Lectio doctoralis sull'Europa del Prof. Romano Prodi Presidente del Consiglio dei Ministri - Friburgo, 28 marzo 2008
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Lectio doctoralis sull’Europa del Prof. Romano Prodi Presidente del Consiglio dei Ministri Friburgo, 28 marzo 2008
• Vorrei innanzitutto rivolgere un caloroso saluto ai presenti e in particolare: - a Sua Eccellenza Monsignor Robert Zollitsch, Arcivescovo di Friburgo e Presidente della Conferenza Episcopale tedesca - al Presidente del Landstag, Parlamento del Baden – Wutternberg, Herr Peter Straub - al Prof. Wolfgang Jäger, Magnifico Rettore dell’Università - al Prof. Gisela Riescher, Preside della Facoltà di Scienze Politiche e Filosofia • Vorrei altresì ringraziare, oltre naturalmente al Rettore e al Preside della Facoltà di Scienze Politiche e Filosofia, gli altri membri della Commissione comune delle Facoltà di Filologia, Filosofia, Economia e 2
Scienze del Comportamento dell’Università di Friburgo che hanno deciso di onorarmi con il conferimento di questo dottorato. • L’invito ad esprimermi oggi sull’Europa mi è particolarmente gradito. Perché costituisce un’occasione per continuare a riflettere su una storia aperta e appassionante, su un progetto politico decisivo al quale ho dedicato molti anni. • Europa significa speranza e opportunità. Per questo abbiamo il dovere di conoscerla a fondo: solo studiandola, e studiando con essa l’evolvere del mondo, potremo continuare a interpretarla e costruirla al livello più alto delle sue aspirazioni storiche e morali. 3
• Se nei suoi primi cinquanta anni l’Europa ha potuto lavorare al proprio interno, l’Europa futura esisterà solo se diventerà un attore globale. E’ la dimensione delle sfide del nostro tempo a imporre questo salto di qualità. Non si tratta quindi di una scelta, ma di una necessità. Pena l’irrilevanza e il declino. • Vorrei arrivare a queste conclusioni attraverso una serie di riflessioni che voglio sviluppare in due parti. • Per prima cosa vorrei tentare una diagnosi sullo stato di salute dell’Unione ragionando intorno ad alcuni temi centrali nel dibattito europeo. La mia tesi, lo dico subito, è che l’Europa c’è e lavora. Ma i risultati di questo lavoro non sono sempre pienamente soddisfacenti e in qualche caso sono persino deludenti. 4
• Di qui, e vengo alla seconda parte del mio intervento, l’esigenza di una terapia urgente. Perché l’Europa sia davvero all’altezza della situazione in un contesto internazionale che è profondamente cambiato e che oggi premia unicamente, sia politicamente che economicamente, i grandi aggregati. *** • Vediamo dunque su cosa si lavora oggi a Bruxelles e cerchiamo di fare un bilancio. Comincerò con l’argomento di maggiore attualità - l’Europa di fronte alla crisi finanziaria internazionale - per poi passare a tre temi che sono la cartina al tornasole per capire quanto funziona oggi l’Unione: riforma delle 5
istituzioni, allargamento, politiche energetiche e ambientali. L’Europa di fronte alla crisi nei mercati finanziari • Le turbolenze dei mercati di questi mesi hanno confermato le carenze nella disciplina del sistema finanziario internazionale. Soprattutto in materia di trasparenza delle operazioni, di insufficienza di regole e previsione e gestione dei rischi. Non mi dilungo su aspetti noti e che da alcune settimane occupano le prime pagine dei quotidiani. • Quel che vorrei sottolineare è che nel campo della governance economica e sociale l’Europa soffre di forti asimmetrie che non le consentono di sviluppare fino in fondo le proprie potenzialità. La più evidente è 6
