IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO: EVOLUZIONE IN ITALIA ED ESPERIENZE ANALOGHE IN ALCUNI PAESI EUROPEI

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STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002

IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO:
EVOLUZIONE IN ITALIA
ED ESPERIENZE ANALOGHE
IN ALCUNI PAESI EUROPEI

EMANUELA TASSA *

Introduzione
Il problema della ripartizione delle responsabilità di bilancio tra i
diversi livelli di governo comincia ad essere preso più seriamente in
considerazione nei paesi europei solo verso la fine degli anni Settanta.
Prima di quel periodo, infatti, i governi si erano concentrati in misura
maggiore su obiettivi di crescita e di redistribuzione del reddito e, per
meglio perseguirli, avevano preferito accentrare le decisioni, lascian-
do in secondo piano il problema dell’allocazione di risorse più effi-
ciente per livello d’amministrazione.
    Solo relativamente di recente, e soprattutto in seguito alla maggio-
re attenzione posta sugli equilibri di bilancio dopo il Trattato di Maa-
stricht, si è avuto un acuirsi dell’interesse verso le problematiche lega-
te agli equilibri dei bilanci locali.
    Il pericolo dell’influenza negativa di Enti locali poco virtuosi sugli
equilibri complessivi esiste evidentemente anche in paesi non interes-
sati dai vincoli imposti dal Trattato1. In generale, infatti, il singolo

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* Istituto di Studi e Analisi Economica (ISAE), Roma. E-mail: e.tassa@isae.it
Sebbene si riprendano considerazioni già esposte dall’autore nel Rapporto trimestrale
ISAE, luglio 2002, le idee qui espresse non riflettono necessariamente l’opinione dell’i-
stituzione. Il lavoro è stato chiuso con le informazioni disponibili al 7-1-2003.
¹ Un problema di crescente rilevanza riguarda l’utilizzo da parte degli Enti locali di
strumenti di finanza derivata. Tali modalità di ricorso al mercato, infatti, rendono più
difficoltosi i controlli trattandosi di operazioni, di norma, fuori bilancio (cosiddette
operazioni sotto la linea) e spesso complesse. Ciò comporta il pericolo che le ammini-
strazioni si espongano in maniera eccessiva, qualora non opportunamente monitorate.
Un caso famoso di bancarotta è quello della contea di Orange (USA), con una perdita
accertata di circa 1,7 miliardi di dollari: si pensi che dal 1937 al 1994 gli Enti locali
degli Stati Uniti avevano fatto registrare 362 bancarotte per un ammontare totale di
perdite di 217 milioni di dollari. Del resto, l’avversione dell’elettorato statunitense per
l’aumento delle imposte ha condotto all’approvazione della Proposition 13 del giugno
1978 (tipo di legge su petizione popolare), che limita fortemente la possibilità delle
autorità locali di aumentare annualmente le tasse sulla proprietà, e rende quindi parti-
colarmente pressante la necessità di reperire fondi sui mercati.

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ente è incentivato a trarre beneficio dalle positive condizioni dell’eco-
nomia associate all’autodisciplina esercitata dagli altri enti senza tut-
tavia contribuire a realizzarle (free riding). In tal modo, oltre a deter-
minare una pressione al rialzo dei tassi di interesse, l’ente meno vir-
tuoso si espone anche ad un rischio di bancarotta tanto più alto
quanto più si è certi dell’intervento di salvataggio da parte dello Stato
centrale2.
   In linea teorica, i meccanismi di regolamentazione del mercato
potrebbero spingere, o costringere, le autorità locali a mantenere
invece comportamenti virtuosi. Tuttavia, le condizioni per realizzare
un adeguato controllo sul ricorso al debito sono molto rigide3: parità
di accesso degli Enti Locali alle fonti di finanziamento, informazione
adeguata dei mercati sul loro grado di solvibilità, divieto di salvatag-
gio nei casi di dissesto e adeguata reattività agli impulsi del mercato
ed il loro verificarsi è estremamente raro nella pratica. È quindi neces-
sario affiancarvi altri meccanismi di controllo.
   In generale, per ottenere un maggiore coinvolgimento degli Enti
locali negli obiettivi di rigore nazionali, si ricorre di solito al coordi-
namento, al vincolo di pareggio di bilancio al netto delle spese per
investimento (golden rule), all’obbligo di mantenere appositi fondi
precauzionali (cosiddetti rainy day funds).
   Più nello specifico, all’interno dell’Unione Europea, al di là di pro-
poste4 originali come la vendita di «licenze di indebitamento», ispira-
ta al caso dell’inquinamento di Coase, sia pure da più parti sug-
gerita5, le soluzioni realizzate hanno riguardato sostanzialmente
accordi intergovernativi di controllo reciproco (peer pressure), attuati
soprattutto attraverso organismi di coordinamento, o patti espliciti,
come, ad esempio, in Italia e Spagna, che sono i paesi con una tradi-
zione di decentramento meno radicata, forse perché tra gli ultimi in
ordine cronologico ad avere adottato questa impostazione. È magari
significativo, comunque, notare che i paesi a più forte tradizione fede-
rale hanno evitato un’imposizione rigida, preferendo soluzioni con-
certative6. In particolare, nessun paese ha riproposto negli stessi ter-

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² Con riferimento a questo fenomeno si parla di solito di «vincoli di bilancio deboli»
(soft budget constraint). Il problema dell’opportunità dell’intervento dello Stato centra-
le in tali casi (bail out) si presenta anche con riferimento alle grandi imprese quando
queste siano considerate «troppo grandi per fallire». Sull’argomento si veda, ad esem-
pio, Kornai J., Maskin E. e Roland G. (2002).
³ Cfr. Lane (1973).
⁴ Per una rassegna delle proposte di modifica dei parametri di riferimento del Patto di
Stabilità e Crescita, si veda, tra gli altri, Monorchio A. (2002).
⁵ Si veda, ad esempio, Casella A. (1999).
⁶ È il caso, in particolare, della Germania. Dal momento che inizialmente la sua posi-
zione rispetto ai parametri di Maastricht le lasciava un certo margine di manovra, oltre
che per la maggiore tradizione in questo senso, essa si è impegnata, infatti, nella ricerca
di soluzioni concertative, anche se ora si avvia a realizzare un patto interno formale.

