I REGIMI A CAMBIO FISSO - Matilde Vassalli e-mail

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I REGIMI A CAMBIO FISSO - Matilde Vassalli e-mail
Moneta e Finanza Internazionale                                     Modulo II Lezioni 6/7

                                  I REGIMI A CAMBIO FISSO

                                          Matilde Vassalli
                                     e-mail vassalli@eco.unibs.it

                                                                                        1
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                                  OBIETTIVO E SCHEMA DELLE LEZIONI

L’obiettivo delle lezioni è quello di analizzare in modo approfondito le motivazioni che
spingono i paesi ad adottare un regime a cambio fisso. In particolare, trattiamo i seguenti
temi:

• In presenza di rigidità nel livello dei prezzi, la variabilità del tasso di cambio nominale
  si traduce in variabilità del cambio reale con conseguenze negative sul commercio
  internazionale.

• L’adozione di un cambio fisso permette di esercitare un controllo sull’inflazione
  perché fornisce un’ancora nominale al processo di formazione delle aspettative sui
  prezzi.

• Il costo dell’adozione di un cambio fisso è la perdita dell’autonomia nella conduzione
  della politica monetaria.

●   La speculazione è stabilizzante se il regime a cambi fissi è credibile (Target Zones)

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                           LA PERDITA DELL’AUTONOMIA MONETARIA

E’ l’aspetto più problematico dell’adozione di un tasso di cambio fisso. La questione può
essere analizzata partendo dall’equazione di equilibrio del mercato monetario:

mt − p t = φ y t − η i t      (1)

Se i prezzi sono rigidi e l’output è al livello di pieno impiego, la (1) ⇒ relazione
biunivoca tra tassi di interesse e offerta nominale di moneta.

Se c’è perfetta mobilità di capitali vale la UIP:

i − i* = ∆ R e (2)

Allora, se il paese fissa il tasso di cambio e la decisione è perfettamente credibile la (2)
⇒ i = i* (3)

La (3) dice che, con perfetta mobilità dei capitali, la presenza di un regime a cambi fissi
perfettamente credibile implica l’uguaglianza tra tasso di interesse domestico ed estero.

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Sostituendo la (3) nella (1) otteniamo:

mt − p t = φ y t − η i t (4)
                       *

La (4) ⇒ l’offerta di moneta domestica deve seguire le variazioni del tasso di interesse
estero. La perdita completa di controllo dell’offerta di moneta in regime a cambi fissi
con perfetta mobilità dei capitali è stata analizzata nel modello di MF (modulo I).

1.1 IL PROBLEMA DELLE N-1 VARIABILI INDIPENDENTI

Il problema può essere generalizzato al caso di più paesi → analizzare le implicazioni di
un regime a cambi fissi per il funzionamento del SMI.
Consideriamo 3 paesi (A, B e C) ciascuno caratterizzato dal proprio equilibrio
monetario:

m A − p A = φ y A −η i A
mB − p B = φ y B −η i B
mC − p C = φ y C − η i C

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Se i paesi A e B adottano un tasso di cambio fisso con il paese C, la UIP ⇒

i =i e i =i
 A  C   B   C

Quindi, il sistema di equazioni risulta indeterminato ⇒ 2 soluzioni:

  1) I paesi possono accordarsi cooperativamente;

  2) Un paese fissa autonomamente l’offerta di moneta (leader) e gli altri sono vincolati
     alla decisione (followers).

Il risultato può essere generalizzato al caso di n paesi legati da un tasso di cambio fisso.
Poiché, per definizione, esistono solo n-1 tassi di cambio indipendenti, solo un paese
potrà scegliere liberamente la propria politica monetaria gli altri n-1 paesi dovranno
utilizzare la politica monetaria per mantenere fisso il tasso di cambio con quello del
paese “centro” o leader.

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1.2 LE IMPLICAZIONI DI UN SISTEMA ASIMMETRICO

Il paese leader è l’unico che gode del privilegio dei cambi fissi e dell’autonomia
monetaria. Questa asimmetria ha implicazioni sulla gestione degli interventi e sul
processo di aggiustamento.

