Enthymema XXVI 2020 Macchine leggenti e macchine scriventi Annabella Petronella

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Enthymema XXVI 2020
                  Macchine leggenti e macchine scriventi
                  Annabella Petronella
                  Università degli Studi di Bari Aldo Moro

Abstract – L’intervento si basa sull’ipotesi che la presenza di congegni automatiz-
zati di lettura e scrittura presenti in Se una notte d’inverno un viaggiatore si possa
proiettare non solo alla luce delle previsioni avanzate dall’autore in “Cibernetica e
fantasmi” ma anche a ritroso, ovvero inseguendo il legame di Calvino con la tradi-
zione letteraria cinque-settecentesca (si pensi ad esempio alla macchina per gene-
rare discorsi in Swift o alla fissazione e scomposizione delle ‘parole gelate’ in Ra-
belais). Tale prospettiva punterà a verificare come l’immaginario calviniano, nel
suo dualismo intrinseco, mantenga salda la propria impostazione fantastico-
fiabesca, anche quando tratta di «macchine di ferro che obbediscono ai bit senza
peso».
Parole chiave – Automa letterario; Fantastico; Parole gelate; Satira.

Abstract – The article proposes a focus on the reading and writing machines in If
on a Winter’s Night a Traveler by Italo Calvino. This aspect of the novel reflects
Calvino’s prediction of a literary automaton we find in his essay “Cybernetics and
ghosts”. It’s also true that Marana’s writing machine has the same combinatory sys-
tem and parodist aim of the device described in the 3th book of Gulliver’s Travels.
Moreover, the reading machine in Calvino’s novel dissolves the book in a dust of
melted words, an image that may trace back to Rabelais’ myth of parolles gelées.
These references give us the possibility to explore the fabulous element of If on a
Winter’s Night a Traveler.
Keywords – Literary automaton; Fantastic genre; Frozen words; Satire.

Petronella, Annabella. “Macchine leggenti e macchine scriventi”. Enthymema, n. XXVI,
2020, pp. 95-106.
http://dx.doi.org/10.13130/2037-2426/14874
https://riviste.unimi.it/index.php/enthymema
                Creative Commons Attribution 4.0 Unported License
                ISSN 2037-2426
Macchine leggenti e macchine scriventi
                                     Annabella Petronella
                         Università degli Studi di Bari Aldo Moro

1. Computer che leggono e scrivono
In via del tutto congetturale, potremmo immaginare che Calvino, al tempo della sua celebre
conferenza del 1967 intitolata poi “Cibernetica e fantasmi”, avesse già previsto che nel nuovo
millennio l’intero corpus della sua produzione letteraria, giornalistica e saggistica, sarebbe stato
raccolto e trasformato in dati visualizzabili sullo schermo di un computer. Tale operazione è
stata effettivamente intrapresa col progetto Atlante Calvino: letteratura e visualizzazione, avviato
nel 2017 dall’Unità di Letteratura italiana dell’Università di Ginevra e dal Density Design Lab
del Politecnico di Milano.1
    I due gruppi di ricerca stanno lavorando alla realizzazione di una piattaforma web conte-
nente mappe, diagrammi ed elaborazioni grafiche, il cui obiettivo è quello di condurre ricer-
che approfondite sull’opera calviniana nel quadro delle digital humanities. Al momento sono
disponibili tre visualizzazioni orientative (Il tempo e le opere, I flussi dei racconti, L’arcipelago dei no-
mi), che raffigurano quarant’anni di scrittura di Calvino in forme geometriche, curve sinusoi-
dali, filigrane cromatiche, percorsi cronologici, organizzati «in una rete di linee che
s’intersecano».
    L’Atlante Calvino può essere considerato, a mio parere, una sorta di ‘macchina leggente’,
nella misura in cui permette di accedere ad una serie di informazioni organizzate per aprire
nuove prospettive e linee di ricerca. Allo stesso tempo la piattaforma si configura come una
‘macchina scrivente’ in quanto ipertesto interattivo, frutto delle proprietà combinatorie di
elementi codificati in un nuovo linguaggio.
    Le tecnologie informatiche applicate alla letteratura si sono spinte ben oltre i visual data,
oggi infatti le intelligenze artificiali sono in grado di generare testi creativi. Lo hanno fatto
oltreoceano lo scrittore Robin Sloan e il programmatore, nonché ghostwriter, Ross Goodwin,
sperimentatore di reti neurali che traducono i dati raccolti da dispositivi multimediali in testi
di senso compiuto.2 Queste notizie sembrano dare risposta agli interrogativi posti da Calvino
in “Cibernetica e fantasmi” laddove egli, dopo aver analizzato da una prospettiva antropolo-
gica la natura combinatoria della narrazione, si chiedeva: «avremo macchine capaci di ideare e
comporre poesie e romanzi?», «avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scritto-
re?» (“Cibernetica” 212).
    In Se una notte d’inverno un viaggiatore tale questione viene riproposta tramite l’espediente
della macchina scrivente e leggente, che nel romanzo occupa una posizione non del tutto
marginale nella vicenda di Flannery, Marana e dei loro lettori e detrattori. Il romanzo stesso,

1 Atlante Calvino: letteratura e visualizzazione si avvale della collaborazione della casa editrice Mondadori
che detiene l’intera opera di Calvino. Maggiori approfondimenti sul progetto sono disponibili
nell’apposita pagina web: www.atlantecalvino.unige.ch.
2 Nel 2016 lo scrittore statunitense Robin Sloan, autore del fortunato romanzo Mr. Penumbra’s 24-Hour

