GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI L'ORDINAMENTO GIURIDICO INTERNAZIONALE

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        GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI L’ORDINAMENTO
                  GIURIDICO INTERNAZIONALE

L’ordinamento giuridico internazionale a differenza degli ordinamenti giuridici statali è
privo di:
   - un legislatore
   - un giudice
   - un apparato di polizia

L’ordinamento giuridico internazionale presenta queste caratteristiche perché a differenza
delle società statali non ha vissuto quel processo di centralizzazione del potere nelle mani
di un sovrano.

Il dato che caratterizza l’ordinamento giuridico internazionale è che i principali attori sono
gli Stati: come negli ordinamenti interni accanto alle persone fisiche, principali attori, ci
sono le persone giuridiche, così anche nell’ordinamento internazionale gli Stati, principali
protagonisti dell’ordinamento internazionale, hanno creato organizzazioni internazionali,
enti dotati di una personalità giuridica autonoma, distinta rispetto a quella degli Stati e che
si affiancano agli Stati. Il fenomeno delle organizzazioni internazionali è un fenomeno
relativamente recente: le prime organizzazioni sono state create agli inizi del XX secolo,
oggi abbiamo una miriade di organizzazioni che sono molte di più degli Stati.

Il diritto internazionale più moderno regola non soltanto la condotta degli Stati, la
convivenza tra Stati, i rapporti tra Stati ed organizzazioni internazionali, ma in
un’evoluzione estremamente importante, tende sempre più ad indirizzarsi anche agli
individui: ci sono norme internazionali che sembrano avere come destinatari proprio gli
individui. Mentre il diritto internazionale classico, quello degli inizi del ‘900, ignorava
totalmente gli individui e dunque gli unici soggetti cui esso si riferiva erano gli Stati, oggi il
diritto internazionale tende a superare il velo della sovranità statale e ad indirizzarsi agli
individui, riconoscendo loro dei diritti (pensiamo alle norme internazionali a tutela dei
diritti dell’uomo) o imponendo loro degli obblighi (pensiamo alle norme internazionali che
reprimono a livello penale taluni comportamenti posti in essere dagli individui).

Pertanto il diritto internazionale, pur essendo ancora oggi un diritto che volto
principalmente a regolare i rapporti tra gli Stati o tra gli Stati e le organizzazioni
internazionali tende sempre più ad ingerirsi nella vita degli individui per regolare la loro
condotta o per prestare loro delle garanzie.

Il dato caratterizzante della società internazionale è che i principali soggetti sono gli Stati,
enti che da un punto di vista formale si trovano tutti su un piano di parità e quindi il
principio base che regola le relazioni internazionali è il principio della sovrana eguaglianza
degli Stati, in base al quale non può esserci uno Stato che accentri in sé poteri di natura
legislativa, giurisdizionale o coercitiva e che si trovi, pertanto, in una posizione sovra
ordinata rispetto agli altri. Lo stesso art. 2 della Carta delle Nazioni Unite accoglie questo
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principio, laddove afferma che: “l’Organizzazione è fondata sul principio della sovrana
eguaglianza di tutti i suoi Membri”.

 Conseguenze che derivano dal principio della sovrana eguaglianza degli
Stati.

1) Carattere della società internazionale.
Nessuno Stato ha il potere di situarsi su una posizione sopraelevata rispetto agli altri,
quindi la società internazionale ha un carattere paritetico, orizzontale.

2) Potere legislativo nell’ordinamento internazionale.
La società internazionale ha un carattere paritetico, dal punto di vista della creazione delle
norme giuridiche non vi è uno Stato che possa legiferare per conto degli altri ed imporre
l’osservanza di quanto legiferato agli altri. Quindi le regole internazionali sono regole
accettate dagli Stati attraverso la conclusione di accordi oppure gli Stati subiscono queste
regole attraverso quel lento processo di sedimentazione che porta alla formazione delle
consuetudini, le quali si impongono non perché qualcuno le impone agli altri ma perché
vengono piano piano accettate fino a che non vengono avvertite come giuridicamente
vincolanti. La consuetudine è il tipico meccanismo di produzione normativa.

3) Potere giurisdizionale nell’ordinamento internazionale.
Uno Stato può essere sottoposto al giudizio di un giudice in quanto quello Stato abbia
accettato la competenza del giudice. La funzione giurisdizionale a livello internazionale ha
carattere arbitrale, nel senso che un giudice internazionale comunque costituito non può
mai giudicare se la sua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tutti gli Stati
parti di una controversia.

