I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO

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I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
TEMPO     DENARO

      Giuseppe Campatelli

 I QUATTRO
   PILASTRI
Come investire e vivere felici

      www.tempoedenaro.info
I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
immagine di copertina @morganhousel - https://unsplash.com
un e-book di tempoedenaro.info di Giuseppe Campatelli © 2021
impaginazione > Zero+ studio Pietrasanta
I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
04   INTRODUZIONE

Sommario
           07   CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO
                Formidabili quegli anni

           13   DOVE STIAMO ANDANDO
                Demografia e Finanza

           31   L’ATTREZZATURA DI BASE

           43   I QUATTRO PILASTRI

           53   QUINDI... CHE FARE?

           70   CONCLUSIONI

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I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
Introduzione

Ci siamo lasciati alle spalle un anno difficilissimo, il 2020.
Subito dopo la fine del primo Lockdown, ho cominciato a buttare giù degli appunti
sui temi del risparmio e degli investimenti.

In fondo, ho pensato, in 25 anni di lavoro come consulente finanziario ne ho viste di
tutti i colori. Magari questa mia esperienza può tornare utile a qualcuno.
Così ho iniziato a “coltivare” (mi sembra il termine più adatto) un blog, che ogni
martedì cerco di alimentare con un nuovo articolo.
L’ho chiamato Tempo e Denaro, titolo forse un po’ scontato, ma che condensa bene
la “filosofia” che deve accompagnare, secondo me, l’investitore di buon senso.

Cerco di affrontare temi seri, anzi a volte perfino seriosi, con un minimo di leggerezza
e raccogliendo qualche dato a supporto di quello che affermo.
Mi sono ritrovato quindi a cavallo tra un 2020 per molti aspetti terribile, per altri
molto interessante, e un 2021 pieno di promesse, ma anche di incognite, a rendermi
conto che questa manciata di articoli si potevano organizzare come una sorta di
percorso, senza pretese, ci mancherebbe, sempre nello spirito, appunto di potere
essere utili a qualcuno.

Così ho sistemato gli articoli nei capitoli che formano questo e-book. L’obiettivo è
quello di avvicinare il lettore ai “4 Pilastri della saggezza finanziaria”, denominazione
volutamente pomposa e altisonante, perché negli anni mi sono reso conto
che applicando questi 4 concetti semplici, ma non facili da mettere in pratica, si
raggiungono i propri obiettivi e si vive correttamente il proprio rapporto col denaro.
Insomma, si sta meglio!

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I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
Il metodo dei “4 Pilastri” può apparire pretenzioso e banale, appunto, ma, a mia
discolpa, posso affermare di aver conosciuto pochissime persone in grado di avere
un rapporto SERENO coi soldi.
Ognuno di questi happy few era arrivato a suo modo (e soprattutto a sue spese) a
scoprire questi 4 principi e, cosa ancora più difficile, li metteva in pratica con costanza.

Spero davvero che qualcuno possa trarre beneficio dalla lettura di questi scritti
e do appuntamento, a chi voglia continuare a seguirmi, ogni martedì su www.
tempoedenaro.info.

Ringrazio Maurizio Bottazzi per il continuo ed instancabile supporto e per avermi
elevato dalla mia condizione di totale ignoranza del mondo “Social”.

                                 Giuseppe Campatelli
                                    tempoedenaro.info

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I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
01                                       CHI SIAMO E
                                         DA DOVE VENIAMO

Formidabili quegli anni
Prendo a prestito il titolo di un (vecchio) libro di un (attempato) uomo politico sul ’68, per parlare
di una strana nostalgia, che serpeggia nel ventre delle trasmissioni televisive, tra commentatori e
uomini di partito spesso non particolarmente in buona fede: la nostalgia degli anni ’80.

L’età della Milano da bere, di Craxi, Andreotti, Cirino Pomicino, delle televisioni di Berlusconi, del
Drive In, ecc. per molti, specie per molti risparmiatori, rappresenta una specie di età dell’oro.

Vediamo di cercare di capire il perché. Prendiamo l’anno mediano, il 1985.
Un risparmiatore italiano del 1985 poteva versare una quantità illimitata di contanti sul conto
corrente della banca per lui più comoda e discutere più o meno animatamente col direttore della
filiale le condizioni del suo conto, che comunque avrebbe goduto di un tasso attivo.

Quindi bastava che lasciasse i soldi sul c/c per vedersi accreditare qualche interesse su base
trimestrale.
Ma, di solito, non appena il saldo del conto raggiungeva una cifra ritenuta più elevata dello stretto
necessario, si correva a sottoscrivere un BOT, Buono Ordinario del Tesoro, di lunghezza variabile
dai 3 mesi ai 12, anche perché il rendimento lordo era altino (13,18% un BOT annuale nel 1985).
Oppure un Certificato di Deposito della banca stessa, che di solito offriva qualche centesimo di
punto in più del Bot.
Il semplice acquisto di questo tipo di titoli garantiva una sufficiente protezione dall’inflazione (nel
1985 al 9.3% annuo circa) vero e corrosivo nemico del risparmio.

                                                            grafico del rendimento

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CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO

I più spericolati si avventuravano nel mondo dei BTP o dei CCT, che avendo durate più lunghe e
assicuravano cedole annue ancora più interessanti, pur avendo, specie nel caso dei BTP, variazioni
di prezzo che ne rendevano il rimborso prima della scadenza fastidiosamente “rischioso”.

Ma l’obiettivo di medio termine, lo sbocco invariabile e concreto di ogni risparmiatore avveduto era
uno solo: L’IMMOBILE! Non appena si era in condizioni di farlo, l’acquisto di un’immobile costituiva
il vero fine del risparmio, l’agognato rifugio per tutti i parsimoniosi e la soluzione di ogni problema!
L’oggetto in muratura, infatti, racchiudeva in sé una serie quasi irresistibile di pregi. Per citare i più
comunemente apprezzati (all’epoca):

- l’immobile è per definizione una ricchezza TANGIBILE
- protegge dall’inflazione,
- si può mettere a reddito affittandolo,
- ma soprattutto, gli si può attribuire, una volta acquistato, il prezzo che la propria immaginazione
ritiene più congruo, visto che non esiste una quotazione ufficiale e ogni immobile, come è noto, fa
storia a sé, e soprattutto dipende dall’estensione dell’Ego del suo orgoglioso proprietario.

Si vociferava, è vero, di cicli del mercato immobiliare. Si ricordava che la parte centrale degli anni ’70
non era andata un gran che, ma si era disposti ad aspettare, per vendere, il momento in cui il prezzo
immaginato avesse coinciso con quello proposto da un ignaro acquirente.

Infine qualche scavezzacollo, ammaliato dalle cifre sciorinate dal mitico Everardo Dalla Noce,
investiva in Borsa, o meglio SPECULAVA in Borsa, preferibilmente su titoli oggetto di “soffiate” da
parte di amici e conoscenti. Le azioni coinvolte di questi traffici erano però solo italiane, perché fino
ai primi anni ’90 l’esportazione di capitali (per comprare, che so, alla borsa di Wall Street) era REATO!

