GIACOMO LEOPARDI - Virgilio
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GIACOMO LEOPARDI ELEMENTI DI BASE VITA (Recanati 1798 - Napoli 1837) tra il 1809 e il 1815 si dedica anima e corpo allo studio. Nel 1816 conversione letteraria e prende posizione sul Romanticismo. Nel 1817 conosce Pietro Giordani che lo aiuterà per tutta a vita. A Roma nel 1822-23 poi a Recanati, nel 1825 a Milano per curare le opere di Cicerone, poi a Bologna, nel 1827 a Firenze dove conobbe Manzoni (“calda antipatia”), in seguito a Pisa e nel 1828 di nuovo a Recanati. Gli ultimi anni li trascorse a Firenze e a Napoli. ROMANTICISMO: esprime il suo punto di vista ne: “Lettera ai compilatori della Biblioteca Italiana in risposta a quella di Mme Stael” con il quale si oppone all’invito di introdurre i modelli della letteratura nordica perché rifiuta la poesia di imitazione e suggerisce di pescare nei classici (non corrotti dalla civiltà). Poi nel “Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica” (1818), condivide il rifiuto dell’imitazione della poesia classica e l’abuso della mitologia e l’idea della poesia patetica e sentimentale, ma non la considera una poesia romantica perché era già nota agli antichi, la considera una dolorosa necessità per i moderni che si sono allontanati dalla natura. Condanna invece il gusto dell’orrido e della rappresentazione realistica. Per L. non può esistere una poesia epica perché non esistono le illusioni che la fondano, ciò soprattutto nel periodo del pessimismo cosmico durante il quale si distacca totalmente dal Foscolo. Il tema del L. è la caducità della vita e qui si riallaccia a tutta la tradizione che va dai latini al Petrarca e al Tasso e allo stesso Foscolo (per il quale però ci sono le illusioni). La serenità per L. è solo la quiete tra due dolori (La quiete dopo la tempesta), oppure il ricordo del tempo giovanile (Alla luna; A Silvia). PESSIMISMO STORICO (1819-1823), ispirandosi a Rousseau (felicità dello stato di natura), sostiene che “la ragione è nemica della natura”, la natura è “madre benigna che nutriva gli antichi di generose illusioni mentre la ragione è piccola, causa dei mali e dell’infelicità dell’uomo nella società moderna. Opere: “I piccoli idilli” e “Canzoni filosofiche e del suicidio” PESSIMISMO COSMICO: (1823-1825), al contrario del periodo precedente ritiene ora che il dolore non sia più portato dalla ragione ma Letteratura, appunti e note sparse, ultima revisione: 17-03-2000 81 Alberto Pian / albertopian@libero.it
connaturato alla natura umana, l’uomo cerca di evitare il dolore senza potergli sfuggire. La natura è quindi ora “madre matrigna”, nemica dell’uomo che obbedisce alla legge materialista di creazione-distruzione-riproduzione. Il dolore non è quindi storico ma cosmico. Recupera quindi il valore della ragione illuminista del settecento che permette di conoscere e denunciare il vero. Leopardi qui è in contrasto con l’Ottocento da lui definito “secolo superbo e sciocco” troppo fiducioso in un progresso che non porterà a felicità e invita gli uomini ad unirsi per combattere contro i mali della natura. Opere: i “Grandi idilii”, “Le operette morali”(1824) ULTIMA FASE: (1831-1836), amore corrisposto per una donna che gli ispira delle liriche sull’amore, il “ciclo di aspasia” e poi l’ultimo impegno è rivolto alla poesia sociale “La ginestra”. CANTI (1818-1836) BASI: i Canti raggruppano poesie diverse scritte in quasi venti anni che raggruppano i “Piccoli idilli” (1818-1821), del pessimismo storico e i “Grandi Idilli” (1828-1830), del pessimismo cosmico e comprende le poesie della fine della sua vita tra cui “La ginestra”. La definizione di “Idilio” sarà data dallo stesso L.: “esprimenti situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo”. Il Canto è per L. il canto dell’anima, da cui il titolo dell’opera. ALLA LUNA (1819) -PICCOLI IDILLI- CONTENUTO: nell’osservare la Luna ricorda come un anno prima veniva angosciato, ma è grato ricordare le cose passate anche se dolorose. Interessante il confronto con la successiva “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” dove la Luna non sarà più la confidente speranzosa, che