Il Case Management: modelli e strumenti operativi nell'area dell'integrazione sociosanitaria

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Il Case Management: modelli e strumenti operativi nell'area dell'integrazione sociosanitaria
Il Case Management:
  modelli e strumenti operativi nell’area
  dell’integrazione sociosanitaria

 Un progetto di ricerca-azione condotto nei Servizi Sanitari,
Sociali ed Educativi nel territorio della Provincia di Ravenna

       a cura di Marco Brunod, Sonia Cicero, Barbara Di Tommaso

                    introduzione di Eno Quargnolo
Il Case Management: modelli e strumenti operativi
                               nell’area dell’integrazione sociosanitaria
       Un progetto di ricerca-azione condotto nei Servizi Sanitari, Sociali ed Educativi
                           nel territorio della Provincia di Ravenna

Indice

1. Premessa: Case Management come “strategia di frontiera”
                                                frontiera” (E. Quargnolo) ............................. 5
2. Le tappe del percorso ......................................................................................................................... 10
      2.1 L’avvio del Progetto ......................................................................................................................... 10
      2.2 Il Gruppo di Progetto ....................................................................................................................... 10
      2.3 Il percorso di ricerca - formazione .................................................................................................. 13
          2.3.1 Avvio dell’intervento di ricerca - formazione con lo Studio APS ......................................... 13
          2.3.2 Il lavoro col Gruppo di Progetto: la strutturazione del percorso
                 di conoscenza dei Servizi ..................................................................................................... 13
          2.3.3 La ricerca in azione: la conoscenza dei Servizi ................................................................... 14
          2.3.4 Primi risultati conoscitivi ed elaborazioni sui processi di integrazione ............................. 14
          2.3.5 Lo stato dell’integrazione dei/tra i Servizi. Proseguimento del percorso
                 di ricerca – azione ................................................................................................................ 15
          2.3.6 La scheda di autovalutazione delle propensioni all’integrazione ...................................... 15
          2.3.7 La conclusione del percorso di ricerca – azione ................................................................ 16

3. Esiti della prima fase del percorso di ricerca-
                                          ricerca-formazione:
                                                       formazione una rappresentazione
   dello stato dell’integrazione tra Servizi .......................................................................................... 17
      3.1    Propensioni e orientamenti culturali .............................................................................................. 17
      3.2    Le esperienze .................................................................................................................................. 17
      3.3    Fattori facilitanti .............................................................................................................................. 18
      3.4    Fattori ostacolanti ........................................................................................................................... 20
      3.5    Conclusioni provvisorie ................................................................................................................... 21

4. Esiti della seconda fase del percorso di ricerca-    ricerca-formazione: la propensione
   all’integrazione nei Servizi
                         ervizi ................................................................................................................. 22
      4.1 L’analisi dei dati quantitativi .......................................................................................................... 22
      4.2 L’analisi di Testo (T-LAB) ................................................................................................................. 28
      4.3 Il processo ....................................................................................................................................... 37

5. Conclusioni ........................................................................................................................................... 39
      5.1 Un’opportunità per mettersi in gioco ............................................................................................. 39
      5.2 L’esperienza realizzata come laboratorio di ruoli e funzioni integrative ..................................... 40
      5.3 Indirizzi di sviluppo: introduzione e consolidamento delle funzioni
          di Case Management e di Network Management ........................................................................ 40

6. Allegati ................................................................................................................................................... 43
      N. 1         Case Management: esperienza storica e definizioni ............................................................. 44
      N. 2a        Composizione del Gruppo di Progetto – Prima ...................................................................... 47
      N. 2b        Composizione del Gruppo di Progetto – Dopo ....................................................................... 47
      N. 3         Scheda di osservazione dei Servizi ......................................................................................... 48
      N. 4         Progetto di ricerca – formazione ............................................................................................. 51
      N. 5a        Scheda per la rilevazione delle propensioni all’integrazione ................................................ 59
      N. 5b        Note per la conduzione delle interviste sulla propensione all’integrazione ......................... 61
      N. 6         Pianificazione interviste ........................................................................................................... 62
1. Premessa: Case Management come “strategia di
   frontiera”

      Negli ultimi decenni, stiamo assistendo a diversi mutamenti sociali, demografici ed
      epidemiologici che prefigurano vere e proprie “transizioni” e disegnano scenari inediti
      che chiamano in causa tutti gli attori sociali di una comunità territoriale e le stesse
      organizzazioni di servizio, come quelle sociali, sanitarie ed educative.
      Il ruolo di queste ultime è e sarà particolarmente significativo e centrale nelle politiche di
      salute e benessere che si stanno progettando e attuando nelle diverse comunità; sono,
      altresì, determinanti rispetto alla qualità attesa che si vuole corrispondere ai cittadini e,
      particolarmente, alle persone in condizioni di fragilità e di bisogno.

L’integrazione, in questo contesto, rappresenta un fattore fondamentale di qualificazione
dell’offerta di servizi e prestazioni e di conseguenza, del livello di qualità della vita delle
persone e del capitale sociale di una comunità. Essa:
        riduce il disagio dei cittadini nel rapporto con i servizi sanitari, sociali ed educativi in
           quanto possono trovare una risposta unitaria ai loro bisogni di cura, di assistenza e di
           vita;
        genera maggiore efficacia di cura e di sostegno e favorisce maggiore appropriatezza
           d’uso delle risorse (finanziarie ed economiche, professionali e tecnologiche);
        favorisce la comunione di intenti e la collaborazione fra organizzazioni e
           professionisti di cultura e prassi diverse in un processo virtuoso di apprendimento
           reciproco e di crescita del patrimonio professionale, culturale e umano (norme,
           principi e valori, strumenti, prassi, conoscenze…).

L’integrazione, ed in particolare l’integrazione sociale-sanitaria-educativa, si presenta, dunque,
come una frontiera, carica di significati e valori, sfida e, insieme, strategia di qualificazione del
sistema di offerta.
L’integrazione, si conviene da più parti, deve essere praticata simultaneamente e
coerentemente a diversi livelli: comunitario, organizzativo, gestionale e professionale. Ciò
presuppone che i modelli, i processi, le responsabilità e l’etica che unitariamente le sottende,
siano dichiarati, chiari, logici e lineari per arrivare al massimo dei risultati attesi, qui sopra
sommariamente elencati.

