Domenica di Pasqua (A) - Risurrezione del Signore

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Domenica di Pasqua (A) - Risurrezione del Signore
Domenica di Pasqua (A)
                                        Risurrezione del Signore

At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Mt 28,1-10

Dagli Atti degli Apostoli (10,34a.37-43)

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è
accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il
battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in
Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò
beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere
del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte
le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in
Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio
lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a
tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua
risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e
dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il
perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési (3,1-4)

Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il
pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in
Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

      VANGELO Anno A Mt 28,1-10
 E' risorto e vi precede in Galilea.

 Dal vangelo secondo Matteo
 Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a
 visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò,
 rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve.
 Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.
 L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto,
 infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi
 discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».
 Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi
 discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli
 abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei
 fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

        La prima lettura (At 10,34a. 37-43) riprende un passo del discorso che Pietro fa al centurione romano
Cornelio (che significa «corno del sole», per estensione, «regale, potente»), timorato di Dio e primo convertito tra
i pagani secondo Luca.

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At 10,34.37: Pietro allora prese la parola e disse: «37Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la
Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; (ἀνοίξας δὲ
Πέτρος τὸ στόμα εἶπεν• 37ὑμεῖς οἴδατε τὸ γενόμενον ῥῆμα καθ' ὅλης τῆς Ἰουδαίας, ἀρξάμενος ἀπὸ τῆς
Γαλιλαίας μετὰ τὸ βάπτισμα ὃ ἐκήρυξεν Ἰωάννης,)
- Pietro prese la parola e disse (ἀνοίξας δὲ Πέτρος τὸ στόμα εἶπεν). Luca usa un'espressione perifrastica, «avendo
aperto la sua bocca, Pietro disse», che dà maggiore solennità alla sua dichiarazione (cf At 8,35; Es 4,12; Nm
22,28; Gdc 11,36; Ez 33,22; Dn 3,25; 10,16).
- 37Voi sapete (ὑμεῖς οἴδατε). Pietro suppone che gli ascoltatori/lettori conoscano i fatti.
- cominciando dalla Galilea (ἀρξάμενος ἀπὸ τῆς Γαλιλαίας). La maggioranza dei manoscritti ha il nominativo
ἀρξάμενος arxámenos, ma rappresenta un anacoluto, perché ci vorrebbe l'accusativo ἀρξάμενον, arxámenon.
- il battesimo predicato da Giovanni (τὸ βάπτισμα ὃ ἐκήρυξεν Ἰωάννης). Lo spostamento dalla Galilea a
Gerusalemme è uno degli elementi narrativi fondamentali di Luca. Il battesimo di Giovanni è considerato il
punto di partenza del ministero di Gesù in Lc 3,3; 16,16 e At 1,22. Questo accenno al battesimo di Giovanni an-
ticipa la dichiarazione in 11,16: Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo.