appare in questa poesia dove la natura non viene identificata ancora con la causa delle sofferenze umane. MOMENTI SIGNIFICATIVI: “che travagliosa era mia vita: ed è ne cangia stile o mia diletta luna”. La sofferenza individuale è contrapposta alla natura personificata dalla luna. Il finale: gli unici momenti di serenità possono esistere solo nel tempo giovanile perchè la speranza è ancora lunga e la vita trascorsa ancora poca e scarsa di dolore. L’INFINITO (1819) -PICCOLI IDILLI- CONTENUTO: una siepe chiude lo sguardo al mondo e il pensiero si immerge nell’infinità per poi annegarsi in essa. Ma è proprio il limite Letteratura, appunti e note sparse, ultima revisione: 17-03-2000 82 Alberto Pian / albertopian@libero.it
posto dalla siepe che dà la sensazione dell’infinito al poeta. Critica: nel cielo si immerge e stanca cade la forza di ogni pensiero. Ogni cosa che l’uomo tenta di afferrare si sottrae e si disperde. L. con questa poesia scopre un vuoto attorno a sè, uno spazio ed un tempo illimitati che la mente, il pensiero, può animare di sensazioni vitali. Può fare questo mediante la siepe, senza dover rappresentare il limite umano come convenzionale segno di culto, lasciato ogni illusorio conforto della religione, può così essergli dolce il naufragare. Ed anche naufragio del pensiero e non solo dell’intelletto. MOMENTI SIGNIFICATIVI: il paragone: “E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno e le morte stagioni”. Tra l’immensità il suo pensiero si confonde “e il naufragar m’è dolce in questo mare” LA SERA DEL DI FESTA (1820) -PICCOLI IDILLI- CONTENUTO: pensa alla donna amata che dorme serena ignara dell’affanno che ha creato mentre L. veglia sul destino che lo ha messo al mondo solo per piangere. Il canto di un artigiano gli ricorda che tutto passa come l’impero romano e prova le stesse sofferenze quando, fanciullo, udiva un giorno prefestivo un canto nella notte. MOMENTI SIGNIFICATIVI: “io questo ciel...a salutar m’affaccio l’antica natura onnipossente che fece all’affanno. A te la speme nego, mi disse, anche la speme e d’altro non brillin gli occhi suoi se non di pianto”. A L. la natura nega anche la speranza e gli lascia solo il pianto. Ma si ricorda anche che fin dall’infanzia, mentre si preparava al dì di festa “premea le piume”, udiva notte un canto che: “già similmente mi stringeva il core”. Anche il tema della caducità della vita è presente: “e fieramente mi si stringe il cor a pensare come tutto al mondo passa”, anche l’impero romano è caduto: “or dov’è il grido dè avi famosi?”. CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA (1829) CONTENUTO: dialogo solitario di un pastore con la Luna che forse conosce il senso della vita umana che è sconosciuto al pastore a tal punto che la vita per lui è male e invidia il gregge che pascola beato. Conclude con il fatto che il giorno stesso della nascita è funesto. MOMENTI SIGNIFICATIVI: “Nasce l’uomo a fatica, ed è rischio di morte il nascimento.” Contrapposizione tra la sua sofferenza personale e il gregge che non soffre: “dimmi: perché giacendo a bell’agio, ozioso, s’appaga ogni animale; me s’io giaccio in riposo, il tedio m’assale?” Ma poi conclude dicendo che forse tutti soffrono fin dalla nascita: “O forse erra dal vero, mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: forse in qual Letteratura, appunti e note sparse, ultima revisione: 17-03-2000 83 Alberto Pian / albertopian@libero.it
forma, in quale stato che sia, dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale.” NOTE: Da paragonare con “Alla Luna”, come cambiamento da pessimismo storico a quello cosmico in cui cambia la funzione della natura. A SILVIA (1828) CONTENUTO: colloquio malinconico e senza risposta con l’immagine di Silvia, giovane fanciulla, che forse rappresenta un suo amore, i cui sogni e giovinezza sono stroncati dalla morte. L. sentiva il canto di Silvia mentre lui era tra le sudate carte. MOMENTI SIGNIFICATIVI: Ancora una volta si ricorda della giovinezza e delle speranze che portava con sè: “Che pensieri soavi, che speranze, che cori. O Silvia mia!” Ma poi fosti strappata nella stessa giovinezza e non potesti vedere il fior degli anni tuoi. E quindi: “O natura, natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i tuoi figli?” “Questa la sorte dell’umane genti?”