Dobbiamo constatare, però, come vi siano forti discrasie tra questi sistemi (sociale, sanitario
ed educativo) che ne minano la possibilità reale di integrazione; ciò da diversi punti di vista: sul
fronte del mercato dei servizi, del sistema di finanziamento, del sistema di produzione
(meccanismi e struttura organizzativa), delle stesse politiche di integrazione (massimamente
per l’integrazione con altri sistemi e/o politiche).
Focalizzandoci solo sui meccanismi operativi e sulla struttura organizzativa, possiamo
riscontrare asimmetrie che afferiscono alla diversa componente tecnologica (ridotta per i
sistemi sociale ed educativo, molto articolata e ad alta complessità per il sistema sanitario);
alla professionalità espressa (scarsamente specialistica per i primi, rigidamente specializzata
per il secondo); alla propensione alla ricerca operativa e alla valutazione (scarsa vs notevole);
al sistema di comando nella filiera di produzione (senza gerarchie e in rete vs filiera verticale

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rappresentata dalla direzione monocratica delle Aziende Sanitarie); dalla diversa presenza di
pratiche e culture di governance interna ed esterna (sistema socio-educativo: orientato anche
a quella esterna, attento agli stakeholders; sistema sanitario: più centrato sui sistemi di
governo clinico dei propri prodotti assistenziali).
Di particolare significato appare, a chi scrive, la diversità rappresentata dalle dinamiche e dalle
logiche di funzionamento che sottendono i diversi sistemi, quando sono chiamati ad affrontare
l’integrazione gestionale e professionale, in particolare nelle situazioni di complessità
assistenziale. Essi, in questo contesto di azione, devono scontare il fatto che si trovano in una
“terra di mezzo” dove opera una pluralità di soggetti autonomi con proprie missioni e valori.
Organizzazioni, queste, titolari di competenze diverse dove vi è una oggettiva interdipendenza
e contestuale presenza di risorse finanziarie, risorse economiche, mercati, complementarietà
dei processi produttivi, di accesso ai fattori produttivi.

Le leve su cui agire, allora, sono necessariamente diverse. Quando non si può contare su quelle
che sono normalmente a disposizione delle singole organizzazioni (l’unicità di comando, gli
incentivi alla produzione, la valorizzazione delle risorse umane e professionali, le forme di
programmazione e controllo budgetario, ecc.), occorre agire su valori quali la responsabilità e
la reciprocità, sulla condivisione di missioni e visioni; come pure sulla stessa partecipazione ai
medesimi processi di programmazione e controllo.
Ciò che assume significato in questo agire è la negoziazione fra i tanti attori sociali, utilizzata
come strumento e logica di azione, per organizzarne le interdipendenze e generare valore per
la rete e per i singoli nodi. Il valore è dato dall’equilibrio tra contributi e ricompense (equità
percepita). Creazione di interdipendenze e generazione di valore, equamente distribuito,
garantiscono il perdurare della rete. E’ chiaro che non si può che governare cedendo parte
delle proprie prerogative di governo e di gradi di autonomia. Si userà la “forza degli altri”
piuttosto che il proprio potere, sviluppando la capacità di leggere il “razionale”, i vantaggi per
l’intera rete.
Abituarsi al “gioco di rete” per la creazione di valore è qualcosa che deve essere fatto a tutti i
livelli dell’integrazione, operando scelte strategiche e politiche comuni ai diversi attori e,
soprattutto, facendo leva sui sistemi di service management: modelli gestionali unitari per
l’accesso e la presa in carico (gate unici di accesso, unità di valutazione dei bisogni e dei servizi
necessari multidimensionali e multiprofessionali…) e modelli integrati e multidisciplinari di
intervento come la gestione basata sul case management e sul network management.

In questo senso, l’integrazione professionale è quella che gioca un ruolo determinante, topico
rispetto alle attese delle nostre organizzazioni e dei nostri utenti, tra tutti i livelli di
integrazione che siamo chiamati a realizzare.
Quello che ci viene chiesto – che abbiamo doverosamente richiamato nelle “Linee Guida e
indirizzi operativi” dell’area sociosanitaria e che qui utilizziamo in parte per rinforzare il nostro
pensiero - è di realizzare le condizioni operative unitarie tra figure professionali diverse
(sanitarie e socio-educative; formali e informali) che possano garantire il massimo di efficacia
possibile nell’affrontare bisogni di natura multiproblematica, la cui complessità richiede la
predisposizione di una risposta altrettanto complessa che prevede diversi approcci assistenziali
tra loro coordinati e strutturati. I soggetti “prestatori di cure” non sono, infatti, solo i “singoli
professionisti” dell’area socio-sanitaria ma una rete allargata di tecnici, familiari e reti
informali. Gli interventi che possono rispondere a bisogni complessi o sono interventi di
sistema o difficilmente favoriscono cambiamenti e ancor più difficilmente producono
benessere. Ciò significa prendere in carico gli utenti in maniera congiunta (co-responsabilità
professionale), progettando interventi personalizzati, articolati nelle prestazioni che ogni figura
professionale deve erogare, in una logica di condivisione delle responsabilità professionali dei
singoli.

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In particolare le équipes multiprofessionali che appartengono a diverse istituzioni (EE.LL., Ausl,
Privato Sociale…) richiedono un apparato di metodi di lavoro e strumenti rigorosi che devono
permettere le connessioni e la comunicazione tra esse per un’efficace gestione dei casi, dei
problemi, dei percorsi assistenziali. Allo scopo sono necessari sistemi di regolazione molto
accurati: accordi, procedure, protocolli operativi, linee guida, sistemi informativi condivisi. Ma
serve anche la messa in comune di conoscenze e la condivisione di valori e finalità fra i diversi
professionisti; serve la fiducia reciproca ed il rispetto delle autonomie professionali, la capacità
di mettere in discussione le proprie opzioni tecniche e professionali e le proprie pratiche di
lavoro per garantire efficacia al lavoro di gruppo. In altre parole, è uno stile di lavoro, un modo
d’intendere il lavoro di gruppo che mette in gioco motivazioni, volontà, impegno e
responsabilità dei professionisti, oltre che la condivisione di regole e di percorsi di azione.
Dobbiamo, inoltre, considerare che il lavoro in équipe è anche un processo oggettivo, affatto
spontaneistico, dal quale non si può prescindere per far fronte alla complessità sociale. Infatti,
i processi di discussione, negoziazione, continua costruzione di significati si impongono come
necessari nei contesti del lavoro socio-educativo e sanitario se non si vuole semplificare o,
peggio, disconoscere gli stessi problemi che in essi si affrontano. I diversi punti di vista e
interessi, le convinzioni e le abitudini, i possibile conflitti di status dei singoli professionisti (del
sociale, dell’area educativa e della sanità, del pubblico e del privato), le stesse dinamiche del
lavoro in gruppo possono costituire un evidente impedimento al funzionamento del lavoro
d’équipe. D’altro canto, gli effetti sui beneficiari (non già, o non solo sui singoli professionisti)
del lavorare insieme, quando sono resi evidenti, possono rinforzare lo status professionale
degli operatori implicati: quando si rende un buon servizio, si “vince” anche come
professionisti e si rinforza il proprio status sociale e la propria reputazione, aumentando così la
fiducia da parte della società civile, in un circolo virtuoso di riconoscimento e rinforzo
reciproco.