quella tra unione monetaria e disunione economica, tra una politica monetaria centralizzata e una serie di politiche nazionali che rimangono non integrate e soprattutto tra una unione monetaria e la mancanza di controlli dei mercati finanziari a livello europeo. • E’ vero che abbiamo fatto passi in avanti: disporre oggi dell’Euro è un elemento che rassicura e che in qualche modo ci pone al riparo da molte delle turbolenze in atto. Ma una politica monetaria centralizzata serve a poco se non si uniformano anche i criteri che guidano le politiche economiche. E l’Europa oggi fatica persino a scambiarsi informazioni sulle proprie politiche nazionali, mentre rimangono puramente nazionali le attività di controllo dei mercati finanziari che si stanno così rapidamente globalizzando. 7
• In altre parole: è un fatto certamente positivo poter oggi gestire l’economia europea attraverso tre attori - il Consiglio ECOFIN, la Banca Centrale Europea e la Commissione - e un parametro, il patto di stabilità. Ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di un triangolo di regole, non di governo e che siamo in presenza di governi che troppo spesso non amano obbedire alle regole. La riforma delle istituzioni • Anche grazie alla determinazione di Angela Merkel, sotto la presidenza tedesca, siamo riusciti a varare un nuovo Trattato e a superare la crisi innescata dai referendum francese e olandese del 2005. Il nuovo Trattato contiene diverse cose buone: una Presidenza 8
del Consiglio stabile, un responsabile per la politica estera con un servizio diplomatico europeo, più decisioni a maggioranza, un’unica personalità giuridica… Ma la domanda che dobbiamo porci, al di là delle incognite relative alla sua entrata a pieno regime, è se le sue disposizioni siano sufficienti a dare all’Europa quello che le occorre: efficacia e rapidità nel processo decisionale, peso e credibilità fuori dalle proprie frontiere. • Molto dipenderà dagli uomini che guideranno le nuove istituzioni europee. E quindi dalle scelte che saranno fatte nei prossimi mesi. Ma sarebbe sciocco negare che lo strumento che essi avranno a disposizione - il nuovo trattato appunto - sia frutto in realtà di un compromesso al ribasso. Sarebbe sciocco non ammettere che il sacrificio dell’approccio 9
costituzionale del Trattato di Roma del 2004 (che pure era già un compromesso al ribasso) è stato un prezzo altissimo da pagare per chi, come me, crede che l’Europa abbia anche bisogno di un condiviso corpo di regole per poter svolgere il proprio ruolo nel mondo. Per potere avere forza politica. • Ricorderò sempre quella notte del giugno scorso a Bruxelles, con alcuni di noi impegnati a convincere la Polonia, altri a tenere unito il fronte europeista. Più discutevamo, più si delineavano i contorni del compromesso e più mi convincevo che molti di noi avevano smarrito lo spirito che ci aveva inizialmente guidato. Come spesso avviene in queste trattative finali dei Consigli europei, la paura del fallimento spingeva verso accordi sempre più al ribasso, verso accordi che rendono ancora più difficile un ruolo europeo nella 10
politica mondiale. L’obbligo dell’unanimità non può che preparare l’impotenza. L’allargamento • Passo a un altro dei grandi temi nel dibattito europeo: l’allargamento. Credo che pochi oggi, dati alla mano, possano metter in dubbio i successi conseguiti in questi anni. Il primo maggio 2004 è stata veramente una data consegnata alla Storia! Abbiamo riunificato un continente diviso e ne abbiamo fatto l’agglomerato più stabile e prospero del pianeta. Provo sempre un certo orgoglio per aver potuto contribuire a questo risultato straordinario da Presidente della Commissione europea. E provo una certa soddisfazione, come per una tragedia evitata, a pensare cosa sarebbe oggi 11