Bookstore (2012), raccontò nel suo blog di aver ideato una machine learning in grado di completare frasi
inserite dall’autore, implementando così una sorta di scrittura uomo-macchina. La tecnologia messa a
punto da Goodwin invece ha prodotto 1 the Road (2018), un romanzo sperimentale ispirato al noto On
the Road di Jack Kerouac e composto interamente da un’intelligenza artificiale.
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come è stato ampiamente osservato da Ulla Musarra, si presenta nella forma di ipertesto nar-
rativo, in quanto meccanismo che riproduce se stesso in un gioco di duplicazioni e moltipli-
cazioni di elementi ricombinabili e interconnessi (cfr. Musarra).
    I dispositivi di lettura e scrittura automatizzata compaiono in tre momenti del romanzo
cornice, ovvero: nel sesto capitolo, in cui si riportano le ingarbugliate lettere di Marana; nel
diario di Flannery, nucleo generativo dell’intera vicenda; e nel capitolo nove, a conclusione
del thriller dei romanzi interrotti.
    Il Lettore, sfogliando il dossier contenente le lettere di Marana, viene a conoscenza del lo-
sco affare del mercato degli apocrifi. Nella fitta corrispondenza si accenna all’utilizzo di
computer che avrebbero ultimato facilmente il romanzo incompiuto di Flannery, in quanto
programmati per «sviluppare tutti gli elementi d’un testo con perfetta fedeltà ai modelli stili-
stici e concettuali dell’autore» (Se una notte 725).
    Qualche pagina più avanti, un uomo in camice bianco esamina gli encefalogrammi di una
lettrice sottoposta a lettura forzata. A seconda degli indici di attenzione e gradimento, leg-
giamo nel romanzo, la combinazione prodotta dal computer viene accettata o scartata, per
poi essere scomposta e riutilizzata in altri contesti.

    L’uomo in camice bianco strappa un encefalogramma dopo l’altro come fossero fogli di calen-
    dario. – Di male in peggio, – dice. – Non viene più fuori un romanzo che stia in piedi. O il
    programma va rivisto o la lettrice è fuori uso –. Guardo il viso sottile tra paraocchi e visiera,
    impassibile anche per via dei tamponi agli orecchi e del sottogola che le immobilizza il mento.
    Quale sarà la sua sorte? (735)

    Nel capitolo nove, invece, il Lettore è alle prese con la reclusione nel carcere in Ataguita-
nia, dove gli viene chiesto di confrontare le sue impressioni di lettura su Intorno a una fossa vuo-
ta, con le risultanze del computer, definito ironicamente dall’ufficiale come macchina lettrice. Il
dispositivo, destinato ad incepparsi e a dissolvere il romanzo, questa volta è governato da un
personaggio femminile, anch’esso in camice bianco, che ha esplicitamente le sembianze di
Lotaria. Ed è la stessa Lotaria a mostrare a Flannery alcuni romanzi trascritti elettronicamen-
te da un elaboratore, unico strumento di lettura di cui lei si serve e che scompone il testo in
elenchi di parole disposte in ordine di frequenza. Infatti, afferma Lotaria:

    Cos’è infatti la lettura d’un testo se non la registrazione di certe ricorrenze tematiche, di certe
    insistenze di forme e di significati? La lettura elettronica mi fornisce una lista delle frequenze,
    che mi basta scorrere per farmi un’idea dei problemi che il libro propone al mio studio critico.
    […] Guardi qui. Parole che compaiono diciannove volte:
    cinturone, comandante, denti, fai, han, insieme, ragno, risponde, sangue, sentinella, spari, subi-
    to, t’, tua, visto, vita… (795)

     Le liste di occorrenze che Calvino riporta nel testo sono tratte, lo si ricorda, dagli Spogli
elettronici dell’italiano letterario contemporaneo a cura del linguista Mario Alinei, pubblicato nel 1973
e dedicato al Sentiero dei nidi di ragno.3

3 Il lavoro di Alinei comprende anche volumi dedicati agli spogli dei romanzi: Ferrovia locale di Carlo
Cassola, La ciociara di Alberto Moravia. In realtà il noto linguista aveva già testato l’uso dell’informatica
applicata alla filologia per i suoi Spogli elettronici dell’italiano delle origini e del Duecento del 1969, opera che
fu accolta con favore in quanto «destinata a divenire un insostituibile strumento per ogni studioso di
italiano antico e un sussidio di grande utilità» (Sansone 441). Le prime sperimentazioni di tali tecnolo-
gie furono avviate negli anni Sessanta dallo statunitense Vinton Adams Dearing e dal francese Dom
Jacques Froger.

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   Di fronte alla macchina leggente impiegata da Lotaria, Flannery reagisce con un estraniato
disagio e immagina di scrivere una frana di parole dalle quali l’elaboratore, capovolgendo il
proprio programma, possa ricavare il suo prossimo libro.