1.2.1 La gestione degli interventi

Supponi che nei paesi A e B si generino aspettative di svalutazione del tasso di cambio
nei confronti della valuta del paese C (leader). Il mantenimento del cambio fisso in
presenza di aspettative di svalutazione per la UIP ⇒ i A − i C = i B − i C = ∆ R e

Se il sistema fosse simmetrico, il differenziale nei tassi di interesse verrebbe ottenuto
mediante l’aumento dei tassi di interesse nei paesi A e B e riduzione del tasso di
interesse nel paese C. Cioè, tutte le BC aderenti al sistema intervengono sul mercato dei
cambi lasciando che ∆ M S = ∆RU .

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L’asimmetria del sistema permette però alla BC del paese leader di sterilizzare, tramite
un’operazione di mercato aperto di vendita di titoli, l’aumento nell’offerta di moneta se
questo è incompatibile con l’equilibrio interno, evitando la riduzione dei tassi di
interesse.

1.2.2 Il processo di aggiustamento in un sistema asimmetrico

L’operazione di sterilizzazione condotta dal paese “centro” scarica interamente sui
followers i costi dell’aggiustamento.

Infatti, il differenziale dei tassi, che deve per forza prodursi perché valga la UIP, deve
essere ottenuto unicamente con l’aumento dei tassi di interesse nei paesi followers.

Questa situazione può non essere sostenibile, perché potrebbe essere a sua volta
conflittuale con il conseguimento dell’equilibrio interno dei paesi followers.
(esempio: aspettative di svalutazione causate da riduzione della domanda estera di
prodotti domestici)

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CONCLUSIONE: Tutti i regimi a cambio fisso, essendo caratterizzati da un
funzionamento asimmetrico, incontrano problemi di credibilità quando emergono
conflitti tra la conduzione della politica monetaria del paese centro e gli obiettivi
domestici degli altri n-1 paesi.

                         CAMBIO FISSO E COMMERCIO INTERNAZIONALE

  La giustificazione più frequente a favore dei cambi fissi è costituita dal fatto che la
  stabilità del cambio stimola il commercio internazionale, che a sua volta stimola la
  crescita economica.

  La relazione positiva tra commercio estero e crescita è uno dei risultati maggiormente
  robusti nella letteratura empirica sulla crescita.

  Il nesso di causalità che attribuisce al cambio fisso un effetto positivo sullo sviluppo
  del commercio non è altrettanto ovvio né sul piano teorico né su quello empirico.

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  1) TEORIA:

   Se gli operatori sono neutrali al rischio, l’aumento della variabilità del cambio non
  dovrebbe avere alcun effetto sul commercio internazionale. Se sono avversi al rischio
  è possibile la copertura sui mercati a termine (anche se l’operazione ha un costo).

  2) RISULTATI EMPIRICI:

  Mentre i risultati ottenuti inizialmente non trovano alcun effetto significativo della
  volatilità del cambio sul volume del commercio, studi più recenti identificano una
  relazione negativa.

  PROBLEMA:

  Tutti gli studi empirici utilizzano misure di variabilità riferite al breve periodo
  ⇒ trascurano l’esistenza di cicli lunghi nel tasso di cambio. (fig. 1 e tab. 1)

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                                  Fig. 1

                                  Tab.1

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  I cicli lunghi nel tassi di cambio sono potenzialmente molto dannosi per il commercio
  internazionale perché:

  1) Comportano protratte variazioni di competitività→ costi di aggiustamento;

  2) La bassa frequenza rende difficoltoso l’utilizzo di strumenti di copertura.

  Quindi, è la variabilità alle basse frequenze del tasso di cambio ad essere più rilevante
  per determinare le conseguenze sul commercio internazionale.

  Purtroppo, l’evidenza empirica sulle conseguenze dei cicli lunghi è resa difficoltosa
  dalla mancanza di un numero adeguato di osservazioni.

  CONCLUSIONE: La giustificazione all’adozione di un regime a cambi fissi basata
  sull’effetto di stimolo al commercio internazionale si fonda su presupposti teorici
  ragionevoli ma tuttora privi di robusta evidenza empirica.

