ESAME DI STATO DI LICEO SCIENTIFICO 2008 - Corso Sperimentale - Progetto Brocca Tema di Fisica - La Repubblica
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ESAME DI STATO DI LICEO SCIENTIFICO 2008 Corso Sperimentale – Progetto Brocca Tema di Fisica
La prova Il candidato svolga una relazione su uno solo dei seguenti due temi, a sua scelta, prestando par- ticolare attenzione al corretto uso della terminologia scientifica e delle cifre significative nella presentazione dei risultati numerici. Primo tema All’inizio del secolo scorso il fisico tedesco Max Planck interpretò i risultati sperimentali relativi alla radiazione del corpo nero introducendo l’ipotesi della quantizzazione dell’energia. Questa ipo- tesi, intesa inizialmente solo come uno stratagemma matematico utile per far coincidere i risultati teorici e quelli sperimentali, apparve invece come una realtà fisica pochi anni dopo, con l’interpre- tazione dell’effetto fotoelettrico fatta da Einstein e con la successiva conferma dovuta all’effetto Compton. Il candidato spieghi: 1. che cosa si intende per corpo nero e come lo studio della sua radiazione ha portato Planck ad avanzare l’ipotesi dei quanti di energia; 2. la differenza fra il concetto di “fotone” utilizzato da Einstein per spiegare l’effetto fotoelet- trico e quello del “quanto di energia” proposto pochi anni prima da Planck; 3. i fenomeni fisici dell’effetto fotoelettrico e di quello Compton, descrivendo anche le leggi che permettono di interpretarne i risultati sperimentali. Il candidato risolva infine il seguente problema. Un fotone, con energia 0,1 MeV, interagisce con un elettrone la cui velocità può essere consi- derata trascurabile. Calcolare, sempre in MeV, l’energia finale del fotone sapendo che il suo angolo di deviazione dovuto all’effetto Compton è di 30◦ . Commentare il risultato ottenuto. Si ricorda che l’elettrone ha carica elettrica negativa 1,60 · 10−19 C e massa 9,11 · 10−31 kg. Inoltre, i valori della costante di Planck e della velocità della luce sono h = 6,63 · 10−34 J·s e c = 3 · 108 m/s. 2
Secondo tema Si abbiano due fili conduttori paralleli percorsi nello stesso verso dalla corrente elettrica d’intensità 1 A e posti alla distanza di 10 cm l’uno dall’altro. Calcolare il modulo del vettore ~B nei pun- ti R, S, T distanti rispettivamente 3 cm, 3 cm, 7 cm dal punto P, mettendo in evidenza i pas- saggi matematici necessari a ricavare l’unità di misura dell’induzione magnetica. Disegnare le linee di forza passanti nei pun- R P S T Q ti R, S, T, mettendo in evidenza la direzione e l’orientamento del vettore ~B negli stessi punti. Ricavare l’espressione matematica che de- scrive l’andamento del modulo di ~B tra i punti P e Q e disegnarne il grafico sul piano cartesiano. In ognuno dei punti S e T passa un protone con velocità v = 2 ·104 m/s con la traiettoria pa- rallela ai fili e con verso uguale a quello convenzionale della corrente elettrica. Ricavare il modulo, la direzione e il verso della forza di Lorentz che agisce su ognuno dei due protoni e rappresentarne la traiettoria con un disegno, anche se in maniera approssimata. Si ricorda che il protone ha la stessa carica dell’elettrone, ma con segno positivo (1,60 · 10−19 C). 3
