Guido Borelli - A.A 2015-2016 Corso di Sociologia dell'ambiente

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Guido Borelli - A.A 2015-2016 Corso di Sociologia dell'ambiente
Università IUAV di Venezia - CdL Magistrale in Pianificazione e politiche per la città, il territorio e l’ambiente
                                     Corso di Sociologia dell’ambiente
                                               A.A 2015-2016

                                     Guido Borelli
                                     guido.borelli@iuav.it
Guido Borelli - A.A 2015-2016 Corso di Sociologia dell'ambiente
AVVISO
 Le diapositive contenute in questo file sono le
   stesse (rivedute e ampliate) presentate dal
          docente nel corso delle lezioni.
    Hanno lo scopo di riassumere le principali
questioni (non tutte!) trattate durante le lezioni,
non sono necessariamente disposte nello stesso
ordine con cui sono state presentate a lezione e
 vanno necessariamente integrate con i testi di
  riferimento e con gli appunti presi durante le
                      lezioni.
 In nessun modo dovranno essere considerate
         esaustive del corso di sociologia.
Guido Borelli - A.A 2015-2016 Corso di Sociologia dell'ambiente
I paradigmi
della riflessione
  sociologica
Guido Borelli - A.A 2015-2016 Corso di Sociologia dell'ambiente
I paradigmi della riflessione
        sociologica

   1. paradigma dell’ordine;

  2. paradigma del conflitto:

 3. paradigma della struttura;

   4. paradigma dell’azione;
Guido Borelli - A.A 2015-2016 Corso di Sociologia dell'ambiente
1. Paradigma dell’ordine

 Cosa tiene insieme la società e come è
 possibile l’ordine sociale in un’epoca in
cui le trasformazioni economiche, sociali
  e culturali hanno infranto la credenza
  nella sacralità della tradizione e della
                 religione?
2. Paradigma del conflitto

  Il conflitto non è una condizione
 patologica della società, ma la sua
condizione normale che può generare
     sia ordine, sia mutamento
3. Paradigma della struttura

 La società viene prima degli individui.
 I fatti sociali possono essere spiegati
  solo da altri fatti sociali, non si può
    partire dal comportamento degli
individui, dalle loro motivazioni e dalla
    loro personalità, per arrivare alla
                  società.
4. Paradigma dell’azione
     (individualismo metodologico)

  Per spiegare i fenomeni sociali – di
 qualsiasi natura essi siano – è sempre
necessario ricondurli ad atteggiamenti,
credenze e comportamenti individuali e
 di questi si deve cogliere il significato
       che rivestono per l’attore.
La sociologia
    urbana
(cosa è, di cosa si occupa?)
La sociologia urbana è una linea di ricerca,
collocata nel quadro delle discipline sociologiche, e
  ha come riferimento quello di interessarsi della
             città nei suoi aspetti sociali.