Su questa strada si collocano le indicazioni e metodologie sperimentate in questa esperienza di
ricerca-formazione relative alla tematica del “case management”, che rinvia tanto a una
possibile figura professionale, quanto ad una metodologia diffusa, finalizzata a “tenere le fila”
delle molteplici azioni progettate su singoli casi o su gruppi di popolazione. Non già elemento
identitario di una figura professionale o dell’altra, ma, sia chiaro, un elemento qualificante del
lavoro di una équipe che sceglie di lavorare insieme con metodo e regole condivise.
Il case management è un metodo di lavoro in grado di superare i confini tra i servizi e di
ottimizzare le risorse in gioco. Il case manager (o responsabile del caso) è quindi un
professionista qualificato che opera come riferimento e “facilitatore” per la persona che ha
bisogni sociosanitari complessi e per i servizi co-interessati nella gestione della persona, per
assicurare la continuità assistenziale in tutte le fasi del progetto, per coordinare le risorse,
migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’assistenza. Il case manager interviene assicurando un
servizio multidisciplinare centrato sulla persona e sulle sue esigenze, piuttosto che solo
sull'organizzazione ed i bisogni del sistema stesso. Ha funzioni di garanzia sia
nell’organizzazione e gestione dei processi assistenziali, sia nella valutazione degli stessi
processi ed esiti.
Quando l’integrazione comporta un forte coordinamento fra più équipes di diversa
appartenenza organizzativa (socio-educative e sanitarie) che lavorano su casi particolarmente
complessi (famiglie multiproblematiche, doppie diagnosi, maltrattamenti ed abusi su minori,
ecc.), è necessario individuare dei “case manager dell’integrazione” che si pongano il compito
di collegare le diverse équipes di appartenenza e di garantirne il funzionamento sinergico. In
questo caso i case managers sono orientati all’integrazione delle équipes ed alla finalizzazione
della loro azione sui casi in trattamento, configurando, di fatto, un ruolo ancora più articolato
di network management.

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Vi sono almeno tre condizioni di base per realizzare tutto ciò, che potremo, per semplicità,
chiamare le tre “R”, fra loro interdipendenti: Regolazione, Rigore metodologico e
Responsabilità.

La Regolazione richiama gli statuti scientifici e professionali e le regole del sistema che
supportano i professionisti nel loro agire. Nell’area socio-sanitaria-educativa questi statuti e
queste regole devono essere necessariamente condivise per potersi riconoscere in una cornice
comune alla quale fare riferimento in ogni atto e decisione di natura tecnico-professionale, ma
non solo. Linee guida, protocolli operativi, procedure sono gli strumenti che devono sostenere
le pratiche per aiutare i diversi professionisti nel loro lavoro e nella “interpretazione” del loro
ruolo nei processi assistenziali complessi di cui discutiamo.

Il Rigore ha a che fare con il modo con il quale affrontiamo gli aspetti metodologici e la
strumentazione comune che sostiene l’azione professionale. Si può parlare di “rigore
metodologico” ogni volta che i professionisti e le loro organizzazioni decidono di integrare le
loro titolarità di azione, le risorse, le competenze, gli strumenti che supportano il loro agire. In
questo senso il loro modo di agire è intenzionalmente orientato al rispetto dell’altro, alla
fiducia reciproca, alla condivisione, nella consapevolezza che solo in questo modo si può
arrivare a una integrazione autentica, che dà valore al proprio lavoro e produce i risultati che ci
si attende da un sistema che ha scelto di operare secondo questa logica e strategia. Oltre,
quindi, i personalismi, gli interessi di parte, le decisioni dei singoli svincolate da quelle delle
équipe autorizzate al lavoro integrato multiprofessionale e multidisciplinare.

La Responsabilità fa riferimento ad una visione responsabile del proprio ruolo. Nei sistemi
pubblici di produzione di servizi non sono ammessi comportamenti dei singoli professionisti o
dell’organizzazione, che prescindano dalle esigenze- oltre che degli altri professionisti, come
visto sopra - delle persone. I professionisti e l’organizzazione sono al servizio di queste. Ed è, in
particolare, sul loro essere persone che si devono progettare e costruire i processi e le
strutture operative più adeguate alla soddisfazione dei loro bisogni e attese. Ogni
professionista è chiamato ad essere singolarmente responsabile nel dimostrare di avere
rispetto e cura delle persone, a partire da ogni singolo atto medico, assistenziale o
manageriale. E ciò rappresenta un modo di interpretare con coerenza la propria missione di
professionisti e il proprio ruolo sociale.

Regolazione, rigore e responsabilità, o comunque si vogliano definire ma nella sostanziale
attribuzione di senso sopra declinata, devono essere considerati quali “materia prima”
dell’esistenza delle organizzazioni preposte alla tutela e alla cura del benessere delle persone;
devono essere valorizzati quali elementi “costitutivi” dell’agire dei professionisti impegnati in
tali organizzazioni.
Ma tali elementi sono risorse preziose che si “consumano”, rischiano di “esaurirsi” con effetti
gravi al pari della scarsa disponibilità di risorse puramente finanziarie, come testimoniato da
questa esperienza; sono però anche risorse che possono essere coltivate, anzi continuamente
rinnovate, alimentate.

L’esperienza qui testimoniata, con tutti i limiti ben dichiarati, ha il merito di mostrare e
dimostrare che fra i professionisti è alta l’aspettativa di partecipare alla difesa e alla ri-
composizione di tali condizioni, di essere protagonisti di una riproposizione convinta e
continuativa di questi “valori”, percependo che gli stessi sono a rischio di logorio in un
momento storico-culturale particolarmente difficile dal punto di vista della distanza che
intercorre fra le sofferenze umane che si affacciano ai servizi e la debolezza di risorse e
strumenti per rispondere adeguatamente ad esse.