Quindi i prezzi delle azioni si formavano nelle “Grida” della Borsa di Milano, il cui peso nella
capitalizzazione delle borse mondiali raggiungeva a mala pena l’1% ed i cui andamenti erano decisi
all’epoca da pochi, potenti, operatori, le cui manovre, peraltro, Everardo Dalla Noce sembrava, a
giudicare dallo sguardo sornione, conoscere a menadito.

Eh, sì! Bei tempi!

Peccato che a turbare queste immagini del passato, popolate di signorine discinte, ma elegantissime,
di auto di lusso, di cocktail esotici sorbiti in locali esclusivi, ci sia un presente assai meno glamour,
che in larga parte è conseguenza di QUEL periodo!

La modesta tassazione e la tollerata evasione fiscale, largamente praticata in quegli anni da ampie
schiere di industriali e commercianti, insieme ad una corrotta ed inconcludente classe di politici ed
amministratori, hanno prodotto un’esplosione senza precedenti, in tempo di pace, del debito dello
Stato Italiano.

Il debito pubblico italiano è salito da circa il 60% del Pil del 1981 ad oltre il 120% del 1992 e da
allora non è più sceso in modo significativo.
L’apparente ricchezza derivata dai rendimenti dei titoli di stato, per il cui collocamento le banche
percepivano un compenso, si è trasformata in un onere terribile per le generazioni successive,
incolpevolmente succubi di un debito tra i più alti dell’occidente.

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I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO

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                                                                                          dall’Unità a oggi

La hybris tipica dell’epoca ha impedito, a chi doveva farlo, di ricordare quanto fosse pericoloso un
debito dello Stato fuori controllo.
Una classe politica incosciente ha fatto leva su un sistema bancario complice e su un popolo di
risparmiatori scarsamente informato e poco consapevole, per creare una ricchezza fittizia, che non
è stata impiegata per aumentare l’istruzione e la produttività del sistema, ma per tutt’altri fini.

La feroce concorrenza dovuta alla globalizzazione dei mercati, partita negli anni ’90, ci ha colto così
largamente impreparati, producendo una serie di guasti di cui oggi paghiamo inesorabilmente il
prezzo.

Come subordinata a questa situazione generale, il risparmiatore tipo del 1985, vivendo, come si è
visto, in un mondo relativamente “anestetizzato”, non è stato messo nella condizione di approfondire
i temi legati agli investimenti ed al risparmio.

Non ha mai potuto acquisire familiarità con i concetti fondamentali come, ad esempio, quelli di
rischio e di diversificazione. Non ha mai potuto apprezzare la componente TEMPO nella creazione
e nella gestione delle proprie risorse. Non ha acquisito insomma una CULTURA FINANZIARIA, da
cui attingere e da trasmettere alle generazioni successive.

Solo ora infatti, grazie soprattutto al radicale mutamento delle condizioni economiche e finanziarie,
ci si rende conto di quanto sia preziosa una pur minima conoscenza dei meccanismi che stanno alla
base della formazione e della gestione del risparmio.

E’ iniziato, finalmente, grazie anche alle numerose iniziative di educazione finanziaria, un percorso
di consapevolezza e cultura per molti italiani, specie delle generazioni più giovani.

Piccola Bibliografia:
• Pierluigi Ciocca, Ricchi per sempre?, Bollati Boringhieri, 2007
• Paolo Legrenzi, L’alfabeto dei soldi, Guerini Next, 2020

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I QUATTRO PILASTRI Come investire e vivere felici - DENARO TEMPO
CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO

La ricchezza degli italiani
Prendo spunto dall’intervento del noto fisico e scrittore Carlo Rovelli sul Corriere della Sera del
25/06/2020 e dal rapporto che in esso è citato sul sito di Credit Suisse.

In sintesi nell’articolo è ben spiegato che l’Italiano Medio, ovvero quello che ha esattamente tanti
italiani più ricchi di lui quanti sono i più poveri, è molto più ricco del suo corrispondente americano.
Mediamente (anzi MEDIANAMENTE) un italiano infatti possiede un patrimonio valutabile in 142
mila dollari, circa una volta e mezza il suo corrispondente americano, pur essendo quest’ultimo, in
media, più ricco.

Ciò è dovuto alla forte polarizzazione della ricchezza negli USA. Colà infatti vi sono pochi ricchissimi
e molti poverissimi, mentre da noi la ricchezza è più equamente distribuita.

Se a questo aggiungiamo, spiega Rovelli, che il cittadino USA non gode dei servizi cui invece un
cittadino italiano ha diritto (sanità pubblica, scuola e università pubbliche, ammortizzatori sociali
cospicui e diffusi, ecc.) se ne deduce che, contrariamente a quanto magari si possa pensare, è
stato meglio nascere sul suolo italico piuttosto che nelle verdi praterie del Missouri (come peraltro
sognavo da bambino).

La lettura di questo articolo mi ha sollecitato però una serie di riflessioni sugli italiani e la ricchezza,
su come si è formata e su come si trasformerà. In ordine sparso:

• Dal rapporto citato e da ricerche simili, risulta che l’italiano è colui che, almeno in Europa detiene
la ricchezza privata più ampia. Quindi l’italiano ha saputo, almeno fino a pochi anni fa, tesaurizzare i
frutti del proprio lavoro meglio e più di altri.

• Altrettanto notoriamente l’Italia è un paese fortemente indebitato. infatti il debito pubblico
(ovvero quello dello Stato, di noi tutti come collettività nazionale) ha un rapporto con la pur notevole
ricchezza che l’Italia produce ogni anno (il PIL) del 134% prima dell’emergenza COVID, ma ora si
parla, in prospettiva, del 160% entro fine 2020. In termini numerici (spannometrici) produciamo
1.700 miliardi di euro l’anno e avremo un debito di circa 2.600 (quello attuale è aggiornato ogni 3
secondi qui)

• Allo stesso tempo però, come indicato anche recentemente dal Presidente della Consob Prof.
Savona nella sua relazione annuale) la ricchezza PRIVATA degli italiani ammonta a 4.445 miliardi di
Euro, sotto forma di attività finanziarie, non immobiliari (la parte immobiliare vale circa 6 mila miliardi).
Quindi possiamo dire che l’Italia nel suo complesso è ampiamente solvibile, dato per assunto che si
possa pensare che gli italiani siano eventualmente disponibili a ripagare il proprio debito pubblico
coi risparmi privati…. COSAAAA???? Un momento… Sento odor di patrimoniale!

Niente paura, è assai improbabile (ad oggi!) che vengano presi provvedimenti così drastici e con
modalità simili, ad esempio, a quelli adottati dal governo Amato nel 1992. Ma di questo parleremo
più in là.

Resta il fatto che qualcuno questi soldi prima o poi dovrà ripagarli.

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CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO

• Alla luce di ciò, soprattutto nel caso in cui questo debito decidiamo di ripagarlo POI, dobbiamo
essere ben consci del fatto che toccherà in misura sempre maggiore alle future generazioni il fardello
di rientrare di questo enorme buco. Il vero problema è che, se non cambieranno gli altri fattori della
formula della crescita economica (punterei ad esempio sull’aumento della produttività, ovvero sul
fenomeno per il quale un operatore che ieri produceva 5 cose in un tempo dato, in futuro riesca a
produrne 7), dal punto di vista demografico siamo messi, come è noto, maluccio.