l’Europa con i dodici nuovi paesi fuori dall’Unione. Occorre ora costruire su questo risultato e iniziare a far pesare la massa critica raggiunta – 500 milioni di cittadini! • Per questo – e mi rivolgo soprattutto ai nuovi paesi membri – è essenziale divenire consapevoli che essere parte di un tutto comporta diritti, ma anche obblighi. Richiede un senso forte di autodisciplina e di solidarietà nei confronti dei partner e delle istituzioni comuni. Non nascondo di essere rimasto perplesso di fronte a certi episodi recenti: penso a chi ha tenuto troppo a lungo in ostaggio il negoziato UE con la Russia o a chi non esita a mettere a repentaglio il sistema comune di Schengen pur di essere agevolato nei propri contatti bilaterali con un paese terzo. Vorrei ricordare a tutti costoro che il più grande acquis 12
comunitario è stato proprio il metodo: saper cioè rinunciare a un proprio interesse specifico e contingente in nome di un interesse generale europeo di lungo periodo. • Ma è un’altra la questione che mi preoccupa di più: l’incapacità dell’Europa di andare fino in fondo e completare la propria riunificazione. Mi riferisco alla regione balcanica, una regione che da sempre appartiene all’Europa, ma che ancora non riesce a realizzare la propria prospettiva europea nonostante le promesse. Mancanza di visione dei leader europei, esitazioni imperdonabili di una regione che fa fatica a dimenticare il proprio passato… Le ragioni di questo ritardo sono tante. Ma resta il fatto di non aver saputo completare l’allargamento del 2004 e con esso resta il “buco nero” balcanico sulla carta geografica 13
dell’Europea contemporanea. E’ un deficit al quale occorre rimediare subito: perché il continente non sarà definitivamente stabilizzato fin quando i Balcani occidentali non faranno parte della nostra Unione. • Aggiungo che la divisione drammatica dell’Unione europea sulla questione del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo denota in fondo una diversa visione tra i Ventisette su quale debba essere il destino della regione balcanica nel suo complesso. Se, come credo, questo destino sia quello di una regione che entra a pieno titolo, tra qualche anno, nella famiglia europea, allora è su questo grande obiettivo strategico che occorre concentrarsi. Accettando la soluzione sullo status del Kosovo più funzionale alla realizzazione della prospettiva europea dell’intera regione. 14
Le politiche dell’energia e del clima • Anche qui vorrei ricordare Angela Merkel e la sua azione di presidente del Consiglio europeo: grazie ad essa lo scorso anno l’Unione è riuscita a trovare un’intesa su obiettivi importanti e ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas nocivi e di ricorso a fonti energetiche rinnovabili. • Ma anche questo è un punto sul quale occorre essere conseguenti. Non ci si può accordare su obiettivi così ambiziosi e poi, quando si passa a legiferare, consentire agli interessi particolari di prevalere su quelli generali. Non si può insomma essere visionari nelle dichiarazioni di intenti e poi, quando tanto per fare un esempio si passa a disciplinare l’emissione di anidride 15
carbonica degli autoveicoli, venir meno al principio del “chi inquina paga” e a quelli del risparmio energetico e della tutela dell’ambiente. Perché così facendo, tra l’altro, si disorientano anche tutti coloro - penso per esempio ai paesi dell’Asia - che nel mondo guardano all’Europa come a un esempio virtuoso in questo come in altri settori essenziali alla convivenza globale. *** • A questo punto vorrei svolgere una prima considerazione che servirà a guidarci nella seconda parte del ragionamento: l’Europa dunque continua a lavorare, va avanti, fa progressi ogni giorno e in ogni campo. Il punto è capire se i piccoli passi con cui continua ad avanzare, conformemente del resto alla 16
propria tradizione, siano ancora sufficienti in un mondo che invece fa passi da gigante. O se invece non rappresentino comunque una condanna all’irrilevanza e al declino. In particolare non conta solo la direzione, ma anche la velocità. • Quando vedo i tentennamenti europei di fronte alle grandi scelte strategiche - come nel caso della politica estera o energetica, delle scelte istituzionali, oppure della governance economica - mi viene spontaneo osservare gli indicatori economici asiatici, l’assertività della Russia e delle potenze emergenti in politica estera, l’influenza americana nel mondo; osservo dove si accumula la ricchezza nel pianeta, dove sono le università migliori e i migliori centri di ricerca. E non riesco perciò a essere soddisfatto delle nostre performance a Ventisette. 17