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Con attenzione strategica e manutenzione continua, è possibile declinare metodologie
organizzative e operative che “recuperino” e valorizzino le preziose risorse di cui si è detto
sopra; è possibile re-investirle nel sistema attraverso una virtuosa disseminazione fra le
organizzazioni, fra i professionisti, fra le persone, attraverso meccanismi che favoriscano chiavi
di lettura, orientamenti relazionali, modalità di agire, fin’anche convincimenti personali in tal
senso, che con coerenza, in sintonia e alla ricerca dell’unisono, si muovano verso la difesa del
benessere delle persone più fragili, come presupposto per un benessere più diffuso e per la
difesa del capitale sociale di ogni comunità.
In fondo, nulla di tutto ciò è particolarmente nuovo, ma è come se si fosse smarrita la giusta
consapevolezza di quanto quotidianamente “pesi” l’avere forti o deboli riferimenti, come se
altri pensieri primeggiassero offuscando comportamenti – delle persone e delle organizzazioni
- che darebbero energia e virtuosismo all’agire di tutti nel sistema, per un maggiore benessere
dei singoli e del sistema stesso.
L’ipotesi che qui si avanza è quella di un sistema di network management dichiarato e
riconoscibile che agisca su due livelli: basilarmente per rinforzare la cultura professionale del
case manager e del case manager dell’integrazione, e a livello sistemico per assicurare
interventi – appunto di sistema – nella logica della salvaguardia degli elementi costitutivi
dell’agire nell’integrazione.

Una sfida per spostare sempre più in là i confini di questa frontiera.

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2. Le tappe del percorso

      2.1 L’avvio del Progetto

Una prima esperienza formativa (“Il bambino e il villaggio”) promossa dall’Ausl (Servizi di
Pediatria di Comunità, Consultorio Familiare e di Neuropsichiatria infantile) in collaborazione
con i Servizi Sociali e Educativi della prima infanzia dei Comuni aveva stimolato nel suo corso
pluriennale (fin dal 2006) una serie di riflessioni che l’Azienda ha ritenuto di incanalare verso
una strategia di formazione che tenesse maggiormente conto del tema del case management
e di una aspettativa di integrazione ancora più ampia, che includesse cioè l’area della Salute
Mentale e Dipendenze Patologiche e l’area Educativa Scolastica Statale.
Da qui ha inizio (novembre 2008) un percorso di riflessione che riunisce su questi primi
pensieri in un Comitato Scientifico, le Direzioni dei Distretti, del Dipartimento Salute Mentale e
Dipendenze Patologiche, del Dipartimento delle Cure Primarie, dell’Infermieristica, degli Uffici
di Piano, dei Servizi Sociali dei Comuni, dei Servizi Educativi per la prima infanzia dei Comuni e
dell’Ufficio Scolastico Provinciale.
L’obiettivo prioritario che il Comitato individua in questa prima fase è di proporre ai diversi
professionisti appartenenti all’insieme dei servizi sopra citati, un PROGETTO DI FORMAZIONE
quale occasione di analisi e conoscenza sul campo dei presupposti teorici del modello di
intervento del “case manager” in un contesto di complessità organizzativa e operativa qual è
tipicamente quella dell’insieme di servizi e interventi rivolti a cittadini (adulti, famiglie con
minori, stranieri) con problematiche multiple e complesse sotto il profilo sanitario, sociale ed
educativo; un’occasione per porre a verifica la conoscenza del lavoro per processi in un
sistema a rete integrato, tale da consentire di tracciare un più definito profilo del case
manager all’interno di specifici servizi e di imbastire protocolli di presa in carico e gestione
integrata. Rispetto a tale obiettivo viene costituito un Gruppo di Progetto composto da circa 20
professionisti in rappresentanza delle diverse professioni, dei diversi Enti e dei diversi Distretti
che connotano l’insieme dei servizi competenti ad accogliere e prendere in carico i cittadini di
cui si è detto sopra, Gruppo al quale viene chiesta l’elaborazione di un disegno progettuale
specifico di formazione, che coinvolga gradualmente in prospettiva un’ampia platea di
“operatori” di questi settori.

      2.2 Il Gruppo di Progetto

I primi confronti all’interno del Gruppo di Progetto approdano ad una ricerca sul significato e
sulle pratiche riscontrate in letteratura circa il termine/ruolo del case manager dalla metà del
1800 ai giorni nostri (vedi Allegato 1).
La ricostruzione “storica” del significato da attribuire al termine case manager e della pratica
esperienziale disponibile in letteratura, ha edotto il Gruppo circa la molteplicità di definizioni
possibili e la “mobilità” dei confini della pratica: case manager rimanda a ruoli e funzioni simili
praticati in tempi e realtà diverse (modello ospedaliero, modello ospedale-comunità, modello
comunità), è terminologia oggi utilizzata in sovrapposizione con altri riferimenti concettuali
quali care manager, self manager, care giver, disease management, managed care, … Il

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Gruppo ha operato una differenziazione di significati, condividendo non tanto un lavoro di
glossario, quanto piuttosto una distinzione di senso: “cosa intendiamo per…” a partire da
definizioni ufficiali.

Ne sono scaturite alcune riflessioni che resteranno sullo sfondo delle successive elaborazioni
del Gruppo:
         più complessi sono i problemi dei pazienti/utenti, e potenzialmente più elevato è il
          rischio di un utilizzo improprio dei servizi, dei ricoveri ospedalieri, di frammentazione
          dell’assistenza e di ritardo nel processo di diagnosi e terapia;
         il Case Management è pertanto “…contemporaneamente un sistema
          multidisciplinare e monodisciplinare e lavora in diversi setting e aree assistenziali”
          (Zender);
         “Il case management provoca un impatto sui servizi quando è erogato all’interno di
          un gruppo qualificato…” (Ipasvi - Ferrara);
         alla base dell’efficacia del case management devono essere assicurati:
          - Integrazione con l’Equipe,
          - Disponibilità di servizi adatti alle esigenze degli utenti,
          - Tempo per modificare le mentalità all’interno dei servizi (McLellan e Altri – 1999).

Il confronto del Gruppo sfocia in una prima definizione di case management come modello di
erogazione dell’assistenza che integra la “soddisfazione” del cittadino e dell’organizzazione, e
nello stesso tempo metodo per la gestione olistica ed individuale dei problemi di salute e
benessere.

Gli sviluppi logici successivi portano alla definizione di un modello nel quale si ipotizza
l’istituzione di una figura professionale che si occupi di:
         rappresentare un punto di contatto di fiducia per il paziente/utente (referente);
         assicurare che i servizi siano orientati all’utente;
         dare risalto alle esigenze e ai punti di vista del paziente/utente e dei familiari
          (advocacy);
         favorire l’utilizzo dei servizi disponibili (care manager).

Nel momento stesso in cui il Gruppo si concentra sulla definizione di questa figura
professionale, emergono dal confronto le numerose e diversificate “barriere, resistenze,
preconcetti” strutturate vigorosamente e in maniera diffusa nei singoli professionisti del
Gruppo, al di là delle origini e appartenenze di ciascuno: le principali ragioni che da sempre e
pressoché ovunque sottendono alla cronica difficoltà di lavorare in modo integrato.
Il richiamo costante e responsabile al compito originario affidato al Gruppo di Progetto
consente di superare gli ostacoli sopra rappresentati per riconoscere e condividere una
definizione di case manager non tanto in quanto ruolo specifico e unico, che in quanto tale
rischia di creare una frattura fra il case manager e gli altri professionisti con i quali si trova a
dover cooperare, ma piuttosto di riconoscerlo in quanto funzione condivisa.