4) Potere coercitivo nell’ordinamento internazionale.
Nelle società statali sono legittimate ad esercitare il potere coercitivo soltanto le forze di
polizia che fanno capo allo Stato. L’unica deroga al principio secondo cui l’uso della forza è
monopolio esclusivo dello Stato è la legittima difesa: un cittadino è autorizzato ad usare la
forza contro un altro cittadino solo in ragione delle particolari circostanze nelle quali esso
si trovi, cioè solo quando il cittadino non ha tempo di chiamare la forza pubblica. Al
contrario, in una società paritetica come quella internazionale, quando uno Stato viola un
obbligo internazionale che ha nei confronti di un altro Stato, il meccanismo sanzionatorio
che scatta in questa situazione è rappresentato dalla contromisura in base alla quale chi ha
subito l’illecito può agire per difendersi. Ad esempio, se un trattato impone all’Italia di non
alzare i dazi doganali per le importazioni provenienti dalla Cina e l’Italia li alza, la Cina è
autorizzata dal diritto internazionale a violare di un obbligo che ha verso l’Italia. Anche nel
diritto internazionale è possibile la legittima difesa: se uno Stato aggredisce un altro Stato,
lo Stato aggredito può rispondere con la forza armata.

Il giurista di diritto interno che vede nella sanzione l’elemento caratterizzante la norma
giuridica, è portato a pensare che il diritto internazionale, difettando di un apparato
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centrale in grado di prevalere sui consociati, non sia un diritto o sia un diritto scarsamente
effettivo. In realtà il diritto internazionale si può considerare come un vero e proprio
diritto per tre motivi essenziali.

  1. Il diritto internazionale ammette la reazione all’illecito commesso da uno Stato, solo
     che tale reazione è rimessa principalmente a chi ha subito l’illecito.

  2. Nel diritto internazionale vige il principio del divieto dell’uso della forza: chi ha
     subito un illecito, a meno che non si tratti di un’aggressione armata e si ricada
     nell’ipotesi della legittima difesa, non può ricorrere alla forza. Nella società
     internazionale il valore della pace prevale su ogni altro valore.

  3. Il diritto internazionale ha una funzione regolativa: nel diritto internazionale la fase
     della sanzione non è determinante perché la funzione principale del diritto
     internazionale è quella di stabilire delle regole di condotta, che nella maggior parte
     dei casi sono rispettate dagli Stati, perché gli Stati ne hanno bisogno. Ci sono
     numerosi trattati che si occupano delle rotte aeree, marine, dello scambio dei
     passeggeri, dell’ingresso nelle frontiere, degli scambi commerciali che sono applicate
     quotidianamente e l’anarchia che deriverebbe dall’assenza di queste regole
     provocherebbe un dramma nei rapporti tra gli Stati. Quindi nel diritto internazionale
     ad assicurare il rispetto delle norme non è il timore della sanzione, ma la
     consapevolezza dell’utilità sociale delle norme.

 Conseguenze che derivano dalla disuguaglianza di fatto tra gli Stati.

Il principio della sovrana uguaglianza degli Stati si afferma sul piano formale, ma dal
punto di vista della realtà fattuale gli Stati non sono tutti uguali: ci sono Stati più piccoli,
più ricchi, meno ricchi. Questa disuguaglianza di fatto ha delle conseguenze sul piano
dell’effettiva applicazione delle norme perché lo Stato più forte è suscettibile di svincolarsi
da taluni obblighi che il diritto internazionale gli impone.
Ad esempio, dopo la rottura del duopolio mondiale Stati Uniti-Unione Sovietica, gli Stati
Uniti sono divenuti l’unica superpotenza e quando gli Stati Uniti violano le regole
internazionali, ad esempio con l’invasione dell’Iraq, non c’è nessuno Stato che utilmente
possa lamentarsi e prendere delle contromisure nei confronti degli Stati Uniti, non solo per
motivi politici ma anche per motivi di forza.

Questo però non significa che i più forti non rispettino il diritto internazionale, infatti gli
Stati Uniti sono i primi ad avere un interesse enorme a rispettare il diritto internazionale
poiché sanno che violare il diritto internazionale crea un precedente che un domani
potrebbe essere invocato ad esempio dalla Russia, dalla Cina, dall’India ecc. Gli Stai più
forti sono quindi i primi a sapere che il diritto internazionale ha una funzione regolativa
senza la quale i loro stessi interessi nazionali risulterebbero pregiudicati. Rispettare il
diritto internazionale risponde nella maggior parte dei casi non tanto ad un ideale
superiore di giustizia, quanto agli interessi nazionali degli Stati ed è per questo che il
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diritto internazionale gode di una certa effettività ed è configurabile come un ordinamento
giuridico anche se non ha vissuto quel processo di accentramento del potere che ha
caratterizzato le realtà statali.

 L’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Un tentativo di verticalizzare la società internazionale c’è stato attraverso la creazione
dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). Si tratta di un’organizzazione
internazionale alla quale gli Stati hanno attribuito dei poteri eccezionali, a cominciare dal
monopolio dell’uso della forza armata. L’ONU nasce alla fine della seconda guerra
mondiale per volontà delle potenze vincitrici, principalmente Stati Uniti ed Unione
Sovietica, ma anche Cina, Francia, Regno Unito. Oggi aderiscono quasi tutti gli Stati del
mondo. Quindi abbiamo una situazione in cui si può ravvisare un tentativo di governare la
società internazionale ma in realtà ci accorgiamo che questo è più un ideale che una realtà
effettiva. Vediamo perché.