 Tali aspetti si riferiscono all’agire dei soggetti
che compongono la popolazione urbana, alle
 relazioni che essi instaurano, alla formazione di
        gruppi sociali, movimenti, istituzioni
organizzazioni, ai legami di complementarietà o di
competizione che esistono tra tutte queste entità,
   sino all’interpretazione della città in quanto
                    sistema sociale
              (Mela, 2006, pp. 15-16)
Il tratto caratteristico della sociologia urbana è
     la concentrazione selettiva dell’attenzione
  sulla dimensione spazio-temporale di tutti gli
             aspetti che essa presenta.
La sociologia urbana ha uno specifico oggetto di
     ricerca: quando si riferisce alla società (o
all’agire sociale, all’interazione, al conflitto, ecc.),
 si interessa a fenomeni che hanno luogo in
 punti precisi dello spazio e del tempo, che
    sono condizionati dalle risorse e dai vincoli
  presenti nell’ambiente e che contribuiscono a
    trasformare continuamente il quadro di tali
                   risorse e vincoli
                   (Mela, 2006, p.17)
La città:
oggetto non
 ovvio della
 sociologia
   urbana
1. L’analisi sociologica
   della città
2. Evoluzione ed
   attualità del
   fenomeno urbano
3. Economia e società
   urbana
4. La città, i conflitti, il
   governo
5. Le politiche della
   città
6. La città, fenomeno
   culturale
7. Il territorio urbano e
   l’ambiente
8. Verso una sociologia
   spazialista
1. Tra città e sistema
   urbano
2. La descrizione
   sociologica dei
   sistemi urbani
3. Comunità e società
   urbana
4. Globalizzazione e
   «glocal»
5. Sistemi urbani come
   sistemi politici
6. Le nuove politiche
   urbane
7. L’agire
   architettonico
1.    The New Urban Sociology
2.    The Origins of Urban Life
3.    The Rise of Urban Sociology
4.    Contemporary Urban Sociology
5.    Urbanization in the United States
6.    Suburbanization and the Creation of
      the Multicentered Region
7.    People and Lifestyles in the
      Metropolis
8.    Ethnicity and Race in the Metropolis
9.    Neighborhoods, the Public
      Environment, and Theories of Urban
      Life
10.   Metropolitan Problems: Poverty,
      Racism, Crime. Housing, and Fiscal
      Crisis
11.   Local Politics: City and Suburban
      Government
12.   Urbanization in the Developed
      Nations: Western and Eastern
      Europe and Asia
13.   Globalization and Third World
      Urbanization
1.   Città e sistema urbano
2.   La città e l’economia
3.   La città e le politiche
4.   La città e la cultura
1. Urbanism and
   Community
2. The Form and Function
   of Cities
3. Inequality and Social
   Difference
4. Gender and Sexuality
5. Globalization and Urban
   Change
6. Culture and the Urban
   Economy
7. Urban Exclusion and
   Social Resistence
1. La città contemporanea come
    forma complessa di natura
    politica, economica e
    socioculturale
2. La varietà delle scale e delle
    sfere territoriali
3. Il progetto urbano tra
    accelerazione e rischio,
    sconfinamento e incertezza
4. Città e tecnica
5. La città come nodo in una
    società di flussi
6. Gli aspetti simbolici e culturali
    della città
7. Nuovi modelli: città-regione,
    città-rete, città globale
8. I processi di governance
    postmetropolitana
9. Le architetture della
    globalizzazione
10. Globalizzazione, innovazioni e
    politiche urbane
1. Incontro con la città
2. I fondamenti della teoria
   urbana: Weber, Simmel,
   Benjamin e Lefebvre
3. La città reale: riforme sociali e
   tradizione empirica negli studi
   urbani classici
4. La città utopica: dalla Garden
   City al nuovo urbanesimo
5. Tra sobborgo e ghetto: gli
   studi urbani e gli studi di
   comunità
6. L’economia urbana: la città
   capitalistica
7. Il conflitto urbano: politica,
   cittadini e potere
8. Cultura, rappresentazione e
   differenza nel contesto urbano
9. Il futuro della città e la nuova
   teoria urbana
Teoria e pratica
  della deriva

 Letture di riferimento:
 Debord, G. (1956), "Théorie de la dérive", Les Lèvres nues, n. 9, novembre.
«Il carattere
        fondamentalmente
    urbano della deriva, a
 contatto con quei centri
          di possibilità e di
     significati che sono le
 grandi città trasformate
              dall’industria,
corrisponde alla frase di
     Marx: “Gli uomini non
     possono vedere nulla
intorno a sé che non sia
 il loro proprio viso: tutto
 parla loro di loro stessi.
 Anche il loro paesaggio
             ha un’anima”».

                Guy Debord
Théorie de la dérive, 1958
«La  deriva (psicogeografica) è una
 tecnica di passaggio veloce attraverso
            diversi ambienti».

