GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI L'ORDINAMENTO GIURIDICO INTERNAZIONALE
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______________1______________ GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI L’ORDINAMENTO GIURIDICO INTERNAZIONALE L’ordinamento giuridico internazionale a differenza degli ordinamenti giuridici statali è privo di: - un legislatore - un giudice - un apparato di polizia L’ordinamento giuridico internazionale presenta queste caratteristiche perché a differenza delle società statali non ha vissuto quel processo di centralizzazione del potere nelle mani di un sovrano. Il dato che caratterizza l’ordinamento giuridico internazionale è che i principali attori sono gli Stati: come negli ordinamenti interni accanto alle persone fisiche, principali attori, ci sono le persone giuridiche, così anche nell’ordinamento internazionale gli Stati, principali protagonisti dell’ordinamento internazionale, hanno creato organizzazioni internazionali, enti dotati di una personalità giuridica autonoma, distinta rispetto a quella degli Stati e che si affiancano agli Stati. Il fenomeno delle organizzazioni internazionali è un fenomeno relativamente recente: le prime organizzazioni sono state create agli inizi del XX secolo, oggi abbiamo una miriade di organizzazioni che sono molte di più degli Stati. Il diritto internazionale più moderno regola non soltanto la condotta degli Stati, la convivenza tra Stati, i rapporti tra Stati ed organizzazioni internazionali, ma in un’evoluzione estremamente importante, tende sempre più ad indirizzarsi anche agli individui: ci sono norme internazionali che sembrano avere come destinatari proprio gli individui. Mentre il diritto internazionale classico, quello degli inizi del ‘900, ignorava totalmente gli individui e dunque gli unici soggetti cui esso si riferiva erano gli Stati, oggi il diritto internazionale tende a superare il velo della sovranità statale e ad indirizzarsi agli individui, riconoscendo loro dei diritti (pensiamo alle norme internazionali a tutela dei diritti dell’uomo) o imponendo loro degli obblighi (pensiamo alle norme internazionali che reprimono a livello penale taluni comportamenti posti in essere dagli individui). Pertanto il diritto internazionale, pur essendo ancora oggi un diritto che volto principalmente a regolare i rapporti tra gli Stati o tra gli Stati e le organizzazioni internazionali tende sempre più ad ingerirsi nella vita degli individui per regolare la loro condotta o per prestare loro delle garanzie. Il dato caratterizzante della società internazionale è che i principali soggetti sono gli Stati, enti che da un punto di vista formale si trovano tutti su un piano di parità e quindi il principio base che regola le relazioni internazionali è il principio della sovrana eguaglianza degli Stati, in base al quale non può esserci uno Stato che accentri in sé poteri di natura legislativa, giurisdizionale o coercitiva e che si trovi, pertanto, in una posizione sovra ordinata rispetto agli altri. Lo stesso art. 2 della Carta delle Nazioni Unite accoglie questo 1
principio, laddove afferma che: “l’Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri”. Conseguenze che derivano dal principio della sovrana eguaglianza degli Stati. 1) Carattere della società internazionale. Nessuno Stato ha il potere di situarsi su una posizione sopraelevata rispetto agli altri, quindi la società internazionale ha un carattere paritetico, orizzontale. 2) Potere legislativo nell’ordinamento internazionale. La società internazionale ha un carattere paritetico, dal punto di vista della creazione delle norme giuridiche non vi è uno Stato che possa legiferare per conto degli altri ed imporre l’osservanza di quanto legiferato agli altri. Quindi le regole internazionali sono regole accettate dagli Stati attraverso la conclusione di accordi oppure gli Stati subiscono queste regole attraverso quel lento processo di sedimentazione che porta alla formazione delle consuetudini, le quali si impongono non perché qualcuno le impone agli altri ma perché vengono piano piano accettate fino a che non vengono avvertite come giuridicamente vincolanti. La consuetudine è il tipico meccanismo di produzione normativa. 3) Potere giurisdizionale nell’ordinamento internazionale. Uno Stato può essere sottoposto al giudizio di un giudice in quanto quello Stato abbia accettato la competenza del giudice. La funzione giurisdizionale a livello internazionale ha carattere arbitrale, nel senso che un giudice internazionale comunque costituito non può mai giudicare se la sua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tutti gli Stati parti di una controversia. 