Il Case Management: modelli e strumenti operativi nell'area dell'integrazione sociosanitaria
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Il Case Management: modelli e strumenti operativi nell’area dell’integrazione sociosanitaria Un progetto di ricerca-azione condotto nei Servizi Sanitari, Sociali ed Educativi nel territorio della Provincia di Ravenna a cura di Marco Brunod, Sonia Cicero, Barbara Di Tommaso introduzione di Eno Quargnolo
Il Case Management: modelli e strumenti operativi nell’area dell’integrazione sociosanitaria Un progetto di ricerca-azione condotto nei Servizi Sanitari, Sociali ed Educativi nel territorio della Provincia di Ravenna Indice 1. Premessa: Case Management come “strategia di frontiera” frontiera” (E. Quargnolo) ............................. 5 2. Le tappe del percorso ......................................................................................................................... 10 2.1 L’avvio del Progetto ......................................................................................................................... 10 2.2 Il Gruppo di Progetto ....................................................................................................................... 10 2.3 Il percorso di ricerca - formazione .................................................................................................. 13 2.3.1 Avvio dell’intervento di ricerca - formazione con lo Studio APS ......................................... 13 2.3.2 Il lavoro col Gruppo di Progetto: la strutturazione del percorso di conoscenza dei Servizi ..................................................................................................... 13 2.3.3 La ricerca in azione: la conoscenza dei Servizi ................................................................... 14 2.3.4 Primi risultati conoscitivi ed elaborazioni sui processi di integrazione ............................. 14 2.3.5 Lo stato dell’integrazione dei/tra i Servizi. Proseguimento del percorso di ricerca – azione ................................................................................................................ 15 2.3.6 La scheda di autovalutazione delle propensioni all’integrazione ...................................... 15 2.3.7 La conclusione del percorso di ricerca – azione ................................................................ 16 3. Esiti della prima fase del percorso di ricerca- ricerca-formazione: formazione una rappresentazione dello stato dell’integrazione tra Servizi .......................................................................................... 17 3.1 Propensioni e orientamenti culturali .............................................................................................. 17 3.2 Le esperienze .................................................................................................................................. 17 3.3 Fattori facilitanti .............................................................................................................................. 18 3.4 Fattori ostacolanti ........................................................................................................................... 20 3.5 Conclusioni provvisorie ................................................................................................................... 21 4. Esiti della seconda fase del percorso di ricerca- ricerca-formazione: la propensione all’integrazione nei Servizi ervizi ................................................................................................................. 22 4.1 L’analisi dei dati quantitativi .......................................................................................................... 22 4.2 L’analisi di Testo (T-LAB) ................................................................................................................. 28 4.3 Il processo ....................................................................................................................................... 37 5. Conclusioni ........................................................................................................................................... 39 5.1 Un’opportunità per mettersi in gioco ............................................................................................. 39 5.2 L’esperienza realizzata come laboratorio di ruoli e funzioni integrative ..................................... 40 5.3 Indirizzi di sviluppo: introduzione e consolidamento delle funzioni di Case Management e di Network Management ........................................................................ 40 6. Allegati ................................................................................................................................................... 43 N. 1 Case Management: esperienza storica e definizioni ............................................................. 44 N. 2a Composizione del Gruppo di Progetto – Prima ...................................................................... 47 N. 2b Composizione del Gruppo di Progetto – Dopo ....................................................................... 47 N. 3 Scheda di osservazione dei Servizi ......................................................................................... 48 N. 4 Progetto di ricerca – formazione ............................................................................................. 51 N. 5a Scheda per la rilevazione delle propensioni all’integrazione ................................................ 59 N. 5b Note per la conduzione delle interviste sulla propensione all’integrazione ......................... 61 N. 6 Pianificazione interviste ........................................................................................................... 62
1. Premessa: Case Management come “strategia di frontiera” Negli ultimi decenni, stiamo assistendo a diversi mutamenti sociali, demografici ed epidemiologici che prefigurano vere e proprie “transizioni” e disegnano scenari inediti che chiamano in causa tutti gli attori sociali di una comunità territoriale e le stesse organizzazioni di servizio, come quelle sociali, sanitarie ed educative. Il ruolo di queste ultime è e sarà particolarmente significativo e centrale nelle politiche di salute e benessere che si stanno progettando e attuando nelle diverse comunità; sono, altresì, determinanti rispetto alla qualità attesa che si vuole corrispondere ai cittadini e, particolarmente, alle persone in condizioni di fragilità e di bisogno. L’integrazione, in questo contesto, rappresenta un fattore fondamentale di qualificazione dell’offerta di servizi e prestazioni e di conseguenza, del livello di qualità della vita delle persone e del capitale sociale di una comunità. Essa: riduce il disagio dei cittadini nel rapporto con i servizi sanitari, sociali ed educativi in quanto possono trovare una risposta