• Si dà infatti il caso che per ripagare POI il debito fatto ora, sia necessario che POI ci sia un
numero sufficiente di donne e uomini in età attiva-lavorativa in grado di produrre una ricchezza
tale da consentire in futuro allo Stato di provvedere a tutti i servizi che sono in gran parte indirizzati
alla parte inattiva della popolazione (bambini e soprattutto anziani), e inoltre di avere dei soldi in
avanzo per pagare gli interessi e, eventualmente, ridurre l’enorme debito accumulato. Stiamo quindi
chiedendo agli italiani del futuro di raggiungere un tenore di crescita economica per noi difficile
perfino da immaginare.

Provando a tirare qualche somma da tutto ciò, possiamo dedurre alcune semplici indicazioni
operative:

1. Sarebbe saggio che la quota parte dei miei risparmi investita in titoli di debito italiani (BTP con
annesse le denominazioni di marketing più varie: Italia, Futura, ecc..; Polizze vita investite in titoli
pubblici) non superasse una quota che potremmo definire “patriottica” di un 5-10% del portafoglio.
Tutti gli argomenti sopra elencati pongono una seria ipoteca sulla sostenibilità del debito italiano a
medio termine.

2. Sarebbe quantomeno incauto sperare che la pensione pubblica che otterrò quando smetterò di
lavorare possa essere di entità tale da consentirmi di mantenere un tenore di vita accettabile. E’ di
fondamentale importanza che parte delle risorse finanziarie di un lavoratore siano indirizzate verso
la Previdenza Complementare, appunto perché probabilmente, in futuro, tanto “complementare”
questa non sarà!

3. In caso di presenza di immobili nel patrimonio familiare, o nel caso si stia pensando all’acquisto
di un immobile per investimento, valuterei bene le eventuali conseguenze in termini di tassazione,
presente e futura.

4. Destinerei piuttosto il maggior numero di risorse possibile a piani di risparmio finalizzati
(istruzione qualificata dei figli, qualità della vita, cure specialistiche, ecc.) e/o a polizze in grado di
coprire il rischio di imprevisti (malattia o decesso del percettore di reddito, inoccupazione, ecc.)
poiché è pensabile che in futuro lo Stato sarà sempre meno in grado di fare fronte, con sue risorse,
a necessità dei propri cittadini la cui soddisfazione “pubblica” ora è data per scontata.

E’ quindi ipotizzabile, per tornare all’articolo di Rovelli, che il modello sociale statunitense,
essenzialmente privatistico, per i motivi ora esaminati, si riproponga nei prossimi decenni anche
da noi, in forza di tendenze già presenti oggi e difficili da correggere se non a costo di sacrifici che
nessuno vuole fare o imporre alla collettività.

Iniziare da ora a pianificare e progettare le proprie finanze in previsione degli scenari sopra discussi
è un vero e proprio atto di responsabilità, verso sé stessi e verso i propri cari.

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02                                      DOVE STIAMO
                                        ANDANDO

Demografia e finanza
Dice: cosa c’entra mai la demografia con i miei soldi e le decisioni che devo prendere per gestire le
mie risorse? Risposta: C’entra, e anche parecchio!

Tanto per cominciare, le decisioni riguardanti i nostri soldi le prendiamo oggi in questo mondo e
una visione dei trend demografici, ovvero quanta gente nasce e dove, dove si sposta, quando e
quanto muore, dà una chiave di lettura preziosa su quello che accade oggi, ma soprattutto su ciò
che accadrà domani.

E per gestire i soldi, queste notizie, fino a prova contraria, sono preziose!
Uno dei passatempi più divertenti in tema di demografia è navigare per un’oretta con questo sito:

E’ basato sui dati dei “United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population
Division. World Population Prospects” ed è aggiornato a fine 2019, quindi al momento non reca
traccia delle conseguenze del Corona virus (ammesso che ve ne saranno di rilevanti), ma è ricchissimo
di informazioni interessanti. Alcune molto conosciute, altre forse un po’ meno. Inoltre ci sono molte
infografiche chiare e utili, tipo questa.

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DOVE STIAMO ANDANDO

Partiamo ad esempio dal mondo in generale e dalla lettura di questa strana figura
in gergo la “Piramide”:

Ok, bello !...Ma cosa significa? Ad esempio, ci dice che su 7,7 miliardi di abitanti, quelli maschi da 85
a 89 anni sono lo 0,2 %, mentre le femmine sono lo 0,3, ovvero uomini 15 milioni 423 mila e donne
25 milioni e 733 mila. Per inciso, va bene che le donne sono più longeve degli uomini, ma in questa
fascia di età sono oltre 10 milioni in più!

Passiamo a considerazioni dai risvolti più economici: c’è una enorme differenza, ad esempio, tra
la distribuzione della popolazione (la forma della figura per capirci) in continenti diversi e in stati
diversi.

L’Europa e in generale il mondo occidentale (compresa la Cina, come si vedrà) sta invecchiando con
grande rapidità. Prendiamo la Cina nel 1950:

                                                  14
DOVE STIAMO ANDANDO

Chi ha già cliccato sul link al sito che ho indicato avrà scoperto che è possibile produrre delle vivaci
animazioni che mostrano l’andamento della piramide nel tempo, passato e futuro, infatti il disegno
(a piramide, a cupola, a vaso, ecc) cambia molto oltre che tra paesi diversi anche nel tempo nello
stesso paese. Oggi la Cina è così:

                                                  15
DOVE STIAMO ANDANDO

Oltre ad aver triplicato i propri abitanti, la Cina, a quanto si nota dal grafico, non ha subito più di
tanto le conseguenze del tentativo di manipolazione demografica più rilevante degli ultimi 50 anni,
ovvero la celebre politica del “figlio unico”, abbandonata solo recentemente, e che favoriva in modo
“artificiale” la nascita di maschietti rispetto alle femminucce.

Un’altra cosa, forse ancora più interessante, che emerge da questo grafico, è che la Cina ha un
numero straordinariamente alto di cittadini tra i 25 e i 60 anni ovvero in età produttiva, quindi
è piena di gente che produce reddito, e in età “di consumo”, ovvero è piena di gente disposta a
spendere i soldi che guadagna per soddisfare bisogni, veri o indotti che siano!

E la Cina tra 30 anni? Eccola:

                                                 16
DOVE STIAMO ANDANDO

Se non ci saranno svolte epocali, i 30enni saranno 60enni, ma soprattutto i 50enni di oggi saranno
molto vecchi e tutto ciò accadrà con una popolazione in decrescita (il picco sarà nel 2030) . Quindi,
sempre consumatori (magari di beni diversi), ma meno produttori di reddito! Ad esempio, i maschi
tra i 40 e i 44 anni saranno 43 milioni contro i 49 attuali. Il 12 % di meno! Ma i maschi tra gli 80 e gli
84 anni saranno quasi 29 milioni, contro i 6,8 attuali. Quindi il 12% in meno di 40enni maschi dovrà
produrre reddito per sé e i propri padri che però nel frattempo saranno quadruplicati!