  «Una o più persone che praticano la
  deriva rinunciano – per una durata di
tempo più o meno lunga – alle ragioni di
       spostarsi e di agire che sono
   generalmente abituali, per lasciarsi
 andare alle sollecitazioni del terreno e
   agli incontri che vi corrispondono».
La deriva corrisponde a un vagare a
       caso, o alla pratica della flânerie?

Letture di riferimento:
Baudelaire, C. (1863), Le peintre de la vie moderne.
Benjamin, W. (1924-1940) I passages di Parigi.
botanico dell’asfalto,    il vagabondo metropolitano, il passeggiatore
 privo di meta, il pedone urbano, l’osservatore impressionistico
 della realtà cittadina, il critico del modernismo, il lettore
della città, il guardone cinico, lo spettatore non visto, il follaiolo, il portatore
    di sguardo analitico, il sociologo della città semiotica, il privilegiato
osservatore, l’insaziabile curioso, il testimone delle novità, colui che è
  privo di biografia famigliare, l’apparente disoccupato,
      l’esteta intellettuale, l’esploratore sociale, l’indagatore dello
   spettacolo della folla, la figura isolata nella massa, il voyeur inappagato, il
      testimone distaccato,         il prodotto dell’industrializzazione, il       dandy
 modernista, l’uomo della folla, il blasé, il predecessore del
  turista, il borghese ricettivo ma distaccato dalla realtà urbana, il fotografo di
strada ante litteram, l’investigatore della città moderna, l’esploratore
dei nuovi legami sociali, il fruitore di soddisfazioni, temporanee,
 lo sperimentatore dei nuovi rapporti spazio-temporali, il paladino dell’individualità sociale, il
                  protagonista e prodotto delle nuove realtà urbane
NO!
Praticare la deriva implica resistere alle
sollecitazioni che portano verso percorsi
                  banali.

  La deriva è un’attività intenzionale e
               razionale.

  La deriva mira al riconoscimento di
         unités d’ambiance.
I situazionisti hanno utilizzato il termine
ambiance per riferirsi al sentimento o allo
  stato d'animo associato a un luogo, al
  suo carattere, al tono, o alle emozioni
che potrebbe suscitare; ma hanno usato
  lo stesso termine anche per indicare il
 luogo stesso, soprattutto piccoli parti di
   quartieri della città, che chiamavano
 unités d'ambiance: parti di città con un
     ambiente urbano particolarmente
                  potente.
La pratica della deriva si pone dal punto
      di vista del passaggio: il suo
  osservatore/osservato è il passante.

 L’ecologia umana considera la città a
partire dagli abitanti, la psicogeografia a
          partire dai passanti.

 La prima ha come principio basilare il
      radicamento, la seconda le
   frequentazioni di diversi territori
La deriva è – nelle intenzioni di Debord –
 una critica di tutta la sociologia urbana
                 dell’epoca.

      La pratica della deriva contesta
all’ecologia umana l’insistenza nel fissare
    la popolazione a una residenza (un
 habitat) dalla quale esce per il lavoro e
    per il loisir, mentre tutto il resto del
      luogo rimane terra incognita.
Chombart de Lauwe (1952), nel suo
  studio su Paris et l’agglomération
         parisienne, nota come «un
quartiere urbano non è determinato
    soltanto dai fattori geografici ed
          economici, ma anche dalla
   rappresentazione che ne hanno i
      suoi abitanti e quelli degli altri
     quartieri» e mostra «l’angustia
       della Parigi reale, nella quale
               ciascun individuo vive
  geograficamente un quadro il cui
    raggio è estremamente piccolo»

   Nello schema il tracciato di tutti i
    percorsi effettuati in un anno da
             una studentessa del XVI
    arrondissement. Questi percorsi
           disegnano un triangolo di
            dimensioni ridotte, senza
  fuoriuscite, i cui tre vertici sono la
        Scuola di scienze politiche, il
 domicilio della ragazza e quello del
        suo professore di pianoforte.
4 tipi di derive

