Elementi di geografia politica - Il territorio e il potere 2. Lo Stato e le sue funzioni 3. Cittadinanza, nazione e minornaze 4. Stato e territorio
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Elementi di geografia politica 1. Il territorio e il potere 2. Lo Stato e le sue funzioni 3. Cittadinanza, nazione e minornaze 4. Stato e territorio 5. Frontiere e confini 6. Glossario Claudio Ferrata, LiLu2, marzo 2013 0
Premessa Si ritiene che la politica riguardi esclusivamente i partiti, i governi, gli Stati, la guerra e la pace, ecc. Per Joe Painter e Alex Jeffrey, autori del manuale Political Geography (2011), questa sarebbe la politica formale, l’azione di un sistema di governo, una sfera che viene ritenuta separata dalla vita di tutti i giorni. Per questo motivo molti dicono di non essere interessati alla politica. Ma la politica ha un importante impatto sulle nostre vite: ci accorda diritti, ci attribuisce doveri, crea le condizioni per il nostro benessere, … Ma vi è anche chi afferma che “la politica è ovunque”: nell’ambito domestico, nel consumo di cibo, nell’industria, nell’istruzione, nella TV, ecc. È ciò che affermava il filosofo Michel Foucault il quale ritiene che il potere (molto più visibile nelle società tradizionali mentre nelle società moderne esso è più nascosto) è presente in modo capillare in tutte le relazioni presenti nella vita quotidiana. Questo tipo di politica viene definito da Painter e Jeffrey informale. La geografia politica per lungo tempo si è concentrata sulla prima forma di politica ma oggi ritiene, come Foucault, che le relazioni di potere siano sempre presenti, in questo modo essa ha ampliato i suoi interessi e ha iniziato ad occuparsi di nuovi temi che vanno oltre la politica dello Stato. 1
Il territorio e il potere Cosa è il territorio? Il concetto di territorio, che ha avuto un grande successo mediatico, è diventato uno dei concetti più importanti della geografia umana e delle discipline affini. Quali sono le sue origini? Esso è stato utilizzato dall’etologia dove è considerato come lo spazio delle risorse da difendere e da utilizzare. In un ambito più vicino ai nostri interessi, esso si presenta nell’epoca moderna con un significato essenzialmente giuridico. Nella teoria politica il termine territorio viene impiegato nelle lingue europee sin dal 1300: con territorio si intendeva definire inizialmente l’area di giurisdizione o di influenza economica di organizzazioni politiche quali le città libere, i feudi o i regni. Questa accezione lega il territorio alla presenza di uno Stato. In seconda battuta pone poi anche la questione dei limiti territoriali nelle loro varie forme (confine è il limite analizzato dalla geografia politica). Nella geografia il territorio viene messo in relazione con i gruppi umani: un gruppo umano vive, cresce ed evolve grazie alle trasformazioni che imprime all’ambiente nel quale è originariamente insediato. Lo spazio naturale, dunque, grazie all’azione trasformativa, acquista un valore antropologico, diventa un artefatto, si connota progressivamente come territorio. Dal canto suo il territorio (…) è in piena evidenza un prodotto dell’azione umana; al tempo stesso, tuttavia, esso è condizione dell’azione umana, una configurazione del mondo, e più particolarmente della superficie terrestre, che permette il pieno dispiegamento dell’agire umano (A. Turco, Paesaggio: pratiche linguaggi mondi, 2002, p. 9). 2
Il territorio viene poi considerato come il prodotto di una coevoluzione: prodotto storico dei processi di coevoluzione di lunga durata fra insediamento umano e ambiente, natura e cultura e, quindi, come esito della trasformazione dell’ambiente a opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione. (A. Magnaghi, Il progetto locale, 2000, p. 16) Gli ordini di grandezza geografici I fenomeni geografici coinvolgono ordini di grandezza differenti. Quali sono gli ordini di grandezza degli spazi geografici? Si possono considerare 5 ordini di grandezza principali: - primo ordine da 40.000 a 12.500 km (il Mondo) - secondo ordine da 12.500 a 1250 km (gli Stati Uniti) - terzo ordine da 1250 a 125 km (lo Stato di New York) - quarto ordine da 125 a 12,5 km (la città di New York) - quinto ordine da 12,5 a 1,25 km (il Central Park) I geografi parlano anche di scala. Così come esiste una scala cartografica1, dove la nozione di scala esprime un rapporto di riduzione, esiste anche una scala geografica. La scala non rimanda solo a una tecnica cartografica ma anche a un tipo di analisi di fenomeni geografici. Se cambia la scala cambia la problematica: l’uso di una scala piuttosto che di un’altra permette di mettere in evidenza aspetti diversi. Prendiamo l’esempio dell’allestimento di una nuova infrastruttura autostradale o ferroviaria, in questo caso verrà coinvolta: una scala europea, una scala nazionale, un scala regionale, inserimento in una rete più vasta, un scala locale, poste in gioco politiche, economici e sociali. A piccola scala un progetto può essere condiviso da molti, a scala locale (grande) può essere oggetto di diversi conflitti. Leggere il tracciato di una grande infrastruttura a scala locale (grande) permetterà di vedere le condizioni specifiche del sito, di evidenziare conflitti sociali, problemi tecnici (tracciato) specifici. La piccola scala permetterà di leggere il problema in modo più ampio: scelta delle grandi direttrici del tracciato, regioni urbane messe in collegamento, ecc. 1 Contrariamente al linguaggio corrente una grande scala rimanda a un denominatore piccolo (per esempio 1:25.000), mentre una piccola scala si riferisce a un denominatore grande (per esempio 1:100.000). 3
Tempi e temporalità L’analisi geografica deve considerare anche le temporalità. Tempo designa l’insieme della durata e della successione delle parti della durata. Protagonista nel dopoguerra della seconda stagione delle Annales, lo storico Fernand Braudel (1892-1985) abbandonò un’idea di tempo unilaterale a favore di temporalità diverse. Come dice lo stesso Braudel, la marea, l’onda, la schiuma: quindi la lunga durata (della congiuntura), un tempo intermedio, i tempi più brevi (Le Goff, La nuova storia). Ci sono tempi della natura, che di solito sono tempi lunghi, e ci sono i tempi dell’uomo, quelli che si sviluppano su una scala storica che vengono divise in periodi, detti anche stadi, separati da fasi di cambiamento. Sono i tempi lunghi dell’appropriazione del pianeta, i tempi magari più brevi dell’appropriazione dei territori, sono i tempi della diffusione dei fenomeni geografici nello spazio. Quali temporalità ci interessano? I tempi della natura e quelli degli uomini. Tra i primi possiamo mettere: i tempi