La soluzione Primo tema Il corpo nero e Planck Il testo di questa parte ricalca quanto già scritto nella discussione della prova d’esame del 2004. In fisica si definisce corpo nero un corpo qualsiasi che abbia la proprietà di assorbire tutta la ra- diazione elettromagnetica incidente su esso, senza rifletterla affatto. Un corpo nero emette perciò radiazione soltanto in virtù della sua temperatura, secondo la legge di Stefan–Boltzmann. Vale la pena sottolineare che un corpo nero non deve affatto essere nero. Se si realizza una cavità con un piccolo foro, tale foro si comporta come un corpo nero. Anche il Sole è in questo senso un corpo nero. Lo studio sperimentale dell’emissione termica del corpo nero, negli ultimi decenni dell’Ot- tocento, mise in evidenza che la potenza emessa dall’unità di area di un corpo nero a una data temperatura variava con la frequenza secondo un andamento caratteristico, descritto dalla curva riprodotta nella figura (1). potenza emessa per intervallo di frequenza frequenza Figura 1: Curva di emissione del corpo nero Questa curva rappresenta una funzione di distribuzione. L’ordinata non fornisce il valore della potenza emessa a una determinata frequenza, ma il numero che occorre moltiplicare per il piccolo intervallo d f di frequenza considerato per ottenere la potenza emessa nell’intervallo di frequenze che va da f a f + d f . L’area compresa tra la curva e l’asse delle ascisse corrisponde alla potenza totale emessa (sempre per unità di area). Come si vede, la curva presenta un picco, che corrisponde alla λmax che compare nella legge di spostamento di Wien. La curva (1) rappresentò un problema irrisolvibile per la fisica classica. Tutti gli sforzi per dedurre dall’elettromagnetismo di Maxwell un’espressione per la potenza irraggiata conducevano infatti a un risultato inaccettabile: la potenza doveva aumentare senza limiti all’aumentare della frequenza. È facile capire che, se ciò fosse vero, la potenza totale emessa, cioè l’area sotto la curva, dovrebbe risultare infinita. In altri termini, un corpo nero dovrebbe emettere una quantità infinita di energia. Alla fine dell’Ottocento, Planck affrontò questo problema e nel 1900 riuscı̀ a dimostrare che era possibile ottenere un’espressione matematica in ottimo accordo con la curva sperimentale introdu- cendo un’ipotesi supplementare: che gli scambi di energia fra la materia e la radiazione a una data 4
frequenza non avvengano per quantità arbitrarie, variabili con continuità, ma soltanto per quanti di- screti, multipli interi di un quanto di energia elettromagnetica di valore h f . La costante universale h è detta costante di Planck e vale (6,62606896 ± 0,00000033) J · s secondo le misure più recenti al momento in cui scriviamo (giugno 2008). Confronto fra Einstein e Planck Possiamo riassumere in termini di analogie e differenze il confronto fra le ipotesi avanzate dai due autori: • somiglianze: sia Planck che Einstein superano l’elettromagnetismo classico, riconoscendo che per spiegare un insieme di fatti sperimentali (il comportamento del corpo nero e l’effetto fotoelettrico) è inevitabile introdurre una forma di quantizzazione dell’energia; • differenze: mentre Planck quantizza soltanto gli scambi energetici fra materia e radiazione, lasciando alla radiazione il carattere continuo che le attribuisce l’elettromagnetismo classico, Einstein quantizza la radiazione stessa, proponendo esplicitamente di unificare dal punto di vista corpuscolare la descrizione della materia e della radiazione. L’effetto fotoelettrico Nel redigere la risposte per questo punto, abbiamo ripreso il testo della discussione delle prove d’esame relative agli anni 1997 e 2000. L’effetto fotoelettrico può essere messo in evidenza utilizzando un opportuno tubo a vuoto con due elettrodi connessi a una pila che mantiene fra essi una differenza di potenziale assegnata. Poi- ché i due elettrodi sono isolati, nel circuito cosı̀ costituito non passa alcuna corrente (fatto salvo il brevissimo transitorio per la carica delle capacità parassite presenti nel circuito). Ma se il catodo (l’elettrodo connesso al polo negativo della pila) è costituito da una piastrina metallica, è possibile far passare una corrente nel circuito illuminando il catodo con una sorgente di onde elettromagne- tiche, visibili o ultraviolette. Finché la lunghezza d’onda