DOSSIER - L'UCRAINA AL VOTO - OSSERVATORIO RUSSIA - MARZO 2019
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DOSSIER - L’UCRAINA AL VOTO OSSERVATORIO RUSSIA - MARZO 2019 Le elezioni presidenziali ucraine del 31 marzo sono state un banco di prova importante per definire il futuro di Kiev. Numerosi gli attori in campo, tanto da rendere plausibile qualsiasi pronostico. Per comprendere meglio questo complicato scenario, Osservatorio Russia ha analizzato i personaggi, gli interessi in gioco e i vari fattori che hanno condizionato questa tesa campagna elettorale.
INCERTEZZA DOSSIER - L’UCRAINA SOVRANA AL VOTO Mattia Baldoni OSSERVATORIO RUSSIA L’esito del primo turno delle elezioni MARZO 2019 presidenziali ucraine era piuttosto prevedibile. ANALISI Nessuno dei 44 candidati avrebbe • Ucraina 2019 - Tutti contro tutti chiuso i conti al primo Giusy Monforte turno. Tuttavia, meno «Questo appuntamento elettorale detiene già un primo record, pronosticabili erano i che è quello del numero delle richieste di partecipazione. La due principali Commissione elettorale centrale (CEC) ne ha ricevute ben 92, contendenti, dato il di cui 48 respinte [...]» Continua... PAG. 3 sostanziale equilibrio tra i grandi favoriti. Lo • Le elezioni ucraine e il futuro del scarso appeal dei Donbass programmi e delle idee promosse ha contribuito Pietro Figuera ad alimentare «L'Ucraina che si prepara al voto delle Presidenziali del 31 marzo è un Paese spaccato. [...] Alla vigilia dell'appuntamento l’incertezza e la elettorale, viene spontaneo chiedersi quale sarà il futuro dei disillusione degli elettori territori contesi.» Continua... PAG. 7 ucraini, ormai sazi di retoriche nazionaliste e • Noi chi? L’identità ucraina in vista conservatrici. Forse è proprio il volto nuovo delle presidenziali dell’attore candidato Claudia Ditel Volodymyr Zelenskij ad «La campagna, tutta incentrata sull'elemento dell'etnicità avergli assicurato la ucraina, non ha convinto l'opinione pubblica, che rimane vittoria del primo turno, pressoché polarizzata. È ampia la distanza ideologica tra la una sorpresa che era classe politica e i cittadini [...]» Continua... PAG. 10 nell’aria. Secondo posto per il presidente uscente • Ucraina: terra di aspettative europee Petro Porošenko, che si Francesca Corsetti giocava aspramente il «Se non è poi così scontato stabilire per quale candidato passaggio del turno con l'Unione europea e i suoi Stati membri facciano il tifo, dal Yulia Timošenko, momento che diversi candidati puntano ad avvicinarsi sempre arrivata terza. di più all'Ue, è invece di più facile intuizione comprendere che cosa l'Europa si aspetti dal post elezioni. » Continua... PAG. 14 1
APPROFONDIMENTO • Gas naturale: l’Ucraina dipende ancora dalla Russia? Giulio Benedetti «L’Ucraina post-Euromaidan consuma molto meno gas, iniziandolo a comprare dall’Europa. Il rapporto con la Russia, tuttavia, è ancora cruciale per l’operatività della rete e per la rendita connessa al passaggio di gas verso Ovest.» Continua... PAG. 16 2
ANALISI ___________________________________________________________________________________________________ Ucraina 2019 - Tutti contro tutti Giusy Monforte Il prossimo 31 Marzo quasi 35 milioni di elettori saranno chiamati ad eleggere il nuovo Presidente dell'Ucraina. In realtà, il 12% degli aventi diritto non potrà recarsi alle urne in seguito all'annessione russa della Crimea, avvenuta nel Maggio del 2014. Questo appuntamento elettorale detiene già un primo record, che è quello del numero delle richieste di partecipazione. La Commissione elettorale centrale (CEC) ne ha ricevute ben 92, di cui 48 respinte, nella maggior parte dei casi a causa del mancato pagamento della somma di 2,5 milioni di hryvnias (circa 81.700 €) prevista dalla legge ucraina. Oltre al versamento del deposito, la legge prevede che ogni candidato debba aver presentato la dichiarazione dei redditi nell'anno precedente. Inoltre, deve essere un cittadino ucraino, aver compiuto almeno 35 anni ed essere in grado di dimostrare di aver vissuto in Ucraina negli ultimi dieci. Osservando i dati raccolti dall'Istituto Sociale Olexander Yaremenko e dal Centro Monitoraggio Sociale, è possibile individuare quelli che potrebbero essere i protagonisti di queste elezioni. Petro Porošenko: conosciuto come il "re del cioccolato" per i suoi successi imprenditoriali degli anni Novanta, è il Presidente in carica dal 2014. La sua popolarità è cresciuta proprio in quegli anni per aver sostenuto finanziariamente la rivolta Euromaidan, nonostante si sia poi rifiutato di unirsi al governo Yatsenyuk. Candidato a queste elezioni come indipendente, è membro del blocco Petro Porošenko ("Solidarietà"), partito conservatore e filo-occidentale. La sua popolarità è scesa dal 54% dei consensi, che gli fecero ottenere la vittoria al Il 31 marzo circa 35 milioni di Ucraini saranno chiamati alle urne. primo turno, a circa il 10%. Tuttavia, alcuni esperti continuano a indicarlo tra i favoriti. Le sue carte vincenti potrebbero essere il nazionalismo, che si è risvegliato in modo marcato dopo la crisi della Crimea, e il tentativo di favorire l'affermazione di una Chiesa ortodossa indipendente da Mosca. Volodymyr Zelensky: Zelensky è la grande novità della scena politica ucraina. Classe 1978, ha ricoperto il ruolo di Presidente dell'Ucraina ma non nella vita reale, bensì nella serie tv "Servant of the People" il cui debutto risale al 2015. Il partito politico SP, con cui si è candidato, prende lo stesso nome della serie ed è stato lanciato un anno fa dalla società televisiva che l'ha prodotta. Il progetto politico di Zelensky, è difficile 3
