                ed economia.
"Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO" - Giuseppe Favretto Ordinario di Organizzazione Aziendale
Stress, argomenti principali:
1.   ALCUNE RIFLESSIONI TEORICHE E
     MODELLI
2.   CRITICITÀ APPLICATIVE
3.   LO STRESS (distress) CHI LO PAGA?
4.   PROSPETTIVE DEGLI STUDI E
     PROPOSTE

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"Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO" - Giuseppe Favretto Ordinario di Organizzazione Aziendale
Riflessioni teoriche e modelli
"Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO" - Giuseppe Favretto Ordinario di Organizzazione Aziendale
Efficienza, produttività, benessere
 organizzativo si radicano perfettamente in
  questo spazio e in esso possono essere
 meglio comprese, interpretate, sviluppate.

          L’ATTUALITÀ DEL
     MODELLO DELLO STRESS
SGA (Sindrome Generale di Adattamento)
   e del pensiero del suo scopritore:
              Hans Selye
"Il PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO" - Giuseppe Favretto Ordinario di Organizzazione Aziendale
Fin dal suo fondarsi la Sindrome Generale di
  Adattamento mostrava la sua capacità
  innovativa quasi eversiva rispetto ai modelli
  tradizionali:
  – accreditava una maggiore corrispondenza tra
    fenomeni psichici e somatici: tanto gli eventi
    fisici quanto gli eventi psicosociali condividono
    la capacità di attivare la risposta di stress;
  – dava prospettive nuove alle scienze del
    comportamento nel leggere i fenomeni
    organizzativi.
Tra i punti più avvincenti e ancora densi di
             prospettive di ricerca:
  il fatto che lo stress di per sé non è né
              positivo né negativo.

    Esso è soprattutto una risposta di
        adattamento all’ambiente.
 In un suo testo basilare, Stress without
  distress del 1974, lo studioso mette in risalto
  che può esserci stress senza distress, che
  lo stress è vita, che lo stress contribuisce
  alla qualità della vita del lavoro e alle
  performance organizzative e manageriali.
 Yerkes e Dodson lo avevano già prospettato
  nel 1919: le performance peggiori si hanno
  in corrispondenza di livello di attivazione
  troppo elevati (overload) o poco elevati
  (underload).
Il modello di Selye appare oggi ancora
      attuale nei suoi principi di base
 (approccio response-based) integrato
     dai contributi delle neuroscienze:
     insistenza sulla centralità della
connotazione cognitiva emotiva della
   sindrome (stress) accolta in tutti i
           modelli mainstream
I principali modelli interpretativi

La modellistica di ricerca si è sedimentata lungo
                  due filoni principali:
              CAUSALISTICO/LINEARE,
      INTERAZIONISTA TRANSAZIONALE.
    Il primo si radica in interpretazioni che si
focalizzano sulle cause (stressor) e sugli effetti,
 contempla inoltre variabili intervenienti di varia
 natura (somatica, personologica, emozionale);
 il secondo considera lo stress come sviluppo
       nell’interazione circolare tra le variabili
 individuali e organizzative marcando correlati
           processi emozionali e cognitivi.
Vediamo alcuni modelli:
   • quello di Cary L. Cooper docente di
        management a Manchester,

         • PE: teoria dell’adattamento
 persona/ambiente (Person/Environment
 Fit), messo a punto presso l’Università del
Michigan (French et al, 1974; Van Harrison,
              1978; Caplan et al.),
     • Cox e Mackay (1978) della scuola di
  Nottingham, fa proprie molte delle idee di
                    Lazarus,
• Il modello domanda-controllo di Karasek
                e Theorell (1990).
GLI STRUMENTI
Possiamo dire che ciascuno dei principali
modelli e autori che abbiamo sopra citato
hanno prodotto durante i loro lunghi anni
       di ricerca strumenti coerenti.
La stessa rivista “Work & Stress”, fondata
   da Tom Cox quasi trent’anni fa, ha
     accolto in più circostanze articoli
      concernenti la validazione e la
standardizzazione di inventari, indicatori.
Alcuni strumenti

• OSI – Occupational Stress Indicator

• SACL - Stress Arousal Check List

• Job Reaction Questionnaire

• OSI - Occupational Stress Invenctory

• Occupational Role Questionnaire

• Personal Strain Questionnaire

• Personal Resource Questionnaire
Le indagini sullo stress in Italia iniziate
  negli Anni Settanta:
 colletti blu e colletti bianchi,
 medici
 dirigenti,
 bancari,
 insegnanti,
 sindacalisti,
 poliziotti,
 operai in cassa integrazione
 etc…
Criticità applicative
CRITICITÀ:

    la legge: misurare rischio e stress!
     (Accordo Quadro Europeo 8 ottobre 2004; d. lgs
     626/96; d. lgs. 81/2008, art. 28):
    evoluzione del concetto di salute