*** • Ecco dunque qualche idea sul da farsi per colmare questi deficit. Io ho sempre fiducia nell’Europa: perché più la osservo e più ne scopro le potenzialità, più vado alle sue radici e più mi rendo conto della longevità dei valori che ne costituiscono il fondamento. Mi rincuora soprattutto l’esempio di una Europa che in passato è riuscita sempre a uscire da ogni sua crisi più solida e coesa di prima! Di un’Europa che possiede una capacità di recupero smisurata e un metabolismo che le consente di rigenerarsi continuamente. Certo che essa si trova a un crocevia difficile! Ma il fermento c’è ancora, nessun dubbio al riguardo! Ci vorrebbe solo più coraggio. 18
• Anche qui mi soffermo brevemente su alcuni punti. I giovani • L’Europa deve avere il coraggio di scommettere su di loro, sulla generazione Erasmus, su chi ha imparato a vivere in modo più moderno il rapporto con la frontiera, con la lingua e con le diversità. C’è bisogno di un patto europeo nuovo che possa avere i giovani come protagonisti. • Ragionare in termini nuovi è indispensabile: perché l’obiettivo originario europeo – la pace continentale – è ormai un fatto scontato e non è più un progetto in grado di mobilitare i giovani europei. 19
• Occorre lasciarci alle spalle le categorie ereditate dal passato: alle nozioni classiche di nazionalità, frontiera e sovranità, vanno sostituire quelle di cittadinanza europea, mobilità di confine, sussidiarietà, integrazione e messa in comune delle risorse. • I giovani si facciano dunque sentire, chiedano ai loro leader il coraggio per iniziare a scrivere l’Europa di domani, quella che loro erediteranno. Il coraggio e la leadership • I leader europei devono mostrarsi coraggiosi. Devono guardare oltre l’interesse contingente dei propri paesi e impegnarsi per l’interesse generale europeo. 20
• Per farlo bisogna uscire dalla logica dei vertici, delle direttive, delle revisioni dei trattati, come se la governance europea fosse qualcosa che appartiene solo alla sfera del diritto. In Europa oggi c’è bisogno di politica, di grande politica, di nuove politiche. C’è bisogno di vera politica per avere un’autentica democrazia partecipativa. • Le elezioni del 2009 saranno una grande occasione per cominciare a lavorare in questa direzione. Spero che nasceranno alleanze tra i partiti europei, su progetti basati su grandi valori, in grado di rianimare la politica continentale. Che dovrà passare anche per un ulteriore rafforzamento del Parlamento europeo. • Un problema non trascurabile è la necessità di cambiamenti di procedura nei vertici europei. Non vi è 21
nessuna ragione (e la mia esperienza europea lo dimostra) che l’Europa a 27 sia meno coesa dell’Europa a 15. I problemi di allora (Europa a 15) sono gli stessi di oggi. Il grande ostacolo è sempre l’unanimità. Ma oggi si debbono almeno cambiare le procedure, le durate dei discorsi, le modalità di voto. Si deve riprendere lo spirito di conversazione e di dialogo dei vertici più ristretti. Altrimenti i Consigli europei saranno solo dei riti senza contenuto. Un’Europa “a densità variabile” • Nel frattempo bisogna subito iniziare a cercare nuove strade, tra gruppi di paesi. Già oggi due dei pilastri della nostra Europa – mi riferisco a Schengen e all’Euro – vedono una partecipazione limitata ad alcuni 22