astronomici misurati in miliardi di anni e i tempi geologici che si misurano in milioni di anni. Tra i secondi: i tempi della preistorici in centinaia di migliaia di anni, i tempi dell’archeologia e della geostoria in migliaia di anni tempi dello storico che si misurano in secoli, decenni, anni, mesi, giorni… (Y. Lacoste, Dictionnaire de la géopolitique et des paysages). Spazi geografici e tempi storici si intersecano nella costruzione dei territori e nella loro analisi. Gli attori sociali Il territorio non può essere concepito senza che vengano considerate e forze che lo producono. Lo spazio geografico può essere visto come una grande scacchiera dove diverse forze lottano, si alleano o si annullano. Si tratta di capire quali sono queste forze, i loro interessi e i loro obiettivi, quali gli usi del suolo auspicati, quali le loro strategie. Queste forze agiscono in ogni società: individui, imprese, collettività pubbliche, gruppi di interesse, partiti politici, ecc. Perché? Per accaparrarsi le risorse e ottenere i mezzi necessari per essere autonomi e non soggetti alla volontà di altri. L'imprenditore vorrà trarre dal suolo il massimo profitto, il comune vorrà favorire l'interesse della collettività, il gruppo 4
ecologista preservare l'ambiente, e così via. Gli attori sociali sono quelle forze che agiscono e che hanno incidenza sullo spazio geografico2. Agiscono sullo spazio geografico in funzione dei loro interessi, mezzi e strategie (che dipendono in parte dalle loro rappresentazioni dello spazio). Presi nel complesso, costituiscono il sistema degli attori (Brunet, Le déchiffrement du monde, 2001, p. 33): • Gli individui e le famiglie: abitano, consumano, lavorano, si spostano nello spazio, sono proprietari o affittuari. • L'impresa: sfruttano e trasformano le risorse, scelgono una localizzazione per le loro installazioni, originano flussi di merce, scambi, lavoro, ecc. • I gruppi: gestiscono o hanno interessi inerenti il territorio. Sono i partiti politici, i sindacati, i gruppi di interesse e di pressione, le lobby (es. TCS), i movimenti sociali (come i Cittadini per il territorio, il movimento femminista, …), i gruppi ambientalisti, ecc. • Le collettività locali come il comune, regione, dipartimento, …, collocano infrastrutture sul territorio, gestiscono direttamente lo spazio e si occupano di pianificazione del territorio. • Lo Stato: si assume grandi lavori infrastrutturali, preleva la fiscalità, crea norme, gestisce le "maglie" del territorio. Pianificando il territorio svolge funzioni di regolazione tra gli obiettivi diversi degli attori. • Attori internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario internazionale. Attraverso il ruolo degli attori la società si riproduce e produce il proprio spazio. I vari attori sono in relazione tra di loro, alcune di queste relazioni possono essere più intense, si tessono complicità, antagonismi. I conflitti territoriali Il conflitto (da conflictus, fligere, come choc, lotta, combattimento) è uno scontro che non deve necessariamente essere inteso come guerra. In geografia i conflitti sono numerosi, anche se a volte occultati: tra nomadi e sedentari, tra industria e agricoltura, tra due paesi in merito al tracciato di 2 "Acteur", Les mots de la géographie. Dictionnaire critique, 1992 5
una frontiera, per un certo uso del territorio o per la sua protezione, per la localizzazione di determinate attività. In funzione della rarità dello spazio, della compatibilità tra le funzioni e degli interessi degli attori, il territorio diventa una grande scacchiera sulla quale operano attori dotati di obiettivi e strategie diverse e dove si manifestano le rivalità di potere in relazione allo spazio. Il conflitto geografico non può che essere terriorializzato, vale a dire che quando non consiste direttamente in una lotta per il territorio, si iscrive nello spazio. Quali sono i conflitti geografici? Vi sono innanzitutto i conflitti per i grandi progetti e per la pianificazione del territorio come quelli legati all’edificazione di un parco eolico, di una nuova linea ferroviaria o autostrada, per la localizzazione di un termovalorizzatore, di una discarica rifiuti, di una impresa inquinante, o ancora per la scelta del luogo dove collocare un centro richiedenti asilo, un corridoio aereo, la reintroduzione della fauna nelle Alpi. In questo caso può operare la cosiddetta sindrome NIMBY, nozione che si presenta per la prima volta a NY nel 1980. Vi sono poi i conflitti per le risorse. Il caso del progetto GAP o i numerosi casi per le risorse petrolifere sono a questo proposito emblematici. Vi sono anche conflitti legati a nazionalismi regionali e indipendentismi. Coinvolgono aspetti identitari, linguistici, le risorse statali. Esempi: Belgio, Catalogna, Scozia, Kurdistan. Infine vi sono conflitti più classici legati al tracciato delle frontiere: sono dispute per la loro definizione, localizzazione e gestione e per la ripartizione e l’utilizzo delle risorse (idriche, minerarie, ittiche, ecc.) che ne deriva. In molti casi le frontiere si trasformano in veri e propri muri militarizzati, lo è con il muro edificato dagli Israeliani sul confine con la Palestina, nel Sahara occidentale, ne vorrebbero uno i greci presso Evros, lo è stato a Cipro. Naturalmente queste 4 tipologie di conflitti possono sovrapporsi l’una con l’altra. Cosa è la geografia politica La geografia politica è quel settore della geografia umana che studia le relazioni spaziali connesse all’esercizio del potere a diverse scale. La dimensione del potere condiziona le questioni territoriali e non solo a scala statale. 6
Ma cosa è il potere? Il potere è costituito dalle relazioni di dominio dei soggetti individuali o collettivi, pubblici o privati su altri soggetti. Come sosteneva il filosofo Michel Foucault il potere è presente in ogni tipo di relazione: “il potere è ovunque”. Quindi accanto a una politica formale, intesa come azione di un sistema statale, esiste una politica informale, presente nelle istituzioni come la famiglia, l’azienda, la scuola, i media, ecc. Precursore della geografia politica fu Friedrich Ratzel (1844-1904), uno dei padri della geografia umana. Di formazione naturalistica, influenzato dal darwinismo e dalle tesi evoluzionistiche in voga al suo tempo, è l’autore nel 1877 di Politische Geographie e di Anthopogeographie, in due volumi, del 1882 e 1891. Il suolo viene presentato come dato intangibile e come oggetto di competizione. Lebensraum: lo stato è un organismo vivente, nasce, cresce, si sviluppa. Deve assorbire unità politiche di minore importanza, frontiera organo periferico, materializza la crescita, evolve. Sarà poi il politologo svedese