Come si vede, ad un occhio attento, già solo questi pochi esempi fungono da spunto di riflessione
per capire in che direzione va il mondo, o per lo meno, quella parte di mondo che oggi è protagonista
dal punto di vista demografico ed economico. Come farà il povero 40enne cinese del 2050 a nutrire
la famiglia e i suoi 3 padri in avanzo? Chiederà aiuto allo Stato, probabilmente.

Oggi la Cina è il più grande creatore di nuova ricchezza al mondo. Ad esempio, i suoi fondi sovrani,
ovvero coloro che gestiscono le risorse in surplus dello stato cinese, posseggono gran parte del
debito pubblico delle maggiori potenze mondiali, ad esempio gli USA. Cosa accadrà quando queste
risorse serviranno alla Cina per mantenere i propri anziani, anziché i nostri?

Questo era solo un piccolo (mica tanto!) esempio di quanto può essere interessante avere sott’occhio
i trend demografici quando si pensa a come gestire i propri denari.

Piccola bibliografia:
https://www.ibs.it/pianeta-stretto-libro-massimo-livi-bacci/e/9788815259745

                                                   17
DOVE STIAMO ANDANDO

Demografia in Italia/ 1: Ma chi me la paga a me la pensione?
La domanda, magari un po’ troppo diretta, può sembrare provocatoria, ma, di fatto, dando un’occhiata
alla situazione demografica dell’Italia, sorge, come si dice, spontanea.

L’Italia infatti è OGGI nella situazione in cui sarà la Cina tra 30 anni.
La domanda, magari un po’ troppo diretta, può sembrare provocatoria, ma, di fatto, dando
un’occhiata alla situazione demografica dell’Italia, sorge, come si dice, spontanea.
L’Italia infatti è OGGI nella situazione in cui sarà la Cina tra 30 anni: https://www.populationpyramid.
net/italy/2020/

Quindi oggi in Italia il numero di coloro che sono in età lavorativa e che, di regola, dovrebbero pagare
contributi previdenziali, sta rapidamente diminuendo. Di contro, si sta ingrossando a dismisura la
schiera di coloro che hanno diritto ad un qualche trattamento pensionistico per il resto della loro
vita.

Questa potrebbe apparire una notizia positiva, se non fosse che, come è arcinoto, le pensioni pagate
dall’ente previdenziale per eccellenza, l’INPS, sono prelevate in gran parte direttamente dai contributi
obbligatori versati dai lavoratori, e in parte minore da trasferimenti diretti dalle casse dello Stato.

Così, ad oggi, come risulta dalle statistiche diffuse, ogni 1000 lavoratori ci sono 606 pensionati,
che rappresentano il 26.5% della popolazione residente. Le pensioni rappresentano una quota del
34.3% del totale della spesa dello Stato, costituendo, peraltro, di fatto, un argine alla povertà per
molte famiglie.

“La presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari “vulnerabili” (genitori soli o famiglie in altra
tipologia) – prosegue l’Istat – consente quasi di dimezzare l’esposizione al rischio di povertà (rispettivamente
dal 31,6 per cento al 16,1 per cento e dal 28,2 per cento al 18,7 per cento)”.

                                                      18
DOVE STIAMO ANDANDO

In questo quadro, ad una persona della mia età (52 anni), viene spontaneo domandare: se i trend
demografici in corso saranno mantenuti e la spesa previdenziale continuerà a salire, come potrà
fare lo Stato a pagare la mia pensione?

Tra una ventina d’anni, se, come ripeto, non viene invertito nel frattempo questo sconfortante trend
demografico, la situazione sarà questa.

Quindi oggi in Italia il numero di coloro che sono in età lavorativa e che, di regola, dovrebbero pagare
contributi previdenziali, sta rapidamente diminuendo. Di contro, si sta ingrossando a dismisura la
schiera di coloro che hanno diritto ad un qualche trattamento pensionistico per il resto della loro
vita.

Questa potrebbe apparire una notizia positiva, se non fosse che, come è arcinoto, le pensioni pagate
dall’ente previdenziale per eccellenza, l’INPS, sono prelevate in gran parte direttamente dai contributi
obbligatori versati dai lavoratori, e in parte minore da trasferimenti diretti dalle casse dello Stato.
Così, ad oggi, come risulta dalle statistiche diffuse (https://www.agi.it/fact-checking/numeri_
pensioni_italia-6897461/news/2020-01-17/), ogni 1000 lavoratori ci sono 606 pensionati, che
rappresentano il 26.5% della popolazione residente. Le pensioni rappresentano una quota del
34.3% del totale della spesa dello Stato, costituendo, peraltro, di fatto, un argine alla povertà per
molte famiglie.

“La presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari “vulnerabili” (genitori soli o famiglie in
altra tipologia) – prosegue l’Istat – consente quasi di dimezzare l’esposizione al rischio di povertà
(rispettivamente dal 31,6 per cento al 16,1 per cento e dal 28,2 per cento al 18,7 per cento)”.
In questo quadro, ad una persona della mia età (52 anni), viene spontaneo domandare: se i trend
demografici in corso saranno mantenuti e la spesa previdenziale continuerà a salire, come potrà fare
lo Stato a pagare la mia pensione?
Tra una ventina d’anni, se, come ripeto, non viene invertito nel frattempo questo sconfortante trend
demografico, la situazione sarà la seguente:

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DOVE STIAMO ANDANDO

A quel punto, come si vede chiaramente dal “rigonfiamento” della parte superiore della piramide,
la schiera dei pensionati avrà superato, in numero e quantità di risorse assorbite, la parte della
popolazione che è in grado di lavorare, produrre e pagare contributi da girare ai “quiescenti”.
Nel settore della Pubblica Amministrazione, grazie anche all’accelerazione impressa da misure
improvvide e costose di recente emanazione, il superamento della quota 1:1 tra lavoratori e
pensionati è stimato già nel 2021!

Quindi, CHE FARE???

A livello generale, e oserei dire, politico, l’unica strada è quella di lavorare di più, più a lungo, quindi,
auspicabilmente, meglio (il ricorso allo smart working è una strada, ad esempio).
Inoltre ci dovremo accontentare di pensioni pubbliche molto, ma molto più basse di quelle dei
nostri genitori.

Allo stesso tempo sarà necessario impiegare le (poche) risorse disponibili, non tanto per soddisfare
le esigenze degli elettori di oggi (è noto infatti che in Italia votano soprattutto gli anziani), quanto per
regalare qualche chance agli elettori di domani e di dopo-domani
In che modo?

Potenziando tutti quelli che sono gli istituti di protezione e salvaguardia della genitorialità (congedi
parentali, premialità per i figli, tutela delle donne lavoratrici, ecc.), investendo sugli asili nido,
sull’educazione, sull’avviamento al lavoro. Tanti soldi su progetti a lungo termine, insomma.
Per non parlare dei temi legati all’immigrazione e all’integrazione degli immigrati nel tessuto
produttivo!

Non è facile vincere le elezioni con un programma simile, eh?

A livello di finanza personale, è IMPRESCINDIBILE, per chi ha famiglia, ma anche per chi non ce
l’ha e rischia di trovarsi da solo ad affrontare gli anni della vecchiaia, crearsi un fondo pensionistico,
alimentato da una quota dei propri risparmi attuali e futuri.