unitaria ai loro bisogni di cura, di assistenza e di vita; genera maggiore efficacia di cura e di sostegno e favorisce maggiore appropriatezza d’uso delle risorse (finanziarie ed economiche, professionali e tecnologiche); favorisce la comunione di intenti e la collaborazione fra organizzazioni e professionisti di cultura e prassi diverse in un processo virtuoso di apprendimento reciproco e di crescita del patrimonio professionale, culturale e umano (norme, principi e valori, strumenti, prassi, conoscenze…). L’integrazione, ed in particolare l’integrazione sociale-sanitaria-educativa, si presenta, dunque, come una frontiera, carica di significati e valori, sfida e, insieme, strategia di qualificazione del sistema di offerta. L’integrazione, si conviene da più parti, deve essere praticata simultaneamente e coerentemente a diversi livelli: comunitario, organizzativo, gestionale e professionale. Ciò presuppone che i modelli, i processi, le responsabilità e l’etica che unitariamente le sottende, siano dichiarati, chiari, logici e lineari per arrivare al massimo dei risultati attesi, qui sopra sommariamente elencati. Dobbiamo constatare, però, come vi siano forti discrasie tra questi sistemi (sociale, sanitario ed educativo) che ne minano la possibilità reale di integrazione; ciò da diversi punti di vista: sul fronte del mercato dei servizi, del sistema di finanziamento, del sistema di produzione (meccanismi e struttura organizzativa), delle stesse politiche di integrazione (massimamente per l’integrazione con altri sistemi e/o politiche). Focalizzandoci solo sui meccanismi operativi e sulla struttura organizzativa, possiamo riscontrare asimmetrie che afferiscono alla diversa componente tecnologica (ridotta per i sistemi sociale ed educativo, molto articolata e ad alta complessità per il sistema sanitario); alla professionalità espressa (scarsamente specialistica per i primi, rigidamente specializzata per il secondo); alla propensione alla ricerca operativa e alla valutazione (scarsa vs notevole); al sistema di comando nella filiera di produzione (senza gerarchie e in rete vs filiera verticale 5
rappresentata dalla direzione monocratica delle Aziende Sanitarie); dalla diversa presenza di pratiche e culture di governance interna ed esterna (sistema socio-educativo: orientato anche a quella esterna, attento agli stakeholders; sistema sanitario: più centrato sui sistemi di governo clinico dei propri prodotti assistenziali). Di particolare significato appare, a chi scrive, la diversità rappresentata dalle dinamiche e dalle logiche di funzionamento che sottendono i diversi sistemi, quando sono chiamati ad affrontare l’integrazione gestionale e professionale, in particolare nelle situazioni di complessità assistenziale. Essi, in questo contesto di azione, devono scontare il fatto che si trovano in una “terra di mezzo” dove opera una pluralità di soggetti autonomi con proprie missioni e valori. Organizzazioni, queste, titolari di competenze diverse dove vi è una oggettiva interdipendenza e contestuale presenza di risorse finanziarie, risorse economiche, mercati, complementarietà dei processi produttivi, di accesso ai fattori produttivi. Le leve su cui agire, allora, sono necessariamente diverse. Quando non si può contare su quelle che sono normalmente a disposizione delle singole organizzazioni (l’unicità di comando, gli incentivi alla produzione, la valorizzazione delle risorse umane e professionali, le forme di programmazione e controllo budgetario, ecc.), occorre agire su valori quali la responsabilità e la reciprocità, sulla condivisione di missioni e visioni; come pure sulla stessa partecipazione ai medesimi processi di programmazione e controllo. Ciò che assume significato in questo agire è la negoziazione fra i tanti attori sociali, utilizzata come strumento e logica di azione, per organizzarne le interdipendenze e generare valore per la rete e per i singoli nodi. Il valore è dato dall’equilibrio tra contributi e ricompense (equità percepita). Creazione di interdipendenze e generazione di valore, equamente distribuito, garantiscono il perdurare della rete. E’ chiaro che non si può che governare cedendo parte delle proprie prerogative di governo e di gradi di autonomia. Si userà la “forza degli altri” piuttosto che il proprio potere, sviluppando la capacità di leggere il “razionale”, i vantaggi per l’intera rete. Abituarsi al “gioco di rete” per la creazione di valore è qualcosa che deve essere fatto a tutti i livelli dell’integrazione, operando scelte strategiche e politiche comuni ai diversi attori e, soprattutto, facendo leva sui sistemi di service management: modelli gestionali unitari per l’accesso e la presa in carico (gate unici di accesso, unità di valutazione dei bisogni e dei servizi necessari multidimensionali e multiprofessionali…) e modelli integrati e multidisciplinari di intervento come la gestione basata sul case management e sul network management. In questo senso, l’integrazione professionale è quella che gioca un ruolo determinante, topico rispetto alle attese delle nostre organizzazioni e dei nostri utenti, tra tutti i livelli di integrazione che siamo chiamati a realizzare. Quello che ci viene chiesto – che abbiamo doverosamente richiamato nelle “Linee Guida e indirizzi operativi” dell’area sociosanitaria e che qui utilizziamo in parte per rinforzare il nostro pensiero - è di realizzare le condizioni operative unitarie tra figure professionali diverse (sanitarie e socio-educative; formali e informali) che possano garantire il massimo di efficacia possibile nell’affrontare bisogni di natura multiproblematica, la cui complessità richiede la predisposizione di una risposta altrettanto complessa che prevede diversi approcci assistenziali tra loro coordinati e strutturati. I soggetti “prestatori di cure” non sono, infatti, solo i “singoli professionisti” dell’area socio-sanitaria ma una rete allargata di tecnici, familiari e reti informali. Gli interventi che possono rispondere a bisogni complessi o sono interventi di sistema o difficilmente favoriscono cambiamenti e ancor più difficilmente producono benessere. Ciò significa prendere in carico gli utenti in maniera congiunta (co-responsabilità professionale), progettando interventi personalizzati, articolati nelle prestazioni che ogni figura professionale deve erogare, in una logica di condivisione delle responsabilità professionali dei singoli. 6