Rudolf Kjellen (1864-1922), professore di storia e scienze politiche a Uppsala, a introdurre il termine di geopolitica nel 1916, “scienza dello Stato in quanto organismo geografico, così come si manifesta nello spazio”. Karl Haushofer, vicino al gerarca nazionalsocialista Rudolf Hess, farà entrare la geopolitica nell’orbita del nazismo, ne diventerà uno strumento per giustificare l’espansione nazista: lo stato come un organismo biologico alla ricerca di uno spazio vitale (Lebensraum) che deve crescere, estendersi, anche annettendosi stati più piccoli e deboli. Proscritta per lungo tempo, negli anni della prima Guerra del Golfo e della guerra irakena (2003), la geopolitica torna in scena diventando popolare e mediatica. Yves Lacoste rilancerà questa nozione utilizzandola per analizzare l’imperialismo americano in Vietnam e i bombardamenti delle dighe sul fiume Giallo, le problematiche del Terzo Mondo: la geografia serve per fare la guerra (1976). Lo stesso Lacoste oggi ritiene che esista una geopolitica interna (allo stato) e una geopolitica esterna (tra stati). Geografia politica o geopolitica? Anche se i due termini vengono impiegati oggi in modo indistinto ci troviamo davanti a due diverse discipline. La prima è una branca della geografia umana, la seconda è piuttosto legata alle cancellerie e alla strategia militare. La geografia politica ha 7
un’attitudine scientifica (e non necessariamente operativa), non si limita alla geografia dello Stato e si apre verso i temi più diversificati quali le politiche ambientali, lo studio del terrorismo, le minoranze, i movimenti sociali urbani, ecc. Ritiene che l’esercizio del potere non sia esclusivo appannaggio dello stato (esiste un potere economico, gruppi di pressione, religione, istituzioni,... e non si manifesta solo attraverso la guerra, insiste sulla messa in evidenza ruolo degli attori sociali e dei loro obiettivi sul territorio. La geopolitica è costituita da un amalgama di conoscenze provenienti dalla geografia, dal diritto internazionale, dalle scienze politiche, dalle scienze militari, …, è caratterizzata da un’ottica concreta, e dall’applicazione delle conoscenze del territorio per il raggiungimento di obiettivi di politica (estera). Pensiero strategico (strategia, dal greco stratòs = esercito). La “geopolitica classica” si caratterizza per alcune invariati: una insistenza sul tema dell’organismo statale, lo spazio come condizione per la potenza dello Stato, l’importanza attribuita alla nozione di frontiera, il determinismo geografico e il darwinismo sociale, l’uso di metafore organicistiche e biologiche, la differenziazione tra potenza marittima e potenza terrestre. La geopolitica ha adottato un progetto nazionalista finalizzato alla supremazia dello Stato ed è funzionale al pensiero dominante come l’espansione coloniale o l’imperialismo. Nella geopolitica la carta geografica viene considerata come strumento di rappresentazione e di propaganda. Occorre dunque mettere in discussione i suoi modelli di rappresentazione che sono segnati massicciamente dall’ideologia. 8
Lo Stato e le sue funzioni Con o senza Stato? Si può vivere senza Stato? A cosa serve lo Stato? Quali sono le origini dello Stato contemporaneo? Quali sono le sue dimensioni geografiche? Per quali motivi, malgrado le reti della globalizzazione, gli Stati continuano a organizzare spazi e società nel mondo? Lo Stato è la sola forma di organizzazione sociale possibile? Nella storia si sono presentate altre modalità: per esempio le forme di organizzazione dal basso proposte dalle correnti libertarie e anarchiche rappresentate, ad esempio, da Piötr Kropotkin o da Elisée Reclus (i quali vedono lo Stato come elemento di rottura dei rapporti egualitari), o ancora le “società senza Stato” studiate dagli antropologi. Ma la forma-Stato si imposta su tutte le altre si è diffusa con successo su tutto il pianeta (oggi esistono più di 200 stati, 193 sono membri dell’ONU). Malgrado i numerosi problemi che lo Stato deve oggi affrontare, esso costituisce il riferimento per milioni di persone e il quadro all’interno del quale può venir esercitato il potere politico e la democrazia. L’insieme degli Stati forma un grande mosaico e tesse una trama geografica che circonda l’intero pianeta. Lo stato è un territorio occupato in maniera effettiva avente un governo che esercita una autorità sul suo territorio e la sua popolazione. I suoi elementi costitutivi sono la popolazione, il territorio, le strutture e gli apparati dello Stato (governo, parlamento, amministrazione, ma anche norme, leggi, codici, sistema politico e giuridico) attraverso i quali lo Stato assicura il suo funzionamento e persegue la prosperità per i propri cittadini. La sovranità è 9
facoltà dello Stato di esercitare il potere attraverso un “uso legittimo della forza”. La genesi dello Stato moderno L’affermazione dello Stato moderno è avvenuta in quattro momenti. Il primo momento si colloca nel corso del Rinascimento con la dissoluzione dello Stato feudale e si afferma poi con il ‘600 e il ‘700. Viene teorizzato da Machiavelli, Thomas Hobbes, John Locke. Si presentano così i primi grandi stati nazionali europei (Francia, Spagna, Inghilterra), monarchie che sottraggono il potere a principi e feudatari, e che riducono all’obbedienza le città-stato indipendenti. Alcuni sono monarchie assolute, tali per diritto divino (Luigi XIV in Francia, Carlo I d'Inghilterra, Federico II di Prussia, Maria Teresa d’Austria, Caterina II di Russia). La Rivoluzione inglese (1688) porta il primo regime parlamentare mentre e la Rivoluzione francese crea lo Stato repubblicano. Ora l’autorità superiore non è più dio bensì la nazione: lo Stato di diritto è dotato di una costituzione ed è caratterizzato dalla separazione dei poteri. Il secondo momento è quello dell’affermazione dello lo Stato-nazione. Nel corso dell’800 lo Stato liberale diventa il quadro dello sviluppo economico di numerosi paesi. Lo Stato-nazione è uno Stato relativamente omogeneo per lingua e cultura: riunisce e integra etnie differenti e crea l’unità nazionale. Nel corso della sua lunga costituzione, lo Stato-nazione ha amalgamato sotto un unico mantello etnie e minoranze differenti. Ma sovente l’etnia dominante ha imposto la sua lingua e ha fagocitato nella nazione le minoranze (Francia). Molti Stati nazionali si sono formati a partire da etnie che si volevano emancipare da un impero (ottomano, austro-ungarico) o da possedimenti coloniali. Nel Novecento lo Stato è uno Stato liberale, ma è pure presente lo Stato socialista e lo Stato totalitario. Una forma dello stato liberale è lo Sato sociale (Stato del benessere o welfare state) che prende forma tra la fine del XIX secolo e il dopoguerra al seguito del New Deal di Roosvelt per sostenere la parte di popolazione meno abbiente toccata dalla crisi del ‘29. Il pensiero dell’economista J.M. Keynes costituirà un riferimento importante. Negli anni della seconda guerra mondiale il politico britannico Lord Beveridge presenterà lo Stato sociale con la formula “dalla culla alla bara”. Si tratta di uno Stato che incentiva la produzione di beni e servizi attraverso le imprese 10