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mini, a livello locale, i vincoli di bilancio che il Patto di Stabilità e
Crescita impone allo Stato centrale.
    In Italia, la maggiore responsabilità degli Enti locali nell’ambito
della finanza pubblica è seguita ad un sempre maggior coinvolgimen-
to sia a livello legislativo che amministrativo; quest’ultimo in partico-
lare avviato con le cosiddette leggi Bassanini. La consacrazione di
tale impostazione si è avuta con la legge di riforma costituzionale.
Tuttavia, in mancanza di più precise disposizioni normative sui mec-
canismi di attuazione della riforma, rimangono molte incertezze sul-
l’effettivo grado di coinvolgimento degli Enti locali. Già al varo del
Patto di Stabilità e Crescita erano stati evidenziati sia il rischio di free
riding insito nella mancanza di vincoli per i governi locali, sia quelli
legati al margine lasciato alla contabilità creativa. È in ogni caso diffi-
coltoso imporre vincoli ad enti troppo piccoli per essere adeguata-
mente monitorati o che possono esserlo solo a costi eccessivi. D’altra
parte, l’Italia presenta una lunga tradizione di salvataggio (bailout)
delle Regioni, in particolare per quanto riguarda la spesa sanitaria, e
di conseguenza deve affrontare maggiori difficoltà per recuperare cre-
dibilità sul piano del rigore istituzionale.
La finanza locale in Italia: evoluzione e difficoltà di controllo
Appare utile, per comprendere meglio le difficoltà ed il grosso cam-
biamento richiesto alle modalità operative delle Regioni dalla modifi-
ca costituzionale, ripercorrere molto brevemente i tratti salienti della
normativa sulla finanza regionale.
    Come noto, le leggi fondamentali di riferimento sulla materia, pri-
ma della riforma costituzionale, erano la legge 281/1970 e, in seguito,
la legge 158 del 1990. La prima assegnava alle Regioni il gettito deri-
vante da alcune tasse di modesto importo7 (esempio la tassa di circo-
lazione, ecc.) nonché quello derivante da alcuni tributi erariali e il
potere di modificarne le aliquote entro limiti prefissati.
    La ripartizione della parte di gettito erariale assegnata alle Regio-
ni avveniva tramite un Fondo comune istituito presso il Ministero del
Tesoro che lo ridistribuiva in base a determinati indici quali la popo-
lazione, il territorio, il tasso di disoccupazione, il tasso di emigrazione
dalla Regione e il carico procapite dell’imposta complementare aven-
do conto del reddito medio. Esisteva inoltre un Fondo per il finanzia-
mento dei programmi regionali di sviluppo presso l’allora Ministero
del Bilancio, con una dotazione stabilita sia in base ai piani quin-
quennali che tramite la legge di bilancio anno per anno, ripartito
secondo i criteri indicati dal CIPE.
    Infine, esistevano dei contributi speciali (previsti al terzo comma

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⁷ Nel 1998, l’ammontare complessivo dei tributi propri non superava il 3 per cento
delle entrate regionali.

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del vecchio articolo 119 della Costituzione) che la legge esplicitamente
considerava aventi «carattere aggiuntivo rispetto alle spese direttamen-
te o indirettamente effettuate dallo Stato su tutto il proprio territorio».
    Al di là dei ricorsi costituzionali proposti dalle Regioni contro l’i-
nadeguatezza dei finanziamenti, sembra comunque evidente che la
configurazione delineata da questa legge tendeva più alla perequazio-
ne ed alla redistribuzione delle risorse che non ad incentivare la «con-
correnza» tra le Regioni o a garantirne in qualche modo l’autonomia
finanziaria. L’insufficienza delle risorse assegnate ha ingenerato la
prassi dei trasferimenti statali alle Regioni attraverso fondi settoriali o
speciali con vincolo di destinazione. La successiva legge 335 del 1975
che stabiliva che «le somme assegnate a qualsiasi titolo dallo Stato
alle Regioni confluiscono nel bilancio regionale senza vincolo e speci-
fiche destinazioni» è stata di fatto poi disattesa dalle leggi statali di
settore. Nel complesso quindi la finanza regionale era controllata
praticamente al 90 per cento dallo Stato negli importi, negli obiettivi
e nelle procedure. In particolare, la maggior parte delle entrate prove-
nivano da due fondi nazionali: il Fondo sanitario e il Fondo per gli
investimenti nel settore dei trasporti pubblici locali, che ancora oggi
rappresentano due delle principali voci di spesa dei bilanci locali.
    Inoltre, la legge di riforma della finanza pubblica (legge n.
468/1978) introdusse, tra l’altro, l’obbligo per le Regioni di mantenere
le disponibilità liquide limitatamente alle assegnazioni, ai contributi e
a quanto d’altro proveniente dal bilancio dello stato in conti correnti
non vincolati presso il Tesoro.
    La legge 158 del 1990 (con il DPR 398 del 1990 ad essa collegato) e
la legge 421 del 1992 (e il DPR 504/1992) hanno tentato di modificare
lo status quo agendo principalmente in tre direzioni. Alcuni tributi,
pur non potendo superare una determinata soglia fissata con legge
statale, furono assegnati alle Regioni (tassa di concessione regionale e
tassa automobilistica regionale). Inoltre, le quote dei tributi erariali ed
i finanziamenti di parte corrente previsti da leggi statali per il finanzia-
mento di competenze regionali furono accorpati nel Fondo comune,
già previsto dalla legge 281/1970 (articolo 8), e si consentì alle Regioni
di ricorrere all’indebitamento. Infine, si stabilirono nuove modalità di
finanziamento il Fondo per il finanziamento dei programmi regionali
di sviluppo prevedendo un parere della Conferenza Stato Regioni.
    È evidente che anche questa modifica non introduceva nessun
aspetto radicalmente differente rispetto all’impostazione precedente
lasciando le Regioni ancora dipendenti dal trasferimento dei fondi
settoriali, il più cospicuo dei quali, quello sanitario, non transitava
neanche né per il fondo comune, né in quello di sviluppo. Inoltre,
questa impostazione impediva di fatto una programmazione finanzia-
ria pluriennale, data l’impossibilità di conoscere l’ammontare futuro
dei trasferimenti.
    Si vede quindi ancora che l’impostazione seguita dal legislatore

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non è stata quella di favorire la differenziazione tra le Regioni, né di
spingere alla loro «responsabilizzazione». Risulta dunque ancora più
vistoso il cambiamento istituzionale avvenuto con la riforma.
    Il nuovo dettato del Titolo V della Costituzione, porta all’articolo
119 le indicazioni sulle nuove modalità di finanziamento delle Regio-
ni. Pur in assenza di una legge di attuazione8 sull’autonomia finanzia-
ria, è possibile tuttavia inquadrare alcune differenze significative
rispetto all’approccio precedente alle modalità di finanziamento. In
particolare, l’autonomia finanziaria viene oggi esplicitamente attri-
buita anche a Comuni, Province e città metropolitane9 e ad essa corri-
sponde autonomia di entrata oltre che di spesa. Anche dal punto di
vista linguistico gli enti territoriali «stabiliscono ed applicano tributi
ed entrate propri» mentre l’articolo 119 pre-riforma recitava «sono
attribuiti». È prevista inoltre la compartecipazione delle Regioni al
gettito dei tributi erariali riferibili al territorio10. Infine, viene istituito
un fondo perequativo sulla linea di quanto già effettuato (1997) con
l’attribuzione di una quota dell’accisa sulla benzina alle Regioni poi
sostituita (a decorrere dal 1° gennaio 1999) dal Fondo di compensa-
zione interregionale in cui confluivano le eccedenze derivanti dal-
l’IRAP. Più di recente, il D.Lgs. 56/2000 ha introdotto una comparte-
cipazione regionale all’IVA e un’ulteriore riduzione dei trasferimenti.
    Un altro aspetto su cui è opportuno rivolgere l’attenzione è il con-
testo entro cui tale riforma costituzionale è maturata. La delega alla
Regioni è stata data in un periodo di forte pressione sui conti pubbli-
ci, ormai noto come «risanamento finanziario» (1992-97) che ha con-
sentito all’Italia di rispettare i vincoli dei parametri di Maastricht e
partecipare fin dall’inizio alla terza fase dell’Unione Monetaria euro-
pea (UEM). Durante tale periodo, si è avuta la riduzione più consi-