   Mette in risalto gli effetti che i contesti
    lavorativi esercitano sul benessere o
    malessere
Constatazione
     con la leva determinata dai
provvedimenti e dagli obblighi di legge

      sempre più “specialisti”
        pluralità di approcci
               opzioni
             strumenti
               metodi
LE CRITICITÀ
    nonostante una discreta tradizione di
         ricerca degli Anni Settanta:
   non esiste a livello italiano uno standard
    condiviso,
   non è stato possibile generare alcun
    coordinamento nazionale che potesse
    definire riferimenti se non altro convenzionali
    e condivisibili paragonabili ad esempio a
    quello che succede per i MAC in medicina del
    lavoro.
LE CRITICITÀ
                     ciascuno:

   aderisce a modelli scelti più o meno
    arbitrariamente basati sul fascino del singolo
    modello o autore,
   trasferisce costrutti e protocolli da altri modelli
    internazionali o, molto più frequentemente si
    costruisce artigianalmente il suo.
LE CRITICITÀ
       risultato, quando misuriamo:

 non sappiamo che cosa misuriamo, non
sappiamo che cosa fare per misurare.
 non siamo in grado di dare grandi
garanzie sull’attendibilità, sulla
congruenza e sulla validità (almeno
convenzionale –casistica-, di contenuto,
di costrutto, concorrente o predittiva) della
misurazione.
ALTRE CRITICITÀ

 le imprese hanno accolto più o meno
  tiepidamente questa legge, spesso non
  sono in grado di discriminare tra
  protocolli e modelli,
 gli interventi spot si basano rapporti
  fiduciari senza alcun standard e senza
  nessuna garanzia.
Altra criticità, tornando al
 paradigma
 stiamo misurando lo stress forse???
 ma eustress o distress?
Esempi:

 grande impresa, un questionario nel
quale si usavano una decina scale
dicotomiche assenza/presenza dei fattori
di rischio.
 clima organizzativo
 benessere
 focus group
 etc…
Risultato:

 dal punto di vista delle imprese vi sono
comportamenti difensivi cautele o
perplessità. Non si può dar loro torto in
merito ai timori manifestati nei confronti di
questa legge, infatti rischia di tramutarsi in
uno dei tanti obblighi in grado di generare
molti oneri e poche utilità.
Soluzione:

 a nostro parere è possibile ripartire con
degli standard nazionali condivisi.
Abbiamo pur visto che qualche regione
sta tentando un’operazione di questa
natura ma rischia di non trovare
accoglimento, dato che dovrebbe operare
in corpore vivi.
Stress (distress) chi paga?
Il malessere organizzativo: quanto
             costa e chi lo paga
Vale la pena o no – sul piano economico
  e aziendale – investire sul benessere
                organizzativo?
 Si tratta di valutare il ritorno economico
  del miglioramento delle condizioni di
   lavoro, in particolare quelle legate al
     rischio lavorativo stress correlato.
   In altri termini, il miglioramento della
       qualità della vita organizzativa,
       oltre ad essere un valore in sé,
             riduce anche i costi?
E poi chi se ne fa carico?

               Per l’Italia:
Secondo l'ISPESL in Italia sarebbero
  circa 4 milioni le persone soggette a
   stress da lavoro e una percentuale
 compresa tra il 50% e il 60% di tutte le
giornate lavorative perse è riconducibile
          allo stress (distress).
    La stima dei costi nazionali è di
            4.752.000.000 €.
Per l’Unione Europea:

 In relazione ai costi per il welfare, in un
recente studio (Cooper, 2009) si sostiene
    che il solo trattamento sanitario del
 disturbo depressivo collegato allo stress
     incide direttamente sull'economia
      europea con un dispendio pari a
             44miliardi di euro.
Nello stesso studio si riporta che
    i costi correlati caricati sulle
               aziende,
     in termini di mancati introiti,
    configurano una perdita pari a
     !!! 77 miliardi di euro !!!
in conseguenza di errori, calo di qualità
       del prodotto e del servizio,
         assenteismo, turnover,
        inefficienza/sovraccarico
      comunicazionale (conflitti di
   competenza), sfiducia, iniquità etc.
Prospettive di studio e
      proposte
ALLORA A CHE FARE?

  Dati come quelli sopra rapidamente
         enunciati mostrano l’utilità
  dell’intervento preventivo sullo stress
        (meglio distress) lavorativo.

Resta però la necessità di dimostrare che
     l’intervento sull’organizzazione è
  economico davvero. Fa guadagnare o
   risparmiare l’imprenditore, azienda,
     organizzazione o società nel suo
                 complesso.
È una questione economica, nel senso
   della opportunità cioè del dove allocare
                delle risorse:
 Nel Welfare: a carico della collettività
  investendo in sanità in particolare
 Oppure a favore dello stress buono
  (eustress) nelle aziende
Proposta:

  Un modello di un bilancio Aziendale
 delle opportunità (eustress/distress)
Gruppi di ricercatori (Ravi Tanghi, 2003*,
Brun, Lamarche, 2006) sono impegnati
nella ricerca e creazione di strumenti
(Management Scorecard) per la
misurazione dei costi (e delle opportunità)
dello stress lavorativo.

*“Stress Costs, Stress-Cures" (modelli di misurazione economica
dei costi dello stress lavoro-correlato).
Nel Nord Europa alcune aziende sono
           passate dalle parole ai fatti
 Il programma di stress-reduction della
  London Underground, ad esempio, ha
  permesso un risparmio di 455.000£ nei
  primi due anni di applicazione: un ritorno
  sugli investimenti di 8:1.
 In generale, secondo l’European
  Foundation (for the Improvement of Living
  and Working Conditions), le imprese che
  investono e realizzano progetti di bonifica,
  risparmiano 16 € ogni euro investito.
Quindi e questa è la nostra tesi
              conclusiva
 bilanci organizzativi dell’eustress!

Una mappa dell’eustress e del distress
     organizzativo, protocollata e
   adeguatamente standardizzata,
diventerebbe uno strumento utile, per
        trasformare lo stress
   da pericolo (rischio), ed obbligo,
            a opportunità.
In questo senso il modello dello stress
  era e resta un importante crocevia
    in cui le discipline economiche
   del comportamento e della salute
  possono continuare proficuamente
             operare insieme
  per fornire al sistema delle imprese
          dei metodi adeguati.
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