In particolare le équipes multiprofessionali che appartengono a diverse istituzioni (EE.LL., Ausl, Privato Sociale…) richiedono un apparato di metodi di lavoro e strumenti rigorosi che devono permettere le connessioni e la comunicazione tra esse per un’efficace gestione dei casi, dei problemi, dei percorsi assistenziali. Allo scopo sono necessari sistemi di regolazione molto accurati: accordi, procedure, protocolli operativi, linee guida, sistemi informativi condivisi. Ma serve anche la messa in comune di conoscenze e la condivisione di valori e finalità fra i diversi professionisti; serve la fiducia reciproca ed il rispetto delle autonomie professionali, la capacità di mettere in discussione le proprie opzioni tecniche e professionali e le proprie pratiche di lavoro per garantire efficacia al lavoro di gruppo. In altre parole, è uno stile di lavoro, un modo d’intendere il lavoro di gruppo che mette in gioco motivazioni, volontà, impegno e responsabilità dei professionisti, oltre che la condivisione di regole e di percorsi di azione. Dobbiamo, inoltre, considerare che il lavoro in équipe è anche un processo oggettivo, affatto spontaneistico, dal quale non si può prescindere per far fronte alla complessità sociale. Infatti, i processi di discussione, negoziazione, continua costruzione di significati si impongono come necessari nei contesti del lavoro socio-educativo e sanitario se non si vuole semplificare o, peggio, disconoscere gli stessi problemi che in essi si affrontano. I diversi punti di vista e interessi, le convinzioni e le abitudini, i possibile conflitti di status dei singoli professionisti (del sociale, dell’area educativa e della sanità, del pubblico e del privato), le stesse dinamiche del lavoro in gruppo possono costituire un evidente impedimento al funzionamento del lavoro d’équipe. D’altro canto, gli effetti sui beneficiari (non già, o non solo sui singoli professionisti) del lavorare insieme, quando sono resi evidenti, possono rinforzare lo status professionale degli operatori implicati: quando si rende un buon servizio, si “vince” anche come professionisti e si rinforza il proprio status sociale e la propria reputazione, aumentando così la fiducia da parte della società civile, in un circolo virtuoso di riconoscimento e rinforzo reciproco. Su questa strada si collocano le indicazioni e metodologie sperimentate in questa esperienza di ricerca-formazione relative alla tematica del “case management”, che rinvia tanto a una possibile figura professionale, quanto ad una metodologia diffusa, finalizzata a “tenere le fila” delle molteplici azioni progettate su singoli casi o su gruppi di popolazione. Non già elemento identitario di una figura professionale o dell’altra, ma, sia chiaro, un elemento qualificante del lavoro di una équipe che sceglie di lavorare insieme con metodo e regole condivise. Il case management è un metodo di lavoro in grado di superare i confini tra i servizi e di ottimizzare le risorse in gioco. Il case manager (o responsabile del caso) è quindi un professionista qualificato che opera come riferimento e “facilitatore” per la persona che ha bisogni sociosanitari complessi e per i servizi co-interessati nella gestione della persona, per assicurare la continuità assistenziale in tutte le fasi del progetto, per coordinare le risorse, migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’assistenza. Il case manager interviene assicurando un servizio multidisciplinare centrato sulla persona e sulle sue esigenze, piuttosto che solo sull'organizzazione ed i bisogni del sistema stesso. Ha funzioni di garanzia sia nell’organizzazione e gestione dei processi assistenziali, sia nella valutazione degli stessi processi ed esiti. Quando l’integrazione comporta un forte coordinamento fra più équipes di diversa appartenenza organizzativa (socio-educative e sanitarie) che lavorano su casi particolarmente complessi (famiglie multiproblematiche, doppie diagnosi, maltrattamenti ed abusi su minori, ecc.), è necessario individuare dei “case manager dell’integrazione” che si pongano il compito di collegare le diverse équipes di appartenenza e di garantirne il funzionamento sinergico. In questo caso i case managers sono orientati all’integrazione delle équipes ed alla finalizzazione della loro azione sui casi in trattamento, configurando, di fatto, un ruolo ancora più articolato di network management. 7
Vi sono almeno tre condizioni di base per realizzare tutto ciò, che potremo, per semplicità, chiamare le tre “R”, fra loro interdipendenti: Regolazione, Rigore metodologico e Responsabilità. La Regolazione richiama gli statuti scientifici e professionali e le regole del sistema che supportano i professionisti nel loro agire. Nell’area socio-sanitaria-educativa questi statuti e queste regole devono essere necessariamente condivise per potersi riconoscere in una cornice comune alla quale fare riferimento in ogni atto e decisione di natura tecnico-professionale, ma non solo. Linee guida, protocolli operativi, procedure sono gli strumenti che devono sostenere le pratiche per aiutare i diversi professionisti nel loro lavoro e nella “interpretazione” del loro ruolo nei processi assistenziali complessi di cui discutiamo. Il Rigore ha a che fare con il modo con il quale affrontiamo gli aspetti metodologici e la strumentazione comune che sostiene l’azione professionale. Si può parlare di “rigore metodologico” ogni volta che i professionisti e le loro organizzazioni decidono di integrare le loro titolarità di azione, le risorse, le competenze, gli strumenti che supportano il loro agire. In questo senso il loro modo di agire è intenzionalmente orientato al rispetto dell’altro, alla fiducia reciproca, alla condivisione, nella consapevolezza che solo in questo modo si può arrivare a una integrazione autentica, che dà valore al proprio lavoro e produce i risultati che ci si attende da un sistema che ha scelto di operare secondo questa logica e strategia. Oltre, quindi, i personalismi, gli interessi di parte, le decisioni dei singoli svincolate da quelle delle équipe autorizzate al lavoro integrato multiprofessionale e multidisciplinare. La Responsabilità fa riferimento ad una visione responsabile del proprio ruolo. Nei sistemi pubblici di produzione di servizi non sono ammessi comportamenti dei singoli professionisti o dell’organizzazione, che prescindano dalle esigenze- oltre che degli altri professionisti, come visto sopra - delle persone. I professionisti e l’organizzazione sono al servizio di queste. Ed è, in particolare, sul loro essere persone che si devono progettare e costruire i processi e le strutture operative più adeguate alla soddisfazione dei loro bisogni e attese. Ogni professionista è chiamato ad essere singolarmente responsabile nel dimostrare di avere rispetto e cura delle persone, a partire da ogni singolo atto medico, assistenziale o manageriale. E ciò rappresenta un modo di interpretare con coerenza la propria missione di professionisti e il proprio ruolo sociale. Regolazione, rigore e responsabilità, o comunque si vogliano definire ma nella sostanziale attribuzione di senso sopra declinata, devono essere considerati quali “materia prima” dell’esistenza delle organizzazioni preposte alla tutela e alla cura del benessere delle persone; devono essere valorizzati quali elementi “costitutivi” dell’agire dei professionisti impegnati in tali organizzazioni. Ma tali elementi sono risorse preziose che si “consumano”, rischiano di “esaurirsi” con effetti gravi al pari della scarsa disponibilità di risorse puramente finanziarie, come testimoniato da questa esperienza; sono però anche risorse che possono essere coltivate, anzi continuamente rinnovate, alimentate. L’esperienza qui testimoniata, con tutti i limiti ben dichiarati, ha il merito di mostrare e dimostrare che fra i professionisti è alta l’aspettativa di partecipare alla difesa e alla ri- composizione di tali condizioni, di essere protagonisti di una riproposizione convinta e continuativa di questi “valori”, percependo che gli stessi sono a rischio di logorio in un momento storico-culturale particolarmente difficile dal punto di vista della distanza che intercorre fra le sofferenze umane che si affacciano ai servizi e la debolezza di risorse e strumenti per rispondere adeguatamente ad esse. 8