   L’idea che Lotaria legga i miei libri a questo modo mi crea dei problemi. Adesso ogni parola
   che scrivo la vedo già centrifugata dal cervello elettronico, disposta nella graduatoria delle fre-
   quenze, vicino ad altre parole che non so quali possano essere, e mi domando quante volte l’ho
   usata […]. Forse anziché un libro potrei scrivere degli elenchi di parole, in ordine alfabetico,
   una frana di parole isolate in cui si esprima quella verità che ancora non conosco, e dalle quali
   l’elaboratore, capovolgendo il proprio programma, ricavi il libro, il mio libro. (797)

   Nell’incontro con Marana invece, l’idea di un automa letterario in grado di liberarlo dalla
prigione della crisi creativa induce Flannery a una riflessione sulla scrittura come gioco di
combinazioni, che realizza il sogno dello scrittore di annullare l’interferenza della propria
persona con la materia narrata.
   Jonathan Usher, in un suo articolo intitolato “Computer as Writer/Reader”, ha osservato
che nel Viaggiatore l’episodio della scrittura e della lettura computerizzata si inserisce in
un’atmosfera di fantascientifica assurdità e di umorismo grottesco. Lo studioso inoltre con-
ferma la centralità dello stratagemma della macchina scrivente, rilevando la sua occorrenza in
alcuni testi esplicativi sul Viaggiatore, tra cui “Come ho scritto uno dei miei libri” e il meno
noto “Al di là dell’autore”. In quest’ultimo Calvino riporta un passaggio tratto dalla stesura
del diario di Flannery, dove l’episodio della macchina scrivente è incentrato sulla reazione
che essa suscita nello scrittore, ma che non compare nell’edizione definitiva del romanzo.

   Dal momento in cui hanno programmato il computer riversando in ‘lui’ le mie facoltà inventi-
   ve, lo scrittore è diventato ‘lui’, non sono più io. Ormai, tutto quello che posso fare per sentir-
   mi vivo è non scrivere e impedire a ‘lui’ di scrivere […]. Perché da quando so che attraverso
   l’elaboratore potrò continuare a scrivere dopo morto, la scrittura s’associa nella mia mente con
   la morte, mi sembra che ricomincerò davvero a scrivere solo allora […].
   Se mi trasformassi in una macchina il mio lavoro avrebbe l’oggettività assoluta a cui aspiro e
   nello stesso tempo sarei più che mai me stesso. (“Al di là dell’autore” 131)

    È comunque indubbio che la chiave di lettura principale per comprendere il senso della
metafora della macchina scrivente e leggente nel Viaggiatore risieda in “Cibernetica e fanta-
smi”, in quanto caposaldo programmatico della poetica più matura dell’autore.
    Come sappiamo, l’intento di quella conferenza era quello di provare a fare il punto sulla
condizione della letteratura nella contemporaneità, immaginandone anche i possibili esiti fu-
turi. La questione sulla realizzabilità di una macchina in grado di sostituire completamente lo
scrittore o il poeta ha una funzione provocatoria, in quanto ciò che interessa a Calvino non è
tanto il valore profetico di una simile ipotesi, quanto la sua attualizzazione teorica. Infatti la
conferenza approda, usando la formula di Asor Rosa, «all’insopprimibile duplicità dell’essere»
(cfr. Stile Calvino), ovvero al concetto di sfida alla complessità e inafferrabilità del reale. La
scrittura computerizzata è una metafora che Calvino mette a fuoco per ribadire un’attitudine
inalienabile della comunicazione letteraria, cioè quella di dare la parola a tutto ciò che
nell’inconscio sociale e individuale è rimasto non detto, anche perché, egli afferma, «attorno
alla macchina scrivente esistono i fantasmi nascosti dell’individuo e della società» (“Ciberne-
tica” 221).
    Focalizzando l’attenzione sulla descrizione della scrittura elettronica possiamo notare una
stretta analogia, sia sul piano denotativo che concettuale, tra il congegno immaginato nella
conferenza e quello utilizzato da Marana nel Viaggiatore.
    In “Cibernetica” Calvino individua quattro caratteristiche dell’ipotetica macchina scriven-
te, ovvero: la capacità di mettere in gioco gli elementi dell’interiorità, l’attitudine a produrre

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opere tradizionali (poesie con forme metriche chiuse, e romanzi «con tutte le regole»), il bi-
sogno di generare disordine, e infine l’adattamento dello stile alle «variazioni di determinati
indici statistici della produzione, del reddito, delle spese militari, della distribuzione dei poteri
decisionali» (“Cibernetica” 214).
    In Se una notte d’inverno un viaggiatore questi elementi convergono nelle pagine del diario di
Flannery, dove si comprende che l’espediente dell’automa letterario assume una duplice fun-
zione: da un lato consente di aprire un ulteriore spazio di riflessione sulla scrittura come pro-
cesso combinatorio, dall’altro conferma il Leitmotiv della parodia nei confronti della lettura
intellettualistica, ma anche del romanzo di consumo come prodotto in serie, studiato per
soddisfare le esigenze del mercato e adattarsi a esso.4