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⁸ Esistono due progetti di attuazione costituzionale, uno, in fase più avanzata, è il
disegno di legge cosiddetto «La Loggia», presentato dal Ministro per gli Affari Regio-
nali ed approvato dal Consiglio dei Ministri il 14 giugno 2002 e attualmente all’esame
della Commissione Affari Costituzionali del Senato (cfr. Atto Senato 1545). Il disegno
rimanda l’attuazione dell’autonomia finanziaria degli Enti locali ad un prossimo prov-
vedimento ad hoc. Esso prevede inoltre il controllo della Corte dei Conti sugli Enti
locali per il rispetto degli equilibri di bilancio con riferimento sia al Patto di Stabilità
interno che al Patto di Stabilità e crescita e la sua collaborazione, a livello di sezione
regionale, per una oculata gestione finanziaria. L’altro provvedimento è la «proposta
Bossi» (AS 1187, approvato in Senato il 5 dicembre 2002, in corso di esame alla Came-
ra AC 3461), un pacchetto di riforme in discussione in Parlamento, che amplia ulte-
riormente le competenze regionali, ma non sembra incidere sui meccanismi di finanzia-
mento.
⁹ Come del resto già prescritto dall’articolo 3 del Testo unico degli Enti locali (D.Lgs.
267/2000).
¹⁰ Sono stati proposti emendamenti all’articolo 3 comma 1 in forza dei quali l’Alta
Commissione dovrà definire anche i parametri per la regionalizzazione del reddito del-
le imprese che svolgono tutta o parte dell’attività produttiva in Regioni diverse da
quella in cui hanno la sede legale.

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         stente di debito e soprattutto dell’indebitamento della storia della
         Repubblica grazie ad una consistente diminuzione dei tassi di interes-
         se e a condizioni economiche di crescita favorevole nonché ad una
         politica di forte rigore.
              Tale periodo di austerità sembra essersi rilassato11, dopo l’avvio
         della terza fase UEM. D’altra parte, se ciò appare comprensibile,
         anche in conseguenza del ciclo elettorale, sembra comunque che gli
         spazi di contenimento della spesa si siano ridotti in maniera sensibile
         sia per quanto riguarda la possibile ulteriore diminuzione dei tassi di
         interesse che, soprattutto forse, a causa di prospettive di crescita non
         particolarmente ottimistiche. In questo contesto, appare, quindi,
         opportuno ricercare i possibili elementi di tensione sul bilancio delle
         Amministrazioni pubbliche e, così facendo, si evidenzia il ruolo rile-
         vante svolto dagli enti territoriali soprattutto alla luce delle loro nuo-
         ve competenze.
             Se si guarda all’andamento degli equilibri di finanza pubblica si
         vede che le difficoltà incontrate a livello di Amministrazioni pubbli-
         che riflettono andamenti discordanti all’interno dei diversi comparti.
         In particolare, si ravvisano tassi di incremento particolarmente soste-
         nuti negli enti di previdenza, ma anche nelle amministrazioni locali. I
         dati (cfr. Tabella 1) mostrano, infatti, che a fronte di un aumento

Tabella 1 – Redditi da lavoro dipendente e consumi intermedi
               Numeri indice, 1996 = 100 e variazioni percentuali sull’anno precedente
                                            1997           1998           1999           2000          2001
 Amministrazioni      R. da l. dip.      106    5,5    102    –3,7 104        2,6    109      4,3 114    5,1
  pubbliche           C. int.            103    3,2    109    –5,8 117        7,1    126      7,9 132    4,2
 Amministrazioni      R. da l. dip.      109    8,9    105    –3,7 109        3,7    113      3,7 119    5,9
  locali              C. int.            106    6,4    115     7,7 121        5,9    132      9,1 141    6,5
 Amministrazioni      R. da l. dip.      103 2,9         99   –3,5 102        2,5    106      4,5 111 4,3
  centrali            C. int.             96 –4,1        98    2,5 107        8,8    111      3,9 108 −2,6
 Enti previdenziali R. da l. dip.         99 –0,9       94    –5,2 91 –2,9           101    11,1 111 9,7
                    C. int.              117 16,7      112    –3,7 132 17,5          161    21,7 185 15,0
Fonte: Relazione generale sulla situazione economica del Paese, vari anni.
         —————————————
         ¹¹ Come noto, gli altri paesi oltre l’Italia che hanno dovuto fronteggiare le maggiori
         tensioni di bilancio nell’ultimo periodo sono Germania, Francia e Portogallo. Que-
         st’ultimo in particolare è stato sottoposto alla procedura per i disavanzi eccessivi previ-
         sta dal Regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforza-
         mento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del
         coordinamento delle politiche economiche collegato all’articolo104 del Trattato di
         Maastricht e alla risoluzione del Consiglio europeo relativa al Patto di stabilità assunta
         ad Amsterdam, il 17 giugno 1997 (97/C 236/01). Analoga procedura verrà avviata nei
         confronti della Germania.

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E. TASSA, IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO: EVOLUZIONE IN ITALIA ED ESPERIENZE ...