pubbliche, investe nell’istruzione, eroga sussidi, si occupa della sanità, interviene per correggere gli squilibri nella distribuzione dei redditi. Lo Stato sociale può pure essere visto come una forma di compromesso politico davanti al malcontento del popolo e al fascino che soluzioni più radicali potevano suscitare. Il terzo momento è quello della crisi. La liberalizzazione di quelle che erano le grandi aziende pubbliche come acqua, ferrovie, gas, elettricità (considerati “monopoli naturali”) e la crisi fiscale, mettono in discussione lo Stato che ora dispone di risorse limitate e che, si dice, ha assunto pesi eccessivi: la spesa pubblica tende ad aumentare originando un importante déficit pubblico. Ma soprattutto la critica viene da parte del neoliberalismo e dalla rivoluzione conservatrice: Margaret Thatcher (1979-90) e Ronald Reagan (1980-1988) portano verso un alleggerimento dello Stato e verso la privatizzazione delle aziende pubbliche in settori chiave quali quello dei trasporti e dell’energia. Contestato dall’alto, dalle organizzazioni sovraregionali e dalla globalizzazione, deve cedere una parte delle sue competenze, e contestato dal basso dove città e regioni vedono il loro ruolo ampliarsi: sono le forze centrifughe della devoluzione. Le forme di Stato possono essere descritte in relazione al territorio, ai fondamenti del potere, alla società. In relazione al rapporto Stato-territorio: - con lo Stato unitario l’intero paese dipende da un governo centrale unico (Francia, Italia) - lo Stato federale si compone di stati parzialmente autonomi che rinunciano a certi compiti assegnati all’autorità centrale (Svizzera del 1803, e dal 1848) - la confederazione è una associazione di Stati che desiderano mantenere la più completa autonomia (Svizzera primitiva sino al 1789, Repubblica Elvetica tra il 1815 e il 1848, la CSI). In relazione al fondamento del potere: - lo Stato democratico (democrazia diretta, rappresentativa, pluralista) - lo Stato autoritario dove il potere è mantenuto attraverso la forza In relazione al rapporto con la società: - lo Stato liberale unisce il liberalismo economico al liberalismo politico - lo Stato socialista è proprietario dei mezzi di produzione - nello Stato totalitario esiste un partito unico, regime militare, dittatura - lo Stato sociale Quale è il ruolo dello Stato oggi? Un semplice supporto per le attività economiche? Le funzioni dello Stato 11
Lo Stato rivolge la sua azione verso l’esterno. Crea così le condizioni favorevoli per permettere le relazioni commerciali, impone barriere doganali, difende il territorio nazionale, svolge una politica estera, partecipa alle attività delle organizzazioni internazionali. Dalla fine del Trattato di Westfalia (1648) che sancì la fine della Guerra dei trent’anni fino all’inizio del XX secolo, lo Stato viene considerato quale attore unico sulla scena internazionale. Nella teoria classica delle relazioni internazionali si parla di sistema westfaliano. Naturalmente una buona parte delle azioni dello Stato sono rivolte verso l’interno. Esso elabora norme, è uno dei più importanti attori territoriali, preleva fiscalità, pianifica e gestisce il territorio, mantiene la sicurezza interna, realizza la politica regionale, si fa promotore dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione di massa, costituisce eserciti di leva, attraverso la banca nazionale emette moneta. Negli USA, paese del liberalismo e del culto della libera impresa, la moderna pianificazione del territorio nasce tra gli anni Trenta (con il New Deal) e il dopoguerra. Con Roosvelt gli Stati Uniti varano il progetto Tennesse Valley Autority per lo sfruttamento delle risorse idriche, per la promozione dell’industria e dell’agricoltura. In Francia l’aménagement du territoire ha lottato contro lo strapotere territoriale di Parigi. Il modello tedesco (Raumplanung), adottato anche dalla Svizzera e dell’Austria, è meno rigido ed è legato al federalismo. I Länder dispongono dell’essenziale delle competenze nella pianificazione regionale. In Gran Bretagna il Town and country planning e il Regional planning si occupano della riconversione delle regioni industriali in difficoltà e del controllo dei grandi agglomerati (controllo della crescita della Great London, edificazione delle città nuove). I Paesi Bassi hanno una lunga storia in materia di creazione di territorio, di lotta contro le acque del mare, hanno creato nuovi poli urbani nel Randstadt Holland (Amsterdam, Rotterdam, Haya, Utrech e un cuore verde). 12
Cittadinanza, nazione e minoranze La popolazione e la cittadinanza Una popolazione non è solo un’entità demografica: risiede stabilmente e ha attributi nazionali e etnici. La cittadinanza è il rapporto giuridico tra cittadino e Stato e la condizione della persona fisica detta cittadino alla quale l’ordinamento giuridico riconosce la pienezza dei diritti civili (garanzia della libertà individuale), politici (prendere parte in modo diretto o indiretto al governo dello Stato) e sociali (garanzia di un certo benessere economico e sociale). Ogni ordinamento giuridico stabilisce le regole per l’acquisto della cittadinanza. Due concezioni si contrappongono. Una prima, detta diritto di sangue (Jus sanguinis), è basata sulla filiazione; ciò significa che la cittadinanza viene acquisita in quanto figli di cittadini. È il modello tedesco: si appartiene al popolo tedesco indipendentemente dal luogo di nascita, sangue, etnia, lingua (J. Fichte). È pure il caso di Austria, Svizzera, e della maggior parte dei paesi europei. È questa una concezione della cittadinanza detta “oggettiva”. Una seconda è basata sul diritto del suolo (Jus soli): essere nato sul territorio dello Stato dà diritto alla cittadinanza. È il modello francese (tutti i nati sul suolo francese sono cittadini francesi) e vale anche per i paesi anglosassoni e gli Stati di immigrazione classica (quali USA, Canada, Australia e America Latina. Si tratta di una concezione della cittadinanza detta “soggettiva”. L’adozione dell’una o dell’altra formula ha implicazioni particolarmente importanti quando si tratta di integrare o meno (naturalizzare) chi è privo di cittadinanza. 13