4) Potere coercitivo nell’ordinamento internazionale. Nelle società statali sono legittimate ad esercitare il potere coercitivo soltanto le forze di polizia che fanno capo allo Stato. L’unica deroga al principio secondo cui l’uso della forza è monopolio esclusivo dello Stato è la legittima difesa: un cittadino è autorizzato ad usare la forza contro un altro cittadino solo in ragione delle particolari circostanze nelle quali esso si trovi, cioè solo quando il cittadino non ha tempo di chiamare la forza pubblica. Al contrario, in una società paritetica come quella internazionale, quando uno Stato viola un obbligo internazionale che ha nei confronti di un altro Stato, il meccanismo sanzionatorio che scatta in questa situazione è rappresentato dalla contromisura in base alla quale chi ha subito l’illecito può agire per difendersi. Ad esempio, se un trattato impone all’Italia di non alzare i dazi doganali per le importazioni provenienti dalla Cina e l’Italia li alza, la Cina è autorizzata dal diritto internazionale a violare di un obbligo che ha verso l’Italia. Anche nel diritto internazionale è possibile la legittima difesa: se uno Stato aggredisce un altro Stato, lo Stato aggredito può rispondere con la forza armata. Il giurista di diritto interno che vede nella sanzione l’elemento caratterizzante la norma giuridica, è portato a pensare che il diritto internazionale, difettando di un apparato 2
centrale in grado di prevalere sui consociati, non sia un diritto o sia un diritto scarsamente effettivo. In realtà il diritto internazionale si può considerare come un vero e proprio diritto per tre motivi essenziali. 1. Il diritto internazionale ammette la reazione all’illecito commesso da uno Stato, solo che tale reazione è rimessa principalmente a chi ha subito l’illecito. 2. Nel diritto internazionale vige il principio del divieto dell’uso della forza: chi ha subito un illecito, a meno che non si tratti di un’aggressione armata e si ricada nell’ipotesi della legittima difesa, non può ricorrere alla forza. Nella società internazionale il valore della pace prevale su ogni altro valore. 3. Il diritto internazionale ha una funzione regolativa: nel diritto internazionale la fase della sanzione non è determinante perché la funzione principale del diritto internazionale è quella di stabilire delle regole di condotta, che nella maggior parte dei casi sono rispettate dagli Stati, perché gli Stati ne hanno bisogno. Ci sono numerosi trattati che si occupano delle rotte aeree, marine, dello scambio dei passeggeri, dell’ingresso nelle frontiere, degli scambi commerciali che sono applicate quotidianamente e l’anarchia che deriverebbe dall’assenza di queste regole provocherebbe un dramma nei rapporti tra gli Stati. Quindi nel diritto internazionale ad assicurare il rispetto delle norme non è il timore della sanzione, ma la consapevolezza dell’utilità sociale delle norme. Conseguenze che derivano dalla disuguaglianza di fatto tra gli Stati. Il principio della sovrana uguaglianza degli Stati si afferma sul piano formale, ma dal punto di vista della realtà fattuale gli Stati non sono tutti uguali: ci sono Stati più piccoli, più ricchi, meno ricchi. Questa disuguaglianza di fatto ha delle conseguenze sul piano dell’effettiva applicazione delle norme perché lo Stato più forte è suscettibile di svincolarsi da taluni obblighi che il diritto internazionale gli impone. Ad esempio, dopo la rottura del duopolio mondiale Stati Uniti-Unione Sovietica, gli Stati Uniti sono divenuti l’unica superpotenza e quando gli Stati Uniti violano le regole internazionali, ad esempio con l’invasione dell’Iraq, non c’è nessuno Stato che utilmente possa lamentarsi e prendere delle contromisure nei confronti degli Stati Uniti, non solo per motivi politici ma anche per motivi di forza. Questo però non significa che i più forti non rispettino il diritto internazionale, infatti gli Stati Uniti sono i primi ad avere un interesse enorme a rispettare il diritto internazionale poiché sanno che violare il diritto internazionale crea un precedente che un domani potrebbe essere invocato ad esempio dalla Russia, dalla Cina, dall’India ecc. Gli Stai più forti sono quindi i primi a sapere che il diritto internazionale ha una funzione regolativa senza la quale i loro stessi interessi nazionali risulterebbero pregiudicati. Rispettare il diritto internazionale risponde nella maggior parte dei casi non tanto ad un ideale superiore di giustizia, quanto agli interessi nazionali degli Stati ed è per questo che il 3