da definire, si propone come forza nuova e modernizzatrice e sta riscontrando un impressionante successo tra l'opinione pubblica. Complici l'instabilità politica e l'insoddisfazione degli elettori, Zelensky è balzato in cima alla classifica di quasi tutti i sondaggi, con un consenso che oscilla tra il 22% e il 30%. Yulia Timošenko: nata nel 1960, è stata la prima donna a ricoprire la carica di Primo ministro, per quasi tutto il 2005 e dal 2007 al 2010.In Parlamento dal 1996, è leader dell'Unione Pan-ucraina ("Patria"), partito filo- europeo che si posiziona nell'ala del nazionalismo liberale. Nel 2004 è stata tra i promotori della Rivoluzione Arancione, che ha portato poi il leader dell'opposizione Viktor Juščenko alla Presidenza, aggiudicandosi la definizione di "Giovanna d'Arco della Rivoluzione" dai media occidentali. Tuttavia, è stata anche al centro di alcune polemiche, rendendo la sua immagine politica tra le più contraddittorie dell'Ucraina. Fondatrice, insieme al marito, di una compagnia petrolifera, negli anni Novanta viene accusata di aver stoccato ingenti quantità di metano, causando così un aumento delle tasse. Inoltre, nel 2011 viene travolta in un processo per abuso d'ufficio. Nonostante gli scandali continua a riscuotere un certo successo posizionandosi al secondo posto con il 18,5-21% delle preferenze. Anatoly Hrytsenko: nasce nel 1957 e ha alle spalle una carriera militare di 25 anni. Nel 2005 viene nominato Ministro della difesa durante il governo Timošenko, mantenendo la carica con Yanukovich. Il suo partito Posizione civile (GP) si pone come una forza liberale ed europeista, pur condividendo le aspirazioni di un sistema presidenziale dai poteri "rafforzati". Noto soprattutto per la sua posizione critica nei confronti di Porošenko, ha sostenuto con forza le accuse di corruzione contro il Presidente. Si presenta alle elezioni per la terza volta e, al momento, si posiziona al quarto posto con un consenso che oscilla tra il 5-12%. Yury Boyko: originario di Donestk, è nato nel 1958. Precedentemente Ministro dell'Energia e Presidente della compagnia di Stato Naftogaz, oggi è alla guida della Piattaforma di opposizione "Per la vita", partito socialdemocratico e filorusso. Proprio a causa della natura del partito, alcuni esperti temono che una sua potenziale vittoria possa alimentare le tensioni tra i nazionalisti e i sostenitori di Mosca. Come la 4
Tymonshenko, anche Boyko è stato al centro di diversi scandali, anche se i sondaggi continuano a indicarlo tra i primi cinque candidati, nonostante le probabilità che superi il primo siano quasi nulle. Oleh Lyashko: nato nel 1972, è capo del Partito Radicale. Lyashko è famoso per il suo approccio non convenzionale e un atteggiamento anti-élite di stampo nazionalpopulista. Il suo obiettivo sarebbe quello di rinnovare l'ambiente politico, rendendolo indipendente dalla classe imprenditoriale ucraina, posizione da molti criticata dati i suoi legami con Rinat Akhmetov, uno degli uomini più ricchi dell'Ucraina, nonché Presidente della System Capital Management. Nel 2014, appena due giorni prima delle elezioni presidenziali, Lyashko ha rivendicato l'attentato all'edificio governativo di Torez che provocò la morte di un sostenitore della Repubblica popolare di Donetsk. Nonostante nei sondaggi non superi il 7%, resta uno dei personaggi più discussi della scena politica ucraina. Evoluzione del trend elettorale in Ucraina ad una settimana dal voto. Evidente l'ascesa di Zelensky (in verde) Oleksandr Vilkul: nato nel 1974, è stato eletto deputato del Partito delle Regioni nel 2006. Successivamente, con il decreto n. 384/2010 del Presidente dell'Ucraina Viktor Yanukovich, è stato nominato presidente dell'amministrazione statale regionale di Dnipropetrovsk e nel 2012 ottiene la nomina di vice Primo Ministro. Vilkul è appoggiato dal Blocco dell'opposizione (OB), fondato dopo l'esperienza di Euromaidan, e caratterizzato da un forte euroscetticismo e un chiaro sentimento filorusso. Attualmente i sondaggi lo attestano al 4%, le probabilità di vittoria, quindi, sono abbastanza esigue. Olexandr Shevchenko: Conosciuto come attivista per i diritti sociali, ha istituito nel 2013 il Fondo di beneficenza omonimo. L'ente sostiene diversi programmi, dalla realizzazione di sedie a rotelle per i disabili, a progetti di sviluppo urbanistico. Oltre alle attività sociali, è stato direttore a responsabilità limitata della società «Skorzonera». Deputato dal 2010, è membro partito nazionalista Associazione ucraina dei 5
patrioti (UKPOP) fondato nel 2015. Shevchenko ha annunciato che i suoi obiettivi principali, in caso di vittoria, sono eliminare le tensioni nell'Ucraina orientale e restituire una vita dignitosa alla popolazione, attraverso l'elaborazione di un piano di sviluppo regionale. Nonostante si sia dichiarato in diverse occasioni "fiducioso", il suo rating si aggira al 3%. Ihor Smeshko: Il generale Ihor Smeshko, 64 anni, è stato a capo dell'Intelligence del Ministero della difesa, dal 1997 al 2000. Per il suo ingresso in politica si deve aspettare il 2010, anno in cui fonderà, insieme ad altri membri dell'Intelligence, il partito ucraino Forza e onore (SICH). Nel 2014 viene nominato da Porošenko come suo consigliere e, successivamente, ha guidato il comitato di intelligence sotto la presidenza. Indipendente, promuove l'attuazione di una serie di riforme volte al rafforzamento militare e all'affermazione dell'Ucraina come Stato sovrano e indipendente. Alcuni osservatori considerano le aspirazioni di Smeshko come autoritarie e rischiose per l'evoluzione del sistema democratico. Come nel caso di Shevchenko, il suo rating non supera comunque il 3%. Restano fuori dall'elenco Andriy Sadovyi e Evgeny Murayev, che pur rientrando tra i primi dieci candidati hanno ritirato la loro candidatura in sostegno, rispettivamente, di Anatoly Hrytsenko e Oleksandr Vilkul. Dalle preferenze degli elettori è forse possibile comprendere la profonda spaccatura che sta interessando l'Ucraina. La questione della Crimea e l'instabilità politica hanno favorito lo sgretolamento della società ucraina, frammentazione che potrebbe rispecchiarsi nei risultati elettorali. Nel caso in cui nessuno dei candidati otterrà la maggioranza assoluta dei voti, sarà indetto un secondo turno. È probabile che per conoscere il volto del prossimo Presidente ucraino dovremo aspettare il 21 Aprile. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 7 marzo 2019 6