paesi. Taluni poi – penso alla Norvegia e all’Islanda che fanno parte di Schengen – non sono nemmeno membri dell’Unione. • L’Europa di domani sarà quindi sempre di più un’Europa a densità variabile al suo interno e con frontiere mobili all’esterno. Su un punto vorrei essere chiaro: non sono solo coloro che vogliono avanzare più velocemente a dover aspettare i più lenti; sono anche i più lenti a dover accelerare. • Se poi i ritardatari non avanzano, i più veloci dovranno procedere in ogni caso: creando delle avanguardie, gruppi di Paesi pionieri più intraprendenti su specifici progetti. Ma è evidente che dovrà trattarsi di progetti sempre aperti a coloro che vorranno aderirvi successivamente. Perché la porta aperta è una regola essenziale dell’Unione Europea. 23
L’Est e il Mediterraneo • La politica europea a Est e nel Mediterraneo non è finora riuscita a dispiegare completamente i propri effetti. Essenzialmente per timidezza. Occorre un nuovo slancio, cominciando per esempio a preparare una vera partecipazione dei Paesi vicini al mercato interno e ad altre politiche comuni. Cosa impedisce di coinvolgere alcuni paesi del Mediterraneo e dell’Europa orientale in parti significative della politica estera comune? Perché non pensare a forme più strette di cooperazione sub-regionale attorno a priorità comuni come l’energia, l’acqua o le infrastrutture? • Questo vale soprattutto per il Mediterraneo, culla dell’idea d’Europa. Credo da sempre che la politica 24
mediterranea sia parte integrante della politica europea. Vi ho lavorato per molti anni con successi non sempre adeguati alla fatica e alle energie spese. Mi rallegro perciò che il progetto di Unione per il Mediterraneo di cui abbiamo discusso nei giorni scorsi a Bruxelles abbia infine preso la via di un rafforzamento del partenariato euro-mediterraneo di Barcellona. • Oggi il Mediterraneo è per l’Unione europea una immensa opportunità di rilancio politico ed economico. Un terreno ideale per grandi progetti tra i paesi delle due sponde. Soprattutto considerata la crescita del continente asiatico e la circostanza che il grande commercio internazionale sta tornando a percorrere la Via della Seta. Bisogna però essere coerenti e dedicare a questo progetto la necessaria attenzione politica e le necessarie risorse finanziare, agendo anche da 25
catalizzatore di mezzi provenienti dall’esterno, ed in primo luogo dai paesi del Golfo. Governance economica e sociale • Come ho detto all’inizio una delle grandi questioni irrisolte in Europa è l’assenza di un vero governo europeo delle scelte economiche. Senza di esso l’Europa non potrà crescere né sfruttare appieno le potenzialità dell’Unione Economica e Monetaria. • Occorre un’impennata forte della politica anche qui: per iniziare a far convergere le politiche economiche e di bilancio nazionali e per arrivare ad una vera rappresentanza unificata dell’euro sulla scena internazionale. 26
• L’euro è la moneta più forte, sta conquistando sempre di più i mercati ma la politica monetaria mondiale è, per il bene e per il male, nelle mani della Riserva Federale. L’Europa che media: tra Stati Uniti, Russia e potenze asiatiche • Per essere interlocutore credibile e influente degli Stati Uniti, l’Europa deve perciò assumersi le proprie responsabilità. Anche per questo una politica energetica comune europea e una politica di difesa europea diventano imprescindibili. Da una partnership equilibrata con Washington potranno poi scaturire nuove iniziative importanti, a partire da un vero mercato transatlantico. 27
• Più complesso è il rapporto con la Russia alle prese con “la sindrome da accerchiamento”. Anche qui c’è bisogno di un’Europa più forte, capace di essere il ponte tra Washington e Mosca. Perché l’Europa è più vicina sia alla Russia che agli Stati Uniti di quanto non siano Russia e Stati Uniti tra di loro. • Non è pensabile che l’Europa sia divisa e paralizzata di fronte alla Russia quando gli interessi e i problemi di tutti i nostri paesi sono talmente simili da essere quasi identici. • Questa funzione di mediatore deve essere esercitata anche con altri grandi protagonisti della politica internazionale, a cominciare da Cina e India. L’obiettivo è coinvolgere tutti intorno al tavolo del 28