Il TEMPO ed una adeguata ponderazione degli investimenti più adatti al lungo periodo saranno
preziosi alleati.

Chi ha la mia età, o, a maggior ragione, chi è più giovane di me, deve destinare parte del proprio
reddito, non appena ne avrà la possibilità, alla costituzione di un fondo da utilizzare come integrazione
della parte di pensione pubblica che non avrà quando sarà anziano.

Questa è una delle esigenze basilari che un buon PROGRAMMA DI INVESTIMENTO deve soddisfare!

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DOVE STIAMO ANDANDO

Demografia in Italia 2/ Avere 20 anni, oggi
Disclaimer: anche questo articolo è ispirato da un palese conflitto di interessi: ho 2 figli che hanno
Disclaimer: anche questo articolo è ispirato da un palese conflitto di interessi: ho 2 figli che hanno
quasi questa età!

Scrivo queste pagine nella seconda metà del 2020, a seguito di una grande svolta della storia europea
recente: il varo del Next Generation EU, un piano enorme di impiego di risorse comuni dell’Unione,
da destinare a tutti quei settori che dovranno modellare una società ed un’economia più pulita , più
equa ed in grado di sostenere le giovani generazioni.
Mi domando: siamo pronti noi italiani , intendo dire culturalmente, a pensare a come utilizzare al
meglio le risorse che ci saranno destinate? Si parla di 209 miliardi di euro, in buona parte a fondo
perduto, ovvero regalati (oltre ai fondi per la disoccupazione e le spese in sanità).
In altre parole, la nostra società è pronta a pensare il futuro? Ha il coraggio di uscire, come dicono
quelli bravi, dalla propria “Comfort Zone” e immaginare un mondo che non sia la continua ripetizione
di schemi già sperimentati?

Mi permetto di dubitarne. Ecco un paio di spunti di riflessione:

1. La situazione demografica italiana è quantomeno allarmante, come è noto. I dati recenti sul calo
della natalità nel 2019 (siamo intorno ai 420 mila nuovi nati, minimo storico, in ulteriore calo del
4.5% rispetto al 2018) confermano un trend ormai consolidato di calo. Si vedano in merito i numerosi
interventi del Prof. Alessandro Rosina sul Sole24Ore (ad esempio il 15/6/2020 e il 9/7/2020).
L’epidemia di Covid 19 , aumentando l’incertezza e la difficoltà economica delle famiglie, inciderà
ulteriormente sulla scelta di avere figli per una coppia e sulla capacità di indipendenza dei giovani
rispetto alla famiglia di origine (“L’economia italiana dopo il covid 19” BonomiaUP, 2020).

2. Il debito Pubblico, che è essenzialmente un fardello che la generazione attuale carica sulle spalle
delle prossime, è in continuo aumento, come abbiamo visto e come vedremo ancora. Si ha la precisa
sensazione che questo fardello non sia percepito, nel dibattito pubblico, come l’enorme nube che
incombe di fatto sul futuro del paese. Molto si potrebbe dire su come questa mole di debito è stata
utilizzata, o per meglio dire, consumata, nel corso dei decenni. Ma certamente poco è stato speso
per i giovani e per sostenere le nuove famiglie. In un recente Tweet, il prof. Carlo Cottarelli evidenzia
senza appello i limiti culturali di certe scelte...

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DOVE STIAMO ANDANDO

Finora, poco di cui rallegrarsi. Ma chissà che da questa fase non si esca anche con qualcosa di
positivo...

Solidarietà europea. La Pandemia ha creato un vero e proprio salto di paradigma nei rapporti tra gli
stati della UE.

Ciò che era impensabile fino a pochi mesi fa, ovvero la creazione di fatto di un meccanismo di
sostegno europeo alle economie dei vari Stati componenti, ha preso la forma del Recovery Plan e
dei meccanismi di sostegno all’occupazione e alle spese sanitarie.

Se a questo si aggiungono le risorse messe a disposizione dalla Banca Centrale Europea per sostenere
i titoli di debito degli Stati più colpiti, come l’Italia, si ha un quadro nel quale il legame che unisce, per
ora solo economicamente, gli Stati dell’Unione si è molto stretto negli ultimi tempi e lo spazio per
“stravaganze” populiste di Exit dall’EU si è probabilmente chiuso del tutto.

Accelerazione delle energie rinnovabili. La domanda di petrolio è precipitata durante il Covid e
stenta a recuperare i livelli precedenti. Il prezzo del greggio ristagna intorno ai 40$, il che mette
in grande difficoltà i produttori storici, che sono costretti a sostenere le quotazioni annunciando
continui tagli alla produzione. Si prospetta forse un declino (definitivo?) di una logica di potere
economico e politico basata sulla produzione di energia fossile.

Proprio Next Generation Eu, il Recovery plan dell’UE, prevede un ampio sostegno ( 30% dell’intero
piano da 750 miliardi di Euro) per il passaggio a fonti di energia pulite. Anche gli stimoli previsti dal
piano verso un’economia digitale vanno certamente nella direzione del risparmio energetico.
Se questo piano e altri che sono in cantiere (Il vincitore delle elezioni USA, Joe Biden ha proposto
un piano da 2 miliardi di $ per la de-carbonizzazione- la Cina prevede di raggiungere la Carbon
Neutrality nel 2060) verranno messi in atto con forza si potrebbe arrivare dall’85% di produzione di
energia da fonti fossili, al 50% nel 2050, cambiando in modo stabile la vita, la sicurezza e la salute di
miliardi di persone nel mondo intero. (The Economist September 19 2020).

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DOVE STIAMO ANDANDO

Conclusioni?

Beh, diciamo che certamente il consiglio migliore che possiamo dare ai giovani su come condurre la
propria vita e la società nel suo complesso NON è: Fai come si è sempre fatto!

Sarà infatti meglio che smettano il prima possibile di fare come si è fatto finora, visti i risultati!
E allora? Cosa dovremmo consigliare loro? Difficile a dirsi. Però qualche linea guida di buon senso,
nella nebbia di questi tempi confusi, si può intravvedere. Proviamo:

• Stare flessibili. Evitare di immobilizzarsi e radicarsi troppo in una posizione, in un luogo, in un
sistema di rapporti. Tutto cambia a velocità frenetica e imprevista, e poter scegliere è la chiave per
sopravvivere al cambiamento. Spesso sono i genitori stessi e le loro aspettative che condizionano le
scelte dei ragazzi, in molti casi facendo loro del male!

• Coltivare sé stessi. Insomma avere molti interessi, conoscere un po’ di tante cose, tenere le
antenne dritte. Non è perdita di tempo, anzi! Aumenta le probabilità di trovare un bandolo in questa
matassa intricata.

• Seguire la passione. Se capita (grande fortuna!) che durante la ricerca si incappa in una grande
passione, è bene seguirla senza compromessi. Il mondo è già abbastanza pieno di gente frustrata e
insoddisfatta!

Da un punto di vista meno filosofico e più pratico, noi genitori potremmo pensare al futuro dei
nostri bambini e ragazzi, accantonando a loro favore parte del nostro reddito, finalizzando un piano
di risparmio per costituire loro un “capitale di partenza”, ad esempio.