Le Nazioni Unite sono costituite da una serie di organi.
C’è un’Assemblea generale nella quale siedono tutti i rappresentanti degli Stati membri.
Questa Assemblea adotta risoluzioni nei confronti di tutti gli Stati; essa non costituisce,
tuttavia, un legislatore perché queste risoluzioni altro non sono che raccomandazioni,
ovvero inviti che non hanno alcun valore vincolante per gli Stati. C’è un organo
giurisdizionale, la Corte Internazionale di Giustizia, ma questa corte resta un giudice che
ha potere solo se le parti della controversia glielo attribuiscono. C’è infine un organo di
cui si parla spesso nei telegiornali, nei giornali, il Consiglio di sicurezza. La Carta
attribuisce dei poteri enormi al Consiglio di sicurezza: art 2 paragrafo 4: vieta agli Stati di
usare la forza; art 42: il Consiglio di sicurezza ha il potere di intraprendere azioni militari
contro uno Stato, accentrando dunque l’uso della forza in capo al Consiglio di sicurezza.
Questo quadro, dall’adozione della Carta ad oggi non sempre funzionato come avrebbe
dovuto. Molte delle guerre che si sono verificate non hanno visto intervenire il Consiglio di
sicurezza. Il Consiglio di sicurezza è rimasto spesso al di fuori delle crisi belliche.

Dal ‘45 al ‘90, il duopolio Stati Uniti-Unione Sovietica (entrambi dotati di un potere di
veto) ha impedito al Consiglio di funzionare, perché uno Stato o ricadeva nella sfera di
influenza sovietica o nella sfera di influenza statunitense e allora se ricadeva nella sfera di
influenza sovietica e gli Stati Uniti proponevano delle misure contro di esso l’Unione
Sovietica le bloccava, viceversa accadeva se lo Stato ricadeva nella zona di influenza
statunitense. Caduto questo duopolio, dal ‘90 in poi ci sono stati dei casi in cui il Consiglio
di sicurezza ha utilizzato la forza ma ben presto gli Stati Uniti hanno perso interesse ad
agire per il tramite dell’ONU, si sono resi conto che il Consiglio di sicurezza era un ente che
impediva loro di agire liberamente. L’apice lo si è avuto nel 2003, quando gli USA hanno
invaso l’Iraq senza tenere conto delle Nazioni Unite. Dal 2003 ad oggi le cose sono
cambiate in conseguenza del fallimento della guerra in Iraq; gli Stati Uniti sono ritornati
ad agire nell’ambito delle Nazioni Unite.

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Ricapitolando, tre sono gli aspetti caratterizzanti la società internazionale:
   1. è una società fondata sul principio di eguaglianza sovrana degli Stati, quindi è una
      società paritetica, orizzontale, almeno dal punto di vista formale.
   2. è assente nella società internazionale il fenomeno dell’accentramento del potere
      coercitivo in capo ad un ente; si è così arrivati alla fine della seconda guerra
      mondiale ad affermare il divieto di uso la forza nelle controversie internazionali. Le
      controversie internazionali devono essere risolte pacificamente.
   3. nella società internazionale non si è avuto un processo di verticalizzazione del
      potere, ma c’è un’organizzazione internazionale, le Nazioni Unite, costituisce il
      tentativo forse più ardito di dare alla società internazionale una forma organizzata,
      dal momento che comprende tra i suoi membri quasi tutti gli Stati della comunità
      internazionale e che dispone di poteri particolarmente incisivi.

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                          IL FUNZIONAMENTO
                        DELL’ORGANIZZAZIONE
                      DELLE NAZIONI UNITE (ONU)

 Principali organi delle Nazioni Unite.

    Assemblea Generale, di cui fanno parte tutti gli Stati membri dell’Organizzazione.
     Nel campo del mantenimento della pace l’Assemblea può emettere soltanto
     raccomandazioni, cioè atti privi di forza obbligatoria.

    Segretario Generale, carica rivestita da un individuo che rappresenta le Nazioni
     Unite, gestisce l’apparato amministrativo dell’organizzazione. La Carta non gli
     attribuisce grandi poteri, limitandosi a stabilire che il Segretario esercita quelle
     funzioni che gli sono delegate dall’Assemblea o dal Consiglio. Nella prassi, tuttavia,
     il Segretario generale ha assunto un ruolo abbastanza importante: spesso, senza
     esserne investito, ha svolto funzioni di conciliazione rispetto a crisi internazionali o
     crisi interne ad uno Stato.

    Corte Internazionale di Giustizia, organo a carattere giurisdizionale, composta da 15
     giudici, ed oltre ad avere il compito di risolvere le controversie fra Stati applicando il
     diritto internazionale, svolge un’importante funzione consultiva, su richiesta dell’AG
     o del Consiglio di sicurezza. Mentre le sentenze emanate in materia contenziosa,
     sono vincolanti, nel senso che le parti sono tenuti a conformarsi ad esse, i pareri non
     sono vincolanti per gli organi che li hanno richiesti.