Le elezioni ucraine e il futuro del Donbass Pietro Figuera L'Ucraina che si prepara al voto delle Presidenziali del 31 marzo è un Paese spaccato. Non solo per il numero estremamente alto dei candidati, tale per cui non si prevede, ad oggi, che alcuno di essi riesca a superare il 25% dei voti al primo turno. E non solo per la scarsissima popolarità (attestata al 10%) del governo uscente. Ma perché, banalmente, non ha ancora risolto la guerra civile che lo attanaglia da cinque anni quasi esatti, ovvero da quel 6 aprile 2014 in cui alcuni gruppi di manifestanti armati si impadronirono delle sedi governative negli oblast' di Donec'k, Luhans'k e Charkiv. Gli accordi di Minsk languono. La guerra nelle regioni orientali non è né calda né fredda, ha perso tutto il suo appeal mediatico internazionale ma al tempo stesso non si è fermata, né ha cessato di produrre vittime. Benché l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani abbia registrato un calo significativo delle perdite negli ultimi tre mesi di osservazione, tale trend sembrerebbe dimostrare più uno stallo politico e militare (in attesa, ormai, degli esiti del voto) che un reale appianamento dei contrasti. Complice lo scarso numero di vittime, i media occidentali tacciono. Solo i fatti del Mar d'Azov hanno temporaneamente riacceso i riflettori sulla crisi. Relegandola però alla cronaca delle prove muscolari tra 7
Mosca e Kiev, o alle questioni di diritto internazionale relative al passaggio delle navi nello Stretto di Kerč'. Poco o nulla è stato detto su Donec'k e Luhans'k, le due repubbliche separatiste in lotta contro il governo centrale di Kiev. Alla vigilia dell'appuntamento elettorale, viene spontaneo chiedersi quale sarà il futuro dei territori contesi. Innanzitutto bisogna precisare che nelle due regioni, nelle quali (assieme alla Crimea) risiederebbe il 12% del corpo elettorale ucraino, non si potrà votare per le prossime presidenziali ucraine. Non tutti, peraltro, sanno che nelle due repubbliche separatiste si è già votato lo scorso 11 novembre per eleggere i leader locali (Pušilin a Donec'k e Pasečnik a Luhans'k), in violazione degli accordi di Minsk secondo l'OSCE e i membri del Formato Normandia, che non hanno riconosciuto il voto. A giudicare dall'affluenza ottenuta in quella tornata (superiore al 70%), non sarebbero stati comunque molti i potenziali elettori per la tornata del 31 marzo. E con tutta probabilità, non avrebbero votato Porošenko. Il presidente uscente, com'è noto, ha perso molta popolarità rispetto ai suoi esordi. L'andamento della guerra ma soprattutto le pessime performance nell'economia e nella lotta contro la corruzione potrebbero costargli la rielezione, anche se i sondaggi delle ultime settimane lo stanno vedendo in ripresa. Nel (poco probabile) caso di una sua vittoria, Porošenko verosimilmente manterrebbe l'approccio tenuto fino ad Petro Porošenko durante le recenti esercitazioni militari in Ucraina, novembre oggi nei confronti sia dei ribelli, sia degli 2018 attori internazionali che formalmente lo appoggiano. Più originale, in una certa misura, la strategia della sua più nota e agguerrita competitor, Julija Tymošenko, intenzionata ad allargare l'attuale gruppo "Normandia" per rafforzare le premesse diplomatiche di una pace. L'obiettivo dichiarato dell'ex premier ucraina sarebbe quello di ripristinare le garanzie internazionali promesse con il Memorandum di Budapest (1994), ottenendo così un riconoscimento esplicito della sovranità ucraina sulla Crimea e sul Donbass (in base agli accordi di Budapest, il territorio ucraino sarebbe stato garantito dalla Russia e dalla comunità internazionale in cambio della rinuncia – realmente attuata poi – del possesso di armi nucleari da parte di Kiev). Ma un superamento così improvviso degli accordi di Minsk, dando peraltro per scontato l'assenso di Mosca e dei separatisti, sembra del tutto illusorio ancor prima che irrealistico. L'attore Volodymyr Zelenskij, attualmente il candidato più in alto nei sondaggi, non sembra avere una posizione molto definita sulla guerra nel Donbass. Ma proprio perché ha buone chance di diventare presidente, è opportuno esporre le sue idee in merito. Zelenskij vorrebbe incontrare Vladimir Putin, evitando di concedere altrettanta dignità politica ai neopresidenti delle due repubbliche autoproclamate, e trovare un accordo diretto per la pacificazione. Anche qui, almeno a parole, gli accordi di Minsk non sarebbero praticamente presi in considerazione. Simile posizione a quella sostenuta da Anatoly Hrytsenko, ex ministro della difesa (2005-2007) con più ridotte possibilità di arrivare al secondo turno, mentre Jurij Bojko, ex vice primo ministro e alleato di Viktor Janukovyč, sarebbe invece il candidato più filorusso tra i papabili successori di Porošenko: suo intento 8
sarebbe quello di fermare le azioni militari nel Donbass e di riappacificarsi con Mosca. Ma la sua forza elettorale non dovrebbe andare oltre il 10% dei consensi. Da questa breve panoramica, si può evincere come la crisi del Donbass sia ancora lontana dal trovare una soluzione: nessuno o quasi tra i candidati sembra in grado di imprimere una svolta realistica al corso degli eventi. Quasi tutti promettono un cambiamento radicale, sull'onda del malcontento provocato da cinque anni di guerra, ma le soluzioni indicate sono spesso bizzarre o irrealizzabili. Più adatte a un talk show che a una conferenza diplomatica internazionale. Se ciò sia dovuto a scarsa preparazione o a una mancanza di volontà nel sostenere posizioni impopolari, non è ancora dato saperlo. Quel che è certo, è che in un Donbass ancora lontano da una vera normalizzazione in pochi si fanno illusioni sul post voto. Anche perché, fatto salvo un crescente desiderio di pace e stabilità, l'orientamento generale degli ucraini resta spaccato sulle solite linee. Linee che per chiunque sarà difficile forzare, data la probabile frammentarietà che costituirà la maggioranza in sostegno del nuovo presidente. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 15 marzo 2019 9