Nazione, nazionalismo, identità nazionali L’idea di nazione (da natus, nascita, nato in un medesimo territorio) è contemporanea alle grandi rivoluzioni della fine del XVIII e dell’inizio del XIX secolo che hanno attribuito legittimità e potere al popolo. La prima ondata nazionalista si presenta tra il 1830 e il 1919, con il crollo degli imperi ottomano, austro-ungarico e russo, la seconda è legata alla fine imperi coloniali e al crollo dell’URSS. Cosa è una nazione? Una nazione è una collettività in cui i membri hanno coscienza di una comunanza di origini, lingua, costumi e destino storico. Essa risiede in una combinazione di elementi: religione, etnia, cultura, lingua, attaccamento al suolo, integrità del proprio territorio (un gruppo umano che non ha legami istituzionali con la terra non sarà riconosciuto come nazione). Nazione è appartenenza. Per riprendere la nota formula di Renan (1882), la nazione è il “plebiscito di ogni giorno”, L’appartenenza a una nazione porta un senso di appartenenza a una patria (in tedesco Heimat, terra natia, e Vaterland, patria). La questione della nazione coinvolge anche la nozione di etnia. Se l’idea di nazione nasce all’interno delle scienze della politica, la nozione di etnia è piuttosto legata all’antropologia culturale. Per i Greci la categoria ethnos era peggiorativa e faceva riferimento ai Greci non organizzati in villaggi (come ad esempio i pastori) in contrapposizione rispetto a quelli che abitavano la polis. In senso stretto etnia rappresenta un gruppo di individui che parla la medesima lingua, in senso più ampio un gruppo legato da più caratteri comuni. Fabietti e Remotti nel loro Dizionario di antropologia danno questa definizione: raggruppamenti umani distinti sulla base delle loro caratteristiche geografiche, linguistiche e culturali. Queste brevi considerazioni ci ricordano che nazione ed etnia sono delle nozioni problematiche. La costruzione delle identità nazionali Tornando alla nozione di nazione, occorre dire che essa si afferma con gli ideali del romanticismo e si appoggia su un sentimento di appartenenza e non ha nulla di naturale. Le identità nazionali non si sono svegliate da un sonno profondo, sono state costruite passo dopo passo con una gigantesca impresa che ha mobilitato scrittori, artisti, intellettuali. A questo proposito B. Anderson 14
parla di “comunità immaginate”. All’alba del XIX secolo le nazioni non avevano ancora una storia: occorreva quindi creare una storia nazionale. La storica Anne Marie Thièsse (2005) propone la lista degli elementi simbolici e materiali che una nazione degna di questo nome deve offrire: “una storia che stabilisca un continuità con i grandi antenati, una serie di eroi prototipi di virtù nazionali, una lingua, dei monumenti culturali, un folclore, dei luoghi sacri e un paesaggio tipico, una mentalità particolare, delle rappresentazioni ufficiali – inno e bandiera – e delle identificazioni pittoresche – costume, specialità culinarie o animale totemico”. Per costruire la nazione vengono fissate immagini quasi fuori dal tempo. Le grandi esposizioni nazionali della seconda metà del XIX sono un occasione permettere in scena l’identità e le specificità regionali. Accanto alle realizzazioni industriali venivano esposti i costumi contadini tipici o i villaggi tradizionali (in occasione dell’esposizione nazionale svizzera del 1896 di Ginevra ci sarà un tipico villaggio alpino, a Torino nel 1884 fu edificato il borgo medievale del Valentino, ecc.). Attraverso un processo metonimico (figura retorica che consiste nel trasferire un termine dal concetto a cui strettamente si riferisce ad un altro con cui è in rapporto di reciproca dipendenza), la natura diventa la nazione e il territorio nazionale si trasfigura in patria, luogo carico dei significati dei padres. “Fabbricare” paesaggio diventa allora un investimento nazionale che rimanda a un immaginario collettivo e a un racconto identitario. Montagna, mare, foreste, ecc., vengono caricati di significati simbolici. Così fiordi ricoperti da neve, in contrasto con il verde delle praterie dell’antico signore danese, rappresentano il paesaggio nazionale norvegese. La Francia ha sovente celebrato la diversità dei suoi paesaggi regionali, la varietà dei climi, il mosaico di culture. La Rivoluzione francese ha sacralizzato la nazione, le frontiere “naturali” delle Alpi, dei Pirenei e del Reno. Il geografo Vidal de La Blache (1845-1918) celebrò questa diversità nei suoi studi. L’Ungheria ha montagne, i Carpazi, e colline, ma per distinguersi dall’Austria e dalle sue Alpi grandiose, i poeti e i pittori ungheresi considerano la puszta (una pianura sconfinata spazzata dalle tempeste) come paesaggio tipico e simbolo della libertà. Nazione e minoranze Lo Stato-nazione si è costruito sulla ricerca di una corrispondenza tra i due elementi. Ma non tutti gli Stati sono costituiti da una sola nazione e non tutte 15
le nazioni hanno uno Stato. Sovente vi sono minoranze. Se la situazione ideale è quella che fa coincidere Stato a nazione le politiche degli Stati nei confronti delle minoranze sono diverse. Alcuni hanno loro attribuito autonomia e creato regioni autonome, altri, non accettando le rivendicazioni, hanno applicato una politica repressiva. Esistono etnie minoritarie che beneficiano di un certo riconoscimento all’interno degli Stati-nazione. Le minoranze e le etnie integrate e riconosciute non vengono considerate come elemento di disgregazione, ne viene riconosciuta la cultura, la lingua e viene attribuito un certo grado di autonomia. Gli esempi sono numerosi. Inuit canadesi, dal 1999 territorio autonomo. Nazionalità storiche della Spagna dal 1983 hanno potuto ufficializzare la propria lingua: il basco (500’000 persone), il catalano (7 milioni), il galiziano (1 milione). Il Regno Unito dal 1997 ha dato la facoltà di promuovere le due lingue celtiche: il gaelico (80’000) e il gallico (500’000). In Olanda, la lingua frisone è diventata materia di insegnamento. Pur rifiutando di riconoscere l’esistenza di un “popolo corso”, la Francia permette l’insegnamento della lingua e della cultura. In Moldavia il popolo gagauzo, turcofono e cristianizzato, ha ottenuto dal 1991 l’autonomia territoriale. Vi sono poi gruppi non riconosciuti dallo Stato che non dispongono di un territorio proprio, di istituzioni (territoriali o comunitarie) e non hanno nemmeno uno statuto che le protegga o le qualifichi. L’unico eventuale “riconoscimento” deriva da studi di tipo etnografico. Nonostante questa precarietà, le etnie non riconosciute istituzionalmente costituiscono di gran lunga la maggioranza dei popoli del mondo. Tra questi: Curdi (37 mio di persone divise tra Turchia, Siria, Irak, Iran). 10-12 milioni di Tzigani sono dispersi in Europa, non hanno nessun riferimento territoriale e generalmente non possiedono istituzioni rappresentative riconosciute. In nord Africa 20 milioni di Berberi che parlano lo tamazight sono suddivisi fra gli Stati che difficilmente riconoscono i loro più elementari diritti linguistici e culturali. I Tuareg hanno ottenuto un riconoscimento precario in Mali e nel Niger. In America latina i 15 milioni di Quechua sono ripartiti tra Bolivia, Perù e Equador; la loro lingua è riconosciuta come lingua nazionale in Perù. In Cile vive un milione di Mapuche che faticano a essere riconosciuti. Avere un cognome mapuche è uno svantaggio quando si cerca lavoro e non è un caso che l’Araucanìa sia ancora la zona con la maggior percentuale di poveri del paese. 16
