House of Cards: Potere seriale - TESI DI LAUREA
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Dipartimento di Studi Umanistici Corso di laurea in Scienze della Comunicazione TESI DI LAUREA House of Cards: Potere seriale RELATORE: LAUREANDO Prof. Guido Ferraro Alessio Lerda Anno Accademico 2013/2014
Introduzione: il fenomeno delle serie televisive Pilot. Spoiler. Season finale. Emmy. HBO, ABC, NBC, Netflix, BBC. Sit-com. Drama. Questi (e molti altri) termini sono entrati prepotentemente nel vocabolario di molti di noi nel corso degli ultimi anni, da quando cioè si è assistito ad un aumento vertiginoso di attenzione e considerazione nei confronti delle serie televisive. Il successo di pubblico e il loro impatto nella cultura popolare non sono di per sé una novità (si pensi a serie cult degli anni '90 come Friends, Twin Peaks o E.R.), ma ultimamente l'entusiasmo per questa forma narrativa sembra aver raggiunto vette inedite, finendo per coinvolgere anche la critica e spingendo il mondo della fiction televisiva a sfidare il cinema, eterno rivale, per qualità dei contenuti, livello degli interpreti e consistenza dei budget. L'approccio non è più quello del singolo caso particolarmente ispirato, ma sta invece diventando un'abitudine, se non una necessità, visto l'aumento esponenziale di competizione fra i network e il continuo coinvolgimento di nuove parti in causa attorno al già variegato mondo della produzione televisiva. Il vastissimo panorama del web, ad esempio, e in particolare dei suoi social network, sembra essere costruito apposta per inserirsi agilmente all'interno di questo fenomeno, sfruttandolo e alimentandolo a sua volta. Queste piattaforme non sono soltanto un utile rampa di lancio per pubblicizzare le varie serie e tenere continuamente aggiornati i fan con foto, video e notizie in anteprima, ma offrono soprattutto la possibilità, dal lato del pubblico, di commentare tutto il commentabile riguardo ad ogni dettaglio della serie seguita: prima, dopo, ma soprattutto durante l'episodio, a riprova della presenza, ormai ovunque, di spettatori che spendono ore e giorni della loro vita a soffrire e gioire dietro questo particolare genere di storie e vogliono farlo sapere a tutti, subito, cercando disperatamente di stare al passo con le trame per evitare l'incubo dello spoiler, il colpo di scena rivelato anzitempo. Che, oltre a rovinare il gusto della visione, è anche un marchio indelebile della posizione dello spettatore rispetto all'uscita degli episodi: chi può permettersi di dispensare spoiler è colui che ha già visto l'ultima scena e non può a sua volta farsi sorprendere; chi lo subisce, invece, è perché è rimasto colpevolmente indietro. In questo processo Facebook e simili sono un'arma terribile: lo 5
spoiler può annidarsi ovunque, nascosto dietro ogni insospettabile pagina o articolo, pronto a rovinarci la serie in corso e a ricordarci quanto dobbiamo recuperare, si tratti di poche puntate o di intere nuove serie, appena uscite ma già di moda. È quindi evidente che siamo di fronte ad un fenomeno che nessuna altra forma di intrattenimento riesce al momento a contrastare, in quanto a coinvolgimento di pubblico, capillarità e trasversalità degli spettatori; in una sola (anch'essa appena imparata) parola: viralità. Le serie sono argomento di discussione tra amici e su ogni angolo del web (dove il termine “discussione” traballa tra la vignetta umoristica e la furia cieca degli haters), ma anche oggetto di articoli su riviste del più svariato genere, su trasmissioni radiofoniche e televisive, in un continuo gioco di citazioni incrociate anche tra le stesse serie; insomma: oggi compaiono dappertutto. Ma perché? Perché un film, un romanzo o un videogioco possono diventare magari casi internazionali, vendere milioni di copie o vincere premi su premi, senza però arrivare a generare tutto il chiacchiericcio e l'affetto di alcune serie televisive di culto? Che cosa cambia? Le risposte, o meglio, i vari approcci col quale provare a dare qualche risposta a queste complesse domande, sono moltissimi. Già tratteggiando la questione in questi primi paragrafi sono emersi ad esempio diversi aspetti che chiamano prepotentemente in causa la sociologia: la fruizione di massa, il ruolo dei social (non a caso) network, la necessità di stare al passo con