Con attenzione strategica e manutenzione continua, è possibile declinare metodologie organizzative e operative che “recuperino” e valorizzino le preziose risorse di cui si è detto sopra; è possibile re-investirle nel sistema attraverso una virtuosa disseminazione fra le organizzazioni, fra i professionisti, fra le persone, attraverso meccanismi che favoriscano chiavi di lettura, orientamenti relazionali, modalità di agire, fin’anche convincimenti personali in tal senso, che con coerenza, in sintonia e alla ricerca dell’unisono, si muovano verso la difesa del benessere delle persone più fragili, come presupposto per un benessere più diffuso e per la difesa del capitale sociale di ogni comunità. In fondo, nulla di tutto ciò è particolarmente nuovo, ma è come se si fosse smarrita la giusta consapevolezza di quanto quotidianamente “pesi” l’avere forti o deboli riferimenti, come se altri pensieri primeggiassero offuscando comportamenti – delle persone e delle organizzazioni - che darebbero energia e virtuosismo all’agire di tutti nel sistema, per un maggiore benessere dei singoli e del sistema stesso. L’ipotesi che qui si avanza è quella di un sistema di network management dichiarato e riconoscibile che agisca su due livelli: basilarmente per rinforzare la cultura professionale del case manager e del case manager dell’integrazione, e a livello sistemico per assicurare interventi – appunto di sistema – nella logica della salvaguardia degli elementi costitutivi dell’agire nell’integrazione. Una sfida per spostare sempre più in là i confini di questa frontiera. 9
2. Le tappe del percorso 2.1 L’avvio del Progetto Una prima esperienza formativa (“Il bambino e il villaggio”) promossa dall’Ausl (Servizi di Pediatria di Comunità, Consultorio Familiare e di Neuropsichiatria infantile) in collaborazione con i Servizi Sociali e Educativi della prima infanzia dei Comuni aveva stimolato nel suo corso pluriennale (fin dal 2006) una serie di riflessioni che l’Azienda ha ritenuto di incanalare verso una strategia di formazione che tenesse maggiormente conto del tema del case management e di una aspettativa di integrazione ancora più ampia, che includesse cioè l’area della Salute Mentale e Dipendenze Patologiche e l’area Educativa Scolastica Statale. Da qui ha inizio (novembre 2008) un percorso di riflessione che riunisce su questi primi pensieri in un Comitato Scientifico, le Direzioni dei Distretti, del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, del Dipartimento delle Cure Primarie, dell’Infermieristica, degli Uffici di Piano, dei Servizi Sociali dei Comuni, dei Servizi Educativi per la prima infanzia dei Comuni e dell’Ufficio Scolastico Provinciale. L’obiettivo prioritario che il Comitato individua in questa prima fase è di proporre ai diversi professionisti appartenenti all’insieme dei servizi sopra citati, un PROGETTO DI FORMAZIONE quale occasione di analisi e conoscenza sul campo dei presupposti teorici del modello di intervento del “case manager” in un contesto di complessità organizzativa e operativa qual è tipicamente quella dell’insieme di servizi e interventi rivolti a cittadini (adulti, famiglie con minori, stranieri) con problematiche multiple e complesse sotto il profilo sanitario, sociale ed educativo; un’occasione per porre a verifica la conoscenza del lavoro per processi in un sistema a rete integrato, tale da consentire di tracciare un più definito profilo del case manager all’interno di specifici servizi e di imbastire protocolli di presa in carico e gestione integrata. Rispetto a tale obiettivo viene costituito un Gruppo di Progetto composto da circa 20 professionisti in rappresentanza delle diverse professioni, dei diversi Enti e dei diversi Distretti che connotano l’insieme dei servizi competenti ad accogliere e prendere in carico i cittadini di cui si è detto sopra, Gruppo al quale viene chiesta l’elaborazione di un disegno progettuale specifico di formazione, che coinvolga gradualmente in prospettiva un’ampia platea di “operatori” di questi settori. 2.2 Il Gruppo di Progetto I primi confronti all’interno del Gruppo di Progetto approdano ad una ricerca sul significato e sulle pratiche riscontrate in letteratura circa il termine/ruolo del case manager dalla metà del 1800 ai giorni nostri (vedi Allegato 1). La ricostruzione “storica” del significato da attribuire al termine case manager e della pratica esperienziale disponibile in letteratura, ha edotto il Gruppo circa la molteplicità di definizioni possibili e la “mobilità” dei confini della pratica: case manager rimanda a ruoli e funzioni simili praticati in tempi e realtà diverse (modello ospedaliero, modello ospedale-comunità, modello comunità), è terminologia oggi utilizzata in sovrapposizione con altri riferimenti concettuali quali care manager, self manager, care giver, disease management, managed care, … Il 10
Gruppo ha operato una differenziazione di significati, condividendo non tanto un lavoro di glossario, quanto piuttosto una distinzione di senso: “cosa intendiamo per…” a partire da definizioni ufficiali. Ne sono scaturite alcune riflessioni che resteranno sullo sfondo delle successive elaborazioni del Gruppo: più complessi sono i problemi dei pazienti/utenti, e potenzialmente più elevato è il rischio di un utilizzo improprio dei servizi, dei ricoveri ospedalieri, di frammentazione dell’assistenza e di ritardo nel processo di diagnosi e terapia; il Case Management è pertanto “…contemporaneamente un sistema multidisciplinare e monodisciplinare e lavora in diversi setting e aree assistenziali” (Zender); “Il case management provoca un impatto sui servizi quando è erogato all’interno di un gruppo qualificato…” (Ipasvi - Ferrara); alla base dell’efficacia del case management devono essere assicurati: - Integrazione con l’Equipe, - Disponibilità di servizi adatti alle esigenze degli utenti, - Tempo per modificare le mentalità all’interno dei servizi (McLellan e Altri – 1999). Il confronto del Gruppo sfocia in una prima definizione di case management come modello di erogazione dell’assistenza che