2. Fantascientifico alla rovescia
Pier Paolo Antonello, occupandosi del legame tra scienza e letteratura nell’opera di Calvino,
ha mostrato come una delle prime fonti per la scelta di una informatica letteraria come ar-
gomento principale di “Cibernetica e fantasmi” sia stato “Il versificatore” di Primo Levi (cfr.
Antonello). In questo racconto breve un poeta, ridotto a comporre su commissione versi
convenzionali, si dota di un computer in grado di scrivere al suo posto. Una volta impostati
l’argomento, i registri, lo stile e la metrica, il dispositivo genera i componimenti le cui esila-
ranti storture sono recepite come mere licenze poetiche. Il racconto fu pubblicato per la
prima volta su Il Mondo nel 1960 e fa parte della raccolta Storie naturali, in cui Levi, usando lo
pseudonimo di Damiano Malabaila, fece confluire una serie di racconti fantascientifici con
punte di umorismo surreale e grottesco.5 “Il versificatore” è il primo di una serie di sei rac-
conti in cui compaiono non solo macchine scriventi, ma anche duplicatori di materia, misu-
ratori di bellezza, fino ad arrivare a riproduttori virtuali di sensazioni. Gli episodi hanno co-
me protagonista il signor Simpson, venditore delle macchine della Natca e primo testimone
della totale assuefazione di chi le maneggia.
    In realtà sono parecchi i racconti e i romanzi novecenteschi in cui compare la figura
dell’automa in funzione di una riflessione sulle esperienze cognitive realizzabili grazie alle
nuove tecnologie. L’argomento richiederebbe approfondimenti che esulano però
dall’indirizzo analitico qui intrapreso, che comporta a questo punto un cambio di rotta. Te-
nendo presente la componente ludica e sottilmente ironica di Se una notte d’inverno un viaggiato-
re, vorrei infatti analizzare la presenza del computer nel romanzo inseguendo il legame di
Calvino con la tradizione satirica e fiabesca cinque-settecentesca; dopotutto, come scriveva
Eugenio Montale recensendo Le Cosmicomiche, Calvino può essere «fantascientifico ma alla
rovescia» (Montale 2760).

4 Lo scrittore messo in crisi da una macchina leggente è un motivo che ricorre anche nel romanzo
Small World di David Lodge, concepito nello stesso anno di pubblicazione del Viaggiatore ma dato alle
stampe solo nel 1984. Il piccolo mondo di Lodge presenta, al pari del Viaggiatore, un complesso intreccio
di storie, stili e generi, con una smaccata dimensione metaletteraria e metateorica dominata però da
una pura comicità. Un’esperienza identica a quella di Flannery viene vissuta dallo scrittore Ronald
Frobisher il quale scopre, sempre con l’ausilio del computer, che la parola dominante nella sua opera
risulta essere unto: «Ero sbalordito, te lo assicuro. Tutta la mia opera sembrava satura di unto […]. Da
allora non sono più riuscito a scrivere» (Lodge 224-225). L’edizione italiana del romanzo di Lodge si
intitola Il professore va al congresso.
5 Fu lo stesso Calvino a suggerire a Levi di continuare in tale direzione pur muovendo alcuni dubbi

che, come testimonia una lettera del 22 novembre 1961, fecero slittare la pubblicazione delle Storie na-
turali di qualche anno (Lettere 695).

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    Un primo punto di riferimento in questa direzione potrebbe rinvenirsi nelle sperimenta-
zioni dello Scriblerus Club, una sorta di lontanissimo antesignano dell’Oulipo, che si faceva
beffa del mondo delle lettere e delle scienze. Il suo fondatore, il reverendo irlandese Jonathan
Swift, fantasticò anch’egli su un congegno in grado di generare discorsi, e lo descrisse nel li-
bro terzo dei suoi celebri Gulliver’s Travels.6
    Dopo aver lasciato l’isola volante di Laputa, l’imperterrito viaggiatore Lemuel Gulliver
giunge nella metropoli di Balnibarbi dove gli è concesso di visitare la grande Accademia di
Lagado, in cui scienziati di ogni sorta compiono folli esperimenti nel tentativo di migliorare
le condizioni di vita dell’umanità. Nell’ala riservata ai progettisti del sapere speculativo, Gulli-
ver incontra un professore attorniato da una cinquantina di discepoli intenti a manovrare un
enorme telaio composto da tasselli di legno, le cui facce riportano tutte le parole del loro
idioma. Azionando delle manovelle, le parole sui tasselli si dispongono in ordine diverso ge-
nerando delle frasi. Il professore fa sfoggio di grandi volumi in folio destinati a raccogliere una
completa trattazione di tutte le arti e le scienze ottenuta grazie alla sua invenzione.

    Tutti sanno, disse, quanto laborioso sia il consueto metodo per divenire eccellenti nel campo
    delle arti e delle scienze; laddove grazie al suo congegno, anche la più ignorante delle persone,
    con modica spesa e soltanto un poco di fatica fisica, potrà scrivere libri di filosofia, poesia, po-
    litica, diritto, matematica e teologia, senza bisogno alcuno di genialità o d’erudizione […].
    M’assicurò che quell’invenzione aveva assorbito tutti i suoi pensieri sin dalla giovinezza; ch’egli
    aveva riversato in quel telaio tutto il suo vocabolario; e che aveva computato nel modo più ri-
    goroso le quantità proporzionali di nomi, verbi, particelle, e altre parti del discorso, che usual-
    mente ricorrono nei libri. (Swift 177-179)