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                                  REGOLE E DISCREZIONALITA’

  Una maggiore flessibilità nella conduzione della politica economica, ottenuta tramite
  l’uso della discrezionalità da parte del policy-maker, non è necessariamente preferibile
  all’adozione di una regola come quella implicita nell’adozione di un cambio fisso.

  La letteratura sulla Time Inconsistency (Kydland e Prescott, 1977), applicata alla
  politica monetaria da Barro e Gordon (1983) dimostra infatti che una politica
  monetaria discrezionale comporta, in equilibrio, una distorsione inflazionistica
  (inflation bias).

  1.1 Il problema dell’incoerenza temporale in ambito monetario

L’esistenza di una distorsione inflazionistica nella conduzione discrezionale della
politica monetaria può essere dimostrata all’interno di una schema teorico che si basa su
due relazioni:

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  1) Curva di Phillips modificata per le aspettative:

   u = uˆ − (π − π e )            (1)   dove û è il tasso di disoccupazione naturale

  La (1) ⇒ è possibile ridurre temporaneamente il tasso di disoccupazione al di sotto di
  quello naturale attraverso la creazione di “sorprese inflazionistiche”.
  Ma, nel lungo periodo, π = π e e u = uˆ .

  2) Funzione di perdita del governo:

L=
      1
      2
        [
        β (π − π *) + (u − u *)
                   2            2
                                           ]     (2) con π * = 0 e u* < uˆ

β grado relativo di avversione all’inflazione.

Il policymaker minimizza la (2) rispetto all’inflazione (variabile perfettamente
controllabile per ipotesi) s.t (1)
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La F.O.C. è la seguente:

∂L
   = 0 ⇒ βπ − (uˆ − u*) + (π − π e ) = 0
∂π

Risolvendo per l’inflazione si ottiene la funzione di reazione del governo (3). Cioè la
scelta ottima di π da parte del policymaker date le aspettative del settore privato (π e ).

       1
π=         (uˆ − u *) + 1 π e           (3)
      1+ β             1+ β

La (3) evidenzia il problema dell’incoerenza temporale. Infatti, supponiamo che venga
annunciata una politica di zero inflazione e che tale politica sia creduta dal settore
privato ⇒ π e =0. Sostituendo π e =0 nella (3) si ottiene la (4):

        1
π =
  f
            (uˆ − u *)            (4)
       1+ β

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Nota che se il policymaker riesce ad ingannare il settore privato le perdite sono pari a

       1 β
L =           (uˆ − u*) 2
  f

       2 1+ β

Ma, se il settore privato forma le proprie aspettative in modo razionale (i.e π te = E t π t ) è a
conoscenza dell’incentivo del policymaker a generare sorprese inflazionistiche e non
crederà mai all’annuncio di zero inflazione.
L’unica soluzione temporalmente coerente è l’equilibrio di Nash in cui ogni giocatore
sceglie la propria migliore strategia, date le strategie di equilibrio dell’altro ⇒ il
policymaker opera lungo la sua funzione di reazione e il settore privato forma le
aspettative di inflazione che soddisfano la funzione di reazione del policymaker.

                  1
π = Et π =
  e
                      (uˆ − u *) + 1 π e (5)
                 1+ β             1+ β

Risolvendo la (5) per l’inflazione attesa si ottiene:

                                                                                                     15
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       (uˆ − u*)
π =
  e
                       (6)
            β

Sostituendo la (6) nella funzione di reazione del policymaker otteniamo:

                (uˆ − u*)
π =πe =
  d
                              (7)
                   β

La (7) è l’equilibrio del gioco con discrezionalità, caratterizzato dall’esistenza di un bias
inflazionistico, mentre il tasso di disoccupazione rimane al suo livello naturale.
La soluzione discrezionale implica una perdita pari a:

       1 1+ β
L =           (uˆ − u*) 2
  d

       2 β

Infine, si noti che se il policymaker annuncia π=0, viene creduto e attua la politica
annunciata ottiene una perdita pari a:

    1
L =
  c
      (uˆ − u*) 2
    2
                                                                                                 16
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Poiché L d > L c > L f si determina una situazione di “dilemma del prigioniero” in cui
essendo la perdita derivante dalla soluzione di first best ( L c ) maggiore di quella che si
ottiene deviando dall’equilibrio ( L f ) si è trascinati in una situazione di third best ( L d ).