    Più importante organo delle Nazioni Unite: Consiglio di sicurezza.

 Consiglio di sicurezza: il principale organo delle Nazioni Unite.

L’art. 23 della Carta stabilisce che nel Consiglio di sicurezza siedono 15 Stati: 5 sono
membri permanenti, 10 sono membri non permanenti e vengono eletti dall’Assemblea
generale ogni due anni sulla base di un’equa distribuzione geografica.
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procedura di voto all’interno del Consiglio di sicurezza si occupa l’art 27:
  - paragrafo 1: ogni membro del Consiglio di sicurezza dispone di un voto;
  - paragrafo 2: le decisione del Consiglio di sicurezza su questioni di procedura sono
      prese con un voto favorevole di 9 membri;
  - paragrafo 3: le decisioni del Consiglio di sicurezza su ogni altra questione sono prese
      con un voto favorevole di 9 membri, nei quali siano compresi i voti dei membri
      permanenti.

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 Distinzione tra questioni di procedura e questioni non di procedura.

-   Le questioni di procedura sono ad esempio questioni che attengono all’elezione del
    presidente del Consiglio di sicurezza, alla decisione di inserire o no un certo tema
    all’ordine del giorno del Consiglio di sicurezza, oppure alla decisione di nominare i
    membri di una commissione di inchiesta.

-   Le questioni non procedurali, vale a dire quelli sostanziali, sono le più importanti. Si
    pensi all’esercizio da parte del Consiglio di sicurezza dei suoi poteri sanzionatori, come
    l’imposizione di un embargo commerciale nei confronti di uno Stato o come l’uso della
    forza armata contro uno Stato.

L’art. 27 paragrafo 3, ci dice che in caso di decisioni su questioni sostanziali la delibera
viene adottata con una maggioranza di 9 membri ma nella quale siano compresi i voti dei
membri permanenti. Quindi se un membro permanente vota contro la delibera, la delibera
non può essere adottata.

E qui si pone un problema: occorre cioè chiedersi che cosa succede se il membro
permanente decide di astenersi dalla votazione. La astensione impedisce l’adozione di una
delibera oppure no? Alla luce del dato letterale dell’art. 27, par. 3, sembrerebbe impedire
l’adozione della delibera perché si specifica che c’è bisogno di un voto affermativo. Però
nella prassi è capitato che alcuni membri permanenti si siano astenuti dalla delibera e la
delibera sia stata comunque dichiarata dal presidente del Consiglio di sicurezza come
validamente adottata. Una simile prassi é legittima oppure no?

La questione è stata affrontata nel ‘71 dalla Corte Internazionale di Giustizia nel parere
relativo alla Namibia. La Namibia era una ex colonia tedesca, che le Nazioni Unite avevano
affidato al Sud Africa perché ne amministrasse il territorio nelle more dell’ottenimento
dell’indipendenza. In realtà il Sud Africa era andato oltre il mandato che gli aveva conferito
le Nazioni Unite, poiché di fatto aveva operato come una sorta di inglobamento, una sorta
di estensione della propria sovranità sul territorio della Namibia. Il Consiglio di sicurezza
dichiarò che il mandato del Sud Africa era cessato. L’Assemblea generale chiese alla Corte
Internazionale di Giustizia un parere circa l’effetto che produceva una simile risoluzione.
Nel procedimento davanti alla Corte Internazionale di Giustizia il Sud Africa sollevò
un’obiezione, adducendo che la risoluzione che poneva fine al suo mandato era invalida
perché tale risoluzione era stata adottata con l’astensione di alcuni membri permanenti.
Quindi la Corte era chiamata a risolvere questo problema preliminare stabilendo se la
delibera del Consiglio di sicurezza fosse stata validamente adottata oppure no. La Corte
disse che esisteva ormai una prassi, non contestata dagli Stati, in base alla quale le delibere
adottate con l’astensione di uno o più membri permanenti erano considerate validamente
adottate e, dunque, anche nel caso di specie, la delibera doveva essere considerata valida.

Un altro problema che si è posto con riguardo all’art. 27, par. 3, riguardava cosa succedeva
se il membro permanente anziché astenersi dalla votazione, fosse assente. Questo
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problema si è posto tra la fine degli anni ‘40 e i primi anni ‘50, quando era invalsa tra i
delegati dell’Unione Sovietica la prassi della c.d. politica della sedia vuota. Accadeva in
sostanza che il rappresentante dello Stato membro permanente non si presentava alla
sedute del Consiglio di sicurezza e questo per manifestare tutta la sua opposizione
all’attività del Consiglio. Ora, se ci atteniamo al testo dell’art 27, par. 3, ai sensi del quale ci
deve essere un voto e deve essere un voto favorevole, occorre concludere che se uno Stato
membro neanche si presenta non solo non c’è un voto favorevole ma non c’è neppure un
voto. L’astensione è comunque una manifestazione di volontà, una forma di voto, ma nel
caso della politica della sedia vuota non c’è neanche questo. Quando l’Unione Sovietica non
si presentava, gli Stati Uniti ne approfittavano per far passare una serie di delibere, alcune
molto importanti, che hanno poi trovato applicazione. La prassi è andata nel senso di
accettare la validità di queste delibere. La conseguenza è stata che la politica della sedia
vuota è stata accantonata dall’Unione Sovietica.