Funzione condivisa significa che l’organizzazione (l’equipe quando esprime la scelta) riconosce
il case manager, legittima il suo agire, anche al di là delle differenze funzionali, delle specificità
professionali o di appartenenza istituzionale; significa che il professionista individuato quale
case manager, si interpreta in tale ruolo senza ricorrere ad atteggiamenti egemonici ma

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affermando allo stesso tempo in piena legittimità nei confronti di altri professionisti, una
“conduzione” del caso secondo tempi e modalità concordati o comunque congruenti
nell’interesse dell’utente.

Il modello operativo che discende da tale impostazione implica che:
          di norma è l’Equipe che esprime il case manager;
          nessun componente dell’Equipe è automaticamente case manager: criteri di
           prevalenza, opportunità o altro, determinano la scelta;
          non si può escludere l’individuazione del case manager al di fuori dell’Equipe;
          altre figure professionali possono essere ritenute case manager secondo criteri di
           prevalenza, opportunità, competenza specifica.

L’analisi di come viene praticata oggi nei servizi la “responsabilità del caso”/“referenza”/“case
management” fa emergere realtà differenziate, che però riconoscono di aver acquisito nella
propria cultura di servizio, in modo pressoché omogeneo, il valore del lavoro in équipe e la
inderogabile necessità di offrire all’utente, ai familiari, al contesto ambientale che afferisce
all’utente, alle istituzioni pubbliche e ai soggetti privati che ruotano intorno a quello stesso
utente, un “interlocutore”, inteso come una persona fisica definita, in grado di rappresentare,
al di fuori del Servizio cui appartiene: il Servizio medesimo; la progettualità che il Servizio ha
ipotizzato; le variabili alternative che il Servizio è potenzialmente in grado di promuovere; le
risorse che potenzialmente il Servizio può attivare; e dal quale aspettarsi un alto livello di
conoscenza dell’operatività di altri Servizi Pubblici, di soggetti privati significativi del territorio e
più in generale delle risorse che il territorio può mettere in gioco a favore dei bisogni
dell’utenza.
Il Gruppo di Progetto si è riconosciuto in siffatta definizione, e ha riconosciuto che nei Servizi,
anche se con livelli di sviluppo diversi, con linguaggi e metodologie simili, si è ormai
consolidato un orientamento metodologico che tende a perseguire tale risultato, pur non
senza ostacoli e difficoltà.

In virtù del mandato ricevuto dal Comitato Scientifico, il Gruppo ha ritenuto di avere il dovere,
ma anche l’occasione, di sviluppare una proposta formativa che presupponga come già
acquisita la capacità dei Servizi di esprimere l’interlocutore di cui si è detto sopra, senza con ciò
sottovalutarne le complessità, e coglie il valore aggiunto di una progettazione formativa che
sappia disegnare un modello operativo adeguato ad accompagnare i Servizi alla formazione di
un CASE MANAGER DELL’INTEGRAZIONE; ossia un “interlocutore”, come sopra definito, che
acquisisca non solo una capacità rappresentativa del proprio Servizio, ma anche, seppur in
misura circoscritta alla progettualità cui riferiscono gli utenti in carico, una capacità
rappresentativa nei confronti dell’esterno, dei Servizi (co-progettisti) coinvolti nella gestione di
quei progetti e di quegli utenti.

Il fatto di essere giunti a riferimenti e definizioni condivisibili, non ha risolto nei membri del
Gruppo la diversa percezione dell’operatività quotidiana del modello; nello spontaneo
raccontarsi dei diversi Servizi, è emersa la necessità di capire più specificatamente come lavora
l’altro: ai professionisti membri del Gruppo è stato perciò chiesto di elaborare un documento
di rappresentazione delle modalità di accesso e presa in carico in vigore nel proprio Servizio, a
partire da regolamentazioni formali, dove adottate, ma includendo anche modalità informali e
prassi consolidate.
Questi lavori, raccolti e riproposti in forma sintetica, hanno portato al Comitato Scientifico le
seguenti evidenze: un Progetto formativo, significativo per questo territorio, sul tema

12
dell’integrazione, deve caratterizzarsi secondo due aspetti prioritari, da una parte la necessità
di sperimentare l’operatività del case manager ed in particolare del case manager
dell’integrazione, dall’altra l’irrinunciabile bisogno dei Servizi e dei Professionisti di avviare un
processo di reciproca conoscenza, dedicando a tale processo un tempo congruo a superare
diffidenze e distanze attuali, e proponendo su entrambi gli obiettivi modalità e stili innovativi,
tali da suscitare nei Professionisti e nelle Organizzazioni fiducia e motivazioni rinnovate.

      2.3 Il percorso di ricerca – formazione

      2.3.1 Avvio dell’intervento di ricerca - formazione con lo Studio APS

L’Ausl di Ravenna ha segnalato l’interesse ad approfondire le tematiche relative ai processi di
integrazione tra servizi, a fronte delle esperienze ed elaborazioni fino ad allora maturate e
delle ipotesi relative all’introduzione del case manager come possibile agente competente e
facilitante le connessioni ed integrazioni tra servizi.
La proposta costruita individua nel Gruppo di Progetto il soggetto principale cui offrire
un’occasione di ricerca-formazione nella prospettiva di:
        favorire conoscenze reciproche tra i diversi servizi, in particolare in riferimento agli
           elementi qualificanti delle specifiche modalità di intervento;
        consentire l’acquisizione di rappresentazioni realistiche dei processi di lavoro
           integrati;
        sperimentare comunicazioni e scambi che permettano di riconsiderare diffidenze e
           difficoltà di interazione esistenti e diffuse;
        identificare degli “oggetti di lavoro” comuni, ovvero dei problemi che diventino
           elementi di connessione tra servizi;
        costruire una mappa dell’insieme dei problemi rispetto ai quali può essere possibile
           indicare strategie aziendali e priorità d’azione.

Si decide di investire su tali obiettivi attraverso un processo articolato e distribuito in un arco di
tempo congruo (10 mesi .ca), prestando particolare attenzione agli aspetti metodologici,
collegati agli orientamenti della ricerca-azione, cioè facilitanti coinvolgimenti attivi e
sperimentazioni, all’interno dello stesso percorso formativo, di comunicazioni e interazioni
significative per singoli e gruppi aventi diverse professionalità e collocazioni organizzative. Per
fare ciò il Comitato Scientifico accoglie la proposta di rivedere la composizione del Gruppo di
Progetto portandolo da una ventina di componenti a circa quaranta, incluso il coinvolgimento
di una rappresentanza della Scuola Statale. (vedi Allegati 2a et 2b).