diritto internazionale gode di una certa effettività ed è configurabile come un ordinamento giuridico anche se non ha vissuto quel processo di accentramento del potere che ha caratterizzato le realtà statali. L’Organizzazione delle Nazioni Unite. Un tentativo di verticalizzare la società internazionale c’è stato attraverso la creazione dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). Si tratta di un’organizzazione internazionale alla quale gli Stati hanno attribuito dei poteri eccezionali, a cominciare dal monopolio dell’uso della forza armata. L’ONU nasce alla fine della seconda guerra mondiale per volontà delle potenze vincitrici, principalmente Stati Uniti ed Unione Sovietica, ma anche Cina, Francia, Regno Unito. Oggi aderiscono quasi tutti gli Stati del mondo. Quindi abbiamo una situazione in cui si può ravvisare un tentativo di governare la società internazionale ma in realtà ci accorgiamo che questo è più un ideale che una realtà effettiva. Vediamo perché. Le Nazioni Unite sono costituite da una serie di organi. C’è un’Assemblea generale nella quale siedono tutti i rappresentanti degli Stati membri. Questa Assemblea adotta risoluzioni nei confronti di tutti gli Stati; essa non costituisce, tuttavia, un legislatore perché queste risoluzioni altro non sono che raccomandazioni, ovvero inviti che non hanno alcun valore vincolante per gli Stati. C’è un organo giurisdizionale, la Corte Internazionale di Giustizia, ma questa corte resta un giudice che ha potere solo se le parti della controversia glielo attribuiscono. C’è infine un organo di cui si parla spesso nei telegiornali, nei giornali, il Consiglio di sicurezza. La Carta attribuisce dei poteri enormi al Consiglio di sicurezza: art 2 paragrafo 4: vieta agli Stati di usare la forza; art 42: il Consiglio di sicurezza ha il potere di intraprendere azioni militari contro uno Stato, accentrando dunque l’uso della forza in capo al Consiglio di sicurezza. Questo quadro, dall’adozione della Carta ad oggi non sempre funzionato come avrebbe dovuto. Molte delle guerre che si sono verificate non hanno visto intervenire il Consiglio di sicurezza. Il Consiglio di sicurezza è rimasto spesso al di fuori delle crisi belliche. Dal ‘45 al ‘90, il duopolio Stati Uniti-Unione Sovietica (entrambi dotati di un potere di veto) ha impedito al Consiglio di funzionare, perché uno Stato o ricadeva nella sfera di influenza sovietica o nella sfera di influenza statunitense e allora se ricadeva nella sfera di influenza sovietica e gli Stati Uniti proponevano delle misure contro di esso l’Unione Sovietica le bloccava, viceversa accadeva se lo Stato ricadeva nella zona di influenza statunitense. Caduto questo duopolio, dal ‘90 in poi ci sono stati dei casi in cui il Consiglio di sicurezza ha utilizzato la forza ma ben presto gli Stati Uniti hanno perso interesse ad agire per il tramite dell’ONU, si sono resi conto che il Consiglio di sicurezza era un ente che impediva loro di agire liberamente. L’apice lo si è avuto nel 2003, quando gli USA hanno invaso l’Iraq senza tenere conto delle Nazioni Unite. Dal 2003 ad oggi le cose sono cambiate in conseguenza del fallimento della guerra in Iraq; gli Stati Uniti sono ritornati ad agire nell’ambito delle Nazioni Unite. 4
Ricapitolando, tre sono gli aspetti caratterizzanti la società internazionale: 1. è una società fondata sul principio di eguaglianza sovrana degli Stati, quindi è una società paritetica, orizzontale, almeno dal punto di vista formale. 2. è assente nella società internazionale il fenomeno dell’accentramento del potere coercitivo in capo ad un ente; si è così arrivati alla fine della seconda guerra mondiale ad affermare il divieto di uso la forza nelle controversie internazionali. Le controversie internazionali devono essere risolte pacificamente. 3. nella società internazionale non si è avuto un processo di verticalizzazione del potere, ma c’è un’organizzazione internazionale, le Nazioni Unite, costituisce il tentativo forse più ardito di dare alla società internazionale una forma organizzata, dal momento che comprende tra i suoi membri quasi tutti gli Stati della comunità internazionale e che dispone di poteri particolarmente incisivi. 5
______________2______________ IL FUNZIONAMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE (ONU) Principali organi delle Nazioni Unite. Assemblea Generale, di cui fanno parte tutti gli Stati membri dell’Organizzazione. Nel campo del mantenimento della pace l’Assemblea può emettere soltanto raccomandazioni, cioè atti privi di forza obbligatoria. Segretario Generale, carica rivestita da un individuo che rappresenta le Nazioni Unite, gestisce l’apparato amministrativo dell’organizzazione. La Carta non gli attribuisce grandi poteri, limitandosi a stabilire che il Segretario esercita quelle funzioni che gli sono delegate dall’Assemblea o dal Consiglio. Nella prassi, tuttavia, il Segretario generale ha assunto un ruolo abbastanza importante: spesso, senza esserne investito, ha svolto funzioni di conciliazione rispetto a crisi internazionali o crisi interne ad uno Stato. Corte Internazionale di Giustizia, organo a carattere giurisdizionale, composta da 15 giudici, ed oltre ad avere il compito di