                                  Rappresentazione grafica dell’equilibrio

                                                                                                      17
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1.2 Le soluzioni al bias inflattivo

1.2.1 Interventi strutturali

La soluzione di first best sarebbe quella di eliminare gli impedimenti strutturali presenti
sul mercato del lavoro (i.e uˆ = u * ) . Ciò rimuove alla radice la distorsione inflazionistica
ma non è facilmente ottenibile.

1.2.2 Delega della politica monetaria

La seconda soluzione possibile, originariamente proposta da Rogoff (1985), sarebbe
quella di delegare la gestione della politica monetaria ad una BC indipendente e
conservatrice.

Una BC è conservatrice se esprime un grado di avversione all’inflazione maggiore di
quello del governo ⇒ β BC > β G . Posen (1993) spiega il maggior grado di avversione
generalmente mostrato dalle BC con il fatto che, generalmente, i membri delle BC
provengono del settore finanziario tipicamente più avverso all’inflazione.
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Una BC è considerata indipendente se le sue decisioni non possono essere revocate dal
governo senza sopportare un costo di overriding da cui dipende la credibilità della
delega.

1.2.3 Reputazione

La terza soluzione riconosce il fatto che l’interazione strategica tra policymaker e settore
privato non si risolve in un gioco uniperiodale ⇒ la BC deve confrontare il guadagno
(per un solo periodo) che ottiene se inganna gli agenti con il valore attualizzato delle
perdite derivanti dal fatto che nei periodi successivi l’unico equilibrio ottenibile è quello
discrezionale.

Supponi che il settore privato formi le aspettative secondo il seguente meccanismo di
trigger strategy
                           π te = π R = 0 se e solo se π t −1 = π te−1

                                                 (uˆ − u*)
                                  π te   =πd =               se   π t −1 ≠ π te−1
                                                    β
                                                                                                       19
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L’equilibrio reputazionale è ottenuto se l’effetto incentivo (EI) è inferiore all’effetto
deterrente (ED).

                        1 1
EI = Lc − L f =                (uˆ − u *)2
                        2 1+ β

                             1 ⎡ (uˆ − u *)2 ⎤
          ∞        t
                 ⎟ (L − L ) = ⎢
         ⎛   1   ⎞ d
ED = ∑ ⎜                 c
                                             ⎥
     t =1⎝ 1 + r ⎠           2r ⎣     β      ⎦

                   1    β
Quindi ED>EI se      >        che è una condizione facilmente rispettata se il policymaker
                   r 1+ β
è sufficientemente paziente (i.e il tasso di interesse non è troppo elevato).

                                                                                                  20
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1.2.4 Tasso di cambio fisso

L’adozione di un cambio fisso nei confronti di una valuta emessa da un paese con una
solida reputazione antinflazionistica rappresenta un’altra possibile soluzione al bias
inflazionistico (Gavazzi e Pagano, 1988).

Supponi che il paese domestico, nel quale opera una BC scarsamente avversa
all’inflazione, aderisca ad un regime a cambi fissi in cui opera come leader un paese la
cui BC è fortemente avversa all’inflazione ⇒ β F > β D

Ipotizziamo inoltre che valga (ex ante) la PPP relativa ⇒ ∆ Re = π eD − π eF

                                                                                 ( ˆ
                                                                                   u   − u F)
                                                                                           *
Se gli accordi di cambio sono perfettamente credibili ∆ R e = 0 ⇒ π = π = e
                                                                          D
                                                                               e
                                                                               F
                                                                                     F

                                                                                       βF
Dato che in equilibrio le aspettative sono sempre soddisfatte ⇒ π D = π eD = π eF

                                                                                                      21
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Il paese domestico riesce a ridurre l’inflazione corrente attraverso l’importazione di
credibilità anti-inflazionistica dall’estero che consente di ridurre le aspettative di
inflazione (vantaggio del “legarsi le mani”).