moderato del complesso delle Amministrazioni pubbliche le Ammini-
strazioni locali, ed in particolare gli enti previdenziali, hanno eviden-
ziato un andamento più dinamico.
    Ciò è in parte giustificato dalla spinta all’esternalizzazione dei ser-
vizi che ha portato molti Enti locali ad appoggiarsi a ditte esterne per
la fornitura dei servizi ai cittadini, in particolare per quanto attiene il
trasporto urbano; tuttavia, anche scontando inoltre le diverse tipolo-
gie di spesa, gli aumenti appaiono comunque sostenuti.
    Tale situazione è aggravata dall’assenza di un meccanismo di
ripartizione della responsabilità di bilancio. La legge finanziaria per il
1999 (legge 23/12/1998 n. 448, articolo 28 comma 8) conteneva le
indicazioni per una ripartizione dell’eventuale sanzione comminata a
livello europeo, in caso di apertura della procedura per disavanzo
eccessivo, tra gli enti che ne fossero risultati responsabili. La defini-
zione delle modalità di ripartizione di tale onere dovevano essere defi-
nite in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e di Conferenza
Stato-città ed autonomie locali, ma finora non sembra essersi rag-
giunto un accordo. Ci si trova quindi in una situazione in cui lo Stato
centrale è responsabile degli equilibri di bilancio dell’insieme delle
Amministrazioni pubbliche, ma non può controllarne una parte mol-
to consistente che è quella delle Amministrazioni locali.
Il Patto di Stabilità interno in Italia
Il settore pubblico locale è stato coinvolto (cfr. Tabella 2) direttamen-
te nella gestione dei deficit e del debito pubblico dal cosiddetto Patto
di Stabilità interno, introdotto con la manovra di bilancio per il 1999
(legge n. 448 all’articolo 28, provvedimento collegato alla finanzia-
ria). Inizialmente, il disavanzo di riferimento previsto ai fini della
determinazione dei vincoli da rispettare era pari alla differenza tra le
entrate finali effettivamente riscosse, inclusive dei proventi della
dismissione di beni immobiliari ed esclusi i trasferimenti dallo Stato, e
le uscite finali di parte corrente al netto degli interessi. La riduzione
prevista per il 1999 era pari ad almeno 0,1 punti percentuali del PIL;
per i due anni successivi era richiesto di mantenere costante il rappor-
to del disavanzo sul PIL.
    Successivamente, nella revisione del Patto di Stabilità interno
(articolo 30 della legge 23 dicembre 1999, n. 488) il vincolo (pari ad
un’ulteriore riduzione dello 0,1 per cento del PIL), è stato spostato
sulla differenza tra entrate finali effettivamente riscosse – esclusi tra-
sferimenti, correnti e in conto capitale, dallo Stato, dall’Unione euro-
pea e da altri Enti interessati dal Patto di Stabilità interno nonché
derivanti da dismissione di beni immobiliari e finanziari – e le uscite
di parte corrente effettivamente pagate, al netto degli interessi. Tra le
entrate e le spese non dovevano inoltre essere considerate quelle aven-
ti, per loro natura, carattere di eccezionalità.

                                                                                 115
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Tabella 2 – Principali modalità di contribuzione delle autonomie locali agli
abiettivi di finanza pubblica
 1997    Tagli ai trasferimenti (circa 2.000 mld di lire).
         Controllo diretto dei flussi di cassa attraverso:
         a) limiti all’impegnabilità delle dotazioni di competenza; b) taglio
         delle «autorizzazioni di cassa»; c) vincoli ai prelievi di tesoreria;
         d) vincoli ai pagamenti finali.
 1998    Estensione dei controlli sui flussi di cassa.
         Limite alla crescita del «fabbisogno finanziario», aggregato speci-
         ficamente definito che non può superare il livello del 1997 e nel
         biennio 1999-2000 deve crescere nei limiti del tasso programmato
         di inflazione.
 1999    Introduzione del Patto di Stabilità interno.
         Effetto aggregato: 2.200 mld di lire di cui: Regioni SO e sanità:
         1000; Regioni SS e sanità: 380; Comuni: 700; Province: 100;
         Comunità montane: 20.
 2000    Revisione del Patto di Stabilità interno.
         Aggiustamenti nella definizione dell’aggregato da controllare e
         rafforzamento del sistema degli incentivi.
         Effetto aggregato: 3.300 mld di lire di cui: 2.200 in conto 2000;
         1.100 in conto 1999 (recupero mancati risparmi).
 2001    Vincolo alla crescita della spesa corrente primaria (al netto della
         sanità).
         I pagamenti effettivi del 2001 non devono superare gli «impegni»
         a carico dei bilanci 1999 incrementati del 3 per cento; per il bien-
         nio 2002 e 2003 l’incremento annuo è vincolato al tasso program-
         mato di inflazione (1,2 per cento).
         Effetto aggiuntivo sul deficit pubblico: 2.500 mld di lire sia nel
         2001 che negli anni successivi.
 2002    Revisione del Patto di Stabilità interno.
         Obbligo per le Regioni SO di mantenere il complesso delle spese
         correnti per l’esercizio 2002 al livello degli impegni relativi all’e-
         sercizio 2000 aumentati del 4,5 per cento
         Obbligo per Province e Comuni con più di 5.000 abitanti di incre-
         mentare le spese correnti in misura non superiore al 6 per cento
         degli impegni di spesa assunti nel 2000.
         Effetto complessivo sulle spese: –1.498 milioni di euro.
 2003    Terza revisione del Patto di Stabilità interno per i Comuni.
         Obbligo di mantenere il disavanzo finanziario di ciascuna Provin-
         cia con più di 5.000 abitanti pari a quello del 2001 (escludendo
         alcune spese). Per le Province, lo stesso saldo di riferimento
         migliorato del 7 per cento.
         Riduzione del 2,3 per cento dei trasferimenti correnti agli Enti
         locali sostituiti da compartecipazione al gettito IRPEF del 6,5 per
         cento per i Comuni e dell’1 per cento per le Province.
         Manovra sulle economie dei mutui.
         Effetto complessivo per le AA.LL.: 2.250 milioni di euro.

116
E. TASSA, IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO: EVOLUZIONE IN ITALIA ED ESPERIENZE ...

    Con l’articolo 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 è stato ride-
finito il metodo di calcolo del saldo programmatico, prendendo a
riferimento il saldo finanziario 1999 con un aumento (diminuzione)
del 3 per cento se negativo (positivo).
    Più di recente, la legge Finanziaria per il 2002 ha vincolato l’evolu-
zione della spesa corrente primaria di Regioni ed Enti locali con que-
sto segnalando l’esigenza di controllare i livelli di spesa senza limitar-
si a migliorare i saldi. Nel confronto tra i saldi del 1999 e del 2001
non erano computate le entrate e le spese connesse a modifiche legi-
slative di trasferimento o di attribuzione di nuove funzioni o di entra-
te proprie. Inoltre, a partire dal 2001, i Comuni con popolazione infe-
riore a 5.000 abitanti erano sottratti al rispetto del Patto di Stabilità
interno; tuttavia si applicavano ancora le disposizioni relative all’o-
biettivo di riduzione del rapporto debito/PIL e all’estinzione anticipa-
ta dei prestiti contratti con la Cassa Depositi e Prestiti12.
    Con l’aggiornamento del Patto di Stabilità interno per l’anno 2002
(articoli 24 legge 448/2001 come modificato dall’articolo 3 del decreto
legge 21 febbraio 2002, n.13), con riferimento a Province e Comuni, si
stabiliva che il disavanzo non potesse essere superiore a quello del-
l’anno 2000 aumentato del 2,5 per cento con l’ulteriore vincolo che il
complesso delle spese correnti non superasse l’ammontare degli impe-
gni assunti nell’anno 2000, aumentato del 6 per cento.
    La legge prevedeva, inoltre, per gli Enti che avevano esternalizzato
i servizi negli anni 1997, 1998, 1999 e 2000, che, ai fini del calcolo dei
vincoli sugli impegni e sui pagamenti, la spesa relativa alla gestione
diretta sostenuta nell’anno antecedente l’esternalizzazione dei servizi
venisse convenzionalmente contabilizzata all’interno delle spese cor-
renti dell’anno 2000, in luogo dell’impegnato o del pagato relativo
all’esercizio 2000, ove quest’ultimo fosse risultato inferiore. In questo
modo, gli Enti che si erano adoperati per aumentare l’efficienza della
gestione dei servizi pubblici e per contenere il disavanzo vedevano
ampliare il proprio margine di manovra, pur nel rispetto dei limiti
d’espansione posti alla spesa.
    Altre innovazioni legislative riguardavano le modalità di calcolo
del saldo programmatico per l’anno 2002, ottenuto dal saldo finan-
ziario dell’esercizio 2000 aumentato o diminuito del 2,5 per cento, a
seconda che esso fosse, rispettivamente, negativo o positivo (per gli
anni 2003 e 2004, il comma 5 dell’articolo 24, prevedeva un’ulteriore