      2.3.2 Il lavoro col Gruppo di progetto: la strutturazione del percorso di
            conoscenza dei Servizi

Vengono realizzati i primi incontri col Gruppo di Progetto, cui inizialmente sono presentati gli
obiettivi e le diverse fasi di lavoro, contestualmente ad alcuni quadri di riferimento di tipo
teorico sul tema dell’integrazione tra servizi e professionalità diverse. Successivamente si
realizza la costituzione di due gruppi di ricerca paralleli (composti entrambi da operatori di 4
tra le 8 tipologie di servizi presenti), per favorire un avvicinamento consistente alle diverse
esperienze ed un coinvolgimento attivo di ciascun partecipante.

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Ogni gruppo si organizza al proprio interno per la realizzazione di incontri tra i servizi presenti,
finalizzati alla conoscenza reciproca: in particolare dopo attente riflessioni si decide di
costituire delle coppie o gruppi di operatori (misti rispetto ai servizi di provenienza e basati
sull’interesse e sulle proprie necessità più specifiche) aventi come compito una ricognizione
presso un altro servizio. Viene a tale scopo proposta e ridefinita insieme una griglia di
riferimento (vedi Allegato 3) per rilevare: i contenuti dei servizi offerti, i processi di produzione
e le varianze, le dimensioni valoriali più e meno condivise, le differenze e le asimmetrie tra
figure professionali, la casistica “cronica”, le criticità ricorrenti ecc...; ciò per comprendere
come sono trattati degli oggetti di lavoro ritenuti comuni, ma che per essere trattati con
modalità integrate vanno riformulati. Oltre alla griglia si individuano altre modalità possibili
per sviluppare la conoscenza del servizio: analisi di documentazione, realizzazione di interviste
individuali e collettive, visite guidate, osservazione partecipante, fotografie, ...; l’accordo è che
gli operatori che incontrano il servizio in cui non lavorano abitualmente raccolgano tale
materiale e predispongano poi una presentazione dei dati raccolti ed elaborati, segnalando i
punti in cui ravvisano convergenze con il loro punto di vista e quelli in cui registrano
divergenze.

      2.3.3 La ricerca in azione: la conoscenza dei Servizi

Grazie ad una scansione dei tempi del percorso di ricerca-formazione piuttosto incalzante e ad
un supporto organizzativo consistente da parte della coordinatrice del Progetto, i gruppi di
operatori realizzano nove ricognizioni tra i diversi servizi, disponendo di occasioni di
monitoraggio ed accompagnamento da parte dei formatori.
Si punta in questa fase ad organizzare dati ed informazioni generali sui servizi incontrati e
conosciuti, nonché più mirate ai fattori relativi ai processi di integrazione interna e con
l’esterno. Vengono confezionate otto presentazioni ricche ed articolate, con modalità diverse,
creative, suggestive (su supporto cartaceo, digitale, audiovisivo, ...), ma leggibili
trasversalmente grazie ai riferimenti comuni forniti dalla griglia e dalle concettualizzazioni che
consentono di orientarsi nella complessità degli elementi presentati.

      2.3.4 Primi risultati conoscitivi ed elaborazioni sui processi di integrazione

Dopo questa fase il Gruppo di Progetto si ritrova in plenaria coi consulenti per la presentazione
a tutti delle sintesi elaborate dai diversi gruppi che hanno attuato le ricognizioni presso i
servizi. Oltre a fornire una rappresentazione di mandati, vincoli, risorse, progettualità, valori
dei diversi servizi, tale momento di lavoro consente di evidenziare trasversalmente una prima
lista di fattori facilitanti e/o ostacolanti i processi di integrazione.
Tali esiti sono presentati nello stesso giorno da parte dei Consulenti e di alcuni membri del
Gruppo di Progetto ai Dirigenti dei servizi Ausl, Scuole, Comuni (il Comitato Scientifico del
Progetto formativo); la discussione e l’approfondimento dei contenuti presentati forniscono
un primo importante feedback istituzionale al percorso di ricerca – formazione e creano le
condizioni per un proseguimento del mandato da parte del Comitato Scientifico alla Direzione
delle Attività sociosanitarie e allo Studio APS.
I Consulenti si incaricano di redigere un primo report (vedi Allegato 4) che raccoglie gli esiti del
percorso, valorizzando gli apprendimenti relativi ai processi di integrazione, agli elementi di
forza e di debolezza individuati, alle riformulazioni relative alla figura del case manager;
emergono alcuni significativi riferimenti rispetto alla possibilità di sviluppare funzioni di
“network management”.

14
Col gruppo di progetto, su mandato del Comitato Scientifico, si riprende il lavoro di
approfondimento, di individuazione di ipotesi di lavoro, di contenuti e metodi con cui
proseguire e sperimentare delle cooperazioni integrate tra servizi. Si delineano due direzioni
possibili:
      1) in orizzontale: diffusione. Promozione e discussione degli esiti del percorso tra gli
         operatori dei diversi servizi, facilitando scambi e coinvolgimenti, raccogliendo
         problemi e proposte, col supporto dei consulenti.
      2) in verticale: approfondimenti. Avvio di due laboratori che sperimentino localmente
         forme di network management, su temi condivisi, con dispositivi e attenzioni che
         incorporino gli orientamenti individuati, per introdurre prassi innovative e
         sostenibili, con la conduzione dei consulenti.

      2.3.5 Lo stato dell’integrazione dei/tra i Servizi. Proseguimento del percorso di
            ricerca – azione

Il mandato del Comitato Scientifico, a fronte delle proposte formulate, si indirizza verso la
prospettiva orizzontale, intesa come possibilità di favorire la diffusione nei servizi dell’Azienda
Usl di Ravenna, delle Scuole e degli Enti Locali del territorio, delle acquisizioni rilevate nella
prima fase di ricerca azione, incrementando l’attenzione verso i processi di integrazione
all’interno e tra diverse organizzazioni. Si stabilisce che i partecipanti al Gruppo di Progetto
conducano incontri con gli operatori dei servizi, finalizzati ad esplorare le propensioni ad
operare in modo integrato, promuovendo direttamente ed indirettamente le acquisizioni
sviluppate nella prima fase di ricerca. Per la realizzazione di questi incontri – interviste di
gruppo i componenti del Gruppo di Progetto utilizzano una scheda-test (Allegato 5a),
predisposta dai Consulenti in base a quanto concordato negli incontri preliminari, per
orientare l’esplorazione delle principali esperienze di integrazione realizzate e la rilevazione di
eventuali temi/problemi che potranno essere successivamente trattati. Vengono costruite
guide all’uso della scheda (Allegato 5b) e condotte simulazioni degli incontri – interviste per
mettere i partecipanti in condizione di condurre con sufficiente agio e competenza dei
momenti di lavoro inediti e complessi, per la natura stessa dell’oggetto trattato e per alcune
implicazioni prevedibili (dubbi, sospetti, conflitti, incomprensioni, ...).
L’accurata costruzione di un’agenda degli incontri per numerose coppie di intervistatori
(Allegato 4) costituite in base ad affinità, interesse, vincoli organizzativi, radicamento
territoriale, relazioni col gruppo di operatori da intervistare, ... – e l’accompagnamento
formativo all’assunzione delle funzioni da esercitare rendono possibile la realizzazione di 45
incontri tenuti prima delle vacanze estive.