  1. casuale: consigliabile nelle esplorazioni delle terre
                incognite del territorio;

 2. lucida: caratterizzata da un atteggiamento razionale,
 consigliabile quando la deriva si propone di mappare le
                         ambiance;

    3. statica: consigliabile quando si intenda indagare
diacronicamente i luoghi e individuare le unità di tempo inb
             cui si manifestavano le ambiance;

4. spaesante: quando si indagano intensivamente territori
               già largamente esplorati.
La critica di Debord non coglie appieno il
                   punto:

 «Il processo di segregazione urbana stabilisce distanze morali
che fanno della città un mosaico di piccoli mondi che si toccano
 ma non si compenetrano. Ciò rende possibile agli individui di
passare con facilità e rapidità da un ambiente morale all’altro e
 incoraggia l’affascinante ma pericoloso esperimento di vivere
    simultaneamente in parecchi diversi mondi contigui, ma
    nettamente separati. Tutto ciò tende a dare alla città un
    carattere superficiale e avventizio; tende a complicare le
 relazioni sociali e a produrre nuovi e divergenti tipi individuali
                       (R. Park, 1967, tr. it)»
Letture consigliate (facoltative per l’esame):
Sinclair, I. (2008), London Orbital, Il Saggiatore, Milano
Vazquez, D. (2010), Manuale di psicogeografia, Nerosubianco, Roma.
Henri Lefebvre:
lo spazio critico
e la critica dello
      spazio
«Che lo spazio abbia
            assunto, nel modo di
       produzione attuale e nella
   ‘società in atto’ una specie di
       realtà propria, allo stesso
titolo e con lo stesso processo
         globale della merce, del
             denaro, del capitale,
    anche se in modo diverso, è
           un postulato che molti
                          rifiutano.
        Alcuni, di fronte a questo
         paradosso, chiederanno
prove; visto che lo spazio così
            prodotto serve come
  strumento sia di pensiero, sia
  di azione, sia come mezzo di
                  produzione, sia,
        contemporaneamente, di
controllo, dunque di dominio e
      di potere – ma visto anche
      che sfugge parzialmente a
     coloro che se ne servono».

             (Henri Lefebvre,
    La production de l’éspace,
                         1974)
Oltre la dialettica
     spaziale
«Lo spazio sociale potrà venire esplorato nella
 sua particolarità quanto più esso smetterà di
  essere indistinguibile dallo spazio mentale
(come definito dai filosofi e dai matematici) da
 un lato, e dallo spazio fisico (come definito
     dall’attività pratico-sensoriale e dalla
      percezione della ‘natura’) dall’altro.
 Lo spazio sociale non è costituito né da una
collezione di oggetti o da un aggregato di dati
   sensoriali, né da un vuoto riempito di vari
 contenuti: esso è irriducibile a una ‘forma’
    imposta sui fenomeni, sulle cose, sulla
                 materialità fisica».
La dialettica triplice dello spazio

Lefebvre ha proposto il superamento
della dialettica spaziale attraverso il
              concetto di
  dialettica triplice dello spazio
                ovvero:
           spazi percepiti;
           spazi concepiti;
             spazi vissuti.
La dialettica triplice dello spazio

 Lefebvre ha poi ulteriormente precisato il
                concetto di
      dialettica triplice dello spazio
                      in:
    pratiche spaziali (éspace perçu);

rappresentazioni spaziali (éspace conçu);
spazi di rappresentazione (éspace veçu).
«Ogni società produce, dà forma e utilizza
il proprio spazio, vale a dire ha una propria
pratica spaziale. Le relazioni di produzione
danno poi origine a delle rappresentazioni
     dello spazio (ad esempio quelle di
    scienziati, urbanisti, ingegneri sociali),
    mentre altri codici ancora creano degli
spazi di rappresentazione (ad esempio lo
    spazio direttamente vissuto attraverso
   immagini e simboli ad esso associati, e
    dunque lo spazio degli abitanti e degli
                    utenti)».
Dominio                                        Produzione
e controllo dello spazio                       di spazio