Riassumendo, l’art. 27, par. 3, non si preoccupa di determinare cosa succede nel caso in cui
una delibera venga adottata dal Consiglio di sicurezza senza il voto favorevole di un
membro permanente, perché astenuto o assente. Nella prassi, tuttavia, sono state ritenute
valide delibere adottate nonostante l’astensione o l’assenza del membro permanente. Tale
prassi è stata accettata dagli Stati membri delle NU, tanto che può ritenersi che essa abbia
integrato il contenuto dell’art. 27, par. 3.

 Procedura davanti al Consiglio di sicurezza.

La distinzione tra questioni procedurali e questioni non procedurali è una distinzione
molto importante perché nel caso di questioni procedurali gli Stati membri permanenti
non hanno il potere di veto. Se una questione viene iscritta all’ordine del giorno come
questione procedurale, gli Stati membri permanenti non possono bloccare tramite il loro
voto negativo l’adozione di una delibera. Appare chiaro dunque che la qualificazione di
una questione da trattare diventa un problema estremamente rilevante dal punto di vista
politico visti gli effetti che ne conseguono.

     La Carta delle Nazioni Unite non risolve questo problema e spesso si sono avute in
      seno al Consiglio di sicurezza discussioni tra gli Stati membri circa il modo in cui una
      certa questione andava qualificata, se come questione procedurale o come questione
      non procedurale. Che cosa si ci è inventati allora? Si è applicato un meccanismo, in
      base al quale si fanno 2 votazioni: prima si vota per decidere se la questione è
      procedurale o non procedurale; una volta che si è deciso questo, si vota per adottare o
      meno la risoluzione relativa a quella questione.

     I problemi però non finiscono qui poiché non è chiaro se il voto sulla questione
      preliminare, è un voto che prevede o meno l’utilizzo del potere di veto da parte dei
      membri permanenti. La prassi che si è seguita è quella di permettere al membro
      permanente che vuole impedire l’adozione della delibera con cui si discute sulla

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natura di una questione, di avvalersi del potere di veto. Si parla in questo caso di
      procedura del doppio veto.

      Ipotizziamo che in Cecenia siano state commesse gravi violazioni dei diritti
      umani e gli Stati Uniti proponessero di nominare una commissione di inchiesta
      da mandare in Cecenia. A dire degli USA l’istituzione di una commissione di
      inchiesta è questione procedurale; di diverso avviso è la Russia, secondo la quale
      si tratta invece di una questione sostanziale. Al momento del voto, la Russia vota
      contro la natura procedurale della questione relativa all’istituzione della
      commissione d’inchiesta; tale questione andrà dunque considerata come
      sostanziale e al momento della successiva votazione relativa al se istituire o meno
      la commissione di inchiesta occorrerà che nessuno dei membri permanenti
      apponga il veto, pena la mancata istituzione della commissione stessa.

 Modifiche alla Carta delle Nazioni Unite.

La Carta delle Nazioni Unite, agli artt. 108 e 109, prevede due procedure di modifica della
Carta:
   - l’art 108 consente che siano apportati emendamenti, con una procedura che prevede
       un voto del Consiglio di sicurezza ed un voto dell’Assemblea Generale;
   - l’art 109 disciplina la revisione, imponendo a tal fine la convocazione di una
       conferenza di Stati membri per provvedere ad una revisione sostanziale della Carta.
Qual è la differenza tra modifica e revisione? Gli emendamenti riguardano questioni
puntuali, singoli articoli; le revisioni riguardano modifiche di intere parti della Carta.
Benché alcune parti della Carta non funzionino, siano cadute in desuetudine, non si è mai
giunti ad una revisione per motivi politici. Infatti c’è bisogno di un momento di forte
coesione sociale. Oggi questa coesione tra gli Stati non c’è, e quindi c’è il timore che se si
aprisse una conferenza di Stati non si arriverebbe a niente. Si potrebbe utilizzare la
procedura degli emendamenti. In effetti recentemente ci sono stati dei tentativi di
modificare alcune parti, come ad esempio, la composizione del Consiglio di sicurezza.

     La Carta delle Nazioni Unite dal ‘45 ad oggi è stata formalmente modificata
      pochissimo, ma di fatto si è modificata in maniera rilevante a seguito dell’attività
      degli stessi organi delle Nazioni Unite. Si pensi soltanto che il Consiglio di sicurezza
      ha esercitato dei poteri che la Carta non gli attribuisce: ha creato dei tribunali penali
      internazionali ma nella Carta non c’è scritto che il Consiglio può istituire organi
      giurisdizionali; ha autorizzato gli Stati ad usare la forza, ma nella Carta non è prevista
      questa modalità di intervento armato. In altre parole, la Carta delle Nazioni Unite è
      un testo che nella sua applicazione pratica ha subito delle forzature interpretative che
      nel tempo sono state accettate dagli Stati. Ragion per cui può essere affermato che si è
      così arrivati ad una sorte di modifica tacita della Carta.