10,38: cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò
beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era
con lui (Ἰησοῦν τὸν ἀπὸ Ναζαρέθ, ὡς ἔχρισεν αὐτὸν ὁ θεὸς πνεύματι ἁγίῳ καὶ δυνάμει, ὃς διῆλθεν
εὐεργετῶν καὶ ἰώμενος πάντας τοὺς καταδυναστευομένους ὑπὸ τοῦ διαβόλου, ὅτι ὁ θεὸς ἦν μετ' αὐτοῦ).
- come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza (ὡς ἔχρισεν αὐτὸν ὁ θεὸς πνεύματι ἁγίῳ καὶ δυνάμει). L'uso del
verbo χρίω, chríō, come in Lc 4,18, mostra che l'autore ha compreso la messianicità di Gesù in termini
profetici. Nel Vangelo, la δύναμις, dýnamis, «potenza» dello Spirito è all'opera in Gesù e si manifesta nelle sue
guarigioni. Il verbo εὐεργετέω, euergetéō «fare del bene, agire come benefattore» è usato nel Nuovo Testamento
solo qui (cf Lc 22,25; At 4,9). Apollonio di Tiana (Cappadocia, 2 - 98 d.C.), filosofo greco neopitagorico, fu
insegnante e asceta. Il biografo Flavio Filostrato gli attribuisce molti miracoli affini a quelli compiuti da Gesù
nei vangeli e perciò lo definisce «benefattore» (in Vita di Apollonio di Tiana 8,7).
- tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo (πάντας τοὺς καταδυναστευομένους ὑπὸ τοῦ διαβόλου, lett.
«tutti gli oppressi dal diavolo»). Il verbo καταδυναστεύω, katadynasteúō «tengo sotto il mio potere, opprimo,
tiranneggio» si trova nel Nuovo Testamento solo qui e in Gc 2,6, dove si riferisce all'oppressione dei poveri da
parte dei ricchi. Compare frequentemente nei LXX con lo stesso significato. Che Pietro attribuisca tale
oppressione al diavolo rafforza l'immagine del regno di Dio come un governo che deve lottare con un regno
avversario amministrato da satana e dai suoi servi demoniaci.
- perché Dio era con lui (ὅτι ὁ θεὸς ἦν μετ' αὐτοῦ). Espressione tipica della Bibbia ebraica (wayehî ´adonay 'et, «e il
Signore fu con») per esprimere la guida e la protezione di Dio (Gn 21,20.22; 39,2; Es 3,12; Is 58,11). L'autore,
mentre spiega quale sia il fondamento dell'intera attività di Gesù: ὁ θεὸς ἦν μετ' αὐτοῦ, «Dio era con lui»,
invita a fidarsi totalmente di lui. È singolare che Luca utilizzi questa espressione per caratterizzare Giuseppe
di Giacobbe nel discorso di Stefano (ἦν ὁ θεὸς μετ' αὐτοῦ, At 7,9).

10,39: E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in
Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, (καὶ ἡμεῖς μάρτυρες πάντων ὧν
ἐποίησεν ἔν τε τῇ χώρᾳ τῶν Ἰουδαίων καὶ [ἐν] Ἰερουσαλήμ. ὃν καὶ ἀνεῖλαν κρεμάσαντες ἐπὶ ξύλου,)
- appendendolo a una croce (κρεμάσαντες ἐπὶ ξύλου). In questa affermazione kerygmatica della morte e
risurrezione di Cristo, la croce è indicata con il termine ξύλον, xýlon «albero/legno» come in 5,30, dove
compare anche il verbo κρεμάννυμι, kremánnymi, «appendere» con la sua indubitabile allusione al testo
maledicente di Dt 21,23: «Maledetto sia chi pende da un albero». La sua applicazione alla morte di Gesù mostra
quale scandalo la riflessione cristiana abbia dovuto affrontare annunciando Gesù crocifisso come Messia.

10,40-41: ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, 41non a tutto il
popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo
la sua risurrezione dai morti (τοῦτον ὁ θεὸς ἤγειρεν [ἐν] τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ καὶ ἔδωκεν αὐτὸν ἐμφανῆ
γενέσθαι, 41οὐ παντὶ τῷ λαῷ, ἀλλὰ μάρτυσιν τοῖς προκεχειροτονημένοις ὑπὸ τοῦ θεοῦ, ἡμῖν, οἵτινες
συνεφάγομεν καὶ συνεπίομεν αὐτῷ μετὰ τὸ ἀναστῆναι αὐτὸν ἐκ νεκρῶν)