Questo risultato dipende in modo cruciale dall’ipotesi di perfetta credibilità del regime di
cambio. Quali sono gli elementi che determinano la credibilità di un regime di cambio?

                                  CAMBIO FISSO E CREDIBILITA’

La credibilità di un regime di cambio fisso dipende da 3 elementi fondamentali:

   1.1 Benefici derivanti dall’adesione (vedi sopra)
   1.2 Costi di mantenimento
   1.3 Costi di abbandono

  1.2 Costi di mantenimento

  Sono essenzialmente riconducibili o a fattori strutturali (divergenza strutturale) o a
  elementi legati al ciclo economico (divergenza ciclica)

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  1.2.a Divergenza strutturale

  Dato che R fisso perfettamente credibile ⇒ π D = π F , possiamo definire il seguente
  “indice di credibilità”:

                       ⎡ (uˆ F − u *F ) (uˆ D − u *D ) ⎤
   CR = (π F − π D ) = ⎢               −               ⎥ = π e
                                                             F − π e
                                                                   D
                       ⎣      β F
                                             β D
                                                       ⎦

  L’indice di credibilità evidenzia che le aspettative di inflazione nell’economia
  domestica e in quella estera possono essere diverse non solo perché nei 2 paesi il
  policymaker ha una diversa avversione all’inflazione ma anche perché possono essere
  diversi sia il tasso di disoccupazione desiderato che il tasso di disoccupazione naturale.

  In particolare, asimmetrie di carattere strutturale determinate ad esempio da diversità
  di funzionamento del mercato del lavoro nei 2 paesi (i.e uˆ D ≠ uˆ F ) ⇒ sistematiche
  differenze nelle aspettative che minano la credibilità dell’accordo di cambio.

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  Il modello può essere generalizzato rispetto alla presenza di altri trade-off (inflazione
  e debito pubblico, inflazione e distribuzione del reddito ect.) ⇒ numerose fonti di
  divergenza strutturale che possono minare la credibilità del regime di cambio.

  1.2.b Divergenza ciclica

  Gli shock costituiscono una seconda minaccia alla credibilità del regime di cambio.
  Per analizzarne il ruolo consideriamo una curva di Phillips stocastica:

   u t = uˆ − (π t − π t ) − ε t
                       e
                                   con ε t IID(0, σ ε2 ) shock di offerta

  Procedendo come nel caso di curva di offerta deterministica si ottiene il seguente tasso
  di inflazione con discrezionalità:

           (uˆ − u*) ε t
   π =
     D
                    −
                β          β
     t

  La presenza del nuovo termine shock contingent coglie il fatto che la politica
  monetaria viene gestita in modo espansivo se l’economia è colpita da uno shock di
  offerta negativo al fine di contenerne le conseguenze sulla disoccupazione.
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  All’aumento del grado di avversione all’inflazione si riduce non solo il bias inflativo
  ma anche la risposta allo shock.

  Applicando la stessa logica si ottiene anche per il paese “centro” il medesimo tasso di
  inflazione con discrezionalità e quindi otteniamo il seguente indice di credibilità:

        ⎡ (uˆ F − u *F ) (uˆ D − u *D ) ⎤ ⎡ ε tF ε tD ⎤
   CR = ⎢               −               ⎥ − ⎢ F − D⎥
        ⎣ β                   β         ⎦ ⎣β     β ⎦
                 F              D

  La seconda parentesi quadra evidenzia la divergenza in risposta agli shock. Anche nel
  caso di shock simmetrici l’inflazione domestica diverge da quella estera a causa del
  diverso grado di avversione all’inflazione determinando la riduzione di credibilità del
  regime.

  Nel caso di shock asimmetrici, il calo di credibilità del regime di cambio fisso si
  verifica se lo shock asimmetrico amplia la divergenza tra risposta ottima del leader e
  quella del follower.
                                                                                               25
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  1.2 Costi di abbandono

La credibilità di un regime di cambio fisso dipende anche dalla penalizzazione a cui è
sottoposto il policymaker in caso di abbandono del regime.