integra la “soddisfazione” del cittadino e dell’organizzazione, e nello stesso tempo metodo per la gestione olistica ed individuale dei problemi di salute e benessere. Gli sviluppi logici successivi portano alla definizione di un modello nel quale si ipotizza l’istituzione di una figura professionale che si occupi di: rappresentare un punto di contatto di fiducia per il paziente/utente (referente); assicurare che i servizi siano orientati all’utente; dare risalto alle esigenze e ai punti di vista del paziente/utente e dei familiari (advocacy); favorire l’utilizzo dei servizi disponibili (care manager). Nel momento stesso in cui il Gruppo si concentra sulla definizione di questa figura professionale, emergono dal confronto le numerose e diversificate “barriere, resistenze, preconcetti” strutturate vigorosamente e in maniera diffusa nei singoli professionisti del Gruppo, al di là delle origini e appartenenze di ciascuno: le principali ragioni che da sempre e pressoché ovunque sottendono alla cronica difficoltà di lavorare in modo integrato. Il richiamo costante e responsabile al compito originario affidato al Gruppo di Progetto consente di superare gli ostacoli sopra rappresentati per riconoscere e condividere una definizione di case manager non tanto in quanto ruolo specifico e unico, che in quanto tale rischia di creare una frattura fra il case manager e gli altri professionisti con i quali si trova a dover cooperare, ma piuttosto di riconoscerlo in quanto funzione condivisa. Funzione condivisa significa che l’organizzazione (l’equipe quando esprime la scelta) riconosce il case manager, legittima il suo agire, anche al di là delle differenze funzionali, delle specificità professionali o di appartenenza istituzionale; significa che il professionista individuato quale case manager, si interpreta in tale ruolo senza ricorrere ad atteggiamenti egemonici ma 11
affermando allo stesso tempo in piena legittimità nei confronti di altri professionisti, una “conduzione” del caso secondo tempi e modalità concordati o comunque congruenti nell’interesse dell’utente. Il modello operativo che discende da tale impostazione implica che: di norma è l’Equipe che esprime il case manager; nessun componente dell’Equipe è automaticamente case manager: criteri di prevalenza, opportunità o altro, determinano la scelta; non si può escludere l’individuazione del case manager al di fuori dell’Equipe; altre figure professionali possono essere ritenute case manager secondo criteri di prevalenza, opportunità, competenza specifica. L’analisi di come viene praticata oggi nei servizi la “responsabilità del caso”/“referenza”/“case management” fa emergere realtà differenziate, che però riconoscono di aver acquisito nella propria cultura di servizio, in modo pressoché omogeneo, il valore del lavoro in équipe e la inderogabile necessità di offrire all’utente, ai familiari, al contesto ambientale che afferisce all’utente, alle istituzioni pubbliche e ai soggetti privati che ruotano intorno a quello stesso utente, un “interlocutore”, inteso come una persona fisica definita, in grado di rappresentare, al di fuori del Servizio cui appartiene: il Servizio medesimo; la progettualità che il Servizio ha ipotizzato; le variabili alternative che il Servizio è potenzialmente in grado di promuovere; le risorse che potenzialmente il Servizio può attivare; e dal quale aspettarsi un alto livello di conoscenza dell’operatività di altri Servizi Pubblici, di soggetti privati significativi del territorio e più in generale delle risorse che il territorio può mettere in gioco a favore dei bisogni dell’utenza. Il Gruppo di Progetto si è riconosciuto in siffatta definizione, e ha riconosciuto che nei Servizi, anche se con livelli di sviluppo diversi, con linguaggi e metodologie simili, si è ormai consolidato un orientamento metodologico che tende a perseguire tale risultato, pur non senza ostacoli e difficoltà. In virtù del mandato ricevuto dal Comitato Scientifico, il Gruppo ha ritenuto di avere il dovere, ma anche l’occasione, di sviluppare una proposta formativa che presupponga come già acquisita la capacità dei Servizi di esprimere l’interlocutore di cui si è detto sopra, senza con ciò sottovalutarne le complessità, e coglie il valore aggiunto di una progettazione formativa che sappia disegnare un modello operativo adeguato ad accompagnare i Servizi alla formazione di un CASE MANAGER DELL’INTEGRAZIONE; ossia un “interlocutore”, come sopra definito, che acquisisca non solo una capacità rappresentativa del proprio Servizio, ma anche, seppur in misura circoscritta alla progettualità cui riferiscono gli utenti in carico, una capacità rappresentativa nei confronti dell’esterno, dei Servizi (co-progettisti) coinvolti nella gestione di quei progetti e di quegli utenti. Il fatto di essere giunti a riferimenti e definizioni condivisibili, non ha risolto nei membri del Gruppo la diversa percezione dell’operatività quotidiana del modello; nello spontaneo raccontarsi dei diversi Servizi, è emersa la necessità di capire più specificatamente come lavora l’altro: ai professionisti membri del Gruppo è stato perciò chiesto di elaborare un documento di rappresentazione delle modalità di accesso e presa in carico in vigore nel proprio Servizio, a partire da regolamentazioni formali, dove adottate, ma includendo anche modalità informali e prassi consolidate. Questi lavori, raccolti e riproposti in forma sintetica, hanno portato al Comitato Scientifico le seguenti evidenze: un Progetto formativo, significativo per questo territorio, sul tema 12
dell’integrazione, deve caratterizzarsi secondo due aspetti prioritari, da una parte la necessità di sperimentare l’operatività del case manager ed in particolare del case manager dell’integrazione, dall’altra l’irrinunciabile bisogno dei Servizi e dei Professionisti di avviare un processo di reciproca conoscenza, dedicando a tale processo un tempo congruo a superare diffidenze e distanze attuali, e proponendo su entrambi gli obiettivi modalità e stili innovativi, tali da suscitare nei Professionisti e nelle Organizzazioni fiducia e motivazioni rinnovate. 