della radiazione impiegata è superiore a un certo valore λ0 , detto lunghezza d’onda di soglia, nel circuito non si osserva alcuna corrente, qualunque sia l’intensità della sorgente impiegata. La corrente passa soltanto se la radiazione ha una lunghezza d’onda uguale o inferiore a λ0 . Dal punto di vista dell’elettromagnetismo classico, l’effetto fotoelettrico è sconcertante. Se nel circuito si stabilisce una corrente, possiamo ipotizzare che il catodo illuminato emetta elettroni, in maniera simile a quello che avviene nell’effetto termoionico. L’energia necessaria ad abbando- nare il catodo, indicata dal lavoro di estrazione W , che misura l’energia necessaria ad estrarre un elettrone, deve evidentemente essere fornita agli elettroni dalla radiazione incidente. Ma secondo l’elettromagnetismo classico l’energia della radiazione non dipende dalla lunghezza d’onda. Per la precisione, la densità di energia elettromagnetica in una zona dello spazio in cui è presente un cam- po elettrico sinusoidale è direttamente proporzionale al quadrato del valore massimo del campo. In questa relazione non compaiono né la frequenza né la lunghezza d’onda dell’onda elettromagnetica in questione. In altri termini, con una sorgente di radiazione abbastanza intensa e quindi in grado di generare un campo elettrico con un valore massimo sufficientemente intenso, si dovrebbe osservare un pas- saggio di corrente per qualunque valore della lunghezza d’onda. L’esistenza di un effetto di soglia resta classicamente inspiegabile. Einstein propose un modello, basato sull’ipotesi che la luce abbia natura corpuscolare e sia costituita da quanti di luce che oggi chiamiamo fotoni. Quando un fotone colpisce un elettrone nel metallo che costituisce il catodo, gli cede la propria energia h f , con f pari alla frequenza della luce incidente. Se la frequenza del fotone è troppo bassa (ovvero, se la lunghezza d’onda è troppo alta), l’energia ceduta all’elettrone è inferiore al lavoro di estrazione W , e l’elettrone resta confinato 5
nel metallo: qui, negli urti con il reticolo cristallino, perde immediatamente l’energia acquistata. Se invece f è uguale o superiore a una frequenza di soglia f0 (ovvero, se λ è uguale o inferiore a λ0 = c/ f0 ) l’elettrone acquista un’energia almeno sufficiente a lasciare il metallo e a muoversi nel campo elettrico esterno stabilito dalla pila. La condizione che determina λ0 è allora semplicemente: hc W= . (1) λ0 Per il principio di conservazione dell’energia, l’energia che l’elettrone possiede appena al di fuori del catodo deve essere uguale all’energia ceduta dal fotone, diminuita dell’energia W neces- saria ad abbandonare il metallo e, eventualmente, dell’ulteriore energia persa per collisioni con gli atomi del metallo. L’energia che un elettrone possiede dopo essere sfuggito al metallo è quindi al più uguale a: Ee = E f −W (2) dove E f è l’energia del fotone incidente, mentre Ee è l’energia cinetica dell’elettrone estratto dal metallo. Non appena l’elettrone è emesso dal catodo, esso viene accelerato dal campo elettrico imposto dalla pila fra gli elettrodi. Se la polarità del campo viene invertita, in modo che il catodo sia connesso al polo positivo della pila, la corrente nel circuito non va necessariamente a zero (corrente inversa), perché l’energia cinetica Ee può essere sufficiente a permettere all’elettrone di raggiungere l’elettrodo opposto. L’elettrone risale la ddp ∆V grazie all’energia cinetica che possiede, e in questo modo tale energia cinetica si trasforma nell’energia potenziale E p = e · ∆V . Se ∆V è abbastanza grande, l’energia cinetica dell’elettrone non è sufficiente a permettergli di raggiungere l’elettrodo opposto e la corrente nel circuito va a zero: la ddp ∆Varr necessaria ad ottenere questo risultato è