Poichè un regime a cambio fisso è credibile se i benefici derivanti dal suo mantenimento
sono superiori ai costi (dovuti alla presenza di divergenze strutturali o cicliche), la
presenza di un costo fisso c in caso di abbandono modifica la scelta ottima.

Infatti, formalmente il tasso di cambio fisso verrà abbandonato se e solo se

L(π F ) − L(π D ) ≥ c

Si noti che, in una prospettiva multiperiodale, il costo connesso all’abbandono del
regime di cambio è influenzato da considerazioni di tipo reputazionale.

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                        IL TASSO DI CAMBIO COME ANCORA NOMINALE

Un’ancora nominale è una variabile che permette di controllare il sentiero di crescita
delle variabili nominali (prezzi).

Un’ancora nominale agisce tramite due canali:

  1) Canale meccanico:
     In teoria il tasso di cambio dovrebbe essere un’efficace ancora nominale perché
     influenza parte dei prezzi e dei costi. L’instabilità del cambio reale ⇒ fallimento del
     canale meccanico.

  2) Canale delle aspettative:
     L’adesione credibile ad un regime a cambi fissi favorisce il coordinamento delle
     aspettative.

       Infine, la semplicità di comprensione e di verificabilità rende il tasso di cambio
       fisso preferibile ad altre regole di politica monetaria.

                                                                                                  27
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                                  MODELLI SULLA ZONA OBIETTIVO

Normalmente i regimi a cambi fissi non sono rigidamente predeterminati, ma
esiste una banda di oscillazione attorno alla parità centrale.

I modelli Target Zones spiegano come si comporta il tasso di cambio all’interno della
banda di oscillazione.

 La conclusione del modello, nel caso il regime di cambio fisso sia perfettamente
 credibile, è che il tasso di cambio all’interno della banda disegna una
 curva a forma di S ⇒ la speculazione è stabilizzante.

 Per dimostrarlo consideriamo un semplice modello monetario. Ipotizziamo che :
  1) Lo stock di moneta estera è fisso;
  2) La politica monetaria è completamente passiva;
  3) L’offerta di moneta è soggetta a un disturbo stocastico.

Date le ipotesi il modello monetario ⇒ sr t = m t + v t

                                                                                             28
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Le verifiche empiriche non hanno però confermato la forma ad S per l’andamento
dei tassi di cambio e nemmeno la principale implicazione del modello, i.e
correlazione inversa tra tasso di cambio e tasso di interesse domestico.

Cosa accade se la credibilità del regime non è perfetta? Bertola e Svensson (1993)
analizzano il modello sulla zona obiettivo quando esistono rischi di svalutazione.

In presenza di incertezza è impossibile prevedere se l’aumento del tasso di cambio
osservato è dovuto ad un disturbo casuale o ad un cambiamento della politica
monetaria.

Se gli speculatori considerano l’aumento di R come il segnale di un cambiamento
della politica monetaria il tasso di cambio viene a trovarsi su una curva a S rovesciata ⇒
speculazione destabilizzante.

L’evidenza empirica sembra confermare che i movimenti di R all’interno della
banda di oscillazione sono coerenti con l’ipotesi di aspettative destabilizzanti. Un
aumento di R all’interno della banda porta ad aspettarsi un ulteriore futuro aumento
di R ⇒ tasso di cambio e tasso di interesse domestico sono correlati positivamente.

                                                                                              29
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L’effetto destabilizzante dei movimenti di R sembra essere la regola ⇒

   1) Le autorità monetarie intervengono sul mercato dei cambi prima di avvicinarsi ai
      margini della banda di oscillazione;

   2) Alcuni paesi (Olanda, Belgio, Austria) hanno preferito restringere l’ampiezza
      della banda;

   3) Lasciare fluttuare R liberamente all’interno della Banda invece di permettere una
      maggiore flessibilità, rischia di innescare attacchi speculativi.

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References:

E.Colombo e M.Lossani, “Economia Monetaria Internazionale”, Carocci, 2003. Cap. 8

P. De Grau, “Economia Monetaria Internazionale”, Il Mulino, 1997. Cap. 4

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