2.3 Il percorso di ricerca – formazione 2.3.1 Avvio dell’intervento di ricerca - formazione con lo Studio APS L’Ausl di Ravenna ha segnalato l’interesse ad approfondire le tematiche relative ai processi di integrazione tra servizi, a fronte delle esperienze ed elaborazioni fino ad allora maturate e delle ipotesi relative all’introduzione del case manager come possibile agente competente e facilitante le connessioni ed integrazioni tra servizi. La proposta costruita individua nel Gruppo di Progetto il soggetto principale cui offrire un’occasione di ricerca-formazione nella prospettiva di: favorire conoscenze reciproche tra i diversi servizi, in particolare in riferimento agli elementi qualificanti delle specifiche modalità di intervento; consentire l’acquisizione di rappresentazioni realistiche dei processi di lavoro integrati; sperimentare comunicazioni e scambi che permettano di riconsiderare diffidenze e difficoltà di interazione esistenti e diffuse; identificare degli “oggetti di lavoro” comuni, ovvero dei problemi che diventino elementi di connessione tra servizi; costruire una mappa dell’insieme dei problemi rispetto ai quali può essere possibile indicare strategie aziendali e priorità d’azione. Si decide di investire su tali obiettivi attraverso un processo articolato e distribuito in un arco di tempo congruo (10 mesi .ca), prestando particolare attenzione agli aspetti metodologici, collegati agli orientamenti della ricerca-azione, cioè facilitanti coinvolgimenti attivi e sperimentazioni, all’interno dello stesso percorso formativo, di comunicazioni e interazioni significative per singoli e gruppi aventi diverse professionalità e collocazioni organizzative. Per fare ciò il Comitato Scientifico accoglie la proposta di rivedere la composizione del Gruppo di Progetto portandolo da una ventina di componenti a circa quaranta, incluso il coinvolgimento di una rappresentanza della Scuola Statale. (vedi Allegati 2a et 2b). 2.3.2 Il lavoro col Gruppo di progetto: la strutturazione del percorso di conoscenza dei Servizi Vengono realizzati i primi incontri col Gruppo di Progetto, cui inizialmente sono presentati gli obiettivi e le diverse fasi di lavoro, contestualmente ad alcuni quadri di riferimento di tipo teorico sul tema dell’integrazione tra servizi e professionalità diverse. Successivamente si realizza la costituzione di due gruppi di ricerca paralleli (composti entrambi da operatori di 4 tra le 8 tipologie di servizi presenti), per favorire un avvicinamento consistente alle diverse esperienze ed un coinvolgimento attivo di ciascun partecipante. 13
Ogni gruppo si organizza al proprio interno per la realizzazione di incontri tra i servizi presenti, finalizzati alla conoscenza reciproca: in particolare dopo attente riflessioni si decide di costituire delle coppie o gruppi di operatori (misti rispetto ai servizi di provenienza e basati sull’interesse e sulle proprie necessità più specifiche) aventi come compito una ricognizione presso un altro servizio. Viene a tale scopo proposta e ridefinita insieme una griglia di riferimento (vedi Allegato 3) per rilevare: i contenuti dei servizi offerti, i processi di produzione e le varianze, le dimensioni valoriali più e meno condivise, le differenze e le asimmetrie tra figure professionali, la casistica “cronica”, le criticità ricorrenti ecc...; ciò per comprendere come sono trattati degli oggetti di lavoro ritenuti comuni, ma che per essere trattati con modalità integrate vanno riformulati. Oltre alla griglia si individuano altre modalità possibili per sviluppare la conoscenza del servizio: analisi di documentazione, realizzazione di interviste individuali e collettive, visite guidate, osservazione partecipante, fotografie, ...; l’accordo è che gli operatori che incontrano il servizio in cui non lavorano abitualmente raccolgano tale materiale e predispongano poi una presentazione dei dati raccolti ed elaborati, segnalando i punti in cui ravvisano convergenze con il loro punto di vista e quelli in cui registrano divergenze. 2.3.3 La ricerca in azione: la conoscenza dei Servizi Grazie ad una scansione dei tempi del percorso di ricerca-formazione piuttosto incalzante e ad un supporto organizzativo consistente da parte della coordinatrice del Progetto, i gruppi di operatori realizzano nove ricognizioni tra i diversi servizi, disponendo di occasioni di monitoraggio ed accompagnamento da parte dei formatori. Si punta in questa fase ad organizzare dati ed informazioni generali sui servizi incontrati e conosciuti, nonché più mirate ai fattori relativi ai processi di integrazione interna e con l’esterno. Vengono confezionate otto presentazioni ricche ed articolate, con modalità diverse, creative, suggestive (su supporto cartaceo, digitale, audiovisivo, ...), ma leggibili trasversalmente grazie ai riferimenti comuni forniti dalla griglia e dalle concettualizzazioni che consentono di orientarsi nella complessità degli elementi presentati. 2.3.4 Primi risultati conoscitivi ed elaborazioni sui processi di integrazione Dopo questa fase il Gruppo di Progetto si ritrova in plenaria coi consulenti per la presentazione a tutti delle sintesi elaborate dai diversi gruppi che hanno attuato le ricognizioni presso i servizi. Oltre a fornire una rappresentazione di mandati, vincoli, risorse, progettualità, valori dei diversi servizi, tale momento di lavoro consente di evidenziare trasversalmente una prima lista di fattori facilitanti e/o ostacolanti i processi di integrazione. Tali esiti sono presentati nello stesso giorno da parte dei Consulenti e di alcuni membri del Gruppo di Progetto ai Dirigenti dei servizi Ausl, Scuole, Comuni (il Comitato Scientifico del Progetto formativo); la discussione e l’approfondimento dei contenuti presentati forniscono un primo importante feedback istituzionale al percorso di ricerca – formazione e creano le condizioni per un proseguimento del mandato da parte del Comitato Scientifico alla Direzione delle Attività sociosanitarie e allo Studio APS. I Consulenti si incaricano di redigere un primo report (vedi Allegato 4) che raccoglie gli esiti del percorso, valorizzando gli apprendimenti relativi ai processi di integrazione, agli elementi di forza e di debolezza individuati, alle riformulazioni relative alla figura del case manager; emergono alcuni significativi riferimenti rispetto alla possibilità di sviluppare funzioni di “network management”. 14
Col gruppo di progetto, su mandato del Comitato Scientifico, si riprende il lavoro di approfondimento, di individuazione di ipotesi di lavoro, di contenuti e metodi con cui proseguire e sperimentare delle cooperazioni integrate tra servizi. Si delineano due direzioni possibili: 1) in orizzontale: diffusione. Promozione e discussione degli esiti del percorso tra gli operatori dei diversi servizi, facilitando scambi e coinvolgimenti, raccogliendo problemi e proposte, col supporto dei consulenti. 2) in verticale: approfondimenti. Avvio di due laboratori che sperimentino localmente forme di network management, su temi condivisi, con dispositivi e attenzioni che incorporino gli orientamenti individuati, per introdurre prassi innovative e sostenibili, con la conduzione dei consulenti. 