      2.3.6 La scheda di autovalutazione delle propensioni all’integrazione

La “scheda per la rilevazione delle propensioni all’integrazione nei servizi che operano nel
territorio della Provincia di Ravenna” (Allegato 5a) è stata preparata utilizzando gli esiti della
precedente esplorazione; i contenuti emersi come fattori facilitanti ed ostacolanti sono stati
utilizzati per predisporre, nella prima parte della scheda, 6 domande:
      1.   Quali sono le caratteristiche prevalenti dei servizi erogati?
      2.   Come si qualificano i processi di lavoro dal punto di vista professionale?
      3.   In che modo si sviluppano le comunicazioni interne?
      4.   Come si configura il mandato istituzionale?

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5. Come si sviluppano i processi decisionali?
      6. Quali investimenti sulla formazione e sulla rielaborazione delle esperienze
         realizzate?
Avendo previsto per ogni domanda una risposta graduata su una scala da 1 a 6, è stato
possibile costruire un “indice di propensione all’integrazione” variabile tra 6 e 36.
La seconda parte della scheda è stata dedicata alla rilevazione delle esperienze di integrazione
interne ed esterne realizzate dai diversi servizi.
Le informazioni raccolte attraverso la compilazione delle schede sono state elaborate secondo
le seguenti distinzioni:
         informazioni correlate ai questionari compilati individualmente (“Questionari
          Individuali”) in forma anonima da ogni singolo operatore intervistato per complessivi
          n. 398 operatori intervistati e n. 395 questionari individuali anonimi raccolti;
         informazioni correlate ai questionari compilati collegialmente da ogni gruppo di
          operatori intervistati (“Questionari Collettivi”) per complessivi n. 44 questionari
          collettivi compilati pari al numero di gruppi intervistati;
         informazioni numeriche (“dati quantitativi”) disponibili sia dai Questionari Individuali
          che dai Questionari Collettivi analizzate con lo strumento “EpiInfo” (cfr Paragrafo
          4.1);
         informazioni di testo (“dati qualitativi”) disponibili solo dai Questionari Collettivi,
          analizzate con lo strumento “T-Lab” (cfr Paragrafo 4.3) e oggetto di un’analisi di
          dettaglio effettuata direttamente dai Formatori (cfr Paragrafo 4.2).

      2.3.7 La conclusione del percorso di ricerca – azione

Le schede di autovalutazione delle propensioni all’integrazione (Allegato 5a) consentono di
raccogliere dati e valutazioni di tipo quantitativo e qualitativo, che vengono man mano raccolti
ed elaborati dai consulenti.
Il Gruppo di Progetto si riunisce per riconsiderare l’esperienza realizzata (disponibilità,
resistenze, differenziazioni, interessi sul proseguimento e su restituzioni future, ...) e
commentare i dati più rilevanti. Ci si accorda per affinare ed approfondire l’analisi dei dati sulla
base di queste prime osservazioni e di quelle che i Consulenti proporranno dopo una lettura
più accurata e da più punti di vista delle schede.
Si distinguono risultati relativi all’elaborazione dei dati e risultati di processo che il movimento
provocato dalla ricerca ha prodotto tra gli operatori e nei servizi; essi vengono raccolti e
presentati in un testo in bozza dato in lettura ad alcuni componenti del Gruppo di Progetto
disponibili ad integrarlo.
Lo Staff che ha condotto l’esperienza si è assunto il compito di redigere la presente versione
definitiva del Report.

16
3. Esiti della prima fase del percorso di ricerca -
   formazione: una rappresentazione dello stato
   dell’integrazione tra Servizi

      3.1 Propensioni e orientamenti culturali

Le attività conoscitive realizzate dai partecipanti all’interno del percorso formativo, orientate
ad esplorare lo stato dell’integrazione in diversi servizi sociali, sanitari, scolastici, educativi,
hanno permesso di evidenziare significative propensioni in questa direzione; gli investimenti
realizzati sono risultati consistenti, anche se variamente distribuiti nell’ampio panorama preso
in considerazione.
L’integrazione è rappresentata come componente rilevante del patrimonio culturale ed
operativo dei diversi professionisti e dei servizi; sembra di poter affermare che molto si sia
scommesso in questa direzione negli anni e che ciò abbia contribuito a favorire una
sensibilizzazione diffusa, nonché sperimentazioni di vario tipo, collocate a più livelli. Si sono
registrate disponibilità e consapevolezze che sostengono i processi di lavoro sul piano interno
e nelle relazioni coi diversi soggetti esterni.
L’integrazione sembra quindi essere fattore culturale e strutturale per alcuni servizi (in
particolare per quelli in cui sono presenti più professionalità, funzioni sociali e sanitarie,
mandati che prevedono forme di integrazione socio-educativa, ...) per altri è legata alla
multiproblematicità delle situazioni che si affacciano ai servizi ed alla conseguente necessità di
valutazioni, progettualità e trattamenti condivisi.

      3.2 Le esperienze

Il panorama delle esperienze volte all’integrazione rilevate nel contesto del territorio
ravennate si è rivelato, come anticipavamo, ampio e variegato. Più in generale si sottolinea che
si tratta di esperienze sostenute talvolta da investimenti istituzionali, attraverso:
         la realizzazione di progetti concordati di ampio respiro;
         la messa a punto di protocolli che regolano le relazioni e indicano processi di lavoro,
          modalità comunicative, responsabilità;
         l’individuazione di prassi concordate che regolano la gestione ordinaria, con alcuni
          gradi di formalizzazione.

In altri casi si tratta di iniziative promosse dagli operatori stessi che si attivano e raccordano tra
loro in funzione di necessità e valutazioni derivate dalla sensibilità professionale e da
un’interpretazione del mandato istituzionale molto collegata ai problemi dei pazienti/utenti. Si
sono evidenziati interessanti movimenti imprenditivi degli operatori sul piano delle

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progettazioni relative a situazioni multiproblematiche, nella ricerca di consulenze presso
professionisti di altri servizi, nel costruire strumentazioni comuni volte a facilitare processi di
lavoro più collegati ed integrati.