Infine ricordiamo le minoranze secessioniste che aspirano all’indipendenza. Sono state tra le cause del crollo dell’impero sovietico e delle guerre balcaniche. Ricordiamo che l’irredentismo costituisce la rivendicazione di uno Stato nei confronti di una popolazione collocata entro le frontiere di un’entità politica vicina. Originariamente l’irredentismo era il movimento risorgimentale antiaustriaco quando una parte dell’Italia nord orientale, anche dopo il 1861, era ancora nelle mani dell’impero austro-ungarico. Province irredente erano allora il Trentino e la Venezia Giulia. 17
Stato e territorio Il territorio di uno Stato è costituito dalla terraferma, dalle acque interne, dal mare territoriale, dallo spazio aereo, ma pure dalle navi e aerei nazionali in viaggio. Le condizioni di esistenza dello Stato sono legate a una territorialità (in analogia con l’etologia, ottenere dal territorio che abitano i mezzi necessari per vivere nel migliore dei modi compatibili con le risorse disponibili e per essere autonomi). Lo Stato territorializza la sua azione politica e il territorio diventa il riferimento più importante delle sue politiche). Esso deve mediare tra gli interessi privati e quelli collettivi, pensare al tipo di sviluppo verso il quale tendere, preservare gli equilibri ambientali, lottare contro gli squilibri regionali, occuparsi delle infrastrutture di trasporto, dell’energia, permettere uno sviluppo armonioso territorio. L’approccio tradizionale: morfologia e situazione Gli Stati hanno una estensione (esistono microstati dalla taglia simile a quella di una piccola città come lo Stato del Vaticano, Monaco o Nauru, ma pure macrostati come la Russia, il Canada, la Cina, il loro territorio ha una morfologia (una forma allungata e estesa latitudinalmente come quella del Cile o del Giappone, frammentata come le Filippine, ecc.), esistono poi sacche di territorio inserite all’interno di altri Stati (sono enclave o exclave come Kaliningrad, territorio russo, circondato da Lituania, Bielorussia e Polonia, o la Berlino ai tempi della DDR, o ancora Campione d’Italia, originariamente feudo del monastero di Sant’Ambrogio e della diocesi). 18
Dal punto di vista strategico la posizione relativa di uno Stato (in geografia la situazione è il risultato della relazione di un luogo con altri spazi. Si analizza in relazione a un ambiente locale, regionale, o generale. Una situazione è sempre relativa e può evolvere nel tempo. Nella geopolitica l’analisi di situazione è sempre stata importante: si pensi al valore strategico delle isole Diego Garcia o delle isole Falkland, oppure al ruolo degli stretti e delle stozzature marittime (choke points) come Panama o Gibilterra. Sempre a questo proposito, gli Stati cuscinetto sono quei paesi, in genere più deboli o di piccole dimensioni che si trovano tra due Stati conflittuali riducendo le possibilità di conflitto. Bolivia, Paraguay e Uruguay separano il Brasile dal Cile e dall’Argentina; così come la Mongolia collocata tra la Cina e l’URSS. Vi sono poi Stati privi di sbocco sul mare (costituiscono 1/5 degli Stati) che sovente cercano soluzioni per accedere agli oceani: il corridoio di Danzica alla fine della Prima Guerra Mondiale permetteva alla Polonia, chiusa tra la Prussia e la Prussia orientale, l’accesso al Baltico; il corridoio di Eilat permette a Israele di accedere a Aqaba; il corridoio di Antofagasta permetteva alla Bolivia di accedere al mare. Aree dotate di statuto speciale Non possiamo dimenticare il ruolo di aree dotate di statuto speciale. Le zone franche sono aree chiuse con una giurisdizione particolare (assenza di gravami fiscali, deroga alle leggi vigenti). Attraverso esse gli Stati possono eludere barriere e norme vigenti sul territorio nazionale. In esse si svolge il montaggio, la preparazione e la riesportazione di merci. Possiamo ricordare: le zone franche commerciali (free trade zone), in genere grandi porti (Miami, Colon o Hong Kong) dove transitano merci senza gravami di tasse, quelle industriali (free processing zone) e i parchi industriali con trasformazione dei prodotti (Filippine, Cina). Le zone franche sono di regola situate in prossimità di passaggi marittimi strategici (Caraibi, Sud- est asiatico, Medio Oriente) e svolgono un ruolo determinante nel contesto della globalizzazione. Vi sono poi i cosiddetti paradisi fiscali che diventano facilmente sede di società anonime diverse (Liechtenstein, Lussemburgo, Bermuda). 19
La regionalizzazione dello Stato Lo Stato è costituito da unità amministrative interne quali cantoni, distretti, regioni, province. Tre modelli si confrontano. • Nello Stato unitario l’intero paese dipende da un governo centrale unico (Francia moderna, molti Stati dell’America latina o dell’Africa Nera). Il modello giacobino dello Stato centralista è caratterizzato da una regionalizzazione dall’alto in quanto è il governo centrale a suddividere il territorio in base a criteri definiti a livello nazionale. In Francia Napoleone ha creato i dipartimenti i cui limiti erano definiti in modo tale da consentire il viaggio a cavallo di andata e ritorno in un giorno dalle zone più discoste alla città capoluogo (sede della prefettura, della questura, ecc.). • Lo Stato regionale ha concesso una forte autonomia ad alcune regioni. In Italia 5 Regioni dispongono di statuto speciale: Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia. Sul modello dei dipartimenti francesi, dal 1959 l’Italia si è dotata di provincie e di regioni (oggi 110 provincie e 20 regioni). Ma lo Stato regionale si può trovare anche in Stati in cui il federalismo non è mai stato tale, come per esempio in URSS, dove la supremazia della Russia si manifestava attraverso la presenza di alti funzionari nelle diverse provincie. • Il modello federalista (da foedus-foederis, patto, lega) si caratterizza per una regionalizzazione dal basso. Lo Stato federale è costituito da porzioni di territorio con individualità geografica, storica e culturale dotati di ampi spazi di autonomia nella gestione degli affari locali, che rinunciano a certi compiti assegnati all’autorità centrale (come in Svizzera, USA, Australia, Canada, Nigeria, India). Nel sistema federale il governo centrale garantisce l’unità dello Stato e della sua politica nei confronti dell’esterno ma le unità di cui è composto godono di autonomia in campi specifici (istruzione, sanità, ecc.) e partecipano alle decisioni politiche centrali. Il modello federalista è adatto ai grandi stati (come gli USA, l’Australia o la Germania) o a Stati con popolazioni diversificate, comporta però alcuni problemi come una complessa gestione e una possibile presenza delle forze centrifughe rispetto alle forze centripete 20