. Ora sei nuda in una tomba e la tua mano è fredda. LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA (1829) CONTENUTO: dopo la tempesta riprende la vita del borgo, la vita stessa, il sorriso della natura e la gioia dei paesani. Ma è un piacere effimero perché scaturisce dalla fine momentanea di un dolore. MOMENTI SIGNIFICATIVI: “Piacer figlio d’affanno; gioia vana, ch’è frutto del passato timore, onde si scosse e spaventò la morte chi la vita aborria” “O Natura cortese son questi i doni tuoi, questi i diletti sono che tu porgi ai mortali. Uscir di pena è diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano.” IL SABATO DEL VILLAGGIO (1829) CONTENUTO: l’attesa del giorno festivo è lieta nel villaggio dove ognuno lavora e si affaccenda in vista della festa. Ma poi il giorno di festa è triste ed augura ad un fanciullo di godersi questi momenti e di non soffrire anche il giorno della morte è lontano. Ma questo giorno precorre già la morte del ragazzo. MOMENTI SIGNIFICATIVI: “Garzoncello scherzoso, cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno, giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è Letteratura, appunti e note sparse, ultima revisione: 17-03-2000 84 Alberto Pian / albertopian@libero.it
cotesta. Altro dirti non vò; ma la tua festa ch’anco tardi a venir non ti sia grave.” LA GINESTRA O FIORE DEL DESERTO (1836) CONTENUTO: la ginestra fiorisce nel desolato paesaggio lavico del vesuvio dove un giorno sorgevano città e ville, giardini: la sorte di Pompei ed Ercolano è occasione per meditare sull’illusorietà del progresso. Non è magnanimo chi illude gli uomini convincendoli della loro immortalità ma chi proclama la verità accusando la natura come responsabile dell’infelicità umana ed esortando gli uomini ad unirsi fraternamente per costruire una società onesta, giusta e pia. Basta osservare l’immensità del cielo per capire la nullità degli uomini e della terra, l’uomo si culla nella favola che il mondo sia fatto solo per loro. La natura è indifferente al destino dell’uomo e delle sue opere. L’umile ginestra accetta il suo destino senza supplicare e senza ergersi in modo superiore, dimostrando più dignità e saggezza dell’uomo. Condanna dell’ottocento. MOMENTI SIGNIFICATIVI: “Dipinte in queste rive son dell’umana gente le magnifiche sorti e progressive. Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco che il calle insino allora dal risorto pensier segnato innanti abbandonasti, e volti addietro i passi, del ritornar ti vanti, e procedere li chiami”. Attacco a Terenzo Mamiani progressista cattolico: di fronte alle rovine degli antichi l’Ottocento fiducioso è un secolo sciocco. Inoltre il medioevo è un secolo barbarico come per i neoclassici. Condanna delle tendenze metafisiche della nuova filosoafia che ha abbandonato il cammino del risorto pensier segnato innanzi, cioè del pensiero che va dal Rinascimento all’Illuminismo. “Magnanimo animale non credo io già, ma stolto, quel che nato a perir, nutrito in pene, dice, a goder son fatto e di fetido orgoglio empie le carte... Nobil natura è quella che a sollevar s’ardisce gli occhi mortali al comun fato, e che con franca lingua, nulla al ver detraendo, confessa il mal che ci fu dato in sorte”. Nobile natura è quindi quella che “dà la colpa a quella che veramente è rea, che dè mortali è di parto e di voler matrigna.” cioè che incolpa la natura. e contro questa “Tutti a sè confederati estima gli uomini”. Nella seconda parte si interroga sulla funzione dell’uomo a cui tutto sfugge e che non conosce neppure la Terra in cui vive, senza parlare degli astri, delle stelle, che appaiono come punti nel cielo. L’uomo si crede cagione del Tutto: “non so se il riso o la pietà prevale”. Come una mela che cade e distrugge un intero popolo di formiche con il loro lavoro, così fa la natura con l’uomo (descrizione dell’eruzione del Vesuvio): “Non ha natura al seme dell’uom più stima o cura che alla Letteratura, appunti e note sparse, ultima revisione: 17-03-2000 85 Alberto Pian / albertopian@libero.it