—————————————
¹² A questo proposito, si ricorda che tutti gli Enti locali hanno ridotto i propri disa-
vanzi dello 0,2 per cento rispetto al PIL, e hanno quindi beneficiato, dal 2001, della
riduzione di 50 punti base sul tasso di interesse nominale applicato sui mutui della
Cassa Depositi e Prestiti secondo quanto previsto dall’articolo 30, comma 6, della leg-
ge 23 dicembre 1999, n. 488. Per gli Enti locali che hanno conseguito una riduzione del
proprio disavanzo di 0,3 punti percentuali rispetto al PIL, la riduzione del tasso di
interesse è stata invece di 100 punti base.

                                                                                   117
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002

riduzione del saldo finanziario di cassa pari al 2 per cento della spesa
corrente dell’anno precedente). Infine, veniva introdotta una riduzio-
ne dell’importo dei trasferimenti erariali spettanti a ciascun Ente, in
misura pari alla differenza tra gli obiettivi della normativa e i risultati
conseguiti, come sanzione per gli Enti inadempienti. Gli importi così
accumulati erano assegnati agli Enti che avevano invece rispettato i
vincoli al bilancio loro imposti.
La legge finanziaria per il 2003
Il 24 dicembre la legge finanziaria per il 2003 è stata approvata dalle
Camere. Essa si inserisce in un più ampio contesto di riduzione e
razionalizzazione delle spese e, con riferimento agli Enti locali, si
pone il dichiarato proposito di far concorrere le Regioni a statuto
ordinario, le Province e i Comuni con più di 5.000 abitanti agli obiet-
tivi nazionali di finanza pubblica adottati con il Patto di Stabilità e
Crescita, fissando i principi fondamentali del coordinamento di
finanza pubblica secondo quanto previsto dalla riforma del titolo V
(articoli 117, terzo comma e 119, secondo comma).
    Del resto, nella stessa legge è indicata (articolo 23) una riduzione
del 10 per cento delle dotazioni iniziali delle unità previsionali di base
degli stati di previsione dei Ministeri cui si aggiunge un’ulteriore quo-
ta, da versare in un apposito fondo per spese impreviste per consumi
intermedi, pari al 10 per cento dello stesso stanziamento e riduzioni
di pari misura sono previste per gli enti previdenziali nell’ambito di
una manovra che prevede di raggiungere 8 miliardi complessivi di
riduzione delle spese.
    La legge ha incontrato la forte opposizione degli Enti Locali, che
ha condotto ad alcune modifiche rispetto al disegno di legge origina-
rio. Queste, però, non hanno soddisfatto gli amministratori locali i
quali, in un’ottica di generale ripensamento e riflessione sui rapporti
intergovernativi, hanno chiesto un incontro della propria rappresen-
tanza con il Presidente della Repubblica e proposto ricorso al Tar
contro talune disposizioni emanate dal Governo.
    La Finanziaria incide significativamente sull’operare degli Enti
locali sia attraverso la razionalizzazione della spesa che con l’aggior-
namento del Patto di stabilità interno, anche se in modo diverso per
Regioni, da un lato, e Comuni e Province dall’altro.
    Una prima importante riduzione nelle disponibilità degli Enti
locali, pari a circa 247 milioni di euro per i Comuni, discende dall’at-
tivazione del primo modulo della riforma IRPEF attraverso il conge-
lamento delle addizionali comunali e regionali per l’anno 2003 e l’au-
mento della compartecipazione, in sostituzione dei trasferimenti, del
6,5 per cento per i Comuni (dall’attuale 4,5 per cento) e l’introduzio-
ne di una compartecipazione all’1 per cento per le Province. La legge,
come lamentano gli Enti locali, non prevede alcuna compensazione
per la riduzione del gettito territoriale (ottenuto dalla compartecipa-

118
E. TASSA, IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO: EVOLUZIONE IN ITALIA ED ESPERIENZE ...

zione IRPEF al 4,5 per cento e dalle addizionali facoltative IRPEF
già applicate nel 2002 e dall’IRAP, per le Regioni) dovuta alla modifi-
ca della base imponibile nazionale. Allo stesso modo non sono previ-
ste compensazioni per gli effetti negativi, di difficile quantificazione,
del concordato preventivo triennale13.
     La condizione sospensiva sulle addizionali locali all’IRPEF viene
meno al raggiungimento di un accordo «sui meccanismi strutturali
del federalismo» da raggiungersi in sede di Conferenza unificata tra
Stato Regioni ed Enti locali. Tuttavia, in questo modo, diversamente
da quanto previsto dall’Accordo interistituzionale, Governo, Regioni,
Province, Comuni e Comunità montane del 20 giugno 2001 in cui si
conveniva sulla necessità di una conferenza mista per definire l’im-
pianto complessivo del federalismo fiscale, la Finanziaria attiva unila-
teralmente la riforma per la parte statale (revisione delle aliquote
IRPEF), rinviando la definizione dei meccanismi strutturali del fede-
ralismo fiscale ad un nuovo accordo da realizzarsi anche tenendo
conto delle indicazioni dell’Alta Commissione per il federalismo
fiscale istituita dalla stessa legge (articolo 3, comma 1, lettera b)).
     Sul blocco delle addizionali facoltative appare ipotizzabile un con-
flitto di competenze tra Stato e Regioni sia perché esso incide su una
materia che la recente riforma costituzionale ha definito concorrente,
sia perché qualora le Regioni abbiano stabilito variazioni delle aliquote
prima dell’approvazione della Finanziaria si avrebbe una legge regiona-
le in contrasto con una legge statale successiva con lo stesso oggetto.
     La restrizione più forte ai bilanci locali deriverebbe dall’applica-
zione dell’articolo 31, comma 1, che prevede un taglio dei trasferi-
menti statali agli Enti locali minori che si vedono fissare a 151 milioni
di euro le risorse correnti aggiuntive con un effetto riduttivo di circa
277 milioni di euro nelle disponibilità dei Comuni. Per le Regioni
resta in vigore il taglio previsto dalla Finanziaria per il 2002, pari, per
il 2003, al 2 per cento14.
     La Finanziaria interviene anche sul riparto dei vari fondi. In parti-
colare, il risparmio sul Fondo degli investimenti (888 milioni di euro)
non viene riutilizzato al contrario degli anni precedenti15. Le econo-