proprietà privata della terra;                 produzione di infrastrutture fisiche             pratiche spaziali materiali
divisioni stati e amministrative               (trasporti e comunicazioni;                      (esperienza)
dello spazio;                                  ambienti edificati; adeguamento
comunità e quartieri esclusivi;                del territorio);
zonizzazione esclusiva e altre                 organizzazione territoriale delle
forme di controllo sociale (polizia            infrastrutture sociali
e sorveglianza)

spazi proibiti;                                nuovi sistemi di mappatura;                      rappresentazione dello spazio
imperativi territoriali;                       rappresentazione visiva;                         (percezione)
comunità;                                      comunicazioni;
cultura regionale;                             ‘nuovi discorsi’ artistici e
nazionalismo;                                  architettonici
geopolitica;                                   semiotica
gerarchie

assenza di familiarità;                        Programmi utopici;                               spazi di rappresentazione
spazi di paura;                                paesaggi immaginari;                             (immaginazione)
proprietà e possesso;                          ontologie e spazi fantascientifici;
monumentalità e spazi rituali                  schizzi d’artista;
costruiti;                                     mitologie dello spazio e del luogo;
barriere simboliche e capitale                 poetica dello spazio;
simbolico;                                     spazi di desiderio
costruzione della tradizione;
spazi di repressione

Fonte: Harvey, D. (1990), La crisi della modernità [ispirato a Lefebvre, H. (1974), La production de l’éspace]
ricapitolando:

     Le pratiche spaziali materiali si
 riferiscono ai flussi, ai trasferimenti e
     alle interazioni di ordine fisico e
materiale che avvengono nello spazio e
     attraverso lo spazio in modo da
        assicurare la produzione la
            riproduzione sociale
Le rappresentazioni dello spazio
 comprendono tutti i segni e i significati, i
codici e la conoscenza che permettono alle
   pratiche materiali di essere discusse e
      comprese, sia nei termini del senso
   comune, sia nei termini del gergo delle
discipline professionali e accademiche che
        si occupano di partiche spaziali
  (l’ingegneria, l’architettura, la geografia,
         l’ecologia, la sociologia, ecc.)
Gli spazi di rappresentazione sono
invenzioni mentali (codici, discorsi spaziali,
    programmi utopistici o probabilistici,
    paesaggi immaginari o immaginati,
coistruzioni materiali come spazi simbolici,
       specifici ambienti edificati) che
   immaginano nuovi significati e nuove
     possibilità per le pratiche spaziali
«Ho fatto questi progetti come se
          fossero stati proposti a me da
 qualcun altro, voglio dire da qualcuno
     che si sia spostato dalla traiettoria
 permanente dei pensieri involuti sulle
   città, avendo pensato che i pensieri
 involuti sulle città in fondo non hanno
         fatto che tramandare finora, da
 qualunque parte si siano cominciati o
        si si siano condotti, l’idea folle e
pericolosa, l’idea malata e aggressiva
che gli uomini ‘devono’ vivere soltanto
        per lavorare per ‘produrre’ e poi
               consumare. Ho progettato
      immaginando che qualcuno si sia
       spostato con il pensiero e con le
           azioni dalla morale dell’uomo
 ‘lavoratore produttivo’ e si sia avviato
     a pensare che gli uomini possono
       vivere (se vogliono) per vivere e
        possono lavorare, se vogliono –
    casomai – per sapere con il corpo,
       con la psiche e con il sesso, che
                         stanno vivendo».