risolvere le controversie fra Stati applicando il diritto internazionale, svolge un’importante funzione consultiva, su richiesta dell’AG o del Consiglio di sicurezza. Mentre le sentenze emanate in materia contenziosa, sono vincolanti, nel senso che le parti sono tenuti a conformarsi ad esse, i pareri non sono vincolanti per gli organi che li hanno richiesti. Più importante organo delle Nazioni Unite: Consiglio di sicurezza. Consiglio di sicurezza: il principale organo delle Nazioni Unite. L’art. 23 della Carta stabilisce che nel Consiglio di sicurezza siedono 15 Stati: 5 sono membri permanenti, 10 sono membri non permanenti e vengono eletti dall’Assemblea generale ogni due anni sulla base di un’equa distribuzione geografica. Della procedura di voto all’interno del Consiglio di sicurezza si occupa l’art 27: - paragrafo 1: ogni membro del Consiglio di sicurezza dispone di un voto; - paragrafo 2: le decisione del Consiglio di sicurezza su questioni di procedura sono prese con un voto favorevole di 9 membri; - paragrafo 3: le decisioni del Consiglio di sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di 9 membri, nei quali siano compresi i voti dei membri permanenti. 6
Distinzione tra questioni di procedura e questioni non di procedura. - Le questioni di procedura sono ad esempio questioni che attengono all’elezione del presidente del Consiglio di sicurezza, alla decisione di inserire o no un certo tema all’ordine del giorno del Consiglio di sicurezza, oppure alla decisione di nominare i membri di una commissione di inchiesta. - Le questioni non procedurali, vale a dire quelli sostanziali, sono le più importanti. Si pensi all’esercizio da parte del Consiglio di sicurezza dei suoi poteri sanzionatori, come l’imposizione di un embargo commerciale nei confronti di uno Stato o come l’uso della forza armata contro uno Stato. L’art. 27 paragrafo 3, ci dice che in caso di decisioni su questioni sostanziali la delibera viene adottata con una maggioranza di 9 membri ma nella quale siano compresi i voti dei membri permanenti. Quindi se un membro permanente vota contro la delibera, la delibera non può essere adottata. E qui si pone un problema: occorre cioè chiedersi che cosa succede se il membro permanente decide di astenersi dalla votazione. La astensione impedisce l’adozione di una delibera oppure no? Alla luce del dato letterale dell’art. 27, par. 3, sembrerebbe impedire l’adozione della delibera perché si specifica che c’è bisogno di un voto affermativo. Però nella prassi è capitato che alcuni membri permanenti si siano astenuti dalla delibera e la delibera sia stata comunque dichiarata dal presidente del Consiglio di sicurezza come validamente adottata. Una simile prassi é legittima oppure no? La questione è stata affrontata nel ‘71 dalla Corte Internazionale di Giustizia nel parere relativo alla Namibia. La Namibia era una ex colonia tedesca, che le Nazioni Unite avevano affidato al Sud Africa perché ne amministrasse il territorio nelle more dell’ottenimento dell’indipendenza. In realtà il Sud Africa era andato oltre il mandato che gli aveva conferito le Nazioni Unite, poiché di fatto aveva operato come una sorta di inglobamento, una sorta di estensione della propria sovranità sul territorio della Namibia. Il Consiglio di sicurezza dichiarò che il mandato del Sud Africa era cessato. L’Assemblea generale chiese alla Corte Internazionale di Giustizia un parere circa l’effetto che produceva una simile risoluzione. Nel procedimento davanti alla Corte Internazionale di Giustizia il Sud Africa sollevò un’obiezione, adducendo che la risoluzione che poneva fine al suo mandato era invalida perché tale risoluzione era stata adottata con l’astensione di alcuni membri permanenti. Quindi la Corte era chiamata a risolvere questo problema preliminare stabilendo se la delibera del Consiglio di sicurezza fosse stata validamente adottata oppure no. La Corte disse che esisteva ormai una prassi, non contestata dagli Stati, in base alla quale le delibere adottate con l’astensione di uno o più membri permanenti erano considerate validamente adottate e, dunque, anche nel caso di specie, la delibera doveva essere considerata valida. Un altro problema che si è posto con riguardo all’art. 27, par. 3, riguardava cosa succedeva se il membro permanente anziché astenersi dalla votazione, fosse assente. Questo 7