    Pare che le invenzioni degli scienziati di Lagado descritte da Swift traggano ispirazione dai
resoconti della Royal Society e da alcune cronache del tempo. In particolare, l’idea della mac-
china scrivente potrebbe derivare da un articolo di Richard Steele su The Spectator, nel quale si
ridicolizzava un tale John Peters per avere inventato delle tavole che permettevano di com-
porre versi latini (Swift 323). Il bersaglio polemico in questo caso era rivolto alla vacuità di
un sapere prodotto meccanicamente, una tematica che Swift aveva già affrontato nella sua
Favola della botte, dove immaginava che un giorno chiunque sarebbe stato capace di destreg-
giare argomenti profondi e universali, «giacché poco importa che la sua testa sia vuota, posto
che la sua raccolta di luoghi comuni sia piena»7 (Swift 323).
    Procedendo su una tale linea interpretativa, si potrebbe affermare che il computer scri-
vente di Se una notte d’inverno un viaggiatore abbia un intento parodico simile a quello del conge-
gno combinatorio per generare discorsi che affascina tanto Gulliver. Un’ulteriore analogia tra
le due opere la si può riscontrare nella caratterizzazione dei protagonisti. L’anonimo Lettore
alla ricerca dei romanzi perduti ha la stessa ingenuità di Gulliver, etimologicamente indicato
come il credulone, ma anche la stessa predisposizione a lasciarsi trasportare dalle situazioni, a
subire gli eventi, a farsi guidare in territori sconosciuti.
    Sul piano strutturale i quattro libri della favola swiftiana rispondono a un rigido ordine
geometrico basato, come spiega anche Gianni Celati, sulle serie differenziate invertite (Swift
XII). Le note coppie oppositive, lillipuziani e giganti, scienziati e cavalli razionali, permettono

6 Il titolo originale Travels into Several Remote Nations of the World. In Four Parts, viene convenzionalmente
abbreviato in Gulliver’s Travels. I riferimenti e le citazioni sono tratte dall’edizione italiana I viaggi di Gul-
liver, a cura di Gianni Celati.
7 Un’ulteriore fonte swiftiana per l’ideazione dell’Accademia di Lagado pare sia stata l’Isola di Quintes-

senza, di cui tratta il quinto libro del Gargantua et Pantagruel, dove si svolgono attività vane come la cac-
cia al vento e altre trovate che rendono pienamente il senso della fatica sprecata (Swift 323).

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all’autore di ampliare il proprio ventaglio polemico, prendendo di mira una vasta gamma di
atteggiamenti dei sapienti, come la superbia intellettuale, i sofismi machiavellici, la crudeltà
mentale (che, come si vede nel quarto libro, può generare inquietanti aberrazioni). È un at-
tacco senza esclusione di colpi, che investe non solo le dottrine scientifiche e politiche ma
anche il mondo delle lettere.
     A questo proposito è doveroso ricordare che in molte pagine del Gulliver lo stile di Swift
riproduce ironicamente quello dei viaggiatori del suo tempo, autori di libri mediocri ma di
gran successo. Si pensi alla geniale trovata di copiare quasi alla lettera, per la descrizione del
viaggio in mare, alcune indicazioni nautiche contenute nel Mariner’s Magazine, in cui la pom-
posità del gergo e gli ostentati tecnicismi producono un effetto comico.
     La riscrittura e l’articolazione delle varianti relative ai generi letterari, come sappiamo, è
una caratteristica fondamentale anche dei micro-romanzi del Viaggiatore, in cui Calvino rimo-
della ludicamente le tipicità stilistiche e il repertorio dei procedimenti narrativi, come se que-
sti fossero, per usare la nota metafora di Segre (cfr. “Se una notte”), una scatola natalizia di
giocattoli.
     Nei Gulliver’s Travels, inoltre, la regola fondamentale della narrazione sembra essere quella
della menzogna: il protagonista è uno splendide mendax che, scrive Celati, «annulla il pathos del-
la serietà e ci costringe a seguire uno sviluppo narrativo come se fosse un indovinello» (Swift
XXIV). Lo stesso potremmo dire del Viaggiatore, dove la finzione è incarnata dal deus ex ma-
china Ermes Marana ed è sostenuta da vari effetti di straniamento, con la determinante com-
plicità della narrazione in seconda persona.
     Mentre nella favola swiftiana l’infrazione della plausibilità risulta permanente, malgrado le
dichiarazioni antifrastiche di Gulliver sulla veridicità del suo racconto, nel romanzo di Calvi-
no il piano dell’assurdo segue una parabola discendente, che conduce il Lettore da una co-
mune libreria fino all’Ircania, per poi approdare alla banalità di un letto coniugale.
     L’apice dell’inverosimile nel romanzo cornice lo si raggiunge nell’incontro tra il Lettore e
Corinna-Gertude-Alfonsina-Sheila, ovvero Lotaria, con la sua macchina leggente che scom-
pone le parole del testo. Si legge in chiusura del capitolo nove:

    Alexandra-Sheila-Corinna, soprapensiero, s’è rimessa a schiacciar tasti […] – C’è qualcosa che
    non funziona – mormora, – a quest’ora dovrebb’essere venuto fuori tutto… Cosa c’è che non
    va? […] L’ordine delle parole nel testo di Calixto Bandera, custodito nella memoria elettronica
    per essere riportato alla luce in qualsiasi momento, è stato cancellato in un’istantanea smagne-
    tizzazione dei circuiti. I fili multicolori ora macinano il pulviscolo delle parole sciolte: il il il il, di
    di di di, da da da da, che che che che, incolonnate secondo le frequenze rispettive. Il libro è
    sbriciolato, dissolto, non più ricomponibile, come una duna di sabbia soffiata via dal vento. (Se
    una notte 825)

    Il lungo e inatteso peregrinare del Lettore di libro in libro, di autore in autore, di finale in
finale, si conclude con il romanzo distrutto e con le parole che si volatilizzano lasciando uno
spazio vuoto.
    L’immagine del computer come memoria elettronica che macina il testo compare anche,
con una palese somiglianza lessicale, nell’incipit del racconto oulipiano di Calvino
“L’incendio della casa abominevole” del 1973.8 L’impianto teorico e le contrainte impiegati in
esso sono delineati dall’autore in “Prose et anticombinatoire”, in cui emerge in tutta evidenza
la sua posizione in merito alla scrittura assistita dal computer. Alla celebrazione oulipiana del-

8 «Tra poche ore l’assicuratore Skiller verrà a chiedermi i risultati dell’elaboratore, e io non ho ancora
inserito gli ordini sui circuiti elettronici che dovranno macinare in un pulviscolo di bit i segreti della
vedova Roessler e della sua poco raccomandabile pensione» (“Incendio” 319).