                        Ettore Sottsass,
          Il pianeta come festival, 1973
Lo spazio della vita
    quotidiana
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 vita quotidiana
Il momento urbano
Per Lefebvre l'urbanizzazione deve essere
 considerata come un processo sociale
     fondato nello spazio nel quale
  un'ampia varietà di attori con differenti
      obiettivi e agende interagiscono
 attraverso una combinazione di pratiche
       spaziali tra loro concatenate.

  In una società classista come quella
   capitalista, queste pratiche spaziali
  producono dei precisi effetti sociali.
Nella sua opera più importante (La production de
  l’éspace, 1974), Lefebvre sostiene che con il
ventesimo secolo è iniziato il momento urbano.

    Per momento urbano, Lefebvre intende una
svolta storica (che possiamo fare coincidere con
 il manifestarsi della crisi fordista), nella quale la
società industriale capitalista è stata trascesa – in
      termini dialettici – dalla società urbana.

          Nel momento urbano non è più
l'industrializzazione a produrre urbanizzazione ad
      essa asservita, ma è l'esatto contrario.
In termini strettamente marxiani ciò significa
che, nella produzione dello spazio urbano, è il
      circuito secondario del capitale
– quello che riguarda la produzione di surplus
     non più attraverso la produzione, ma
  attraverso la finanza e la speculazione – a
          essere divenuto egemone.

Lo spazio urbano, rappresentato dall'ambiente
 costruito, non è solo una forza produttiva –
  una derivata secondaria di più importanti
processi sociali ed economici – ma è diventato
            un oggetto di consumo.
Per Lefebvre, il capitalismo ha iniziato il proprio
declino, ma non nel modo in cui aveva previsto
                      Marx.
 Con il momento urbano si verifica una svolta
  nella quale le tesi sostenute da Marx ne Il
   Capitale iniziano ad apparire come degli
                 artefatti storici.
La visione utopica di Lefebvre non gli impedisce
di considerare che l’unico modo per controllare
e organizzare lo spazio urbano è rappresentato
 dalla sua frammentazione in parti liberamente
             scambiabili sul mercato.
Poiché la tradizionale concezione di
 rivoluzione socialista – tutta concentrata
  sul possesso dei mezzi di produzione e
  sulla lotta di classe – non avrebbe mai
     potuto produrre una nuova era di
     urbanizzazione, si rendeva allora
 necessario un radicale spostamento degli
  obiettivi, individuando come priorità di
azione le pratiche attraverso le quali la vita
 umana avrebbe potuto auto-organizzarsi
      all’interno di nuovi spazi sociali.
«La teoria della proprietà ‘immobiliare’ (con i suoi tratti
   caratteristici: rendita del suolo e commercializzazione dello
spazio, investimenti di capitali e occasioni di profitto, ecc.), che
 ha costituito a lungo un settore secondario, progressivamente
  integrato al capitalismo, è ancora in corso di elaborazione».

 Sostenendo il concetto che gli investimenti nel
   settore immobiliare spingono le politiche di
    crescita delle città in modi assai specifici,
  Lefebvre suggerisce che il real estate non è
  (solo) un caso particolare di trasformazione
dello spazio – una derivata del circuito primario
 – ma un processo di riproduzione nel quale le
attività sociali non riguardano solo le interazioni
     tra gli individui ma anche tra gli spazi.
Nottola: «Lo so che la città sta là e da
  quella parte sta andando perché il piano
  regolatore così ha stabilito. Ma è proprio
per questo che noi da là, la dobbiamo fare
                              arrivare qua».

    Compari di Nottola: «E ti pare una cosa
    facile? Cambiamo il piano regolatore?»