gli altri. Altrettanto valide e interessanti potrebbero essere argomentazioni nell'ambito degli studi della comunicazione, magari prendendo l'impatto delle serie come pretesto nell'affrontare l'ibridazione tra comunicazione di massa e di rete, o ancora studi antropologici, psicologi, se non direzioni più tecniche e specifiche come analisi filmiche o (ovviamente) telefilmiche, e potremmo continuare per parecchie altre righe. Oppure, potremmo fare un passo indietro. Vale a dire, chiedersi in termini più generici che cosa significhi la serialità, cosa accomuni le sue varie forme e che cosa, nella struttura di una storia raccontata serialmente, possa segnare la differenza rispetto ad altre narrazioni che fruiamo in un solo momento. Capire quindi se una serie televisiva non sia altro che un lunghissimo film tagliato in tranci uguali e spalmato lungo la stagione di messa in onda, o una sequenza di differenti storie che semplicemente si affidano agli stessi personaggi e agli 6
stessi ambienti, o invece una più sfuggente e peculiare via di mezzo che fa la differenza e conquista lo spettatore più di altre opere, altre storie. Bisogna subito sottolineare che non si vuole qui esaltare la qualità delle serie televisive rispetto ai film o ai romanzi, per dare questi ultimi come sorpassati e ininfluenti in questo momento storico, rappresentato invece così brillantemente dall'odierna generazione di serialità televisiva. Non si vuole – né si può – affermare che siano più belle o intelligenti, solo perché sembrano riscuotere al momento maggiore successo. A dire il vero, non possiamo neanche essere così certi di quest'affermazione: come si misura il successo? Oggi molti passano più tempo con le serie che non con i film, ma questo potrebbe essere semplicemente perché, banalmente, le serie durano di più. Se poi si registrano cali nelle vendite di biglietti cinematografici, non è affatto detto che questo avvenga in favore delle serie tv, anche perché queste ultime non hanno un equivalente dell'andare in un cinema per fruire del prodotto, e quindi è difficile paragonare i due fenomeni su questo piano. Infine, il maggior entusiasmo per una forma narrativa non significa che questo ricopra maggiore importanza per lo spettatore che ne fruisce, né che necessariamente rifletta meglio lo spirito del tempo solo perché se ne parla di più in giro: magari, semplicemente, è una forma più adatta ad avviare conversazioni e interventi. Non è quindi una gara a quale prodotto sia più interessante, giusto o sagace. Allo stesso tempo, però, non si può ignorare che il pubblico, negli ultimi anni, si sia particolarmente affezionato e legato alla serialità televisiva, crescita che non sembra applicarsi ad altri generi narrativi. Perciò, considerando inoltre l'eterogeneità del pubblico e la difficile definizione dell'entità del fenomeno, si può – o si deve – pensare che le serie tv offrano una risposta ai gusti e alle necessità degli spettatori in questo particolare momento storico, in maniera non necessariamente sostitutiva ma complementare alle altre forme narrative. Contribuiscono forse a soddisfare i bisogni dello spettatore, presumibilmente cambiati nel corso degli anni – ma come? Gli strumenti per esplorare la questione possono essere, appunto, quelli elencati poco sopra: dalla sociologia all'analisi filmica. Volendosi però concentrare sul ruolo della natura seriale di questo fenomeno, e quindi sullo stile narrativo in sé, l'arma migliore potrebbe rivelarsi quella della semiotica, e in particolare di quella sua branca 7
chiamata teoria della narrazione, che si occupa – come si può intuire – di studiare come funzionino le storie, le loro strutture e i significati che applichiamo ai loro vari livelli, nel tentativo di creare una grammatica (o un gruppo di grammatiche) con le quali interpretare la narrazione in modo scientifico. Che cosa caratterizza, nel profondo, una narrazione seriale? Quali sono le conseguenze del raccontare una storia in episodi, al di là della pura differenza tecnica? Per comprendere meglio questo processo, bisognerebbe forse includere altre forme di narrazione seriale. Il fumetto, ad esempio, si è basato fin dalla sua nascita sulla serialità: ancor prima di produzioni più lampanti come gli albi di supereroi o, in Italia, le edizioni Bonelli, anche le brevi strisce