problema si è posto tra la fine degli anni ‘40 e i primi anni ‘50, quando era invalsa tra i delegati dell’Unione Sovietica la prassi della c.d. politica della sedia vuota. Accadeva in sostanza che il rappresentante dello Stato membro permanente non si presentava alla sedute del Consiglio di sicurezza e questo per manifestare tutta la sua opposizione all’attività del Consiglio. Ora, se ci atteniamo al testo dell’art 27, par. 3, ai sensi del quale ci deve essere un voto e deve essere un voto favorevole, occorre concludere che se uno Stato membro neanche si presenta non solo non c’è un voto favorevole ma non c’è neppure un voto. L’astensione è comunque una manifestazione di volontà, una forma di voto, ma nel caso della politica della sedia vuota non c’è neanche questo. Quando l’Unione Sovietica non si presentava, gli Stati Uniti ne approfittavano per far passare una serie di delibere, alcune molto importanti, che hanno poi trovato applicazione. La prassi è andata nel senso di accettare la validità di queste delibere. La conseguenza è stata che la politica della sedia vuota è stata accantonata dall’Unione Sovietica. Riassumendo, l’art. 27, par. 3, non si preoccupa di determinare cosa succede nel caso in cui una delibera venga adottata dal Consiglio di sicurezza senza il voto favorevole di un membro permanente, perché astenuto o assente. Nella prassi, tuttavia, sono state ritenute valide delibere adottate nonostante l’astensione o l’assenza del membro permanente. Tale prassi è stata accettata dagli Stati membri delle NU, tanto che può ritenersi che essa abbia integrato il contenuto dell’art. 27, par. 3. Procedura davanti al Consiglio di sicurezza. La distinzione tra questioni procedurali e questioni non procedurali è una distinzione molto importante perché nel caso di questioni procedurali gli Stati membri permanenti non hanno il potere di veto. Se una questione viene iscritta all’ordine del giorno come questione procedurale, gli Stati membri permanenti non possono bloccare tramite il loro voto negativo l’adozione di una delibera. Appare chiaro dunque che la qualificazione di una questione da trattare diventa un problema estremamente rilevante dal punto di vista politico visti gli effetti che ne conseguono. La Carta delle Nazioni Unite non risolve questo problema e spesso si sono avute in seno al Consiglio di sicurezza discussioni tra gli Stati membri circa il modo in cui una certa questione andava qualificata, se come questione procedurale o come questione non procedurale. Che cosa si ci è inventati allora? Si è applicato un meccanismo, in base al quale si fanno 2 votazioni: prima si vota per decidere se la questione è procedurale o non procedurale; una volta che si è deciso questo, si vota per adottare o meno la risoluzione relativa a quella questione. I problemi però non finiscono qui poiché non è chiaro se il voto sulla questione preliminare, è un voto che prevede o meno l’utilizzo del potere di veto da parte dei membri permanenti. La prassi che si è seguita è quella di permettere al membro permanente che vuole impedire l’adozione della delibera con cui si discute sulla 8
natura di una questione, di avvalersi del potere di veto. Si parla in questo caso di procedura del doppio veto. Ipotizziamo che in Cecenia siano state commesse gravi violazioni dei diritti umani e gli Stati Uniti proponessero di nominare una commissione di inchiesta da mandare in Cecenia. A dire degli USA l’istituzione di una commissione di inchiesta è questione procedurale; di diverso avviso è la Russia, secondo la quale si tratta invece di una questione sostanziale. Al momento del voto, la Russia vota contro la natura procedurale della questione relativa all’istituzione della commissione d’inchiesta; tale questione andrà dunque considerata come sostanziale e al momento della successiva votazione relativa al se istituire o meno la commissione di inchiesta occorrerà che nessuno dei membri permanenti apponga il veto, pena la mancata istituzione della commissione stessa. Modifiche alla Carta delle Nazioni Unite. La Carta delle Nazioni Unite, agli artt. 108 e 109, prevede due procedure di modifica della Carta: - l’art 108 consente che siano apportati emendamenti, con una procedura che prevede un voto del Consiglio di sicurezza ed un voto dell’Assemblea Generale; - l’art 109 disciplina la revisione, imponendo a tal fine la convocazione di una conferenza di Stati membri per provvedere ad una revisione sostanziale della Carta. Qual è la differenza tra modifica e revisione? Gli emendamenti riguardano questioni puntuali, singoli articoli; le revisioni riguardano modifiche di intere parti della Carta. Benché alcune parti della Carta non funzionino, siano cadute in desuetudine, non si è mai giunti ad una revisione per motivi politici. Infatti c’è bisogno di un momento di forte coesione sociale. Oggi questa coesione tra gli Stati non c’è, e quindi c’è il timore che se si aprisse una conferenza di Stati non si arriverebbe a niente. Si potrebbe utilizzare la procedura degli emendamenti. In effetti recentemente ci sono stati dei tentativi di modificare alcune parti, come ad esempio, la composizione del Consiglio di sicurezza. La Carta delle Nazioni Unite dal ‘45 ad oggi è stata formalmente modificata pochissimo, ma