     C’è poi un altro meccanismo attraverso il quale si è giunti nel tempo ad una modifica
      della Carta e ci si riferisce al modo di interpretare la Carta ONU da parte della Corte
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internazionale di giustizia. La Corte ha infatti formulato la c.d. teoria dei poteri
     impliciti delle Nazioni Unite. I poteri impliciti sono quei poteri logicamente necessari
     per poter raggiungere le finalità che la Carta espressamente si propone. Si tratta di
     una tecnica in base alla quale si attribuiscono ad un organo dei poteri facendoli
     derivare dagli obiettivi da raggiungere.

     Ad esempio, ai sensi dell’art. 101 della Carta il personale amministrativo delle Nazioni
     Unite è nominato dal Segretario generale secondo le norme stabilite dall’Assemblea
     generale; è quindi l’Assemblea generale a stabilire le norme mediante le quali il
     Segretario generale assume le persone. La Carta non stabilisce però cosa succede in
     caso di controversie di lavoro tra i funzionari delle Nazioni Unite e l’amministrazione
     centrale. Si può licenziare un funzionario? E se quel funzionario viene licenziato, a
     quale tribunale si può rivolgere? Per ovviare a tale lacuna, l’Assemblea generale ha
     creato un tribunale amministrativo delle Nazioni Unite su richiesta del Segretario
     Generale, il quale cercò di difendere la legittimità di questa decisione sulla base del
     fatto che egli è posto a capo dell’amministrazione. La questione fu portata
     dall’Assemblea generale all’attenzione della Corte Internazionale di Giustizia perché
     esprimesse un parere al riguardo. La Corte disse che l’Assemblea generale era
     competente a creare il tribunale amministrativo delle Nazioni Unite trattandosi di un
     potere che implicitamente si desume dall’art 101 della Carta, il quale prevede che sia
     l’Assemblea a dettare delle norme relative alla nomina dei funzionari delle Nazioni
     Unite; siccome può dettare norme relative alla nomina, può anche creare un
     meccanismo per risolvere le controversie di lavoro. Attraverso questa tecnica
     interpretativa si è quindi giunti a dilatare i poteri conferiti alle Nazioni Unite dalla
     Carta.

 I poteri del Consiglio di sicurezza nel settore del mantenimento della pace e
della sicurezza internazionale.

Tra gli aspetti caratterizzanti l'azione delle Nazioni Unite, quello forse più rilevante è
costituito dal tentativo di affidare al Consiglio di sicurezza il monopolio dell'uso dell’uso
della forza nelle relazioni internazionali. La Carta delle Nazioni Unite attribuisce al
Consiglio poteri in tema di mantenimento della pace, in tre capitoli diversi della Carta. I
capitoli che riguardano le funzioni del Consiglio di sicurezza sono:
    - capitolo VI
    - capitolo VII
    - capitolo VIII

Lasciamo da parte per il momento il capitolo VIII della Carta, il quale attiene ai rapporti in
tema del mantenimento della pace tra il Consiglio di sicurezza e le organizzazioni
internazionali di tipo regionale, cioè che raggruppano Stati appartenenti a precise aree
geografiche del mondo. Concentriamoci invece, sul capitolo VI e sul capitolo VII. Il
capitolo VI è dedicato alla “Soluzione pacifica delle controversie” mentre il capitolo VII è

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dedicato alle “Azioni rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace e agli atti di
aggressione”.

Che cos'è che caratterizza il capitolo VI e lo contraddistingue dal capitolo VII? Sono due gli
elementi che vengono in rilievo:

    Il capitolo VI si occupa di quelle situazioni che sono suscettibili di mettere in
     pericolo la pace e la sicurezza internazionale. Si tratta quindi di situazioni in cui c'è
     un pericolo ma è un pericolo blando, ancora allo stato embrionale. Il capitolo VII si
     occupa invece di situazioni più gravi, caratterizzate cioè dall'esistenza di una
     minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione. Si tratta
     dunque di situazioni ben più gravi. Questa è una prima differenza.

    A questa differenza poi se ne accompagna un’altra, e attiene ai poteri che il Consiglio
     di sicurezza può utilizzare. I poteri che trovano fondamento nel capitolo VI della
     Carta, sono poteri relativamente blandi; si tratta perlopiù di raccomandazioni, e
     dunque di un’attività puramente diplomatica. Il capitolo VII, al contrario,
     attribuisce al Consiglio di sicurezza poteri estremamente incisivi, a cominciare dal
     potere di imporre sanzioni economiche e dal potere di usare la forza armata.