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la macchina scrivente come produttrice di una enorme quantità di testi, Calvino contrappone
una visione anticombinatoria: il computer, lungi dal sostituire lo scrittore, avrebbe la funzio-
ne di ‘trattare’ il testo, potrebbe ad esempio estrarre da 1212 combinazioni possibili solo quel-
le che rispondono a logiche e parametri estetici predeterminati, come avviene appunto ne
L’incendio.9 Egli giunge infatti alla seguente conclusione:

    Cela montre bien, pensons-nous, que l’aide de l’ordinateur, loin d’intervenir en substitution à
    l’acte créateur de l’artiste, permet au contraire de libérer celui-ci des servitudes d’une recherche
    combinatoire, lui donnant ainsi les meilleurs possibilités de se concentrer sur ce ‘clinamen’ qui,
    seul, peut faire du texte une véritable œuvre d’art. (“Prose et anticombinatoire” 331)

    Alla luce di tali considerazioni si potrebbe leggere l’immagine della parola che si dissolve,
in Se una notte d’inverno un viaggiatore, come il correlativo oggettivo di una costante tensione tra
mondo scritto, inteso come traccia visibile della parola, e mondo non scritto, in quanto so-
stanza invisibile, una sorta di clinamen, raggiungibile tramite l’atto creativo e ricettivo.

3. Parole gelate e disciolte
A questo punto vorrei porre l’attenzione su alcuni elementi terminologici del passo tratto dal
Viaggiatore citato precedentemente, soffermandomi sulle figure del pulviscolo di parole sciolte e
del libro dissolto. Tali immagini sembrano richiamare alla memoria il mito delle ‘parole gelate’
di matrice rabelesiana, anch’esso, come il Gulliver swiftiano, risalente alla tradizione satirico-
fiabesca.
    L’episodio occupa i capitoli cinquantacinque e cinquantasei del quarto libro della celebre
opera di François Rabelais, Gargantua et Pantagruel. Anche in questo caso, siamo alle prese con
un viaggio sui generis, intrapreso da Pantagruele e dai suoi compagni allo scopo di cercare la
Divina Bottiglia e interrogarla sul suo possibile matrimonio.
    Giunti in un deserto artico, ai confini con il Mare Glaciale, i giganti odono voci prove-
nienti dal nulla: la spiegazione di Pantagruele è che quel luogo potrebbe essere la Casa della
Verità dove abitano le parole, le idee, gli esempi e i modelli, che solo in certi anni cadono
come rugiada fra gli umani.
    Nel capitolo successivo si risale alla materia visibile di quei suoni sciolti: si tratta appunto
di parole araldiche gelate, di perle variopinte che, scaldate nelle mani di quei giganti, si di-
sciolgono e si perdono.

    – Ecco, prendete, – disse Pantagruele, – eccone qui che non sono ancora sgelate.
    E così ci gettò sul ponte a piene mani parole gelate, e sembravano confettini perlati di vari co-
    lori. Noi vi discernemmo parole araldiche, parole di sinopia, parole d’azzurro, di nero, parole
    dorate. Le quali, dopo d’essersi un po’ scaldate nelle nostre mani, fondevano come neve, e allo-
    ra le sentivamo realmente; ma non le intendevamo, perché erano in lingua barbarica. (Rabelais
    666)

   Il successivo scambio di battute tra Panurge e Pantagurele serba in sé una sorta di teoria
aforistica sulla parola; leggiamo infatti che Panurge richiede altre parole gelate, ma per il sa-

9  La concezione anticombinatoria espressa da Calvino nel suo racconto oulipiano è oggetto di un re-
cente saggio di Susie Cronin dal titolo “Cybernetic Collaborations, Literature Machines and Italo Cal-
vino’s L’incendio della casa abominevole”. La studiosa si sofferma sulla collaborazione tra Calvino e
l’ingegnere informatico Paul Braffort, anch’egli membro dell’Oulipo, ma anche sull’incontro, sempre
durante gli anni parigini, tra lo scrittore e l’ex programmatore IBM William Skyvington.