Noi chi? L’identità ucraina in vista delle presidenziali Claudia Ditel Le elezioni ucraine sono ormai prossime [31 marzo] e negli ultimi mesi i candidati si sono sfidati attraverso slogan e promesse che, seppur distinguibili tra la visione liberale della Timošenko e quella conservatrice di Porošenko, si caratterizzano per una retorica nazionalista di base. (Per un profilo più dettagliato sui candidati, rimandiamo all'articolo di Giusy Monforte per il nostro Osservatorio). Entrambi i candidati sono poi sfidati da una voce del tutto nuova nel contesto politico ucraino, quella di Volodymyr Zelensky, famoso per aver ricoperto il ruolo di presidente nella serie tv Servant of the people. Nessuno si aspettava che un video caricato da alcuni studenti su YouTube, in cui Zelensky denunciava la dilagante corruzione del Paese, l'avrebbe messo in pole position per la corsa verso una vera carica presidenziale. Dunque, a parte Zelensky – che ha le caratteristiche per sembrare in gran parte un voto di protesta - né la Timošenko, né Porošenko stanno raggiungendo la popolarità auspicata. La loro campagna, tutta incentrata sull'elemento dell'etnicità ucraina, non ha convinto l'opinione pubblica, che rimane pressoché polarizzata. È ampia la distanza ideologica tra la classe politica e i cittadini che, ad ormai cinque anni dal referendum in Crimea, cercano una terza via di rappresentazione, che vada oltre il nazionalismo conservatore e militarista o le promesse di una rapida integrazione nel contesto europeo. Cosa pensano i cittadini ucraini del nuovo panorama politico? Esercito, lingua e fede "Esercito, lingua, fede. Noi andiamo per la nostra strada. Noi siamo l'Ucraina". Questo è lo slogan con cui Porošenko ha lanciato la sua campagna per le presidenziali 2019. Ad oggi, il presidente attualmente in carica è dato al terzo posto nei sondaggi. La sua campagna si era basata ampiamente su un revival del nazionalismo in maniera trasversale, attraverso i tre pilastri, ovvero quello militare, linguistico e religioso. Il Presidente ha fatto quello che gli amanti del costruttivismo definirebbero una securitizzazione, ovvero l'amplificazione di una minaccia costruita principalmente attraverso pratiche e discorsi. Queste tecniche, basate su una contrapposizione noi – loro, costituiscono uno strumento immediato per la formazione di un'identità nazionale, ma non di stabile durata poiché dipendono dalla costante presenza di un nemico esterno. Nel campo militare, il picco massimo di antagonismo è stato sbandierato con l'introduzione della legge marziale in risposta all'attacco subito dalle navi ucraine presso lo stretto di Kerc', lo scorso novembre. Un 10
momento in cui il presidente Porošenko ha potuto sfoderare la sua credibilità in quanto comandante supremo delle forze armate, il protettore del popolo ucraino contro la costante minaccia russa. Sul piano spirituale, i recenti attriti con il Patriarcato di Mosca hanno rappresentato un'altra occasione, in cui Porošenko ha esibito un visibile impegno nella costruzione dell'identità ucraina. Per decenni la Chiesa ortodossa Ucraina ha sfidato quella di Mosca, chiedendo l'indipendenza e l'autocefalia. Il riconoscimento è avvenuto solamente nello scorso dicembre ed ha rappresentato un processo irreversibile e di portata epocale nella storia della Chiesa Ortodossa, di cui ha parlato Marco Limburgo nel suo articolo per l'Osservatorio. L'eco avuta nella scena politica non è una novità. Anche in passato la contrapposizione religiosa è stata specchio della polarizzazione geografica e identitaria dell'Ucraina, e per questo motivo diviene un teatro di scontro ad ogni elezione presidenziale. Petro Poroshenko con il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I In un leit motiv tra presente e passato, tra religione e politica e che non lascia niente al caso, il presidente Porošenko lo scorso 15 dicembre ha voluto presiedere alla cerimonia religiosa del riconoscimento dell'autocefalia. Nel suo discorso rivolto al pubblico degli ecclesiastici ha esaltato l'importanza dell'indipendenza spirituale tanto quanto quella politica e identitaria dei cittadini ucraini, riconfermando il sodalizio tra fede e politica anche in queste presidenziali. In una retorica tutt'altro che imprevedibile, Porošenko ha anche riconosciuto il momento dell'autocefalia come uno spartiacque storico nel processo di decolonizzazione dalla Russia. Il linguaggio è stato il terzo pilastro su cui la leadership politica anti-russa ha fatto leva per raccogliere i voti. In ottobre, il parlamento ha approvato una legge che sostituisce l'ucraino al russo nei media locali, da 11 internet alla stampa, ed estende l'uso del linguaggio nazionale anche in altri numerosi contesti.
Finora, il russo e l'ucraino hanno convissuto nel quotidiano in Ucraina, sebbene al secondo fosse riconosciuto il titolo di lingua nazionale. Secondo le classifiche, un 30% di ragazzi dai 14 e 29 anni, sebbene abbia studiato in ucraino, parla russo nel contesto familiare. Un altro 18% invece alterna le due lingue. Dunque, la decisione di smantellare la seconda lingua sembra una decisione elitaria più che un'esigenza venuta dal basso, in quanto tale decisione mette in difficoltà una grande fetta della popolazione che parla principalmente russo. Il fatto che nonostante l'impegno assiduo – partecipazione alla cerimonia di assegnazione dell'autocefalia; dichiarazione dello stato di emergenza dopo lo scontro di Kerch – Porošenko non sia dato in testa nei sondaggi, dovrebbe portare a fare delle riflessioni. Forse il senso di identità ucraino sta andando incontro a dei cambiamenti che non si riflettono più nelle campagne ideologiche del Presidente. Noi andiamo per la nostra strada. Noi siamo l'Ucraina. Ma noi chi? Nonostante l'intenso impegno trasversale di Porošenko, l'80% della popolazione ha dichiarato di non fidarsi di lui, e i sondaggi di certo non rispecchiano le sue aspettative. Il Presidente in carica non riesce a salire in testa ai sondaggi e si attesta intorno a un 8%, al pari del nuovo volto per queste presidenziali di Zelensky. La Timošenko risulta in testa nei sondaggi ma allo stesso tempo, in seguito alla collezione di ambiguità nella sua carriera politica – tra cui il processo per abuso d'ufficio nel 2011 -, è anche piuttosto impopolare. Per il momento, il 15% della popolazione è probabile che si asterrà dall'andare a votare, delusa dal panorama politico nel complesso. È chiaro che quello che si aspettano I cittadini ucraini non è tanto un'esaltazione dell'etnicità in chiave anti- russa, quanto piuttosto delle riforme strutturali, che possano tirare fuori l'Ucraina dalla spirale della corruzione e aumentare le possibilità economiche dei cittadini. In altre parole, l'identità dei cittadini Ucraini si riconosce più nell'idea di cittadinanza e meno nell'etnicità. I sondaggi di dello ZOiS [think tank tedesco di studi internazionali e sull'Est Europa, ndr] dimostrano come nel 2018 "cittadinanza ucraina" sia stata la connotazione più selezionata (49.2% del 2018 contro 37.7% del 2017) fra le varie scelte in cui si potessero