nota come potenziale di arresto. L’effetto Compton Nel redigere la risposte per questo punto, abbiamo ripreso il testo della discussione delle prove d’esame relative all’anno 2002. L’effetto Compton è osservabile mediante il seguente apparato sperimentale: una sorgente di raggi X viene usata per irraggiare un bersaglio di grafite; un apposito rivelatore raccoglie i raggi X diffusi al di là del bersaglio e ne misura la lunghezza d’onda. Si osserva che la lunghezza d’onda λ0 della frazione più significativa dei raggi X diffusi è maggiore della lunghezza d’onda λ dei raggi incidenti. Compton propose di spiegare la variazione della lunghezza d’onda considerando l’interazione fra i raggi X e gli elettroni della grafite come un urto elastico fra un fotone e un elettrone. Scri- vendo i principi di conservazione dell’energia e della quantità di moto totali (in forma relativistica, data la presenza del fotone), e risolvendo il sistema di equazioni corrispondente, Compton ottenne l’espressione: h λ0 − λ = (1 − cos θ) (3) m·c dove m rappresenta la massa a riposo dell’elettrone, mentre θ è l’angolo di diffusione fra la direzione dei fotoni X incidenti e quella dei fotoni diffusi. La (3) può essere scritta nella forma: λ0 − λ = λC (1 − cos θ) (4) h dove λC = = 2,43 · 10−12 m è la cosiddetta lunghezza d’onda Compton dell’elettrone. m·c L’ottimo accordo fra i dati sperimentali e l’espressione proposta da Compton convinse defi- nitivamente la comunità dei fisici della validità del modello corpuscolare della luce proposto da Einstein. 6
Il problema Dobbiamo premettere un’osservazione: il testo della prova prescrive che il candidato “presti parti- colare attenzione al corretto uso delle cifre significative nella presentazione dei risultati numerici.” Tutto bene, se poi la prova stessa non fornisse la maggior parte dei dati con una sola cifra signi- ficativa. Il candidato sarebbe allora costretto a fare altrettanto, e i risultati perderebbero spesso significato. Non possiamo fare a meno di interrogarci sulla ragione di un modo di procedere cosı̀ palesemente incoerente. Nel seguito indichiamo tutti i risultati con tre cifre significative. Con i dati forniti, la variazione di lunghezza d’onda del fotone risulta: ∆λ = λC (1 − cos θ) = 2,43 · 10−12 m (1 − cos 30◦ ) = 3,26 · 10−13 m. (5) La lunghezza d’onda del fotone incidente vale: c hc 6,63 · 10−34 J · s · 3,00 · 108 m/s λ= = = = f E 0,1MeV 6,63 · 10−34 J · s · 3,00 · 108 m/s = = 1,24 · 10−11 m. (6) 1,60 · 10−14 J (Come si vede, la variazione di lunghezza d’onda cade sulla terza cifra significativa.) La lunghezza d’onda del fotone diffuso risulta allora: λ0 = λ + ∆λ = 1,24 · 10−11 m + 3,26 · 10−13 m = 1,27 · 10−11 m (7) e l’energia corrispondente vale: hc 6,63 · 10−34 J · s · 3,00 · 108 m/s E0 = = = 1,57 · 10−14 J = 0,0979MeV. (8) λ0 1,27 · 10−11 m L’energia del fotone diffuso è minore di quella del fotone incidente, perché parte dell’energia di quest’ultimo si è trasferita come energia cinetica all’elettrone. Vale la pena di notare che, se si fosse lavorato con una sola cifra significativa come i dati forniti avrebbero reso necessario, l’energia del fotone diffuso sarebbe risultata indistinguibile da quella del fotone incidente. 7