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piente gigante «dar parole era cosa da innamorati»; egli vorrebbe allora comprarle, ma Panta-
gruele ribatte che «vender parole è cosa da avvocati». Al gigante appassionato di parole gelate
non resta che tentare di conservarle, ma di converso Pantagruele ritiene folle «far riserva di
ciò che non viene mai a mancare», come sono appunto le parole (Rabelais 667).
    In questi due brevi capitoli vengono citate numerose fonti sulle quali la critica non ha
smesso di interrogarsi, anche in relazione all’ampia diffusione del topos nella letteratura e nella
cultura europea. Come ricorda Fabio Stok, il mito delle parole gelate parte dal Deprofectibus in
virtute di Plutarco, per giungere, attraverso una continua migrazione di generi, fino al testo
della canzone La guerra di Piero di Fabrizio De André, nei versi: «dentro alla bocca stringevi
parole/troppo gelate per sciogliersi al sole» (Stok 169).
    Una delle più autorevoli disamine sulle interpretazioni del mito consacrato da Rabelais è
quella proposta da Tonino Tornitore, il quale ripercorre le intuizioni critiche e filologiche più
salienti sulle parole gelate nel corso del Novecento. La relazione tra le fonti rabelesiane e i
significati attribuiti allo scioglimento delle parole conduce lo studioso a trarre conclusioni che
si snodano in un doppio esito interpretativo. Rabelais recupera l’immagine delle parole gelate
da Plutarco e dalla variante di Baldassarre Castiglione, nell’episodio del Cortegiano in cui i
mercanti, da una sponda all’altra del fiume, vedono le loro parole congelarsi e sciogliersi pri-
ma di concludere l’affare. In questa prospettiva, spiega Tornitore, le parole gelate fungono da
metafora delle aporie della comunicazione, ovvero dell’illusorietà della teoria neo-platonica
su una stretta aderenza tra il linguaggio e la realtà, tra la parola e l’oggetto.
    La seconda strada interpretativa risulta meno battuta, ma pienamente coerente con
l’essenza stessa dell’impresa rabelesiana. Tornitore infatti pone l’accento sulla deformazione
delle auctoritates nel filosofeggiare di Pantagruele, in cui si realizza la parodia rabelesiana
dell’origine divina del linguaggio e, ancora più sottilmente, di una casta sacerdotale presunta
detentrice della verità epistemologica (cfr. Tornitore).
    Un altro aspetto interessante, che arricchisce la griglia interpretativa del topos delle parole
gelate, riguarda la portata ermeneutica dell’immagine del disgelo, acutamente osservata da
Carlo Ossola nel suo saggio dal titolo “Vedere le voci”. Prendendo in considerazione la va-
riante cinquecentesca di Castiglione e quella settecentesca delle Avventure del barone di Munch-
haüsen di Rudolf Erich Raspe, Ossola ha dimostrato che il mito non concerne solo la con-
venzionalità del linguaggio, ma anche la natura precaria del processo ricettivo. Nelle meravi-
gliose avventure dello strampalato Barone, sono le note musicali ad essere ghiacciate e in-
trappolate nello strumento. Con il loro scioglimento, spiega Ossola, la suite delle melodie ri-
sulta autonoma rispetto alla sua emissione e al suo emittente, si attua dunque una vera e pro-
pria performance. Afferma inoltre lo studioso:

   Il mito del ‘disgelo’ delle parole mostrava così, con Castiglione e Rabelais, che non c’è ricezione
   autentica nel tempo: l’arbitrio non è solo nei segni, ma anche nella reciproca relatività dei tempi
   e dei contesti di ricezione.
   Proprio quest’ultimo aspetto del mito fornirà materia di ingegnosa riscrittura. (Ossola 67)

    La valenza semiotica ed ermeneutica del topos delle parole gelate è l’asse su cui si situano le
relazioni intertestuali tra i due capitoli del Gargantua et Pantagruel, la satira swifitana, e la fe-
nomenologia dell’atto creativo e ricettivo in Se una notte d’inverno un viaggiatore.
    Sulla base di tali riferimenti non possiamo non ricordare nuovamente che la macchina
leggente di Lotaria esce dalla scena del romanzo sciogliendo le parole del testo, dissolvendole
nel vento. E non è un caso che l’ultimo incipit del Viaggiatore sia interamente incentrato su
immagini di sparizioni, cancellazioni, evanescenze, fino a quando:

   Il mondo è ridotto a un foglio di carta dove non si riescono a scrivere altro che parole astratte,
   come se tutti i nomi concreti fossero finiti; basterebbe riuscire a scrivere la parola ‘barattolo’

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     perché sia possibile scrivere anche ‘casseruola’, ‘intingolo’, ‘canna fumaria’, ma l’impostazione
     stilistica del testo lo vieta. (Se una notte 861)

   Come le parole gelate condensano, nella loro volatilità, l’essenza arbitraria del linguaggio,
nonché la natura fluttuante della sua ricezione, così nel Viaggiatore si compone una fenome-
nologia dell’atto creativo e ricettivo basata sulla complementarità tra scrittura e lettura, esal-
tando le proprietà e l’inafferrabilità della finzione letteraria.