identificare gli Ucraini. Una retorica vincente avrebbe puntato maggiormente sulla forza dello Stato e delle istituzioni, invece che su una narrazione sciovinista, che si dimostra anacronistica a detta dei sondaggi. Il fatto che nessuno dei leader sia riuscito a pieno ad afferrare i bisogni della popolazione mostra una forte distanza tra il sistema politico e la società ucraina, che forse per prima ha capito quanto la strategia di costruire un'identità nazionale in senso anti-russo sia di per sé perdente nel lungo periodo. Inoltre, secondo statistiche pubblicate dalla Democratic Initiatives Foundation, sebbene il 52% degli Ucraini vorrebbe entrare nell'Unione Europea, il 43% è consapevole che la corruzione è il principale ostacolo al processo di integrazione, secondo il 38% l'impedimento è il basso sviluppo economico, il 21% indica il conflitto nel Donbass, e il 17% la bassa tutela dei diritti umani. La nuova classe politica al potere, qualunque essa sarà, dovrà capire che cercare di rafforzare il legame con le organizzazioni occidentali facendo leva sul senso di aggressione dalla Russia non funzionerà. Costruire una narrativa nazionale dipingendo un nemico esterno è una strategia di breve termine ed anche pericolosa, poiché gli equilibri nel panorama internazionale tendono a mutare nel tempo. Se l'intensità del conflitto con la Russia dovesse diminuire, l'Ucraina dovrebbe cercare un nuovo nemico da dipingere per forgiare la sua identità nazionale. 12
Promettere una veloce e rapida integrazione nelle istituzioni europee è altrettanto rischioso. L'Unione Europea non può essere un ricettacolo contro il nemico russo ed inoltre i politici non dovrebbero giocare carte che non possiedono e promettere false speranze ai cittadini in un contesto di competizione per le presidenziali. Un impegno nel lungo periodo, che tiene conto delle riforme strutturali, della lotta alla corruzione e della stabilizzazione del Donbass invece che puntare sull'enfasi dell'antagonismo e degli slogan militaristi, dovrebbe essere la sfida, ma anche la base di partenza di una nuova classe politica che vuole accorciare la distanza con la società ucraina. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 20 marzo 2019 13
Ucraina: terra di aspettative europee Francesca Corsetti Il 2019 è e sarà un anno cruciale per l'Ucraina, con le elezioni presidenziali del 31 marzo ormai alle porte. Infatti, tra una stabilità economica in via di ritrovamento e le numerose riforme che Porošenko sta cercando di portare avanti (tra cui spicca sicuramente quella inerente all'anti corruzione), anche grazie alle promesse di intervento della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, il 31 marzo potrebbe proprio rappresentare un crocevia fondamentale per le aspettative europee in territorio ucraino. Con un panorama di più di quaranta candidati, di cui i favoriti sono già stati dettagliatamente presentati da Giusy Monforte nel suo articolo, da che parte si schiera l'Europa? Quali sono le sue aspettative e quali riforme auspica in Ucraina? Innanzitutto, è giusto prendere in considerazione l'attuale assetto delle relazioni tra Unione europea ed Ucraina, così da poter poi comprendere logicamente le aspettative europee circa queste elezioni. I rapporti tra i due partner sono al momento disciplinati dall'Accordo di associazione siglato nel 2014 ed entrato in vigore nel 2017. Questo testo si inserisce all'interno di una nuova generazione di Accordi che l'Unione conclude con alcuni dei Paesi rientranti nella politica di vicinato (ENP) e che vogliono rappresentare, in sostanza, una forma di cooperazione alternativa all'adesione di questi Stati all'Ue. L'importanza di questo testo risiede nel fatto che va a coprire e quindi disciplinare tutti gli aspetti delle relazioni Ue – Ucraina: cooperazione economica, nell'area della Politica estere e di sicurezza comune e nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Inoltre, collaborazione per quanto riguarda i diritti umani, lo stato di diritto e le libertà fondamentali; il dialogo politico e le riforme; cooperazione nel settore ambientale, agricolo e dei trasporti. Collaborazione, infine, in materia finanziaria. Tutto ciò ha alla base l'idea di un graduale avvicinamento all'acquis comunitario, in vista di (eventuali ma difficilmente ipotizzabili, vista la necessità di fuoriuscire dallo stato di guerra e di ricostruire la propria integrità territoriale) possibili sviluppi a livello del Trattato sull'Unione europea (TUE). Se non è poi così scontato stabilire per quale candidato l'Unione europea e i suoi Stati membri facciano il tifo, dal momento che diversi candidati puntano ad avvicinarsi sempre di più all'Ue, è invece di più facile intuizione comprendere che cosa l'Europa si aspetti dal post elezioni. In primo luogo, bisogna tenere comunque a mente che l'Unione ha, in una certa misura, bisogno dell'Ucraina. Infatti, se il Paese è forte può contenere militarmente la Russia sul campo, oltre che essere un ottimo terreno di investimento sia a livello finanziario che di sicurezza per l'Europa. Quindi, la domanda da porsi è la seguente: che cosa Donald Tusk, Petro Porošenko e Jean-Claude Juncker viene domandato all'Ucraina? In passato, di fatto venivano richieste soltanto la stabilità finanziaria e la trasformazione delle istituzioni, anche se in entrambi i casi si tratta di processi molto lunghi e che non sono ancora giunti al termine. Adesso invece? Che cosa 14