di fatto si è modificata in maniera rilevante a seguito dell’attività degli stessi organi delle Nazioni Unite. Si pensi soltanto che il Consiglio di sicurezza ha esercitato dei poteri che la Carta non gli attribuisce: ha creato dei tribunali penali internazionali ma nella Carta non c’è scritto che il Consiglio può istituire organi giurisdizionali; ha autorizzato gli Stati ad usare la forza, ma nella Carta non è prevista questa modalità di intervento armato. In altre parole, la Carta delle Nazioni Unite è un testo che nella sua applicazione pratica ha subito delle forzature interpretative che nel tempo sono state accettate dagli Stati. Ragion per cui può essere affermato che si è così arrivati ad una sorte di modifica tacita della Carta. C’è poi un altro meccanismo attraverso il quale si è giunti nel tempo ad una modifica della Carta e ci si riferisce al modo di interpretare la Carta ONU da parte della Corte 9
internazionale di giustizia. La Corte ha infatti formulato la c.d. teoria dei poteri impliciti delle Nazioni Unite. I poteri impliciti sono quei poteri logicamente necessari per poter raggiungere le finalità che la Carta espressamente si propone. Si tratta di una tecnica in base alla quale si attribuiscono ad un organo dei poteri facendoli derivare dagli obiettivi da raggiungere. Ad esempio, ai sensi dell’art. 101 della Carta il personale amministrativo delle Nazioni Unite è nominato dal Segretario generale secondo le norme stabilite dall’Assemblea generale; è quindi l’Assemblea generale a stabilire le norme mediante le quali il Segretario generale assume le persone. La Carta non stabilisce però cosa succede in caso di controversie di lavoro tra i funzionari delle Nazioni Unite e l’amministrazione centrale. Si può licenziare un funzionario? E se quel funzionario viene licenziato, a quale tribunale si può rivolgere? Per ovviare a tale lacuna, l’Assemblea generale ha creato un tribunale amministrativo delle Nazioni Unite su richiesta del Segretario Generale, il quale cercò di difendere la legittimità di questa decisione sulla base del fatto che egli è posto a capo dell’amministrazione. La questione fu portata dall’Assemblea generale all’attenzione della Corte Internazionale di Giustizia perché esprimesse un parere al riguardo. La Corte disse che l’Assemblea generale era competente a creare il tribunale amministrativo delle Nazioni Unite trattandosi di un potere che implicitamente si desume dall’art 101 della Carta, il quale prevede che sia l’Assemblea a dettare delle norme relative alla nomina dei funzionari delle Nazioni Unite; siccome può dettare norme relative alla nomina, può anche creare un meccanismo per risolvere le controversie di lavoro. Attraverso questa tecnica interpretativa si è quindi giunti a dilatare i poteri conferiti alle Nazioni Unite dalla Carta. I poteri del Consiglio di sicurezza nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tra gli aspetti caratterizzanti l'azione delle Nazioni Unite, quello forse più rilevante è costituito dal tentativo di affidare al Consiglio di sicurezza il monopolio dell'uso dell’uso della forza nelle relazioni internazionali. La Carta delle Nazioni Unite attribuisce al Consiglio poteri in tema di mantenimento della pace, in tre capitoli diversi della Carta. I capitoli che riguardano le funzioni del Consiglio di sicurezza sono: - capitolo VI - capitolo VII - capitolo VIII Lasciamo da parte per il momento il capitolo VIII della Carta, il quale attiene ai rapporti in tema del mantenimento della pace tra il Consiglio di sicurezza e le organizzazioni internazionali di tipo regionale, cioè che raggruppano Stati appartenenti a precise aree geografiche del mondo. Concentriamoci invece, sul capitolo VI e sul capitolo VII. Il capitolo VI è dedicato alla “Soluzione pacifica delle controversie” mentre il capitolo VII è 10
dedicato alle “Azioni rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace e agli atti di aggressione”. Che cos'è che caratterizza il capitolo VI e lo contraddistingue dal capitolo VII? Sono due gli elementi che vengono in rilievo: Il capitolo VI si occupa di quelle situazioni che sono suscettibili di mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale. Si tratta quindi di situazioni in cui c'è un pericolo ma è un pericolo blando, ancora allo stato embrionale. Il capitolo VII si occupa invece di situazioni più gravi, caratterizzate cioè dall'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione. Si tratta dunque di situazioni ben più gravi. Questa è una prima differenza. A questa differenza poi se ne accompagna un’altra, e attiene ai poteri che il Consiglio di sicurezza può utilizzare. I poteri che trovano fondamento nel capitolo VI della Carta, sono poteri relativamente blandi; si tratta perlopiù di raccomandazioni, e dunque di un’attività