formica”. Anche se sono trascorsi 1800 anni dalla distruzione di Pompei il “villanello... ancor leva lo sguardo sospettoso alla vetta” . Dopo avere descritto il timore di nuove eruzioni afferma che la Natura “sta ognor verde” ed anzi procede in modo così lento che sembra essere immobile, mentre intanto “caggiono i regni... passan genti e linguaggi: ella nol vede -la natura non vede questi mutamenti dell’uomo, cfr.: dialogo di un Islandese- e l’uom d’eternità s’arroga il vanto”. Conclude con un paragone con la ginestra: anch’essa soccomberà alla prossima eruzione ma, a differenza dell’uomo non ha piegato il capo per supplicare la Natura: “supplicando innanzi al futuro oppressor” e non si è neppure eretta “con forsennato orgoglio inver le stelle”, per questo è più saggia dell’uomo, perché: “le frali tue stirpe non credesti o dal fato o da te fatte immortali.” OPERETTE MORALI (1824-1832) BASI: raccolta di 24 prose e dialoghi di carattere filosofico e morale, dal tono satirico, composte tra il 1824 e il 1832. Segnano il definitivo passaggio dal pessimismo storico a pessimismo cosmico, esprimono la caduta di tutte le illusioni, l’oggetto è rivelare agli uomini la verità sul loro stato dovuto alla natura matrigna. DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE (1824) CONTENUTO: un islandese, al termine del suo vano peregrinare per sfuggire al dolore, incontra nel cuore dell’Africa la Natura che ha le sembianze di una statua. L’Isl. spiega che dopo aver fuggito gli uomini secondo il principio di “non molestare” per non essere molestato”, di rinunciare a godere per non soffrire neppure, l’islandese fugge la Natura stessa perché l’essere scampato dagli uomini non lo ha messo al riparo dai capricci della natura stessa: “dal sole e dall’acqua ... siamo ingiuriati di continuo... e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue... sempre ci offendi o ci perseguiti... Per tanto rimango privo di ogni speranza”. La N. risponde allora: “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?” La Natura non si rende conto degli effetti delle sue azioni sugli uomini a tal punto che se dovesse estinguere la razza umana “non me ne avvederei”. Allora l’Isl. paragona ciò con un signore che invita nella sua villa un altro uomo e poi lo maltratta, gli fa mancare il necessario, lo picchia e lo fa picchiare: “t’ho forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente...” Ma la N. risponde che: “la vita di questo universo è un perpetuo circuito di Letteratura, appunti e note sparse, ultima revisione: 17-03-2000 86 Alberto Pian / albertopian@libero.it
produzione e distruzione... Per tanto risulterebbe in su danno se fosse in lui -nell’universo- cosa alcuna libera da patimento”. L’Isl. finisce poi sbranato da due leoni o forse sepolto dalla sabbia come una mummia conservata in qualche museo europeo. NOTE: è il dialogo in cui si compie la concezione filosofica di L. dell’immutabilità del destino umano di sofferenza dovuto alla malignità della natura. I principali mali sono infatti derivati non tanto dall’antagonismo tra gli uomini, quanto dai mali fisici provocati dalla natura stessa. DIALOGO DI CRISTOFORO COLOMBO E DI PIERTO GUTIERREZ (1824) CONTENUTO: Guitierrez chiede a Colombo se sia sicuro di trovare terra oppure comincia a dubitare e C. risponde che dubita perché “veggiamo che molte conclusioni cavate da ottimi discorsi, non reggono all’esperienza” Non esiste quindi certezza della vita e tanto meno della natura. Sono stati vani i miti degli antichi perché abbiamo potuto constatare che non si sono verificati ma allo stesso tempo non possiamo neppure essere certi degli elementi concreti che abbiamo come un volo di uccelli che pareva annunciarci terra ed invece la attendiamo ancora. Certo, potevamo non partire, ma del resto “in quale altra condizione di vita avremmo dovuto essere” rinunciando al viaggio? “Non saremmo anzi a qualche maggior travaglio o sollecitudine, ovvero pieni di noia?” Letteratura, appunti e note sparse, ultima revisione: 17-03-2000 87 Alberto Pian / albertopian@libero.it
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