La capitale, luogo di esercizio del potere La capitale (dal latino caput, testa) è quella città che svolge specifiche funzioni politiche legate alla gestione del potere dello Stato e è in grado di intrattenere intese relazioni con il resto del territorio nazionale. Per le sue necessità operative, l’esercizio del potere ha bisogno di luoghi fisici, si deve territorializzare. Essa svolge pure significative funzioni simboliche: la capitale deve esprimere la retorica del potere, permettere di rappresentare e intrattenere l’idea di unità nazionale. Non esiste una capitale senza un territorio di riferimento: forse si può inventare dal nulla una capitale ma non si può costruire dal nulla uno Stato attorno ad una capitale. A volte le capitali sono dotate di centralità geografica rispetto al territorio nazionale, altre volte sono periferiche. Alcune capitali, come Londra o Parigi, hanno mantenuto il loro primato e la loro funzione nel corso del tempo, altre hanno acquisito il titolo attraverso un trasferimento di funzioni da un’altra città (è il caso di Madrid, chiamata da Filippo II a sostituire l’antica Toledo nel 1561, o della capitale italiana che originariamente era Torino ma si è poi trasferita prima a Firenze e infine a Roma). In altri casi la capitale è una città fondata appositamente per marcare una rottura nella continuità politica del paese: Nuova Delhi per differenziarsi dalla capitale coloniale Calcutta, San Pietroburgo voluta dallo zar Pietro I per avvicinare il paese all’Europa, Washington per qualificare la nascita del nuovo stato americano indipendente, Ankara per segnare la nascita della Turchia moderna, Brasilia per marcare una volontà di sviluppo “autocentrato”. Ad ogni modo, l’edificazione di una capitale costituisce un vero progetto politico. In questo senso, progettare una capitale significa creare forme e simboli che possano evidenziare il potere dello Stato. Washington è stata edificata nel 1791 su progetto di L’Enfant il quale ha preso a modello il parco di Versailles: grandi arterie (che portano i nomi degli stati federati al momento della sua edificazione) si irradiano dalla Casa Bianca. Anche la capitale australiana, Camberra, è il prodotto di un progetto volontaristico. Il concorso (1911), vinto da Walter Griffin, allievo di Wright, fu uno dei più importanti successi dell’architettura tra le due guerre. La capitale del Brasile è stata Salvador de Bahia sin dal 1549, dal 1763 divenne Rio e rimase tale sino al 1960. Ma la questione di una nuova capitale nel centro del paese è stata dibattuta sin dall’Ottocento quando si pensò di scegliere quale luogo dove costruire una nuova capitale il punto dove convergono gli affluenti del Paraguay e del Rio delle Amazzoni. Questa ipotesi fu 21
riconsiderata dal presidente Kubitschek nel 1956 il quale chiamò l’architetto Oscar Niemeyer e l’urbanista Lucio Costa. La nuova capitale, Brasilia, fu inaugurata nel 1960. Il suo asse monumentale comprende un percorso cerimoniale con la piazza dei tre poteri, mentre gli assi residenziali ospitano le superquadras che contengono immobili a 6 piani e i servizi necessari al funzionamento della vita di quartiere. Coesione e dissoluzione degli Stati I geografi della politica hanno messo in evidenza quegli elementi che favoriscono la coesione di uno Stato oppure la sua dissoluzione. Il geografo americano Hartshorne sosteneva che l’esistenza dello Stato dipende da un equilibrio dinamico tra forze centripete e forze centrifughe. Le forze centripete contribuiscono alla coesione di un dato Stato e ne consentono la sopravvivenza: tra esse possiamo annoverare la lingua e la cultura comuni, una lunga storia, confini ben definiti. Le forze centrifughe contribuiscono alla frammentazione: tra esse compaiono le divisioni interne linguistiche e culturali, una breve storia comune e le dispute relative ai confini. La continuità dell’esistenza dello Stato dipende dalla possibilità che le forze centripete risultino superiori a quelle centrifughe. Alcuni evidenziano le forze della devoluzione (la devoluzione è quel processo attraverso il quale le regioni in seno a uno Stato rivendicano e ottengono maggiore autonomia a spese del potere centrale), forze che spingono verso la secessione e l’indipendenza di alcune regioni. Nel corso degli ultimi decenni si sono presentati numerosi esempi e altri si presentano attualmente. Sono forze culturali (che si sono manifestate ad esempio nei Paesi Baschi, nel Québec, in Scozia) o forze economiche (dovute alle differenze di reddito di alcune regioni come in Catalogna, nelle Fiandre). Vengono poi presi in considerazione anche fattori geografici: una collocazione marginale e periferica rispetto allo spazio nazionale, o addirittura l’insularità, sono alleati della devoluzione. Occorre però dire che più di una volta questi fattori si sovrappongono. 22
Frontiere e confini Malgrado la retorica di un mondo senza frontiere, queste continuano ed esistere. La frontiere non si cancellano si ritracciano, dice pertinentemente Marc Augé (2007). Non si è mai tanto negoziato, delimitato, demarcato, caratterizzato, equipaggiato, sorvegliato, pattugliato, quanto oggi, ed è da tempo che non si discute così tanto di frontiere, forse dalla fine della guerra. Dal 1991 più di 26.000 km di nuove frontiere internazionali sono state istituite, altri 24.000 km sono stati oggetto di accordi di delimitazione e di demarcazione, e se i programmi annunciati di muri, chiusure e barriere metalliche o elettroniche saranno portati a termine si estenderebbero su oltre 1800 km, aggiunge Michel Foucher (L’obsession des frontières, 2007, p. 7). La frontiera come limite territoriale I termini di frontiera e di confine non sono sinonimi. Il primo (che deriva dal latino frons frontis) indica un territorio situato in fronte, al margine. Il secondo rappresenta piuttosto un’idea di linearità e di passaggio. L’inglese in questo contesto è più preciso: utilizza frontier (per zonalità), boundary (per linearità) o border. Per molto tempo, la frontiera non corrispose ad uno spazio definito linearmente, non era precisamente demarcata ed era uno spazio vago, una terra di nessuno tra due territori. Per le società tradizionali, oltrepassare un limite corrispondeva all’atto di varcare uno spazio conosciuto e carico dei segni che rimandavano a una cultura conosciuta per addentrarsi in uno spazio pericoloso e privo di simboli comprensibili. Un vero dualismo era presente in tutte le culture: l’Umland del villaggio e l’alterità, la natura allo stato selvaggio entro cui si poteva penetrare solo con grande coraggio e ritualmente. 23