puramente diplomatica. Il capitolo VII, al contrario, attribuisce al Consiglio di sicurezza poteri estremamente incisivi, a cominciare dal potere di imporre sanzioni economiche e dal potere di usare la forza armata. ______________2.1______________ I POTERI “DIPLOMATICI” DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA Chiarita questa distinzione, cominciamo a vedere più nel dettaglio quali sono i poteri attribuiti al Consiglio dal capitolo VI. Agli artt. 34, 35 e 36 della Carta delle Nazioni Unite si indicano chiaramente quali presupposti oggettivi per l’esercizio dell’attività diplomatica del Consiglio di sicurezza due ipotesi: - o l'esistenza di una controversia la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale - o l'esistenza di una situazione che possa portare ad un attrito internazionale o dar luogo ad una controversia Si tratta ora di capire quale differenza c'è tra controversia e situazione. Questa è una differenza difficile da tracciare. Controversia è il caso in cui si ha una pretesa di uno Stato e un altro Stato che si oppone a quella pretesa (es. Stato1: questo territorio è mio; Stato2: no, quel territorio è mio. Altro es. Stato1: chiede allo Stato 2 di smettere di costruire armi nucleari, Stato2: no, ho il diritto di costruire le armi nucleari). La controversia può essere bilaterale se coinvolge 2 Stati o multilaterale se coinvolge più Stati. La Carta non chiarisce a che cosa una situazione si riferisce. Tuttavia, fa derivare alcune conseguenze dal fatto di qualificare una certa ipotesi come situazione o come controversia. 11
L’art. 27, paragrafo 3 – relativo alle procedure di voto in seno al Consiglio di sicurezza – dice che nelle decisioni previste dal capitolo VI lo Stato membro che sia parte di una controversia deve astenersi dal voto. L’art. 27 paragrafo 3 fa riferimento solo all’ipotesi in cui il Consiglio si occupi di controversie, e non anche di situazioni. La stessa distinzione la troviamo in un altro articolo, l’art. 32 – che riguarda il diritto di partecipare alle sedute del Consiglio di sicurezza da parte di Stati che non siano membri del Consiglio di sicurezza. Questo articolo dice che ogni membro delle Nazioni Unite che non sia membro del Consiglio di sicurezza od ogni Stato che non sia membro delle Nazioni Unite qualora sia parte di una controversia in esame davanti al Consiglio di sicurezza, sarà invitato a partecipare senza diritto di voto relativo alla controversia. Si tratta di un diritto limitato all’ipotesi della controversia, e allora dovremmo domandarci quand’è che ci troviamo di fronte una controversia e quand’è che ci troviamo di fronte una situazione. In dottrina è stato sostenuto che con tutta probabilità una situazione ricorra ogniqualvolta il Consiglio di sicurezza si occupi di una vicenda del tutta interna ad uno Stato. Immaginiamo il caso di uno Stato che commetta un genocidio ai danni della propria popolazione. Secondo questa tesi, dunque, si ha una controversia ogniqualvolta ad essere coinvolti siano due o più Stati; si è invece in presenza di una situazione quando ad essere coinvolto è un unico Stato. Questo è un problema che la Carta pone ma che non risolve e rispetto al quale la prassi del Consiglio di sicurezza è alquanto incerta e contraddittoria. Un elemento interessante si rinviene nel parere reso dalla Corte internazionale di giustizia in merito alla Namibia. In quell’occasione il Sud Africa, per contestare la validità della risoluzione del Consiglio di sicurezza che poneva fine al mandato, sostenne che quella risoluzione riguardava una controversia, appunto la controversia relativa al suo mandato in Namibia sorta tra il Sud Africa ed altri Stati membri delle NU che avevano contestato al Sud Africa di aver esteso un regime di apartheid anche in Namibia, e per questo motivo avevano chiesto la cessazione del mandato. Tuttavia, contrariamente a quanto richiesto dall’art. 27 paragrafo 3 della Carta, gli Stati che si opponevano alla continuazione del mandato del Sud Africa in Namibia votarono l’adozione della delibera, quando invece avrebbero avuto l’obbligo di astenersi dal voto. La Corte come rispose? Questo è un punto importante perché ci si poteva attendere dalla Corte un chiarimento su cosa si dovesse intendere per situazione e cosa di dovesse intendere per controversia, invece la Corte risolse la questione in modo piuttosto sbrigativo, sostenendo che la vicenda del Sud Africa in Namibia era stata iscritta all’ordine del giorno del Consiglio di sicurezza con la denominazione di “situazione” e non con quella di “controversia” e che al momento dell’iscrizione all’ordine del giorno con la qualificazione di situazione il Sud Africa non protestò, non sollevò obiezioni e quindi non aveva diritto di farlo in seguito. Vediamo chiaramente che la risposta della Corte non ci da molte informazioni. 12