In particolare, ma è solo un esempio, la normativa sui fondi pensione permette di accantonare su
uno strumento deducibile dal reddito una somma a favore del figlio/a (o del nipotin/a). Quando sarà
in grado di contribuirvi in prima persona, l’erede si troverà già un gruzzoletto su uno strumento di
previdenza complementare.

Questo, oltre all’indubbio contributo pratico alla tranquillità del ragazzo, darà certamente uno
stimolo “educativo” a favore del risparmio consapevole e del ragionamento di lungo termine del
fortunato discendente.

P.S.: Sarà una combinazione, ma proprio il giorno dopo la stesura di questo articolo, sul Corriere
Economia è uscito questo pezzo di Ferruccio De Bortoli ed Enrico Giovannini sul Recovery Fund e
l’utilizzo che l’Italia ne deve fare per i giovani.

PP.SS: Qui c’è il link all’ormai celebre discorso di Mario Draghi del 17/8/2020 al Meeting di Rimini.
Sì, parla di giovani e di come non sprecare le occasioni per aiutarli.

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DOVE STIAMO ANDANDO

Il Covid 19 e l’economia 1/L’Evento catalizzatore
Capita a volte nella storia che un evento faccia da catalizzatore per un’accelerazione del cambiamento
generale.
E’ accaduto nel 1989, col crollo del sistema comunista. Non è accaduto, tutto sommato, nel 2001,
con l’attentato alle Twin Towers, che pur nella sua immensa tragicità, a ben vedere, non ha avuto il
grande impatto sulla vita e sulla Storia che molti pensavano.
La crisi finanziaria del 2008-2009 ha certamente cambiato molto dello scenario economico sociale,
accelerando l’esaurimento di un modo di intendere l’economia e la finanza dominato dall’onnipresenza
del mercato e dall’assenza di controllo, anche se a volte si ha l’impressione che certi fenomeni siano
destinati a ripetersi ciclicamente.

Chissà se la Pandemia dovuta al Covid 19 sarà o meno uno di quegli eventi per i quali si ragiona di
un “Prima” e di un “Dopo”.

Vorrei qui elencare alcuni dei movimenti di fondo che, a mio modesto avviso, hanno trovato una
forte accelerazione a causa delle ricadute del Virus, e che saranno ben difficili da “resettare”, una
volta che, spero prestissimo, ci saremo messi alle spalle l’emergenza sanitaria.

Il Ritorno dello Stato nell’Economia. Era certamente una tendenza già in atto come risposta (semplice)
alla rapida Globalizzazione dell’economia mondiale, che ha travolto tutti i settori dagli anni ‘80-’90
in poi, lasciandone molti spiazzati a causa di una concorrenza impietosa, dell’abbattimento delle
barriere protettive, della mancata innovazione, ecc..

Il recupero degli strumenti protezionistici dell’era Trump nei confronti della potenza cinese, come
anche, nella più modesta dimensione italiana, i vari, e impacciati, interventi dello Stato su Alitalia,
Ilva, MPS, ecc., vanno nella direzione di un interventismo volto a mitigare gli effetti più “sgradevoli”
di un’economia globalizzata, o peggio, a riparare ad evidenti errori della gestione privatistica

                                                                 Copertina dell'Economist del 25 luglio
                                                                          2020: La macchina dei soldi

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DOVE STIAMO ANDANDO

Il Covid ha accelerato molto questo processo, sia perché è a livello statale che l’epidemia è stata
gestita finora, con la conseguente mobilitazione di risorse da “stato di guerra”, sia perché, e si pensi
alle compagnie aeree, vasti settori produttivi si sono trovati in difficoltà improvvise e quasi “terminali”.
L’abbandono, ad esempio, del divieto di aiuti di Stato da parte dell’Unione Europea è un significativo
cambio di paradigma “filosofico” da parte di Bruxelles, da cui non sarà affatto facile fare dietro-front.
Questo ritorno dello Stato avrà delle conseguenze di medio-lungo termine che sarà difficile ignorare.
Una delle più significative è sicuramente l’aumento del Debito Pubblico, che sarà tanto più rilevante
quanto lo Stato in questione era indebitato “Prima”, come nel caso italiano.

Il debito crea sempre dipendenza e perdita di sovranità.

De-Globalizzazione e concentrazione del potere economico. La forzata chiusura dei confini
nazionali, insieme alle politiche di protezione economica da parte degli stati, porteranno ad un
rimodellamento del commercio e dell’economia mondiale. Sopravviverà chi avrà accesso a nuove
tecnologie, quindi chi avrà la possibilità di investire in ricerca e sviluppo. Ciò servirà anche, tra l’altro,
per ridisegnare la catena di approvvigionamento dei big players internazionali.

Apple, in aprile, in piena Pandemia, aveva soli 10 giorni di scorte disponibili (The Economist April
11th 2020).

Per colmare questi possibili gap di produzione, chi avrà la liquidità per farlo, svilupperà centri
produttivi più vicini ai mercati di consumo e fronteggerà il maggior costo eventuale della manodopera
facendo largo uso dell’automazione.

E’ ragionevole pensare che ci sarà una maggiore concentrazione del potere economico in poche mani
e una riduzione della concorrenza. Le grandi aziende sapranno meglio approfittare della “vicinanza”
degli Stati di quanto non potranno fare le piccole. La crisi favorirà l’assorbimento dei concorrenti più
fragili da parte di chi ha economie di scala più efficienti.

                                             Dal Corriere On line di
                                             venerdì 18 settembre 2020

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DOVE STIAMO ANDANDO

Finora, poco di cui rallegrarsi. Ma chissà che da questa fase non si esca anche con qualcosa di
positivo...

Solidarietà europea. La Pandemia ha creato un vero e proprio salto di paradigma nei rapporti tra gli
stati della UE.

Ciò che era impensabile fino a pochi mesi fa, ovvero la creazione di fatto di un meccanismo di
sostegno europeo alle economie dei vari Stati componenti, ha preso la forma del Recovery Plan e
dei meccanismi di sostegno all’occupazione e alle spese sanitarie.

Se a questo si aggiungono le risorse messe a disposizione dalla Banca Centrale Europea per sostenere
i titoli di debito degli Stati più colpiti, come l’Italia, si ha un quadro nel quale il legame che unisce, per
ora solo economicamente, gli Stati dell’Unione si è molto stretto negli ultimi tempi e lo spazio per
“stravaganze” populiste di Exit dall’EU si è probabilmente chiuso del tutto.

Accelerazione delle energie rinnovabili. La domanda di petrolio è precipitata durante il Covid e
stenta a recuperare i livelli precedenti. Il prezzo del greggio ristagna intorno ai 40$, il che mette
in grande difficoltà i produttori storici, che sono costretti a sostenere le quotazioni annunciando
continui tagli alla produzione. Si prospetta forse un declino (definitivo?) di una logica di potere
economico e politico basata sulla produzione di energia fossile.