In alcuni casi le frontiere mobili e i “fronti pionieri” fungevano da limite dinamico in spazi di nuova occupazione caratterizzati da deboli densità. Frederick J. Turner, massimo studioso della frontiera americana, aveva presentato questo limite come il vero motore all’origine dell’ecumene americana. Le vicende della “frontiera”, che termineranno prima della fine del diciannovesimo secolo, lasciarono profonde tracce nell’animo degli americani. Sulla “frontiera”, attraverso il contatto con un ambiente ostile si era infatti costituito l’individualismo, il pragmatismo e l’egualitarismo degli americani. D’après le Bureau du recensement américain, la frontière correspond à une zone de peuplement dans laquelle la densité est supérieure à deux habitants et inférieure à six habitants par mille carré (2,59 km2). C’est pourquoi il fut déclaré officiellement en 1890 que la frontière avait disparu aux États-Unis. La frontière n’a pas cessé de se déplacer du début du XVIIe siècle à la fin du XIXe. Elle n’a jamais formé une ligne continue: les avancées, les redans, les enclaves ont été courants. Lorsque les premiers colons débarquent en Amérique, elle se confond avec la côte atlantique, puis, à la veille de l’indépendance des colonies, elle franchit les Appalaches. Vers 1830-1840, elle atteint le Texas ; vers 1850, la Californie; après la guerre de Sécession, les Grandes Plaines. Elle progresse grâce à l’attrait des mines d’or et d’argent, des immenses pâturages, des terres à cultiver. Elle est donc une étape du peuplement de l’Ouest ou de la mise en valeur du continent nord- américain. Dans cette zone, les ressources du sol ou du sous-sol sont abondantes; elles sont peu exploitées par des Indiens nomades. Les pionniers prennent possession d’une terre qu’ils croient disponible ou qu’ils achètent aux Indiens à un prix dérisoire. Ils établissent leur code social, leur organisation politique, leurs modes de production. Si l’anarchie ou la loi du plus fort commence par l’emporter, c’est finalement sous la forme d’un territoire puis d’un État que telle ou telle zone de frontière entre dans l’Union. Cette progression vers l’ouest a profondément marqué l’histoire des États-Unis et comporte de multiples significations. L’Américain y a manifesté et développé son goût de l’initiative personnelle, de l’aventure, voire de la violence. Son comportement à l’égard des Indiens ou des Mexicains est celui du conquérant persuadé qu’il peut tout se permettre. La lutte contre la nature, contre les animaux sauvages forge, croit-il, les caractères. En même temps, ces vastes étendues, ouvertes à la colonisation, permettent aux États de l’Est et accessoirement aux immigrants de trouver un exutoire à leur excédent de population ou d’énergies: la frontière joue un peu le rôle d’une soupape de sécurité. Aussi l’Amérique subit-elle un choc, quand elle apprend que la frontière a cessé d’exister. Son expansion ne devra-t-elle pas se faire maintenant dans les Antilles ou dans le Pacifique? C’est ce que croient les partisans de l’expansion impérialiste à la fin du XIXe siècle. À moins que la lutte contre les inégalités sociales ou le sous-développement économique ne constitue à son tour «de nouvelles frontières», comme le suggérait le président John F. Kennedy en 1960. Cessant d’être une réalité, la frontière devient un mythe qui symbolise le rêve américain des espaces immenses et de la liberté. Peut-être la conquête de l’espace a-t-elle représenté aussi une nouvelle frontière. (La Frontière, Encyclopaedia Universalis) 24
Nel periodo feudale le relazioni di sangue o di alleanze erano più importanti dei legami territoriali. La preoccupazione per un nuovo tipo di frontiera apparve solamente con il progetto dello Stato moderno (in particolare con il trattato di Campoformio che aveva sancito la pace tra Franca e Austria nel 1792): la nuova frontiera è una frontiera lineare. Della linearizzazione della frontiera saranno responsabili anche i progressi nelle scienze matematiche e cartografiche, la carta era diventata strumento del politico e del militare atto a controllare e gestire lo spazio. La questione della frontiera è stata affrontata da Friedrich Ratzel nel suo saggio Politische Geographie (1897). Questa era l’organo situato alla periferia dello Stato, ne materializzava crescita, forza e cambiamenti territoriali. Il geografo tedesco, per definire la frontiera, aveva assunto una analogia organicista: come un organismo biologico vivente lo Stato doveva tendere verso l’espansione. Costruzione e operatività della frontiera L’allestimento della frontiera prevede quattro distinte fasi. La prima è costituita dalla sua definizione, risultato di negoziazioni adottate dagli Stati attraverso i trattati ma pure della conquista (in questo caso la frontiera è il prodotto dell’uso della forza e non è riconosciuta né da almeno uno dei belligeranti, né dal diritto internazionale, una frontiera che si contrappone alla frontiera di diritto). La definizione della frontiera permette di identificare il tracciato con la scelta di alcuni siti (corsi d’acqua, linee di cresta) ma a volte si avvale di semplici linee geometriche tracciate indipendentemente dalla topografia e dai contenuti sociali del territorio. Anche se lo spazio fisico svolge un ruolo determinante, non esiste la frontiera naturale, esiste piuttosto una interpretazione sociale e politica delle caratteristiche di una morfologia fisica (un fiume, un lago, una cresta di una montagna) ritenuta adeguata per marcare sul territorio una frontiera. La seconda fase è costituita dalla delimitazione, opera dei cartografi e dei geografi che, attraverso l’uso di carte a grande scala e di fotografie aeree permette di passare ad una fase più operativa. Il caso della frontiera marittima costituisce un momento particolare. La terminologia di acque territoriali, tuttora in vigore, è stata definita nel XVIII 25
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