multilateralismo ad alta densità che l’Europa ha contribuito a inventare. *** • Vorrei svolgere ore qualche considerazione conclusiva. C’è una frase di Henry Miller, scritta oltre cinquant’anni fa, che mi viene in mente ogni volta che penso al ruolo dell’Europa: “il mondo deve ridiventare piccolo com’era l’antico mondo greco; tanto piccolo da includere tutti. Solo quando sarà incluso fin l’ultimissimo uomo, ci sarà una vera società umana”. Fin dalla prima volta che la lessi pensai: ecco il compito dell’Europa! Rendere il mondo piccolo, contribuire a creare un nuovo ordine globale che includa anche l’ultimissimo uomo. 29
• A volte pare di riuscirci! La moratoria sulla pena di morte adottata nel dicembre scorso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite - per la quale il mio governo si è molto battuto insieme agli altri governi europei - non poteva venire che dagli eredi di Cesare Beccaria, da un ambiente europeo, da una storia e una sensibilità europee. Qui l’Europa ha fatto bene il proprio lavoro, ha saputo interpretare al meglio il compito assegnatole dalla Storia. Per tornare a Henry Miller ha reso il mondo tanto piccolo da includere tutti! • E’ una questione di coraggio e di visione! Bisogna crederci, sempre! Con questo non voglio dire che basti essere visionari per costruire un’Europa più forte. Al contrario, la lezione europea è innanzitutto quella di chi sa come muoversi nel difficile spazio che c’è tra realismo e ideale, tra interessi e valori, tra dubbio pieno 30
di scrupoli e certezza delle proprie ragioni, tra auto- ironia e fervore. • Un’ultima annotazione su Balcani e Kosovo. Non solo perché questa regione mi sta particolarmente a cuore, ma perché essa rappresenta per molti versi la parte e più vera dell’Europa, il suo rimosso. Ho sempre pensato che le lotte identitarie e le disgregazioni cui ancora assistiamo in quell’area rappresentino un residuo del nostro passato comune. Ma penso che alla fine sarà il destino del progetto europeo a dirci se è questa la lettura giusta. Se l’Europa va avanti, se continua a integrarsi e allargarsi, se ritrova il proprio slancio vitale, allora gli scossoni balcanici di questi giorni sono davvero destinati a essere gli ultimi, ad esaurirsi, a rappresentare il residuo di un passato continentale lontano nel tempo. Ma se il progetto 31
europeo si arresta, se all’interno dell’Unione tornano i nazionalismi, i localismi, i campanilismi, allora le divisioni di oggi in Kosovo o in Bosnia da residuo del passato rischiano di divenire l’annuncio del futuro che attende anche la parte già integrata del continente. Di un’Europa che alla fine torna a dividersi e frammentarsi, ripercorrendo all’indietro la propria Storia. E’ un’eventualità alla quale non voglio pensare. Ma proprio l’esempio della dissoluzione jugoslava conferma che nulla può dirsi acquisito per sempre dalla Storia e che potrebbe quindi capitare, da un giorno all’altro, di risvegliarsi in un continente diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi sessanta anni. Proprio per questi motivi fin dal primo giorno della mia presidenza alla Commissione Europea ho posto come obiettivo prioritario l’ingresso nell’Unione 32
Europea di tutti i paesi dell’area balcanica. Perché tra le grandi crisi del mondo quella balcanica è l’unica per cui abbiamo una valida e semplice soluzione pronta: l’appartenenza all’Unione Europea. Una ragione in più per guardare avanti, per continuare a sperare e a lavorare per l’Europa. Non quella anemica di questi ultimi tempi, ma quella immaginata dai padri fondatori, capace sempre di ritrovare il coraggio e la forza per rinascere ogni giorno. • Vi ringrazio. 33
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