chiedono l'Unione europea e i suoi Stati membri all'Ucraina post elezioni? Due cose impegnano maggiormente la concentrazione dell'occidente: l'economia e la sicurezza. Per quanto riguarda il primo punto, l'economia è sicuramente la chiave per molti cambiamenti importanti. Una rapida crescita economica accenderebbe infatti la miccia per raggiungere ulteriori obiettivi, tra cui spiccano sicuramente la sicurezza (sulla quale ci soffermeremo tra poco), le riforme in ambito sociale e il rafforzamento della democrazia, il quale richiede una classe media economicamente appagata. L'Unione europea punta molto sulla crescita economica dell'Ucraina e questo per raggiungere una sempre maggiore integrazione tra i due partner, con la costruzione di una zona di libero scambio globale e approfondita, nella quale vengano meno tutte le barriere doganali, ostacolo agli scambi commerciali. Inoltre, l'Unione ha a cuore che l'Ucraina porti avanti una lotta spietata alla corruzione, lotta già intrapresa, come è stato riportato sopra, da Porošenko. Per quanto riguarda il secondo punto, il settore della sicurezza ucraino risulta essere ormai fatiscente ed obsoleto. In questo caso, l'Unione europea e i suoi Stati membri si aspettano cambiamenti sin dal livello politico, fino ad arrivare agli organi di intelligence. In particolare, grosse aspettative vengono riposte su di una riforma del Ministero della Difesa, oltre che su una sempre maggiore cooperazione con le istituzioni europee. Di pari passo con la sicurezza, sicuramente l'Ue punta ad una riforma radicale della giustizia: le indagini inconcludenti circa le morti durante la Rivoluzione di Maidan rappresentano un chiaro esempio del mal funzionamento della macchina giudiziaria ucraina. L'Ue riconosce, ad ogni modo, dei grandi passi in avanti in materia di pensioni (con il ricalcolo degli importi per alcuni settori di attività), di sanità (con la possibilità, ad esempio, per i cittadini ucraini di poter finalmente scegliere il proprio medico di famiglia a prescindere dalla residenza) e di decentralizzazione (con l'obiettivo finale di creare forti comunità locali che abbiano in gestione il budget di spesa per il proprio territorio). Riconosce, inoltre, la forte motivazione dell'Ucraina nel portare avanti le riforme, soprattutto in ambito sociale, per avvicinarsi sempre di più agli standard dell'Unione (anche se a livello di Welfare c'è ancora molto lavoro da fare). Seguendo questa direzione, risulta chiaro quindi quello che l'Unione europea e gli Stati membri chiedono al futuro (e ormai prossimo) presidente ucraino: continuare il percorso di uniformazione all'acquis comunitario, in tutte le sue sfaccettature, così come ripreso nella lettera dell'Accordo tra i due partner. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 27 marzo 2019 15
APPROFONDIMENTO ____________________________________________________________________________________________________ Gas naturale: l’Ucraina dipende ancora dalla Russia? Giulio Benedetti L’Ucraina post-Euromaidan consuma molto meno gas, iniziandolo a comprare dall’Europa. Il rapporto con la Russia, tuttavia, è ancora cruciale per l’operatività della rete e per la rendita connessa al passaggio di gas verso Ovest. Nel sottosuolo ucraino si estendono vasti giacimenti di gas naturale, che furono sfruttati fino agli anni Settanta. Più costosi da mantenere rispetto ai campi siberiani, i giacimenti ucraini furono gradualmente abbandonati ed il Paese rifornito da Oriente, nel contesto della pianificazione economica unitaria dell'Unione Sovietica. Al dissolvimento di quest'ultima, l'Ucraina si è così trovata ad essere improvvisamente un Paese con una scarsa produzione di risorse naturali, abitata però da una classe dirigente ed una popolazione abituate a fare parte di uno Stato esportatore.1 Questo sbilanciamento, spesso inteso come dipendenza ucraina dalla Russia, ha avuto due effetti. In primo luogo, un esito interno: investita fino a quel momento da un flusso costante di energia a basso costo, l'Ucraina si trovava allora con fabbriche, abitazioni e infrastrutture profondamente inefficienti dal punto di vista energetico. Servivano perciò enormi quantità di gas a basso prezzo, che dovevano essere contrattate con un Paese improvvisamente divenuto straniero. Nel caos provocato da entrambi i Distretto industriale metallurgico di Dnipropetrovsk lati del confine dallo smantellamento dell'economia pianificata, i rifornimenti a basso costo furono spesso assicurati da mediatori locali, che vennero molto rapidamente assorbiti nei network degli oligarchi industriali. La capacità di acquistare gas a basso prezzo dalla Russia e 1 Balmaceda, M.M. (2008). Energy Dependency, Politics and Corruption in the Former Soviet Union: Russia’s Power, Oligarchs’ Profits, and Ukraine’s Missing Energy Policy, 1995–2006. London, UK and New York, NY: Routledge, 2008 16
monopolizzarne la vendita a livello regionale a prezzi maggiorati ha rappresentato un elemento fondamentale nella crescita del potere degli oligarchi stessi.2 Il secondo effetto è esterno e riguarda il transito di energia dalla Russia verso l'Europa.3 Questo problema diventa evidente agli inizi degli anni Duemila, quando accadono due cose: il prezzo del gas sale e in Russia si consolida il potere di Putin. Per le élites ucraine questo significa dover trattare con un potere a Mosca che si fa gradualmente più forte, per ottenere una risorsa che sta diventando più costosa. Le tensioni e le crisi del gas con la Russia, che fino a quel momento avevano riguardato problemi di pagamento nei complessi schemi di baratto emersi durante gli anni Novanta, diventano sempre più centrati sul dilemma del prezzo del gas, che la parte russa vorrebbe più vicino a standard europei, difficilmente raggiungibili per il sistema oligarchico ucraino. Nei primi anni del nuovo millennio le crisi del gas si susseguono.4 Accade tipicamente che le due parti non riescano ad arrivare ad un compromesso sul prezzo entro la fine dell’anno, data di scadenza di questi contratti: all’inizio dell’anno nuovo le negoziazioni si fanno frenetiche, mentre la Russia diminuisce l’afflusso di gas e l’Ucraina minaccia di attingere dalle risorse destinate all’Europa per coprire il proprio fabbisogno. Quest’ultima opzione si realizza durante la crisi del 20065, durata undici giorni, e durante la disputa del 2009, che si protrae per ventuno giorni causando danni rilevanti in diversi paesi dell’Europa centro-orientale.6 In questa occasione i governi occidentali intervengono, ed il contratto stipulato alla conclusione della crisi prevederà un rapporto decennale, in contrasto rispetto ai contratti annuali siglati fino a quel momento.7 Se da un lato queste crisi determinano un calo di fiducia occidentale nei confronti della capacità russa di consegnare il gas pattuito, ed un interesse nella posizione ucraina perché tali problemi non si ripetano, dall’altro quest’ultima diatriba diventa uno dei motivi che rende sempre più appetibile agli occhi occidentali l’idea di trasferire il flusso delle risorse russe nel Baltico, tramite il raddoppio del gasdotto Nord Stream. In Ucraina queste crisi esacerbano invece il rapporto con la Russia, e aumentano l’interesse verso l’Europa. Nel contesto di una crescente polarizzazione interna, che vede i politici aizzare una parte del Paese contro l’altra facendo leva sull’identità e la lingua, l’oscillazione tra Russia ed Europa diventa un pilastro della politica estera del Paese.8 Inizialmente dettato da necessità legate al gas naturale, questo oscillare prende sempre più ampi connotati commerciali, identitari e politici. 