Secondo tema Ilcampo ~B Si vedano le osservazioni sulle cifre significative relative al tema precedente. L’espressione del modulo del campo magnetico (termine ormai largamente preferito a quello di induzione magnetica) generato in un punto a distanza r da un conduttore rettilineo percorso da una corrente di intensità i è: µ0 i B= . (9) 2π r In questo caso i fili sono due, il filo M passante per P e il filo N passante per Q. Il campo magnetico in ogni punto dello spazio è dunque la somma vettoriale dei due campi. La direzione e il verso di ciascun campo si può trovare con la regola della mano destra, come indicato nella figura (2), dove le linee del campo generato da M sono indicate con linee tratteggiate e quelle del campo generato da N con linee punteggiate. Non si è fatto alcun tentativo di ricostruire le linee del campo risultante, un obiettivo che non sembra alla portata di un candidato durante la prova d’Esame. R P S T Q Figura 2: Linee di forza Tutti i punti oggetto d’indagine si trovano sulla retta PQ, e in essi entrambi i campi sono sempre perpendicolari alla retta stessa. La somma vettoriale si riduce cosı̀ a una somma algebrica. Determiniamo in primo luogo il modulo dei singoli campi nei punti indicati. Per il filo M: µ0 i N 1A N BM (R) = = 2 · 10−7 2 = 6,67 · 10−6 = 6,67µT (10) 2π r A 0,03m A·m BM (S) = 6,67µT (11) BM (T ) = 2,86µT (12) e per il filo N: BN (R) = 1,54µT (13) BN (S) = 2,86µT (14) BN (T ) = 6,67µT. (15) Nel punto R i due campi hanno lo stesso verso e il modulo del campo risultante è la somma dei moduli, B(R) = 8,21µT. In S e in T i campi sono opposti e il modulo del campo risultante è la differenza dei moduli, B(S) = B(T ) = 3,81µT. Nella figura (3) sono rappresentati i tre vettori risultanti. 8
R P S T Q Figura 3: Vettori risultanti Tra i punti P e Q i due campi hanno sempre verso opposto, come si è visto, quindi il modulo del campo risultante è la differenza dei moduli e si può scrivere in forma generale, per un punto a distanza x da P: ¯ ¯ ¯ ¯ ¯ µ0 i µ0 i ¯ µ0 ¯ 1 1 ¯¯ µ0 |l − 2x| B(x) = ¯ ¯ − ¯ = i − ¯ = i (16) 2π x 2π l − x ¯ 2π ¯ x l − x ¯ 2π x (l − x) dove si è detta l la distanza PQ. Piuttosto che studiare B(x), sembra più interessante studiare Bsign (x), definito a meno del valore assoluto, che descrive l’andamento del campo risultante tenendo conto anche del verso (considerato positivo quando ~B(x) punta lontano dal lettore). A meno di costanti irrilevanti, Bsign (x) coincide con la funzione: 1 − 2x Bsign (x) = per 0 < x < 1. (17) x (1 − x) Il grafico di Bsign (x) è riportato in figura (4). Il grafico di B(x)si può ottenere facilmente da questo. (1-2*x)/((1-x)*x) 50 0 -50 0.25 0.5 0.75 Figura 4: Grafico di Bsign (x) 9
La traiettoria dei protoni Il protone passante per S subisce una forza di Lorentz che, per la seconda regola della mano destra, è diretta verso il filo M ed è perpendicolare a ~v e a ~B. Se B fosse costante, la traiettoria sarebbe una circonferenza. Poiché B cresce quando il protone devia verso il filo, anche la forza di Lorentz cresce e la traiettoria è una curva con un raggio di curvatura sempre più piccolo. Nel contempo, però, il centro della circonferenza alla quale è istantaneamente tangente la traiettoria si sposta verso la traiettoria stessa. Ne risulta una curva tutt’altro che facile da visualizzare con una certa precisione. La figura (5) rappresenta la situazione “iniziale”, quando il protone si trova nel punto S: situazione v B F R P S T Q Figura 5: Forza di Lorentz nella quale il modulo della forza di Lorentz vale: F = qvB = 1,6 · 10−19 C · 2 · 104 m/s · 3,81 · 10−6 T = 1,2 · 10−20 N. (18) Una ricostruzione attendibile della traiettoria richiede strumenti non banali, e non è chiaro come potesse essere raggiunta in sede d’esame. È vero che il testo parla di tracciare un disegno “in maniera approssimata”; ma c’è una grossa differenza fra approssimare e tirare a indovinare, come è possibile che molti studenti siano stati tentati di fare. Un’integrazione numerica conduce alla traiettoria riportata in figura (6), dove l’asse x coincide con la retta PQ e l’asse y con il filo M. y x Figura 6: Traiettoria del protone passante per S La traiettoria del protone passante per T sarà simmetrica a questa, rispetto all’asse del segmento PQ, nel piano individuato dai due fili. 10
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