               ______________2.1______________
     I POTERI “DIPLOMATICI” DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA

Chiarita questa distinzione, cominciamo a vedere più nel dettaglio quali sono i poteri
attribuiti al Consiglio dal capitolo VI. Agli artt. 34, 35 e 36 della Carta delle Nazioni Unite
si indicano chiaramente quali presupposti oggettivi per l’esercizio dell’attività diplomatica
del Consiglio di sicurezza due ipotesi:
  - o l'esistenza di una controversia la cui continuazione sia suscettibile di mettere in
      pericolo la pace e la sicurezza internazionale
  - o l'esistenza di una situazione che possa portare ad un attrito internazionale o dar
      luogo ad una controversia

Si tratta ora di capire quale differenza c'è tra controversia e situazione. Questa è una
differenza difficile da tracciare. Controversia è il caso in cui si ha una pretesa di uno
Stato e un altro Stato che si oppone a quella pretesa (es. Stato1: questo territorio è
mio; Stato2: no, quel territorio è mio. Altro es. Stato1: chiede allo Stato 2 di smettere
di costruire armi nucleari, Stato2: no, ho il diritto di costruire le armi nucleari).

La controversia può essere bilaterale se coinvolge 2 Stati o multilaterale se coinvolge più
Stati. La Carta non chiarisce a che cosa una situazione si riferisce. Tuttavia, fa derivare
alcune conseguenze dal fatto di qualificare una certa ipotesi come situazione o come
controversia.

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   L’art. 27, paragrafo 3 – relativo alle procedure di voto in seno al Consiglio di sicurezza
      – dice che nelle decisioni previste dal capitolo VI lo Stato membro che sia parte di
      una controversia deve astenersi dal voto. L’art. 27 paragrafo 3 fa riferimento solo
      all’ipotesi in cui il Consiglio si occupi di controversie, e non anche di situazioni.

     La stessa distinzione la troviamo in un altro articolo, l’art. 32 – che riguarda il diritto
      di partecipare alle sedute del Consiglio di sicurezza da parte di Stati che non siano
      membri del Consiglio di sicurezza. Questo articolo dice che ogni membro delle
      Nazioni Unite che non sia membro del Consiglio di sicurezza od ogni Stato che non
      sia membro delle Nazioni Unite qualora sia parte di una controversia in esame
      davanti al Consiglio di sicurezza, sarà invitato a partecipare senza diritto di voto
      relativo alla controversia. Si tratta di un diritto limitato all’ipotesi della controversia,
      e allora dovremmo domandarci quand’è che ci troviamo di fronte una controversia e
      quand’è che ci troviamo di fronte una situazione.

In dottrina è stato sostenuto che con tutta probabilità una situazione ricorra ogniqualvolta
il Consiglio di sicurezza si occupi di una vicenda del tutta interna ad uno Stato.
Immaginiamo il caso di uno Stato che commetta un genocidio ai danni della propria
popolazione. Secondo questa tesi, dunque, si ha una controversia ogniqualvolta ad essere
coinvolti siano due o più Stati; si è invece in presenza di una situazione quando ad essere
coinvolto è un unico Stato. Questo è un problema che la Carta pone ma che non risolve e
rispetto al quale la prassi del Consiglio di sicurezza è alquanto incerta e contraddittoria.

Un elemento interessante si rinviene nel parere reso dalla Corte internazionale di giustizia
in merito alla Namibia. In quell’occasione il Sud Africa, per contestare la validità della
risoluzione del Consiglio di sicurezza che poneva fine al mandato, sostenne che quella
risoluzione riguardava una controversia, appunto la controversia relativa al suo mandato
in Namibia sorta tra il Sud Africa ed altri Stati membri delle NU che avevano contestato al
Sud Africa di aver esteso un regime di apartheid anche in Namibia, e per questo motivo
avevano chiesto la cessazione del mandato. Tuttavia, contrariamente a quanto richiesto
dall’art. 27 paragrafo 3 della Carta, gli Stati che si opponevano alla continuazione del
mandato del Sud Africa in Namibia votarono l’adozione della delibera, quando invece
avrebbero avuto l’obbligo di astenersi dal voto.

La Corte come rispose? Questo è un punto importante perché ci si poteva attendere dalla
Corte un chiarimento su cosa si dovesse intendere per situazione e cosa di dovesse
intendere per controversia, invece la Corte risolse la questione in modo piuttosto
sbrigativo, sostenendo che la vicenda del Sud Africa in Namibia era stata iscritta all’ordine
del giorno del Consiglio di sicurezza con la denominazione di “situazione” e non con quella
di “controversia” e che al momento dell’iscrizione all’ordine del giorno con la qualificazione
di situazione il Sud Africa non protestò, non sollevò obiezioni e quindi non aveva diritto di
farlo in seguito. Vediamo chiaramente che la risposta della Corte non ci da molte
informazioni.

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Chiariti quali sono i presupposti oggettivi per l’azione del Consiglio di Sicurezza, andiamo
ora a vedere quali sono i poteri di cui il Consiglio può disporre al ricorrere di tali
presupposti.