2 Ibid. 3 Grigas, A. (2017). The new geopolitics of natural gas. Harvard University Press . 4 Torres, J. M., Alvarez, A., Lauge, A., & Sarriegi, J. M. (2009). Russian-Ukrainian gas conflict case study. In Proceedings of the 27th international conference of the system dynamics society. 5 Stern, J. (2006). The Russian-Ukrainian gas crisis of January 2006. Oxford Institute for Energy Studies, 16(1). 6 Stern, J., Pirani, S., & Yafimava, K. (2009). The Russo-Ukrainian gas dispute of January 2009: a comprehensive assessment. Oxford Institute for Energy Studies. 7 Pirani, S., Yafimava, K., & Stern, J. (2010). The April 2010 Russo-Ukrainian gas agreement and its implications for Europe. Oxford Institute for Energy Studies. 8 Wolczuk, K. (2016) Managing the flows of gas and rules: Ukraine between the EU and Russia, Eurasian Geography and Economics, 57:1, 113-137 17
È una spaccatura che cresce piano piano e che si fa sempre più difficile da risolvere. La fotografia al momento del rivolgimento di EuroMaidan nel 2014 è quella di un Paese che commercia in pari misura con la Russia e l’Europa, e le cui esportazioni sono prodotte nell’Est russofono per quanto riguarda le merci scambiate con Mosca, mentre l’interscambio con l’Europa origina spesso nella parte occidentale.9 Non è un rapporto bilanciato: le merci più redditizie vengono prodotte nell’Est industrializzato e russofono, che contribuisce in modo determinante alla terza fetta di esportazioni, quella verso il resto del mondo.10 Le industrie dell’Est sono vecchie, spesso di epoca sovietica, ed estremamente energivore. Il governo centrale ha bisogno dell’export per mantenere a galla un bilancio in perdita, ed ha bisogno di grandi quantità di energia per sostenere la produzione dei prodotti da esportare. L’energia arriva attraverso i gasdotti che vanno da Est a Ovest, in grandi quantità e a prezzi che non possono essere alzati, perché pregiudicherebbero la profittabilità delle imprese e metterebbero in difficoltà una popolazione già piuttosto insofferente nei confronti della propria classe politica. Le rotte e i volumi di gas e di petrolio russo verso l’Europa Cresce la frustrazione nell’Ovest, incatenato ad un rapporto con Mosca i cui unici benefici tangibili sono in un basso prezzo del gas, sempre però sotto minaccia di rialzo e gestito da élites spesso corrotte.11 Cresce il 9 Servizio Statistico Statale Ucraino. http://ukrstat.gov.ua/ Ultimo accesso: 23/03/2019 10 Ibid. 11 Gressel, Gustav. Ukraine on the brink of kleptocracy. http://www.ecfr.eu/article/commentary_ukraine_on_the_brink_of_kleptocracy 03/03/2018 18
malcontento nell’Est, dove morde la crisi economica: alla vigilia di EuroMaidan, le industrie del Donbass raschiano il fondo del barile, lì lì per trovarsi in perdita.12 Cresce l’insofferenza dei due potenti vicini, che assistono ad un continuo avanti e indietro di un governo che cerca di salvare il proprio bilancio ottenendo concessioni ora dalla Russia, ora dall’Europa. Ognuno è scontento, ma la situazione resta bloccata: cambiare corso è costoso, un salto nel buio. L’inerzia prevale. Poi, nel 2014, tutto cambia. Il rivolgimento politico culminato nella cacciata di Yanukovich permette infatti di superare tre ostacoli prima insormontabili. 1. I Paesi europei confinanti accettano di potenziare i gasdotti e permettere il flusso di gas da Ovest ad Est (il cosiddetto ‘reverse flow’). Nell’Europa orientale pre-sanzioni sarebbe stato impensabile scegliere di inimicarsi in questo modo Gazprom, principale fornitore regionale di gas; 2. la crisi politica, la minaccia russa e il senso diffuso di straordinarietà rende politicamente più accettabile il rialzo dei prezzi al dettaglio. Benché sia tuttora un argomento delicato e cruciale per il consenso politico, i rialzi di questi anni non sarebbero stati praticabili nell’era pre-Euromaidan; 3. l’occupazione della Crimea e poi, soprattutto, il conflitto nell’Est del Paese tagliano fuori alcune tra le regioni con i consumi più alti di gas. I Quattro distretti interessati da questi eventi rappresentano da soli il 61% della riduzione dei consumi di gas tra il 2013 e il 2014. Unitamente al calo avvenuto nelle altre regioni, la riduzione totale rappresenta il 21% dei consumi del 2013.13 L’Ucraina inizia così a comprare quantità di energia nel complesso minori da Occidente, a prezzi più alti. Ciò che prima sarebbe stato impensabile, diventa realtà. Oggi il gas naturale è scivolato al secondo posto nel consumo di energia del Paese, dopo decenni di preminenza indiscussa. Nel 2016 ha pesato per il 28%, dopo il carbone che rappresenta circa il 36% dei consumi.14 Una parte di esso viene ancora estratta in Ucraina, benché la maggior parte delle miniere si trovi nell’area occupata dai separatisti filorussi. Di I punti d’ingresso in Ucraina e di transito verso l’Europa del gas russo qualità particolarmente elevata, il carbone ucraino veniva e viene usato soprattutto in due regioni, Dnipropetrovsk e il Donbass, che insieme a Kyiv costituiscono le aree più industrializzate del paese.15 Il gap creatosi tra produzione e consumo viene coperto con nuove importazioni: è molto probabile in realtà che una fetta importante di esse non siano altro che carbone del Donbass 12 Servizio Statistico Statale Ucraino. http://ukrstat.gov.ua/ Ultimo accesso: 23/03/2019 13 Servizio Statistico Statale Ucraino. http://ukrstat.gov.ua/ Ultimo accesso: 23/03/2019 14 International Energy Agency. Www.eu4energy.iea.org Ultimo accesso: 23/03/2019. 15 Servizio Statistico Statale Ucraino. http://ukrstat.gov.ua/ Ultimo accesso: 23/03/2019 19