2.3.5 Lo stato dell’integrazione dei/tra i Servizi. Proseguimento del percorso di ricerca – azione Il mandato del Comitato Scientifico, a fronte delle proposte formulate, si indirizza verso la prospettiva orizzontale, intesa come possibilità di favorire la diffusione nei servizi dell’Azienda Usl di Ravenna, delle Scuole e degli Enti Locali del territorio, delle acquisizioni rilevate nella prima fase di ricerca azione, incrementando l’attenzione verso i processi di integrazione all’interno e tra diverse organizzazioni. Si stabilisce che i partecipanti al Gruppo di Progetto conducano incontri con gli operatori dei servizi, finalizzati ad esplorare le propensioni ad operare in modo integrato, promuovendo direttamente ed indirettamente le acquisizioni sviluppate nella prima fase di ricerca. Per la realizzazione di questi incontri – interviste di gruppo i componenti del Gruppo di Progetto utilizzano una scheda-test (Allegato 5a), predisposta dai Consulenti in base a quanto concordato negli incontri preliminari, per orientare l’esplorazione delle principali esperienze di integrazione realizzate e la rilevazione di eventuali temi/problemi che potranno essere successivamente trattati. Vengono costruite guide all’uso della scheda (Allegato 5b) e condotte simulazioni degli incontri – interviste per mettere i partecipanti in condizione di condurre con sufficiente agio e competenza dei momenti di lavoro inediti e complessi, per la natura stessa dell’oggetto trattato e per alcune implicazioni prevedibili (dubbi, sospetti, conflitti, incomprensioni, ...). L’accurata costruzione di un’agenda degli incontri per numerose coppie di intervistatori (Allegato 4) costituite in base ad affinità, interesse, vincoli organizzativi, radicamento territoriale, relazioni col gruppo di operatori da intervistare, ... – e l’accompagnamento formativo all’assunzione delle funzioni da esercitare rendono possibile la realizzazione di 45 incontri tenuti prima delle vacanze estive. 2.3.6 La scheda di autovalutazione delle propensioni all’integrazione La “scheda per la rilevazione delle propensioni all’integrazione nei servizi che operano nel territorio della Provincia di Ravenna” (Allegato 5a) è stata preparata utilizzando gli esiti della precedente esplorazione; i contenuti emersi come fattori facilitanti ed ostacolanti sono stati utilizzati per predisporre, nella prima parte della scheda, 6 domande: 1. Quali sono le caratteristiche prevalenti dei servizi erogati? 2. Come si qualificano i processi di lavoro dal punto di vista professionale? 3. In che modo si sviluppano le comunicazioni interne? 4. Come si configura il mandato istituzionale? 15
5. Come si sviluppano i processi decisionali? 6. Quali investimenti sulla formazione e sulla rielaborazione delle esperienze realizzate? Avendo previsto per ogni domanda una risposta graduata su una scala da 1 a 6, è stato possibile costruire un “indice di propensione all’integrazione” variabile tra 6 e 36. La seconda parte della scheda è stata dedicata alla rilevazione delle esperienze di integrazione interne ed esterne realizzate dai diversi servizi. Le informazioni raccolte attraverso la compilazione delle schede sono state elaborate secondo le seguenti distinzioni: informazioni correlate ai questionari compilati individualmente (“Questionari Individuali”) in forma anonima da ogni singolo operatore intervistato per complessivi n. 398 operatori intervistati e n. 395 questionari individuali anonimi raccolti; informazioni correlate ai questionari compilati collegialmente da ogni gruppo di operatori intervistati (“Questionari Collettivi”) per complessivi n. 44 questionari collettivi compilati pari al numero di gruppi intervistati; informazioni numeriche (“dati quantitativi”) disponibili sia dai Questionari Individuali che dai Questionari Collettivi analizzate con lo strumento “EpiInfo” (cfr Paragrafo 4.1); informazioni di testo (“dati qualitativi”) disponibili solo dai Questionari Collettivi, analizzate con lo strumento “T-Lab” (cfr Paragrafo 4.3) e oggetto di un’analisi di dettaglio effettuata direttamente dai Formatori (cfr Paragrafo 4.2). 2.3.7 La conclusione del percorso di ricerca – azione Le schede di autovalutazione delle propensioni all’integrazione (Allegato 5a) consentono di raccogliere dati e valutazioni di tipo quantitativo e qualitativo, che vengono man mano raccolti ed elaborati dai consulenti. Il Gruppo di Progetto si riunisce per riconsiderare l’esperienza realizzata (disponibilità, resistenze, differenziazioni, interessi sul proseguimento e su restituzioni future, ...) e commentare i dati più rilevanti. Ci si accorda per affinare ed approfondire l’analisi dei dati sulla base di queste prime osservazioni e di quelle che i Consulenti proporranno dopo una lettura più accurata e da più punti di vista delle schede. Si distinguono risultati relativi all’elaborazione dei dati e risultati di processo che il movimento provocato dalla ricerca ha prodotto tra gli operatori e nei servizi; essi vengono raccolti e presentati in un testo in bozza dato in lettura ad alcuni componenti del Gruppo di Progetto disponibili ad integrarlo. Lo Staff che ha condotto l’esperienza si è assunto il compito di redigere la presente versione definitiva del Report. 16
3. Esiti della prima fase del percorso di ricerca - formazione: una rappresentazione dello stato dell’integrazione tra Servizi 3.1 Propensioni e orientamenti culturali Le attività conoscitive realizzate dai partecipanti all’interno del percorso formativo, orientate ad esplorare lo stato dell’integrazione in diversi servizi sociali, sanitari, scolastici, educativi, hanno permesso di evidenziare significative propensioni in questa direzione; gli investimenti realizzati sono risultati consistenti, anche se variamente distribuiti nell’ampio panorama preso in considerazione. L’integrazione è rappresentata come componente rilevante del patrimonio culturale ed operativo dei diversi professionisti e dei servizi; sembra di poter affermare che molto si sia scommesso in questa direzione negli anni e che ciò abbia contribuito a favorire una sensibilizzazione diffusa, nonché sperimentazioni di vario tipo, collocate a più livelli. Si sono registrate disponibilità e consapevolezze che sostengono i processi di lavoro sul piano interno e nelle relazioni coi diversi soggetti esterni. L’integrazione sembra quindi essere fattore culturale e strutturale per alcuni servizi (in particolare per quelli in cui sono presenti più professionalità, funzioni sociali e sanitarie, mandati che prevedono forme di integrazione socio-educativa, ...) per altri è legata alla multiproblematicità delle situazioni che si affacciano ai servizi ed alla conseguente necessità di valutazioni, progettualità e trattamenti condivisi. 3.2 Le esperienze Il panorama delle esperienze volte all’integrazione rilevate nel contesto del territorio ravennate si è rivelato, come anticipavamo, ampio e variegato. Più in generale si sottolinea che si tratta di esperienze sostenute talvolta da investimenti istituzionali, attraverso: la realizzazione di progetti concordati di ampio respiro; la messa a punto di protocolli che regolano le relazioni e indicano processi di lavoro, modalità comunicative, responsabilità; l’individuazione di prassi concordate che regolano la gestione ordinaria, con alcuni gradi di formalizzazione. In altri casi si tratta di iniziative promosse dagli operatori stessi che si attivano e raccordano tra loro in funzione di necessità e valutazioni derivate dalla sensibilità professionale e da un’interpretazione del mandato istituzionale molto collegata ai problemi dei pazienti/utenti. Si sono evidenziati interessanti movimenti imprenditivi degli operatori sul piano delle 17