   Nottola: «Non c’è bisogno. La città va in
là? Questa è zona agricola. Quanto la puoi
 pagare oggi? 300, 500, 1.000 lire al metro
                                      quadrato?
    Ma domani, questa terra, questo stesso
 metro quadrato (traccia con un bastone un
      quadrato sulla terra),ne può valere 60,
 70.000 e pure di più. Tutto dipende da noi:
                            il 5.000% di profitto.
      Eccolo là (indica la città): quello è l’oro
          oggi. E chi te lo dà? Il commercio?
       L’industria? L’avvenire industriale del
                                   Mezzogiorno?
          Investili i tuoi soldi in una fabbrica!
   Sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa
   malattia... ti fanno venire l’infarto queste
      cose. E invece, niente affanni e niente
 preoccupazioni. Tutto guadagno e nessun
    rischio. Noi dobbiamo solo fare in modo
che il Comune porti qua le strade, le fogne,
        l’acqua, il gas, la luce e il telefono».

          (F. Rosi, Le mani sulla città,1963)
Nella nozione di diritto alla città, era
 esplicitamente presente una sollecitazione
    alla mobilitazione politica finalizzata a
       consentire l’accesso agli opposti:
 l’individualità e l’associazione; la privacy e
                l’abitare insieme.

  Nella visione deliberatamente utopica di
Lefebvre, era presente il concetto di diritto
 all’opera, inteso come capacitazione della
società urbana di partecipare alla (e di fruire
in modo attivo della) costruzione della città.
«Nel quadro urbano, le lotte
     di fazione, di gruppo, di
classe, rinforzano il senso di
       appartenenza. Le lotte
politiche tra ‘popolo minuto’
            e ‘popolo grasso’,
      aristocrazia, hanno per
 terreno e per posta la città.
  Questi gruppi sono rivali in
     amore per la loro città».

                   H. Lefebvre,
     Il diritto alla città, 1968
Erving Goffman:
     la vita
   quotidiana
  come teatro
«Noi siamo sempre
     sulla scena anche
 quando pensiamo di
essere assolutamente
    spontanei e sinceri
  nelle nostre reazioni
      dinanzi agli altri».

          Erving Goffman,
  La vita quotidiana come
  rappresentazione, 1959
L’approccio
drammaturgico
L’approccio drammaturgico considera le
   interazioni quotidiane come una recita
     teatrale. Come in un teatro, esiste un
 palcoscenico (la ribalta) e un retroscena.
 La ribalta vincola il soggetto a seguire un
 preciso copione (p. es., mostrarsi sempre
            appropriato e decoroso).
     Il retroscena, prevede più scioltezza e
   l’occultazione di quegli aspetti che non
gioverebbero alla rappresentazione del sé.
Non esiste un unico teatro con un’unica
   ribalta e un unico retroscena perché un
  individuo agisce in numerosi e differenti
                contesti sociali.

Per Goffman gli individui determinano il loro
 comportamento in relazione al ruolo che
  occupano in un determinato momento
    («in ‘quel determinato momento’»).
Un individuo può essere
contemporaneamente un datore di lavoro,
un padre/madre di famiglia, un attivista in
     un’associazione di volontariato.

    Per Goffman, in ciascuno di questi
differenti contesti sociali l’individuo porta
   dentro di sé il condensato di tutte le
 norme e i valori di riferimento degli altri
    ruoli che agisce negli altri contesti.
La ribalta è il luogo dove l’individuo
rappresenta tutte quelle situazioni sociali in
cui egli deve agire rispettando le norme ed i
   valori di riferimento della società, cioè
quelle situazioni in cui l’individuo deve dare
una risposta positiva alle aspettative che la
    società ha in quel momento nei suoi
                   confronti.
   Si tratta di aspettative che sono legate
strettamente al ruolo che ha (o che intende
           dare) in quel momento.
Il retroscena è il luogo dove l’individuo
rappresenta tutte quelle situazioni in cui egli
riesce a liberarsi dai condizionamenti sociali
             imposti dalla ribalta.

  Nel retroscena l’individuo si comporta e
agisce non in risposta alle aspettative altrui,
ma facendo riferimento ai propri bisogni e ai
     propri valori di riferimento in quel
                 momento.
Per Goffman la società coincide
      con la somma dei
  comportamenti dei singoli
           individui
guido.borelli@iuav.it
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