separatista re-importato tramite Paesi terzi. Questo sarebbe il caso per esempio delle importazioni dalla Bielorussia, che non ha miniere di carbone.16 La fetta residua del consumo energetico del paese viene coperta dal nucleare (23%) e dal petrolio (12%), che segue un trend di progressiva emarginazione degli import di Mosca, in favore di Bielorussia e Kazakhstan, che impiegano però rispettivamente il greggio e le infrastrutture russe. Esiste poi una fetta di idroelettrico (0,7%), basato sull’uso delle dighe sovietiche, e uno 0,1% tra solare, eolico e geotermico. Mentre l’alto costo associato Centrale nucleare di Zaporozhe alle rinnovabili rende lo sviluppo di questo settore meno allettante per il governo centrale, ripetuti sforzi sono stati fatti per il raddoppio della centrale di Khmel’nisky, costruzione rimasta incompiuta inizialmente in conseguenza del disastro di Chernobyl’ e successivamente per via del collasso economico causato dal dissolvimento dell’Unione Sovietica. Progetti e negoziati si sono succeduti per decenni, e la recente assegnazione dell’appalto ad una azienda russa è destinata a far discutere e, probabilmente, a rallentare nuovamente la costruzione.17 Conclusioni Dal 2014 il consumo di gas naturale in Ucraina si è ridotto, ed il Paese ha cessato di importare questa risorsa dalla Russia. Il rapporto con Mosca tuttavia è ancora cruciale per due ragioni. 1. le importazioni dall’Ovest vengono pagate con i diritti di passaggio corrisposti da Mosca per il transito di energia verso il mercato europeo. La Russia assicura circa 3 miliardi € per far passare il gas attraverso il territorio ucraino, fondi che vengono successivamente girati ai Paesi europei per ottenerne in cambio una parte dello stesso gas.18 2. la rete di trasporto ucraina risale ai tempi sovietici, ed avrebbe bisogno di grossi interventi per essere riparata e rinnovata. La rete per funzionare necessita che siano in transito volumi di gas rilevanti, senza i quali il senso di mantenere la costosa infrastruttura potrebbe essere rimesso in discussione.19 16 Smith, Rose. The Marketing Strategies of Ukraine’s Coal-Rich Rebels https://www.tol.org/client/article/28278- ukraine-belarus-coal-mines-energy-donbas.html 8/3/2019 17 Laurenson, Jack. Russian company chosen to build new nuclear reactors in western Ukraine https://www.kyivpost.com/business/russian-company-chosen-to-build-new-nuclear-reactors-in- western-ukraine.html 25/01/2019 18 Kardaś S., Łoskot-Strachota A., Matuszak S. A ‘last-minute’ transit contract? Russia-Ukraine-EU gas talks. OSW https://www.osw.waw.pl/en/publikacje/osw-commentary/2019-01-25/a-last-minute-transit-contract- russia-ukraine-eu-gas-talks 25/01/2019 19 Ibid. 20
Questi due elementi spiegano la forte preoccupazione da parte ucraina nei confronti del progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream, che consentirebbe di spostare sul corridoio del Baltico l’intero volume delle esportazioni russe verso l’Europa. Ciò priverebbe Kyiv di entrate cruciali e potrebbe mettere in discussione il funzionamento stesso della rete di distribuzione ucraina. La questione dell’interdipendenza tra Ucraina e Russia nel campo del gas naturale è perciò ancora aperta. Gli sviluppi di essa dipenderanno da due fattori. Primo, quanto rapidamente la Russia sarà in grado di completare il Nord Stream 2 e se i Paesi europei, in particolare la Germania, accetteranno di spostare nel Baltico il flusso di gas, cosa che da un lato hanno promesso ripetutamente di non fare, ma dall’altro sarebbe uno dei motivi che rende il nuovo gasdotto economicamente sostenibile. Perciò, malgrado le assicurazioni occidentali, è opinione diffusa in Ucraina che lo spostamento a Nord del transito del gas sia una questione di tempo.20 Secondo, sarà importante la velocità a cui il Paese riuscirà parallelamente a dotarsi di una robusta produzione interna di energia. Il calo dei consumi di gas ha infatti ridotto la distanza tra questi e l’estrazione locale, che potrebbe in un futuro non lontano coprire l’intero fabbisogno del Paese.21 L’Ucraina dispone delle più grandi riserve europee di gas dopo Russia e Norvegia, dislocate tra il Mar Nero, le regioni Occidentali, e le aree di Kharkiv e Poltava, che si trovano tra la capitale e il confine russo. Sono queste ultime riserve in particolare che sono state oggetto degli sforzi del governo per incentivare gli investimenti privati, che nelle intenzioni di Kyiv dovrebbero da un lato aumentare la concorrenza in ottemperanza alle direttive europee, e dall’altro fornire quei capitali di cui al momento il governo è a corto.22 Malgrado una legislazione sulla carta molto favorevole però, mentre queste parole vengono scritte l’operazione procede ancora a rilento,23 tra problemi burocratici, tecnici, ed un clima politico non del tutto favorevole all’ingresso di nuovi attori in un mercato delicato e nevralgico come quello del gas.24 25 Approfondimento pubblicato su Osservatorio Russia, 31 marzo 2019 20 Ibid. 21 Konończuk, W. Gas revolution? Prospects for increased gas production in Ukraine. OSW. https://www.osw.waw.pl/en/publikacje/osw-commentary/2018-09-24/gas-revolution-prospects- increased-gas-production-ukraine 24/09/2018 22 Konończuk W, Matuszak S. Dark clouds over the Ukrainian gas market reform. https://www.osw.waw.pl/en/publikacje/osw-commentary/2017-10-04/dark-clouds-over-ukrainian-gas- market-reform 04/10/2017 23 Sorokin, O. Ukraine opens 11,600 square kilometers of potentially gas rich land for production sharing agreements https://www.kyivpost.com/business/ukraine-opens-11600-square-kilometers-of- potentially-gas-rich-land-for-production-sharing-agreements.html 26/02/2019 24 Konończuk, W. Gas revolution? Prospects for increased gas production in Ukraine. OSW. https://www.osw.waw.pl/en/publikacje/osw-commentary/2018-09-24/gas-revolution-prospects- increased-gas-production-ukraine 24/09/2018 25 Saha S., Zaslavskiy I. Advancing Natural Gas Reform in Ukraine. https://www.cfr.org/report/advancing-natural- gas-reform-ukraine 03/12/2018 21
Dossier – L’Ucraina al voto Osservatorio Russia – Marzo 2019 Dossier di approfondimento a cura di Osservatorio Russia Direttore Pietro Figuera Redattore Capo Mattia Baldoni Hanno contribuito a questo numero gli autori: (in ordine alfabetico) Benedetti Giulio Corsetti Francesca Ditel Claudia Figuera Pietro Monforte Giusy Un ringraziamento a tutti i nostri sostenitori, agli appassionati, ai collaboratori e a quanti contribuiscono a portare avanti ogni giorno il nostro progetto. La Redazione 22
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