progettazioni relative a situazioni multiproblematiche, nella ricerca di consulenze presso professionisti di altri servizi, nel costruire strumentazioni comuni volte a facilitare processi di lavoro più collegati ed integrati. In sintesi le molteplici esperienze volte all’integrazione sono distinguibili rispetto alla collocazione sui versanti: istituzionale (laddove ad esempio Ufficio scolastico provinciale e Ausl hanno concordato protocolli relativi a problematiche di minori in carico ai servizi di NPI); macro organizzativo (quando due o più servizi in quanto tali decidono di collegarsi ed incontrarsi per gestire situazioni critiche, emergenze, soggetti e famiglie per cui non risulti chiara ed esclusiva la presa in carico); micro organizzativo (su iniziativa di singoli professionisti di servizi che si attivano per cercare colleghi portatori di competenze diverse); tecnico professionale (per quanto riguarda ad esempio valutazioni congiunte su casi problematici di famiglie con minori, con l’apporto di più professionisti di diversi servizi); culturale (nelle situazioni in cui, per esempio, alcuni servizi hanno investito per realizzare percorsi formativi con altri, al fine di produrre e condividere orientamenti, prospettive, linguaggi, utilizzabili nel trattamento di situazioni in comune). 3.3 Fattori facilitanti Nella prospettiva di sviluppare conoscenze dall’analisi sullo stato dell’integrazione nei e tra i servizi, si è cercato di mettere in luce quelli che possono essere individuati come fattori facilitanti, che nel tempo hanno permesso l’avvio, la sperimentazione ed il consolidamento di attività in questa direzione, in particolare è emerso che: a. l’integrazione risulta essere più consistente (sul piano interno e con l’esterno) nelle organizzazioni dove nel tempo si è consolidata una cultura di servizio più orientata al “cliente” ed ai suoi problemi, dove l’interpretazione del mandato istituzionale ha favorito traduzioni contestualizzate, in dialogo con la concretezza e la novità dei problemi, che sono visti ed assunti per orientare i processi operativi in direzioni creative e congruenti. In queste situazioni la ricerca di cooperazioni articolate con altri professionisti e servizi non si riduce alla semplice richiesta di prestazioni specialistiche, ma promuove per quanto possibile la messa a punto di analisi, valutazioni e progettazioni sufficientemente condivise; b. dal punto di vista organizzativo l’integrazione risulta facilitata in servizi non strutturati secondo modelli gerarchici e prescrittivi, che tendono ad inibire l’azione degli operatori e la presa d’iniziativa. E’ come se in contesti organizzativi reticolari risultasse più possibile un’apertura a punti di vista diversi e la ricerca di altri apporti professionali perché maggiore è la consuetudine alla cooperazione e allo scambio, intesi come fattori necessari e qualificanti l’azione dei servizi. L’approccio multidisciplinare ai problemi è riconosciuto come strategico e di conseguenza, sul piano dell’integrazione interna e con l’esterno, sono permesse, riconosciute, valorizzate e talvolta promosse le attivazioni degli operatori sul campo. Laddove la 18
cultura organizzativa è maggiormente orientata al modello gerarchico-prescrittivo gli operatori sono prevalentemente centrati sull’esecuzione di adempimenti, su compiti formali, aumentando le dimensioni autoreferenziali, sviluppando scarsi interessi ed interazioni con quanto si realizza al di fuori dei confini del proprio servizio o addirittura del proprio compito specifico; c. l’integrazione risulta essere facilitata anche dalla presenza, nella storia delle relazioni tra i servizi, di esperienze di formazione trasversali e comuni, che hanno consentito di costruire comprensioni, di condividere e inventare linguaggi, per esplorare la natura dei problemi e convergere su alcune ipotesi di lettura e di trattamento. Sembra quasi che alcune di queste occasioni siano ancora oggi per gli operatori un ancoraggio significativo per orientarsi nella complessità e nella mKulti problematicità, è come se costituissero un riferimento pregiato nella storia del servizio e del rapporto tra i servizi. In tali occasioni la conoscenza tra professionisti, in relazione tra loro per l’apprendimento e lo sviluppo di conoscenze su oggetti di lavoro comuni, ha talvolta creato le premesse per successivi interventi integrati e progettazioni comuni, ha ridimensionato le stereotipie reciproche, ha creato condizioni di maggiore fiducia e riconoscimento; d. elemento facilitante dei processi di integrazione è risultato essere la presenza di strumentazioni comuni. Il riferimento è a dispositivi di varia natura (schede per le segnalazioni, cartelle condivise, ma anche riunioni ad hoc, comunicazioni mirate, ...), inventati o mutuati da esperienze precedenti, appartenenti solo a qualcuno. Si è compreso quanto gli strumenti in comune incorporino degli orientamenti e quindi favoriscano valutazioni, progettazioni, passaggi di competenze, diversamente poco componibili e comprensibili, dove maggiore può essere il rischio di discontinuità e frammentazione. Attraverso l‘utilizzo di indicatori ed aree di osservazione comuni, attraverso una raccolta dati orientata e condivisa, nel rappresentare problemi con linguaggi riconoscibili perché co-costruiti, si creano le condizioni per una gestione maggiormente integrata delle situazioni afferenti a più servizi, secondo prospettive ricompositive; e. ciò che sostiene nei servizi l’investimento sui processi di integrazione è anche la presenza di mandati che in termini espliciti e chiari legittimino attivazioni di questa natura: lasciare alla sola iniziativa del singolo operatore ed alla sua pur preziosa imprenditività il compito di presidiare-promuovere integrazione rischia di appoggiare tale importante funzione a meccanismi troppo fragili e casuali, scarsamente riconosciuti e difficilmente apprezzabili, troppo onerosi da sostenere per il singolo. Concludendo: le organizzazioni più flessibili e disponibili all’adattamento reciproco sono risultate essere quelle dove esiste maggior propensione all’integrazione; vi è un nesso significativo tra culture, funzionamento organizzativo e possibilità di promuovere processi di scambio, collegamento e intervento con altri. L’alleggerimento delle dimensioni istituzionali e burocratiche, il forte investimento nella ricerca intorno ai problemi ed al loro trattamento, l’orientamento a ri-organizzarsi in funzione degli obiettivi e delle risorse presenti nel sistema, sembrano favorire processi di integrazione vantaggiosi per i “clienti” e più convincenti per gli operatori stessi. 19
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