umoristiche dei suoi esordi più di un secolo fa erano, sostanzialmente, organizzate in serie, con autori, personaggi e stili continuati. Lo stesso si può dire di esperienze successive come i Peanuts o Calvin & Hobbes, che abbiamo potuto leggere raccolte in volumi solo successivamente, ma in origine non avrebbero potute essere presentate in tale forma: solo una volta divenute classici del genere (ma non solo) ed entrate, anche grazie alla serialità, nell'immaginario collettivo, possiamo permetterci di fruirne in un altro modo, più compatto e auto-conclusivo. Ma in ogni caso, sono volumi che mettono insieme episodi separati, e il loro semplice accostamento non ne mina davvero la natura seriale. Pur non essendoci sempre una vera e propria trama di fondo che allacci le storie, è la composizione frammento per frammento, attesa ogni settimana da lettori accaniti, a renderli di successo (ma, volendosi spingere ancora più nel dettaglio, si può notare come anche la singola striscia di fumetto sia formata da una serie di vignette ben delineate, quasi fossero minuscoli episodi lungo i quali si snodano le vicende...). Lo stesso si può dire per esperienze letterarie riassumibili nell'espressione “romanzi d'appendice” (un autore come Charles Dickens su tutti), ma anche saghe cinematografiche, di videogiochi, i radiodrammi, fino a territori più ambigui e forse per questo interessanti come le raccolte di figurine o le “storie” stilistiche della moda. Tutte narrazioni che hanno in comune con l'oggetto di studio dell'analisi l'organizzazione seriale delle loro storie, ma non condividono però il particolare successo che sta vivendo la serialità televisiva in questi ultimi anni, quello che ha attirato l'attenzione dell'autore (e non solo) su questa particolare forma. Perciò, se è 8
questo fenomeno che si vuole comprendere, anche se in minima parte, conviene concentrarsi su questo ambito, quantomeno come punto di partenza. Soprattutto perché esso stesso, al proprio interno, non è affatto omogeneo né lineare. Innanzitutto, già osservando la serialità televisiva da una certa distanza, saltano all'occhio due principali tendenze che suddividono le serie in due diversi indirizzi, sovrapponibili solo in parte a veri e propri generi. Corrispondono a grandi linee alle due ipotesi poste qualche paragrafo sopra riguardo la natura delle serie televisive e sono chiamate con due precisi termini dagli appassionati. La prima riguarda le trame “verticali”, ovvero serie che danno l'impressione di essere una sequenza di storie poco collegate tra loro, dove gli unici collanti sono l'ambientazione, i personaggi e il tono, poiché le sotto-trame che vengono portate avanti lungo le stagioni non sono in genere molto significative (si tratta per lo più vicende amorose o lavorative); a questa tendenza appartengono le sit-com e molti polizieschi, dove l'investigatore affronta e risolve un nuovo caso in ogni episodio. Spostandosi invece sulla strada della trama “orizzontale” (“un lunghissimo film tagliato in tranci uguali”) troviamo le serie che danno più importanza alla continuazione lungo la stagione, dove alla fine di ogni episodio si ha l'impressione di veder interrotta la storia; le puntate sono meno compatte e schematiche, poiché ciò che vi accade è solo una parte di una narrazione più ampia che copre l'intera stagione, perciò la comprensione degli eventi e delle dinamiche in corso richiede la visione degli episodi precedenti, al contrario di molte serie “verticali” che non ostacolano una visione disordinata e incompleta. Verso la soluzione “orizzontale” vanno molti dei drama passati alla ribalta negli ultimi anni, come Game of Thrones, Mad Men o True Detective. Le due filosofie possono considerarsi dei tipi ideali, poiché nessuna serie aderisce al 100% ad una soltanto, e molte poi si trovano in una via di mezzo nella quale è difficile stabilire la tendenza predominante. In genere, però, è possibile individuarne una principale, ma poiché ci stiamo occupando delle basi della narrazione seriale, al di là della maggiore o minore difficoltà di catalogazione, viene piuttosto da chiedersi cosa accomuni – se c'è qualcosa ad accomunare – i due diversi stili. Ma la varietà del mondo della serialità televisiva non si esaurisce qui. Ci sono 9
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