4. Il fiabesco nel Viaggiatore
L’analisi fin qui condotta conferma che l’indiscutibile ricchezza della trama intertestuale di Se
una notte d’inverno un viaggiatore può emergere anche dall’attenzione su un dettaglio del roman-
zo, quale la presenza di congegni di scrittura e lettura automatizzati. Come delineato nei pa-
ragrafi precedenti, la macchina scrivente e leggente nel Viaggiatore funge da espediente narra-
tivo catalizzatore di una riflessione sulla creazione letteraria già intrapresa dall’autore in “Ci-
bernetica e fantasmi”. Il confronto con la saggistica calviniana degli anni parigini attesta co-
me non vi sia un intento totalmente profetico nell’immagine della macchina scrivente, in
quanto il discorso di Calvino approda alla sostanza della creazione artistica, ovvero al clinamen
inaccessibile all’intelligenza artificiale: il non detto, il non scritto, il divenire esperibile, ma an-
che la mutevolezza della significazione.
    Leggendo attentamente gli episodi del Viaggiatore in cui sono i computer a comporre, e
addirittura a interpretare i romanzi, si può notare come in essi Calvino destreggi gli elementi
del genere satirico-fiabesco con connotazioni vagamente surreali e nello stesso tempo paro-
diche. La fascinazione fiduciosa nella produzione artistica seriale e predeterminata, di cui è
capace il congegno automatico di scrittura, cela una sottile irrisione dei comuni romanzi di
consumo, che sembrano essere concepiti con lo stesso principio compositivo che adottereb-
be un automa letterario. La macchina per generare discorsi descritta nella favola swiftiana
sortisce il medesimo esito parodico, colpendo un bersaglio pressoché identico.
    Il mondo come volatile menzogna è il filo conduttore che lega l’ultimo romanzo di Calvi-
no alla tradizione satirico-fiabesca, qui rappresentata dal Gulliver swiftiano e dal mito rabelai-
siano.10 Tale parallelismo permette di far luce sul recupero di una dimensione fiabesca del
Viaggiatore che si pone non in contrasto, bensì in continuità con l’approccio combinatorio al
testo. Se la macchina scrivente di Marana ci fa catapultare nel mondo fantastico di Swift, la
macchina lettrice di Lotaria, che macina il testo in un pulviscolo di parole sciolte, funge da
metafora della labilità dell’esperienza ermeneutica, fragile come le parole gelate di Rabelais.
    Sulla base delle considerazioni finora avanzate risulta lecito domandarsi in che misura Se
una notte d’inverno un viaggiatore possa essere ascritto anche al genere del racconto fantastico
che, come sappiamo, appartiene a pieno titolo al repertorio letterario dell’autore, a partire da
I nostri antenati fino all’antologia dei racconti fantastici dell’Ottocento da lui curata all’inizio
degli anni Ottanta.
    Rispondendo a un’inchiesta di Le Monde sulla relazione della propria opera con il fantasti-
co, Calvino affermava di lasciare ai critici il compito di situare i suoi romanzi e racconti

10 Il complesso rapporto tra l’opera di Calvino e il fiabesco, inteso sia come genere letterario che come
tendenza narrativa, è oggetto del volume Inchiesta sulle fate del 1988, in cui si spazia dal «Calvino racco-
glitore di fiabe» al «Calvino favoloso», cogliendo il nesso tra le due dimensioni. Per quanto i saggi che
compongono il volume ripercorrano l’adesione al fantastico in tutta l’opera calviniana, non si fa men-
zione di una possibile componente fiabesca di Se una notte d’inverno un viaggiatore, quasi sempre escluso
dai riferimenti.

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all’interno o all’esterno di tale genere o modo (“Definizioni” 267). Egli parlava appunto di
«classificazione del fantastico» in quanto l’argomento dell’inchiesta era legato all’uscita di In-
troduction à la littérature fantastique di Tzvetan Todorov, che distingueva il fantastico dal meravi-
glioso e dallo strano. Mentre la tradizione degli studi aveva definito il fantastico come una lace-
razione della realtà, Todorov vi coglieva il peculiare procedimento dell’esitazione indotta nel
lettore, mettendo così in discussione l’opposizione netta tra reale e irreale.
     Esitazione e straniamento sono effetti chiave in Se una notte d’inverno un viaggiatore, dove es-
si si presentano fin dalla prima pagina attraverso l’uso della seconda persona e la mise en abyme
del romanzo e del suo autore, cosicché il lettore reale esita di fronte alle forme di auto-
commento che intervengono nei dieci incipit, si interroga sulle ambientazioni limite citate nel
romanzo, si perde nel ricostruire le mosse di Marana e della sua organizzazione.
     A proposito del binomio «Calvino e il fantastico», Mario Barenghi osserva che la narrativa
calviniana potrebbe appartenere alla categoria della ‘fiaba di prova’, in quanto i personaggi
che popolano la sua opera mostrano, nella maggior parete dei casi, una tensione
all’affermazione individuale o alla ricerca di una verità esistenziale, i cui esiti sono spesso am-
bigui o incerti. Lo studioso si sofferma su altri elementi salienti di tale binomio, ovvero:
l’attenta selezione dei materiali narrativi, il procedimento del racconto, il fiabesco come «rea-
gente chimico» per la comprensione della realtà (Barenghi 34).
     Di certo non si può dire che tali elementi siano estranei al Viaggiatore, con il suo Lettore
incompiuto che rincorre i romanzi interrotti, con Ludmilla eroina della lettura, che riesce a
«scoprire verità nascoste nel falso più smaccato» (849), con Lotaria antagonista del pensiero
critico, e con vari personaggi che, in una successione di luoghi improbabili, offrono chiavi
magiche, teorie ermeneutiche, dichiarazioni d’amore e di poetica, estrose quanto plausibili.
     L’aderenza del Viaggiatore alla letteratura fantastica si riscontra altresì nella sua dimensione
intertestuale e metanarrativa. Infatti, come ha notato Silvia Albertazzi nella sua trattazione
antologica sulla letteratura fantastica, uno dei generi della contemporaneità che più si rifà al
fantastico risulta essere proprio il romanzo postmoderno, con il quale esso condivide la
commistione di stili e registri, le narrazioni multiple e a incastro, ma soprattutto la consape-
volezza che la letteratura sia una menzogna, una finzione rivelatrice di una realtà complessa,
stratificata, multiforme (cfr. Albertazzi). E se per Todorov il fantastico risiede nell’esitazione,
allora tanto più al lettore sono richiesti sforzo, partecipazione e interazione attiva.

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