     L’art. 33, al paragrafo 1, ci dice che quando c’e’ una controversia la cui continuazione
      sia suscettibile di mettere in pericolo la pace, le parti debbono perseguire la soluzione
      della controversia mediante procedimenti diplomatici (negoziato, inchiesta, buoni
      uffici, mediazione, e conciliazione) o procedimenti arbitrali o giudiziari. Al paragrafo
      2 si afferma che il Consiglio di sicurezza, ove lo ritenga necessario, invita le parti a
      regolare la loro controversia mediante uno di tali mezzi.

     L’art. 36, al paragrafo 1, ci dice qualcosa di molto simile. Il paragrafo 1 afferma che il
      Consiglio di sicurezza può in qualsiasi fase di una controversia o di una situazione,
      raccomandare procedimenti o metodi di soluzione adeguati.

Ad una prima lettura sembrerebbe che queste due norme non fanno altro che ripetere la
stessa cosa, ossia, che il Consiglio può raccomandare un metodo di soluzione della
controversia, in realtà c’e’ una differenza, sottile ma c’è:
 - l’invito che il Consiglio fa in base all’art. 33, paragrafo 2, è un invito di tipo generico, è
    l’invito a risolvere pacificamente la controversia attraverso mezzi la cui scelta spetta
    alle parti;
 - al contrario l’art.36, paragrafo 1 fa riferimento ad un invito di tipo specifico, cioè il
    Consiglio può invitare le parti a risolvere la controversia mediante uno specifico
    mezzo; è il Consiglio stesso che indica quello che a suo avviso è il metodo più adeguato
    per risolvere la controversia.

Occorre ora chiedersi se, quando il Consiglio fa queste raccomandazioni, gli Stati hanno
l’obbligo di risolvere la controversia oppure no. La risposta è negativa, trattandosi appunto
di raccomandazioni.

Altro punto importante, l’art.33 e l’art.36 fanno riferimento soltanto ad un invito a
rivolgersi ad un mezzo di risoluzione delle controversie, sia esso scelto dalla parti della
controversia stessa o individuato dal Consiglio di sicurezza. In base a queste due norme
però, il Consiglio di sicurezza non può indicare esso stesso qual è la soluzione da adottare;
non può cioè entrare nel merito della controversia e stabilire chi ha torno e chi ha ragione.

     Questo potere è invece riconosciuto al Consiglio da un'altra disposizione del capitolo
      VI, e cioè dall’art. 37. Il paragrafo 1 afferma che: “se le parti di una controversia non
      riescono a regolarla con i mezzi predisposti dall’ordinamento, esse devono deferirla al
      Consiglio di Sicurezza. Ai sensi del paragrafo 2: “se il Consiglio di Sicurezza ritiene
      che la continuazione della controversia sia in fatto suscettibile di mettere in pericolo
      la pace e la sicurezza internazionale, esso decide se agire a norma dell’art. 36 o, ed è
      questo il punto che a noi interessa, raccomandare quella soluzione che esso ritenga
      adeguata. Leggendo l’art. 37 si ha l’impressione che questo potere di indicare “termini
      di regolamento” - questo è il termine tecnico che si usa - sia un potere sottoposto a
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due condizioni: la prima è che entrambe le parti abbiano sottoposto la controversia al
    Consiglio di sicurezza, la seconda condizione è che questa misura costituisca una
    sorta di estrema ratio, ovvero una soluzione di ultima istanza, alla quale dovrebbe
    ricorrersi solo dopo che non si è riusciti attraverso altri mezzi a dirimere la
    controversia. Queste sembrerebbero essere due condizioni necessarie; di fatto nella
    prassi, il Consiglio di sicurezza ha indicato termini di regolamento, soluzioni nel
    merito della controversia senza dover domandarsi se queste due condizioni fossero
    state o meno rispettate.

   Per chiudere con il capitolo VI resta da analizzare un’ultima disposizione, che è l’art.
    34, dove è previsto un potere molto importante, ovvero il potere del Consiglio di
    sicurezza di fare inchieste internazionali. Le inchieste che cosa sono? Sono operazioni
    volte all’accertamento di fatti, quindi non alla qualificazione giuridica di fatti. Questo
    potere normalmente presuppone un’attività di inchiesta che può essere efficace se
    svolta in loco, cioè se la commissione di esperti è incaricata dal Coniglio di sicurezza
    di recarsi sul territorio di uno Stato. Qui si pone un problema: consiste nel vedere se
    lo Stato sul cui territorio l’inchiesta deve essere svolta è obbligato o meno a
    consentire l’ingresso degli esperti sul proprio territorio. La Carta non lo dice
    espressamente; tuttavia considerato che l’art. 34 non prevede poteri vincolanti del
    Consiglio di sicurezza, è ragionevole concludere nel senso che lo Stato possa rifiutarsi
    di permettere alla commissione d’inchiesta di operare sul proprio territorio.

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