—————————————
¹³ L’articolo 13 prevede la possibilità di «esclusione o riduzione di interessi e sanzioni»
anche per imposte e tasse locali a discrezione di Regioni e Comuni. Legautonomie ha
però invitato i propri iscritti a non ricorrere alla norma come forma di protesta.
¹⁴ Dal 1° gennaio 2004 cesseranno i trasferimenti dal bilancio dello Stato, con esclu-
sione del trasporto pubblico locale, e dovranno essere rideterminate le aliquote di tri-
buti e le compartecipazioni necessarie a coprire i trasferimenti soppressi (articolo 30),
secondo quanto già stabilito dal D.Lgs. 56/2000.
¹⁵ L’articolo 31, comma 11, dispone, infatti, che la dotazione del fondo venga determi-
nata annualmente solamente con riferimento alle rate di ammortamento dei mutui
ancora in essere e di conseguenza non possono più essere utilizzate le economie deri-
vanti dai mutui giunti ad estinzione e dall’incremento del fondo dovuto all’indicizza-
zione al tasso programmato d’inflazione.

                                                                                      119
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002

mie relative sono, infatti, assorbite nel bilancio statale a partire dal
2003. La perdita, per il prossimo anno, viene in parte recuperata tra-
mite un contributo una tantum di 300 milioni di euro da dividere tra
fondo ordinario e fondo perequativo di sostegno agli enti sottodotati.
Inoltre, il Fondo rimborso IVA per l’esternalizzazione dei servizi è
ridotto di 263 milioni di euro a cui si aggiungono 244 milioni di euro
di minori rimborsi IVA per il trasporto pubblico locale. L’accordo tra
Governo e Comuni per il ristoro dell’IVA, che sembrava possibile
secondo le modalità già indicate nella finanziaria per il 200216, non si
è infatti concretizzato attizzando il malcontento degli Enti locali.
    Il governo ha tuttavia acconsentito a moderare il blocco delle spe-
se per beni e servizi al livello del 2001, previsto nel disegno di legge
mantenendo solo l’obbligo di ricorrere alle convenzioni quadro stipu-
late dalla CONSIP Spa (articolo 24), pena la nullità dei contratti sti-
pulati in difformità17. I risultati ottenuti in termini di risparmio e di
semplificazione e snellimento delle procedure d’acquisto spingono,
infatti, nella direzione dell’estensione di questo modello di approvvi-
gionamento a tutte le amministrazioni pubbliche e ad altri comparti
di spesa.
    La spesa sanitaria rimane, comunque, il nodo principale; il proble-
ma è aggravato dai ritardi nel trasferimento delle risorse pattuite con
l’Accordo dell’agosto 2001 (poi legge 15 giugno 2002, n. 112) che pre-
vede che il Fondo Sanitario Nazionale si avvicini al 6,5 per cento del
PIL secondo determinate scadenze.
    Per ottenere l’adeguamento loro spettante della quota di Fondo
sanitario, oltre agli adempimenti di cui alla legge 112/2002, alle
Regioni viene richiesto (articolo 52, comma 4) di attivare il monito-
raggio delle prescrizioni mediche, farmaceutiche, specialistiche ed
ospedaliere; di applicare il tetto di 5 posti letto negli ospedali ogni
mille abitanti, proseguendo quindi nella diminuzione di questo rap-
porto; di adottare criteri per l’uso appropriato delle risorse umane e
strumentali in materia di accertamenti diagnostici; di sfruttare tutti
gli strumenti contrattuali per il pieno utilizzo delle strutture, senza
però oneri aggiuntivi ed, infine, di prevedere la decadenza automatica
dei direttori generali che non raggiungono l’equilibrio economico.
    Inoltre, i maggiori oneri per il rinnovo dei contratti del settore
sanitario sono interamente a carico delle Regioni e le assunzioni di

—————————————
¹⁶ La legge prevede, per gli Enti che avevano esternalizzato i servizi negli anni 1997,
1998, 1999 e 2000, che, ai fini del calcolo dei vincoli sugli impegni e sui pagamenti, la
spesa relativa alla gestione diretta sostenuta nell’anno antecedente l’esternalizzazione
dei servizi venga convenzionalmente contabilizzata come spesa corrente dell’anno
2000, in luogo dell’impegnato o del pagato relativo all’esercizio 2000, ove quest’ultimo
risulti inferiore.
¹⁷ Il comma 9 dell’articolo 24 in esame stabilisce, tuttavia, che per le Regioni le sud-
dette disposizioni valgono solamente come norme di principio e di coordinamento

120
E. TASSA, IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO: EVOLUZIONE IN ITALIA ED ESPERIENZE ...

personale dovranno essere limitate alla copertura del 50 del turn over
con la sola eccezione del personale infermieristico di cui è nota la
carenza in organico (articolo 34, comma 11).
    Infine, il cosiddetto decreto taglia-spese (decreto legge 194/2002),
così come convertito in legge 246/2002 e tradotto nel decreto di appli-
cazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze il 29 novembre
2002, stabilisce per le Aziende Sanitarie una consistente riduzione
delle spese.
    L’articolo 2, infatti, recante «Limitazione agli impegni e all’emis-
sione dei titoli di pagamento per le amministrazioni centrali dello
Stato nonché della riduzione delle spese di funzionamento per gli enti
ed organismi pubblici non territoriali», ritenuto espressamente appli-
cabile alle ASL dal Governo, riduce del 15 per cento le spese ammesse
già dall’esercizio in corso. Le Regioni hanno deciso, quindi, nella
Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
del 19 dicembre 2002, di proporre identico ricorso al Tar (il 23 dicem-
bre avevano deliberato il ricorso 16 Regioni), per avere il Governo
invaso le loro competenze su una materia esclusiva.
    Tornando alle norme contenute nella Finanziaria, l’aggiornamen-
to del Patto di Stabilità interno (articolo 29) prevede, per i Comuni
con più di 5.000 abitanti, che il disavanzo finanziario relativo all’anno
2003 – calcolato, sia per la gestione di competenza che per quella di
cassa, quale differenza tra le entrate finali e le spese correnti – non
possa essere superiore a quello del 2001. Per le Province, invece, deve
essere almeno pari a quello dell’anno 2001 migliorato del 7 per cen-
to18. Da notare, che dal computo non vengono esclusi gli aggravi di
spesa legati al cosiddetto accordo Frattini sul pubblico impiego del 6
febbraio 2002. Per le Regioni invece vengono ribaditi i meccanismi
già previsti nella Finanziaria per il 2002. A partire dal 2005, invece, il
saldo di riferimento sarà la differenza tra entrate finali e spese finali
con un limite fissato al 7,8 per cento massimo di maggiorazione
rispetto al saldo del 2003.
    Scompaiono i meccanismi premianti per gli enti virtuosi, sostituiti
da maggiori sanzioni per quelli inadempienti per i quali scatterà la
riduzione pari ad almeno il 10 per cento delle spese per acquisti di
beni e servizi, il divieto di ricorso all’indebitamento per gli investi-

—————————————
¹⁸ Per i Comuni, sono esclusi dal computo i trasferimenti correnti e in conto capitale
dallo Stato, dall’Unione europea e dagli enti che partecipano al PSI, le entrate derivan-
ti dalla compartecipazione all’IRPEF e dalla dismissione di beni immobili e finanziari
e dalla riscossione di crediti e le entrate e le spese connesse all’esercizio di funzioni sta-
tali e regionali trasferite o delegate nei limiti dei corrispondenti finanziamenti statali o
regionali e le spese per interessi passivi, quelle sostenute sulla base di trasferimenti dal-
l’Unione europea con vincolo di destinazione nonché spese di carattere eccezionale
derivanti da calamità naturali e le spese elettorali. Per le Province vengono escluse
anche le spese connesse al decentramento nel limite dei finanziamenti statali o regionali
corrispondenti con una modifica rispetto al disegno di legge.