Proprio Next Generation Eu, il Recovery plan dell’UE, prevede un ampio sostegno ( 30% dell’intero
piano da 750 miliardi di Euro) per il passaggio a fonti di energia pulite. Anche gli stimoli previsti dal
piano verso un’economia digitale vanno certamente nella direzione del risparmio energetico.

Se questo piano e altri che sono in cantiere (Il vincitore delle elezioni USA, Joe Biden ha proposto
un piano da 2 miliardi di $ per la de-carbonizzazione- la Cina prevede di raggiungere la Carbon
Neutrality nel 2060) verranno messi in atto con forza si potrebbe arrivare dall’85% di produzione di
energia da fonti fossili, al 50% nel 2050, cambiando in modo stabile la vita, la sicurezza e la salute di
miliardi di persone nel mondo intero. (The Economist September 19 2020).

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DOVE STIAMO ANDANDO

Il Covid e l’economia/2. Le persone e la famiglia. Esplorare l’ignoto
E’ vero! Non sono un virologo, e il rischio di fare discorsi da bar è alto.
Ma sono intrepido e lo affronto a testa alta.

Scherzi a parte...

Vorrei tentare di focalizzare alcuni cambiamenti, non tutti negativi, prodotti dalla Pandemia negli
ultimi mesi, in particolare nella vita delle persone e delle famiglie italiane.

• Incertezza. In generale è aumentato il senso di precarietà. E direi che è comprensibile. Secondo
una recente indagine Censis-Assogestioni, il 68% degli italiani dicono di essere impauriti, in generale
e anche per i propri risparmi (Plus 24- 4/7/2020). I dati sui depositi a breve termine, conti correnti
e simili, stanno a testimoniare che si è cercato di risparmiare qualche soldo, oltre a spendere meno
(anche per ovvie ragioni) nell’ottica del “non si sa mai”. Però, mentre è aumentata la propensione al
risparmio, ho la sensazione che contemporaneamente sia radicalmente scesa la voglia di progettare,
pianificare, immaginare un futuro in favore del quale investire.

• Denatalità. Pare che il progetto al quale gli italiani abbiano rinunciato con maggior rapidità
sia quello di mettere al mondo dei figli. Le proiezioni dell’ISTAT sui nuovi nati, in calo ormai da
decenni, andrebbero dai 428-426 mila per il 2020 per ridursi sotto i 400 mila nel 2021 in relazione
all’andamento dell’occupazione. Sono dati molto più che preoccupanti, per i motivi che conosciamo.

• Libertà e privacy. Molti di noi avevano rinunciato da un pezzo alla propria privacy, specie da
quando, in cambio di qualche web-confort, i giganti del web tracciano ogni nostra mossa. Quindi
l’App Immuni non mi pare sia quel Grande Fratello che qualcuno paventa. D’altra parte però dall’inizio
della pandemia abbiamo rinunciato a un bel po’ di libertà, di movimento, di riunione, ecc...

• Smart Working. L’ISTAT dice che durante il Lockdown hanno lavorato in remoto circa 4,5 milioni di
italiani, circa il 18.5% degli occupati. Favorevole o contrario che sia ognuno di noi, questa circostanza
ha aspetti positivi. La sfida sarà quella di rimodellare questa opportunità di lavoro, non sulla spinta
di un’emergenza, ma per aumentare la qualità della vita ed avere vantaggi per tutti. (su dati, pro e
contro è interessante questo contributo)

• Digitalizzazione. Come corollario al punto precedente, è aumentato il ricorso, e quindi la domanda,
di strumenti digitali e di connessione. Non è qui il caso di aprire l’argomento Scuola, ma se questo
cataclisma è servito a ridurre anche di poco il Digital Divide che affligge il nostro paese, alla lunga
sicuramente questo è positivo.

• Aumento delle disuguaglianze. Tutto ciò non fa che ampliare il fossato tra chi può e chi no. Ad
esempio tra chi ha accesso ad una connessione e chi no. Il recupero di una posizione di svantaggio,
specie in un contesto economico non brillante, sarà problematico. Questo è un problema
concretamente e attivamente POLITICO.

• Diminuzione degli sprechi. Da una recentissima ricerca Altroconsumo emerge che gli sprechi
alimentari durante la pandemia in Italia sono diminuiti del 41%.
Credo questo sia il modo migliore per chiudere questa veloce carrellata.
Uscire da questa brutta situazione migliori di come ci siamo entrati è possibile!

                                                   27
DOVE STIAMO ANDANDO

I debiti del Conte Mascetti
“Ma io t’ho dato 50.000 lire!”
“E io te le restituisco! Guarda! E’ tutto scritto qui, nel libricino: Alla prima occasione dare al Perozzi
Lire 50.000!”

L’immortale personaggio interpretato da Ugo Tognazzi aveva un modo tutto suo di intendere il
concetto di debito. E il Perozzi, giornalista, amico fraterno e suo perenne creditore, tutto sommato,
lo assecondava.

Sulla scorta di un paio di articoli molto interessanti usciti in questi giorni, uno di Walter Riolfi sul
Corriere e l’altro sul Sole 24 ore di domenica 8 novembre ad opera di Morya Longo e Dino Pesole
(“Il mondo affoga nei debiti statali”, pag. 13) , vorrei provare a capire se gli accadimenti degli ultimi
mesi hanno cambiato in qualche modo il concetto di Debito Pubblico, avvicinandolo un po’ alla
concezione cara al nostro nobile fiorentino squattrinato e impenitente.
Riassumiamo l’accaduto:

Prima della sciagurata epidemia di Covid 19 il debito pubblico italiano era attorno al 135% del PIL,
ovvero lo Stato italiano doveva ai propri cittadini, a cittadini stranieri, a banche, fondi, compagnie
assicurative , ecc... soldi pari a 1 volta e quasi mezza tutta la ricchezza che tutti noi riusciamo a
produrre in un anno, (corrispondente più o meno a 1.700 miliardi di euro, tanto per dire....), quindi,
a spanne, 2.300 miliardi!

All’epoca il mitico SPREAD BTP-BUND, ovvero la misura convenzionalmente usata per valutare
l’affidabilità percepita dai mercati nei confronti del nostro debito, veleggiava intorno a 160 punti
base (21 gennaio 2020). Ovvero: per un grande investitore internazionale sarebbe stato indifferente
comprare un BTP italiano con scadenza 10 anni rispetto al corrispondente titolo tedesco, a patto
che noi gli dessimo l’1,60% in più all’anno di rendimento per remunerare il rischio aggiuntivo che
costui si prendeva.

Dopo le varie e note vicissitudini occorse in questi mesi, ci troviamo oggi con un Debito Pubblico di
quasi 2.600 miliardi, stimato in crescita fino a oltre il 160% del PIL! Rispetto a gennaio, praticamente
in bancarotta!

Invece no! Perché lo Spread è a 122 bp. Quindi le grandi istituzioni finanziarie internazionali si
accontentano dell’1,22% solamente in più di remunerazione per il “rischio Italia”.
e, alla lunga sicuramente questo è positivo.

• Aumento delle disuguaglianze. Tutto ciò non fa che ampliare il fossato tra chi può e chi no. Ad
esempio tra chi ha accesso ad una connessione e chi no. Il recupero di una posizione di svantaggio,
specie in un contesto economico non brillante, sarà problematico. Questo è un problema
concretamente e attivamente POLITICO.