Chiariti quali sono i presupposti oggettivi per l’azione del Consiglio di Sicurezza, andiamo ora a vedere quali sono i poteri di cui il Consiglio può disporre al ricorrere di tali presupposti. L’art. 33, al paragrafo 1, ci dice che quando c’e’ una controversia la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo la pace, le parti debbono perseguire la soluzione della controversia mediante procedimenti diplomatici (negoziato, inchiesta, buoni uffici, mediazione, e conciliazione) o procedimenti arbitrali o giudiziari. Al paragrafo 2 si afferma che il Consiglio di sicurezza, ove lo ritenga necessario, invita le parti a regolare la loro controversia mediante uno di tali mezzi. L’art. 36, al paragrafo 1, ci dice qualcosa di molto simile. Il paragrafo 1 afferma che il Consiglio di sicurezza può in qualsiasi fase di una controversia o di una situazione, raccomandare procedimenti o metodi di soluzione adeguati. Ad una prima lettura sembrerebbe che queste due norme non fanno altro che ripetere la stessa cosa, ossia, che il Consiglio può raccomandare un metodo di soluzione della controversia, in realtà c’e’ una differenza, sottile ma c’è: - l’invito che il Consiglio fa in base all’art. 33, paragrafo 2, è un invito di tipo generico, è l’invito a risolvere pacificamente la controversia attraverso mezzi la cui scelta spetta alle parti; - al contrario l’art.36, paragrafo 1 fa riferimento ad un invito di tipo specifico, cioè il Consiglio può invitare le parti a risolvere la controversia mediante uno specifico mezzo; è il Consiglio stesso che indica quello che a suo avviso è il metodo più adeguato per risolvere la controversia. Occorre ora chiedersi se, quando il Consiglio fa queste raccomandazioni, gli Stati hanno l’obbligo di risolvere la controversia oppure no. La risposta è negativa, trattandosi appunto di raccomandazioni. Altro punto importante, l’art.33 e l’art.36 fanno riferimento soltanto ad un invito a rivolgersi ad un mezzo di risoluzione delle controversie, sia esso scelto dalla parti della controversia stessa o individuato dal Consiglio di sicurezza. In base a queste due norme però, il Consiglio di sicurezza non può indicare esso stesso qual è la soluzione da adottare; non può cioè entrare nel merito della controversia e stabilire chi ha torno e chi ha ragione. Questo potere è invece riconosciuto al Consiglio da un'altra disposizione del capitolo VI, e cioè dall’art. 37. Il paragrafo 1 afferma che: “se le parti di una controversia non riescono a regolarla con i mezzi predisposti dall’ordinamento, esse devono deferirla al Consiglio di Sicurezza. Ai sensi del paragrafo 2: “se il Consiglio di Sicurezza ritiene che la continuazione della controversia sia in fatto suscettibile di mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale, esso decide se agire a norma dell’art. 36 o, ed è questo il punto che a noi interessa, raccomandare quella soluzione che esso ritenga adeguata. Leggendo l’art. 37 si ha l’impressione che questo potere di indicare “termini di regolamento” - questo è il termine tecnico che si usa - sia un potere sottoposto a 13
due condizioni: la prima è che entrambe le parti abbiano sottoposto la controversia al Consiglio di sicurezza, la seconda condizione è che questa misura costituisca una sorta di estrema ratio, ovvero una soluzione di ultima istanza, alla quale dovrebbe ricorrersi solo dopo che non si è riusciti attraverso altri mezzi a dirimere la controversia. Queste sembrerebbero essere due condizioni necessarie; di fatto nella prassi, il Consiglio di sicurezza ha indicato termini di regolamento, soluzioni nel merito della controversia senza dover domandarsi se queste due condizioni fossero state o meno rispettate. Per chiudere con il capitolo VI resta da analizzare un’ultima disposizione, che è l’art. 34, dove è previsto un potere molto importante, ovvero il potere del Consiglio di sicurezza di fare inchieste internazionali. Le inchieste che cosa sono? Sono operazioni volte all’accertamento di fatti, quindi non alla qualificazione giuridica di fatti. Questo potere normalmente presuppone un’attività di inchiesta che può essere efficace se svolta in loco, cioè se la commissione di esperti è incaricata dal Coniglio di sicurezza di recarsi sul territorio di uno Stato. Qui si pone un problema: consiste nel vedere se lo Stato sul cui territorio l’inchiesta deve essere svolta è obbligato o meno a consentire l’ingresso degli esperti sul proprio territorio. La Carta non lo dice espressamente; tuttavia considerato che l’art. 34 non prevede poteri vincolanti del Consiglio di sicurezza, è ragionevole concludere nel senso che lo Stato possa rifiutarsi di permettere alla commissione d’inchiesta di operare sul proprio territorio. 14
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