                                                                                         121
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002

menti ed il blocco delle assunzioni e non più quindi, anche in questo
caso con una modifica rispetto al disegno di legge, il taglio dei trasfe-
rimenti previsto dalla Finanziaria per il 2002 in caso di aumento
superiore al 6 per cento della spesa corrente rispetto al 2001. Le
Regioni inadempienti, invece, non potranno partecipare alla riparti-
zione del Fondo Sanitario Nazionale, come previsto in seguito all’Ac-
cordo dell’agosto 2001. Per le Regioni a statuto ordinario che non
conseguiranno gli obiettivi è previsto il ripristino del livello stabilito
nell’Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome del 3 agosto
2000.
    L’impianto della legge comunque non allenta i controlli del centro
sulla periferia effettuati sia con la trasmissione di apposite certificazio-
ni sia tramite l’acquisizione di ogni utile informazione attraverso i pro-
pri rappresentanti nei collegi sindacali o di revisione o tramite i servizi
ispettivi di finanza pubblica (articolo 28). In particolare, viene esteso
ai Comuni con più di 5.000 abitanti l’obbligo di predisporre una previ-
sione cumulativa in termini di cassa del disavanzo con conseguente
aggravio degli adempimenti burocratici. Inoltre, sempre ai fini di un
più efficace controllo, è prevista la codificazione di tutti gli incassi e
pagamenti con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale.
I vincoli ai bilanci degli Enti locali in altri paesi dell’Unione europea
Anche negli altri paesi dell’Unione, la necessità di rispettare i vincoli
di Maastricht ha comportato una maggiore attenzione verso le spese
degli Enti locali. Soprattutto nei paesi d’impostazione federalista, il
dibattito si è fatto più acceso poiché alla maggiore autonomia locale
si fa corrispondere in maniera più precisa la responsabilità di bi-
lancio.
    Più nel dettaglio, in Germania, dove alcuni Stati avevano proposto
ricorso alla Corte costituzionale contro l’adesione al Patto di Stabilità
e Crescita, tra il 1996 e il 2000 si è assistito ad una rilevante riduzione
del rapporto tra indebitamento netto e PIL passato dal 3,4 all’1,3 per
cento. Questo risultato è stato raggiunto grazie alla diminuzione del-
l’indebitamento dei singoli Länder, ma anche al surplus accumulato
dalle amministrazioni locali (i cui bilanci devono essere approvati
dagli Stati). Il tetto di deficit per il governo federale e per i singoli
Länder è negoziato nel Consiglio di Pianificazione finanziaria (Fi-
nanzplanungsrat). In seguito, è compito delle entità federate far rispet-
tare gli obiettivi agli Enti di livello inferiore.
    Nel marzo 2002, è stato negoziato un accordo che dovrebbe porta-
re alla definizione di una sorta di Patto di Stabilità interno. Il Finanz-
planungsrat si è detto19, infatti, conscio dell’urgenza del Patto di Sta-

—————————————
¹⁹ Si veda la decisione comune della 95° Seduta del Finanzplanungsrat (21 marzo
2002).

122
E. TASSA, IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO: EVOLUZIONE IN ITALIA ED ESPERIENZE ...

bilità e favorevole ad una sua applicazione a livello locale entro la
prossima legislatura, tenendo conto delle diverse possibilità di finan-
ziamento dei vari livelli di Governo. Per assicurare il rispetto dei
parametri indicati nel Programma di Stabilità, i membri del Consiglio
si sono accordati per una riduzione delle spese pari, per il Bund, allo
0,5 per cento del PIL e per i Länder ad un aumento delle spese limita-
to all’1 per cento. In questo modo si prevede di arrivare al pareggio di
bilancio complessivo nel 2006. Tutto ciò si inserisce nell’ambito di un
più generale processo di revisione delle relazioni finanziarie tra i
diversi livelli di governo20, che dovrebbe portare a una modernizza-
zione dell’apparato amministrativo al fine di ottenere una maggiore
efficienza nell’esercizio delle funzioni proprie e assicurare la solidità
finanziaria dello Stato federale.
    In Austria, la recente riforma (ottobre 2000) prevede una negozia-
zione per raggiungere l’accordo sul deficit massimo possibile per Sta-
to federale, Länder e Comuni. Inoltre, è stata introdotta una proce-
dura di valutazione dell’impatto finanziario di tutte le nuove misure
legislative e regolamentari allo scopo di monitorare l’evoluzione della
spesa.
    L’accordo del 16 ottobre del 2000 tra Province e Comunità locali
definisce la ripartizione delle entrate (Finanzausgleich) fino al 2004 e
un patto per il raggiungimento del pareggio di bilancio per il 2002. In
base a tale accordo, le Province, nel periodo 2001-04, dovrebbero
ottenere un surplus pari ad almeno lo 0,75 per cento del PIL (1,67
miliardi di euro). Inoltre, dovranno versare allo Stato centrale un
contributo di consolidamento di 218 milioni di euro complessivi.
    In Belgio, accordi simili fissano il deficit consentito alle entità
federate e agli Enti locali. Con l’Accordo di Lambermont del 15
dicembre del 2000 (tramutato in due leggi speciali nel luglio 2001),
che definisce le linee guida per il periodo 2001-05, sia le Comunità
che le Regioni hanno accettato di adeguarsi agli obiettivi fissati dal
Consiglio Superiore di Finanza, cioè al pareggio per il complesso
degli Enti subnazionali (considerando alcune differenze nelle moda-
lità di contabilizzazione si tratta, in effetti, di un surplus di 0,1 punti
di PIL, secondo il SEC95). L’accordo prevede, inoltre, che Comunità

—————————————
²⁰ Il Governo tedesco ha deliberato il 27 marzo 2002 la costituzione di una Commis-
sione per la riforma della finanza comunale nell’ambito della riforma complessiva delle
finanze degli Enti locali. Questo passo segue la soddisfacente chiusura delle consulta-
zioni sul Patto di solidarietà II (che riguarda principalmente gli interventi nella ex Ger-
mania dell’Est) e sul nuovo modello di perequazione fiscale (giugno 2001), tramite le
quali sono stati programmati gli interventi nei nuovi Länder. L’accordo copre un
periodo di 15 anni a partire dal 2005 e riguarda risorse per oltre 150 miliardi di euro.
La Commissione, riunitasi per la prima volta il 23 maggio 2002, è composta da rappre-
sentanti del Bund, dei Länder, delle autorità locali e da esponenti dell’economia. Com-
pito della Commissione è proporre soluzioni concrete entro la metà del 2003 al proble-
ma del finanziamento degli Enti locali.