• Diminuzione degli sprechi. Da una recentissima ricerca Altroconsumo emerge che gli sprechi
alimentari durante la pandemia in Italia sono diminuiti del 41%.
Credo questo sia il modo migliore per chiudere questa veloce carrellata.
Uscire da questa brutta situazione migliori di come ci siamo entrati è possibile!

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DOVE STIAMO ANDANDO

                                                                                  lo spread da novembre
                                                                                  2019 a novembre 2020

Come è possibile? Il Conte Mascetti ha fatto proseliti?
In effetti..... Sì!

Cosa è cambiato? Molte cose. Innanzi tutto la Pandemia ha costretto tutte le maggiori potenze
economiche, comprese quelle più restie, ad allargare i cordoni della borsa. La Germania per la prima
volta da molti anni rinuncia al pareggio di bilancio e fa deficit, che poi diventerà nuovo debito. Molti
paesi hanno superato il rapporto di 100% tra Debito e Pil .

Gli Usa, che però possono stampare a volontà la moneta che, per ora, è il perno monetario su cui
gira il mondo, sono oltre il 130%.

In secondo luogo, in questi mesi, l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea, da matrigne, si sono
trasformate in generose nutrici dei propri Stati membri, specie di quelli più bisognosi.

La BCE ha implementato il programma di emergenza di acquisto di titoli di stato (debito) dei paesi
membri per oltre 1.350 miliardi di euro, ovvero acquista dalle banche dell’Unione titoli degli Stati e
dà in cambio alle banche la liquidità che, questo è l’auspicio, verrà utilizzata per sostenere l’economia.
Quindi in sostanza un’emissione di BTP italiani oggi non ha più un rischio derivato dall’andamento
delle finanze pubbliche nostrane e dall’affidabilità delle nostre istituzioni, ma semmai l’alea (quindi
lo Spread) è derivata dagli interrogativi sulla durata e l’ampiezza di questo programma di acquisti
della BCE. Questa manovra, infatti, non potrà perdurare in eterno, e prima o poi il debito in eccesso
o mal impiegato tornerà ad essere quotato dai mercati ad un prezzo (spread) più realistico e spietato.
E qui entra in campo il nostro Lello Mascetti!

In entrambi gli articoli citati si menziona, come via d’uscita dalla possibile empasse del debito, il
concetto del cosiddetto “New Normal”, ovvero la presa d’atto che, tutto sommato, l’ampliamento
del debito, supportato dagli acquisti della Banca centrale e dal benestare degli altri paesi dell’Unione
(che farebbero altrettanto), è accettabile come nuovo equilibrio finanziario, magari accompagnato
da un leggero e controllato aumento dell’inflazione, che contribuisce a ridurre l’onere del debito nel
lungo termine.

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DOVE STIAMO ANDANDO

Date queste condizioni, oltre a ridursi l’onere del debito che contrarremo in futuro, sarà possibile
introdurre il concetto di debito “NETTO”, che si differenzia dal lordo perché non considera la quota
del debito italiano detenuta dalla Banca Centrale Europea, la quale, oltre a comportarsi come il
Perozzi nei confronti del nuovo debito, gira gli interessi che il Tesoro paga sul debito italiano alla
Banca d’Italia, che li rigira al Tesoro. Una partita di giro insomma.

Quindi? Quindi il famoso 160% del rapporto Debito/Pil si ridurrebbe ad un più rassicurante 110%
NETTO, ovvero alla quota di debito che non è nelle mani della BCE. Inoltre su questa quota, di circa
800 milioni ad oggi, finiremo di fatto per non pagare interessi.

Problema risolto, allora! Sì e no.... Perché si avveri in pieno lo “schema” Mascetti, quindi il debito
diventi praticamente virtuale, occorre che la BCE si “scordi”, volutamente, di avere in pancia tutta
quella massa di debito. Quindi occorrerà che i governanti italiani si rassegnino, volenti o nolenti,
a questa “nuova normalità”, adottando politiche di bilancio compatibili con le richieste del nostro
principale creditore, in maniera molto più stringente che in passato.

Per cui manovre finanziarie “creative”, volte più al conseguimento di un consenso elettorale di breve
respiro che ad una crescita sostenibile di lungo termine, magari condite da qualche rivendicazione
di anacronistico “Sovranismo”, saranno sempre meno probabili in questo contesto.
E questa, tutto sommato, è una buona notizia! W il Conte Mascetti!

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03                                         L’ATTREZZATURA DI BASE

3.1 - Armati e vigili!
Inizierò dal fondo, ovvero dalla conclusione a cui voglio arrivare: E’ indispensabile oggi per un
cittadino consapevole armarsi di una sufficiente CULTURA FINANZIARIA, che integri e arricchisca
anche il rapporto fiduciario col proprio consulente finanziario/bancario/postale.

Ovvero, quale appartenente a quest’ultima categoria (il consulente), sostengo che anche la delega
di fiducia che si dà al proprio referente deve essere “armata” e “vigile”. Perciò oggi più che mai è
necessario che ognuno di noi affronti rapidamente un percorso di Educazione Finanziaria in grado
di rendere il più possibili consapevoli e corrette le proprie scelte.

Passo ad esporre alcuni fatti che credo corroborino la tesi or ora esposta:

- Dal più recente rapporto Consob (un’efficace sintesi è qui) emerge una certa insufficienza nella
consapevolezza del risparmiatore italiano riguardo ai temi finanziari ed economici. In particolare:
”… la cultura finanziaria delle famiglie italiane si conferma molto contenuta. Il 21% degli intervistati
non conosce nessuna delle nozioni di base (inflazione, relazione rischio/rendimento, diversificazione,
caratteristiche dei mutui, interesse composto) e delle nozioni avanzate (riferite ai titoli obbligazionari)
proposte nella Survey; solo il 12% mostra padronanza di quattro dei sette concetti presentati; solo il
2% definisce correttamente tutte le nozioni…”. E, ancora più inquietante, “…Con riferimento alla
consapevolezza del proprio livello di conoscenze finanziarie, in media il 34% del campione mostra un
disallineamento (mismatch) fra conoscenze reali e conoscenze percepite ex ante (ossia prima della verifica
puntuale delle nozioni prima menzionate…” e , dulcis in fundo “…Gli intervistati si connotano anche
per un basso livello di numeracy, come si evince dal fatto che il 54% del campione non è in grado di
eseguire un semplice calcolo percentuale…”. Insomma, non solo non abbiamo una sufficiente cultura
finanziaria, ma facciamo scelte importanti credendo di sapere cose che in realtà non sappiamo o
abbiamo frainteso!

- Nonostante ciò, per una innumerevole serie di fattori storici e culturali, gli italiani, nell’ambito
almeno dell’Unione Europea, sono coloro che hanno la maggior propensione al risparmio e la minore
all’indebitamento ( 4.445 Mld di ricchezza liquida disponibile). In particolare in questo momento
ci sono circa 1.700 miliardi parcheggiati sui conti correnti (record storico) delle famiglie italiane,
paralizzate dalla paura ed impreparate ad affrontare il futuro! Quindi, volenti o nolenti, gli italiani

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