In sintesi le molteplici esperienze volte all’integrazione sono distinguibili rispetto alla
collocazione sui versanti:
         istituzionale (laddove ad esempio Ufficio scolastico provinciale e Ausl hanno
          concordato protocolli relativi a problematiche di minori in carico ai servizi di NPI);
         macro organizzativo (quando due o più servizi in quanto tali decidono di collegarsi ed
          incontrarsi per gestire situazioni critiche, emergenze, soggetti e famiglie per cui non
          risulti chiara ed esclusiva la presa in carico);
         micro organizzativo (su iniziativa di singoli professionisti di servizi che si attivano per
          cercare colleghi portatori di competenze diverse);
         tecnico professionale (per quanto riguarda ad esempio valutazioni congiunte su casi
          problematici di famiglie con minori, con l’apporto di più professionisti di diversi
          servizi);
         culturale (nelle situazioni in cui, per esempio, alcuni servizi hanno investito per
          realizzare percorsi formativi con altri, al fine di produrre e condividere orientamenti,
          prospettive, linguaggi, utilizzabili nel trattamento di situazioni in comune).

      3.3 Fattori facilitanti

Nella prospettiva di sviluppare conoscenze dall’analisi sullo stato dell’integrazione nei e tra i
servizi, si è cercato di mettere in luce quelli che possono essere individuati come fattori
facilitanti, che nel tempo hanno permesso l’avvio, la sperimentazione ed il consolidamento di
attività in questa direzione, in particolare è emerso che:

      a. l’integrazione risulta essere più consistente (sul piano interno e con l’esterno) nelle
         organizzazioni dove nel tempo si è consolidata una cultura di servizio più orientata al
         “cliente” ed ai suoi problemi, dove l’interpretazione del mandato istituzionale ha
         favorito traduzioni contestualizzate, in dialogo con la concretezza e la novità dei
         problemi, che sono visti ed assunti per orientare i processi operativi in direzioni
         creative e congruenti. In queste situazioni la ricerca di cooperazioni articolate con
         altri professionisti e servizi non si riduce alla semplice richiesta di prestazioni
         specialistiche, ma promuove per quanto possibile la messa a punto di analisi,
         valutazioni e progettazioni sufficientemente condivise;

      b. dal punto di vista organizzativo l’integrazione risulta facilitata in servizi non
         strutturati secondo modelli gerarchici e prescrittivi, che tendono ad inibire l’azione
         degli operatori e la presa d’iniziativa. E’ come se in contesti organizzativi reticolari
         risultasse più possibile un’apertura a punti di vista diversi e la ricerca di altri apporti
         professionali perché maggiore è la consuetudine alla cooperazione e allo scambio,
         intesi come fattori necessari e qualificanti l’azione dei servizi. L’approccio
         multidisciplinare ai problemi è riconosciuto come strategico e di conseguenza, sul
         piano dell’integrazione interna e con l’esterno, sono permesse, riconosciute,
         valorizzate e talvolta promosse le attivazioni degli operatori sul campo. Laddove la

18
cultura organizzativa è maggiormente orientata al modello gerarchico-prescrittivo gli
          operatori sono prevalentemente centrati sull’esecuzione di adempimenti, su compiti
          formali, aumentando le dimensioni autoreferenziali, sviluppando scarsi interessi ed
          interazioni con quanto si realizza al di fuori dei confini del proprio servizio o
          addirittura del proprio compito specifico;

      c. l’integrazione risulta essere facilitata anche dalla presenza, nella storia delle relazioni
         tra i servizi, di esperienze di formazione trasversali e comuni, che hanno consentito
         di costruire comprensioni, di condividere e inventare linguaggi, per esplorare la
         natura dei problemi e convergere su alcune ipotesi di lettura e di trattamento.
         Sembra quasi che alcune di queste occasioni siano ancora oggi per gli operatori un
         ancoraggio significativo per orientarsi nella complessità e nella mKulti
         problematicità, è come se costituissero un riferimento pregiato nella storia del
         servizio e del rapporto tra i servizi. In tali occasioni la conoscenza tra professionisti,
         in relazione tra loro per l’apprendimento e lo sviluppo di conoscenze su oggetti di
         lavoro comuni, ha talvolta creato le premesse per successivi interventi integrati e
         progettazioni comuni, ha ridimensionato le stereotipie reciproche, ha creato
         condizioni di maggiore fiducia e riconoscimento;

      d. elemento facilitante dei processi di integrazione è risultato essere la presenza di
         strumentazioni comuni. Il riferimento è a dispositivi di varia natura (schede per le
         segnalazioni, cartelle condivise, ma anche riunioni ad hoc, comunicazioni mirate, ...),
         inventati o mutuati da esperienze precedenti, appartenenti solo a qualcuno. Si è
         compreso quanto gli strumenti in comune incorporino degli orientamenti e quindi
         favoriscano valutazioni, progettazioni, passaggi di competenze, diversamente poco
         componibili e comprensibili, dove maggiore può essere il rischio di discontinuità e
         frammentazione. Attraverso l‘utilizzo di indicatori ed aree di osservazione comuni,
         attraverso una raccolta dati orientata e condivisa, nel rappresentare problemi con
         linguaggi riconoscibili perché co-costruiti, si creano le condizioni per una gestione
         maggiormente integrata delle situazioni afferenti a più servizi, secondo prospettive
         ricompositive;

      e. ciò che sostiene nei servizi l’investimento sui processi di integrazione è anche la
         presenza di mandati che in termini espliciti e chiari legittimino attivazioni di questa
         natura: lasciare alla sola iniziativa del singolo operatore ed alla sua pur preziosa
         imprenditività il compito di presidiare-promuovere integrazione rischia di appoggiare
         tale importante funzione a meccanismi troppo fragili e casuali, scarsamente
         riconosciuti e difficilmente apprezzabili, troppo onerosi da sostenere per il singolo.

Concludendo: le organizzazioni più flessibili e disponibili all’adattamento reciproco sono
risultate essere quelle dove esiste maggior propensione all’integrazione; vi è un nesso
significativo tra culture, funzionamento organizzativo e possibilità di promuovere processi di
scambio, collegamento e intervento con altri. L’alleggerimento delle dimensioni istituzionali e
burocratiche, il forte investimento nella ricerca intorno ai problemi ed al loro trattamento,
l’orientamento a ri-organizzarsi in funzione degli obiettivi e delle risorse presenti nel sistema,
sembrano favorire processi di integrazione vantaggiosi per i “clienti” e più convincenti per gli
operatori stessi.

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