                                                                                      123
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 3/2002

e Regioni realizzino ogni anno un proprio programma di stabilità, per
un periodo almeno pari a quello del programma federale, valutato
annualmente dal Consiglio superiore di finanza.
    Il Paese non ha adottato esplicite procedure sanzionatorie, o
meglio, pur essendo queste previste, non vi si è mai fatto ricorso per-
ché comunque le indicazioni del Consiglio sono tenute in alta consi-
derazione dagli amministratori locali e dai mercati ed esiste, quindi,
un disincentivo convincente a non discostarsi dalle sue indicazioni in
quanto ciò comporterebbe di dover affrontare maggiori costi nel repe-
rire nuovi fondi.
    La Spagna, infine, è forse il paese che più si avvicina all’attuale
situazione dell’Italia avendo anch’essa raggiunto, in tempi relativa-
mente rapidi21, un elevato livello di autonomia regionale che ha com-
portato un ampio trasferimento di funzioni alle varie Comunità auto-
nome. Il peso del debito locale spagnolo su quello pubblico generale
(vicino al 16 per cento) e sul PIL (9,4 per cento) è tra i maggiori d’Eu-
ropa. Per questa ragione erano già stati fissati dalla fine degli anni
Ottanta limiti all’indebitamento delle Comunità autonome, rivisti
ogni quattro anni negli accordi con il governo. La recente legge gene-
rale di stabilità finanziaria (Ley General de Estabilidad Presu-
puestaria, 2001), cosiddetta «legge di deficit zero», prevede che, a par-
tire dal 2002, le autorizzazioni date dalle Comunità agli Enti autono-
mi per ricorrere al credito siano condizionate all’equilibrio del loro
bilancio. Un fondo di riserva permetterà di coprire le spese imprevi-
ste. Come in Italia, è previsto che le Comunità autonome responsabili
di un eventuale scostamento dagli obiettivi governativi paghino la
quota di multa comunitaria di loro competenza.
    Il Patto è stato disegnato, attraverso la concertazione con le
Comunità autonome all’interno del Consiglio di Politica Fiscale e
Finanziaria. Alle Comunità sono state assegnate maggiori responsa-
bilità nel reperimento dei fondi e nella destinazione di questi ultimi
agli obiettivi di spesa. A questo scopo è prevista una più stretta colla-
borazione con l’«agenzia delle entrate», (Agencia Estatal de la Admi-
nistración Tributaria, AEAT), assicurando comunque (come era nel
precedente sistema) il mantenimento di standard adeguati dei servizi
in ognuna delle Comunità.
    Quale logico complemento ai vincoli introdotti è stato adottato
anche un nuovo accordo sul finanziamento delle Comunità autono-
me. Il modello pone la condivisione del potere fiscale come punto
centrale, allo scopo di dividere il peso degli obblighi internazionali tra
stato centrale e Comunità favorendo allo stesso modo l’adozione di
un regime di maggiore austerità.

—————————————
²¹ Per un approfondimento sul percorso storico del federalismo in Spagna, e in altri
paesi, si veda, tra gli altri, Fausto D. e Pica F. (2001).

124
E. TASSA, IL PATTO DI STABILITÀ INTERNO: EVOLUZIONE IN ITALIA ED ESPERIENZE ...

   In altri paesi, ulteriori meccanismi sono stati implementati per
tenere sotto controllo il bilancio degli Enti locali: si va dai negoziati
annuali fra il Governo e le associazioni degli Enti locali attive in
Danimarca, Finlandia e Svezia, a restrizioni governative (Regno Uni-
to) a regole di bilancio specifiche (Francia), come anche l’intervento
diretto sulla possibilità di accesso al credito degli Enti locali (Francia,
Regno Unito, Irlanda).
Il dibattito sul Patto di Stabilità interno
Il Patto di Stabilità interno ha presentato, fin dalla sua comparsa,
aspetti problematici; in particolare, la scarsa capacità di coinvolgi-
mento22 delle Amministrazioni locali nel perseguimento degli obietti-
vi di Maastricht, ha sollevato numerose critiche. Gli argomenti sono
noti: la mancanza di un collegamento preciso tra la riduzione del
disavanzo e il vincolo imposto agli Enti locali che riguarda invece la
crescita delle spese; un obiettivo intermedio (il saldo tra il totale delle
entrate al netto dei trasferimenti statali e il totale delle spese al netto
degli investimenti e degli interessi) diverso dal parametro di riferimen-
to adottato in ambito europeo che è il saldo tra totale delle entrate e
totale delle spese. In questo modo, tra l’altro, si pone un’enfasi ecces-
siva sui saldi trascurando il problema dell’aumento dei valori assoluti
(impostazione questa parzialmente corretta con le ultime modifiche).
Ciò significa, inoltre, che il rispetto del Patto di Stabilità interno
potrebbe non avere effetti sul livello del debito locale, che pure si pone
l’obiettivo di ridurre, anche perché la spesa per interessi non viene
computata nel calcolo del disavanzo.
    Ancora, il Patto non tiene conto della situazione iniziale del bilan-
cio e di conseguenza, a parità di spesa primaria, pone gli stessi limiti
agli Enti in attivo e a quelli in passivo. Del resto, il vincolo di bilancio
è stato modificato più volte (in particolare concedendo agli Enti la
facoltà di scegliere, anche retroattivamente, fra diverse definizioni del
saldo rilevante) e le ripetute modifiche potrebbero avere inciso negati-
vamente sulla sua credibilità.
    Soprattutto, comunque, si critica il fatto che siano previste sanzio-
ni solo nel caso di mancato conseguimento degli obiettivi nazionali23.
In questo modo, infatti, viene accentuato il rischio di free riding e, in

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²² Legata, forse, anche al fatto che le Amministrazioni locali sono coinvolte solo tra-
mite la consultazione nelle Conferenze Stato-Regioni e Stato-Città-Autonomie locali
nella formulazione del patto.
²³ Nell’aggiornamento per il 2002, era previsto un incentivo in termini di aumento dei
trasferimenti erariali, ma l’importo relativo corrispondeva alla sanzione applicata agli
Enti inadempienti ed inoltre si applicava solo a Province e Comuni. Il disegno di legge
finanziaria per il 2003 prevede, invece, che le Regioni inadempienti non partecipino
all’integrazione del finanziamento della sanità (previsto dall’Accordo dell’agosto 2001)
mentre per gli Enti locali scatterebbero limiti alle assunzioni, alla possibilità di indebi-
tarsi per investimenti e alla spesa per beni e servizi.

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