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- Dio lo ha risuscitato al terzo giorno (ὁ θεὸς ἤγειρεν [ἐν] τῇ τρίτῃ ἡμέρᾳ). Alcuni manoscritti leggono ἐν τῇ
τρίτῃ ἡμέρᾳ, «nel terzo giorno»; il Testo Occidentale preferisce μετὰ τῆς τρίτης ἡμέρας, «dopo il terzo
giorno».
- a testimoni prescelti da Dio (μάρτυσιν τοῖς προκεχειροτονημένοις ὑπὸ τοῦ θεοῦ). Come nel discorso di Pietro
in 1,17-25, la testimonianza comprende sia le cose fatte da Gesù durante il suo ministero (10,39), sia gli eventi
della sua morte e risurrezione (10,41). Gli apostoli testimoni qui sono indicati come προκεχειροτονημένοις
(part. perf. pass. di προχειροτονέω), prokecheirotonēménois «designati, costituiti», con lo stesso termine usato
per indicare la messianicità di Gesù in 3,20 (prokecheirisménon).
- che abbiamo mangiato e bevuto con lui (οἵτινες συνεφάγομεν καὶ συνεπίομεν αὐτῷ). Questa affermazione
rende esplicito il collegamento tra i pasti e la presenza del Signore risorto, che era implicito nelle narrazioni di
Lc 24,30-31.36-43; At 1,3-6. Il Testo Occidentale esplicita: «abbiamo vissuto in grande familiarità con lui... per
quaranta giorni».

10,42: E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi
e dei morti, costituito da Dio (καὶ παρήγγειλεν ἡμῖν κηρύξαι τῷ λαῷ καὶ διαμαρτύρασθαι ὅτι οὗτός
ἐστιν ὁ ὡρισμένος ὑπὸ τοῦ θεοῦ κριτὴς ζώντων καὶ νεκρῶν).
- il giudice ... costituito da Dio (ὁ ὡρισμένος ὑπὸ τοῦ θεοῦ κριτὴς). L'attesa di Gesù come giudice faceva parte
del kerygma primitivo (cf 1Ts 1,10) ed era intesa come un evento di gioia. Leggiamo per la prima volta una
formulazione che avrà successo e sarà anche fissata nel Credo: «verrà a giudicare i vivi e i morti». Luca usa il
termine ὁρίζω, horízō, «mettere da parte, designare» come in Lc 22,12 e At 2,23. Lo userà di nuovo in
riferimento a Gesù come giudice in At 17,31 (cf Rm 1,4). La concezione di Gesù come giudice è implicita in
numerosi passi evangelici (Lc 9,26; 10,13-16; 11,29-32), ma questo ruolo futuro del Messia è espresso
esplicitamente solo nei due passi degli Atti. L'associazione ζώντων καὶ νεκρῶν, «dei vivi e dei morti» è in
relazione all'attributo di essere «il Signore di tutti», e diventa un'espressione cristiana comune (Rm 14,9; 1Ts
5,9-10; 2Tm 4,1; 1Pt 4,5; Lettera di Barnaba 7,2; 2Clemente 1,1; Policarpo, Lettera ai Filippesi 2,1; Giustino, Dialogo
con Trifone 118,1).

10,43: A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il
perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (τούτῳ πάντες οἱ προφῆται μαρτυροῦσιν ἄφεσιν
ἁμαρτιῶν λαβεῖν διὰ τοῦ ὀνόματος αὐτοῦ πάντα τὸν πιστεύοντα εἰς αὐτόν, lett. «a lui tutti i profeti rendono
testimonianza: remissione dei peccati riceve per mezzo del nome di lui ogni credente in lui»).
- A lui tutti i profeti danno questa testimonianza (τούτῳ πάντες οἱ προφῆται μαρτυροῦσιν). Il tema
dell'adempimento profetico è fondamentale per Luca-Atti; questa formulazione assomiglia molto a quella di Lc
24,44-47. L'espressione πιστεύειν εἰς αὐτόν, pisteúein eis autón, «credere in lui» si trova solo qui in Luca-Atti (cf
Gal 2,16; 1 Gv 5,10.13). Luca preferisce usare epì + dativo, o il caso dativo da solo.

                    Cornelio era un centurione romano, primo fra i pagani a convertirsi al cristianesimo. Di lui è
detto che era della "Coorte Italica" che, all'epoca, si trovava distaccata in Palestina e, in occasione della Pasqua
giudaica si trasferiva a Gerusalemme per il servizio d'ordine, al comando del centurione Cornelio. Tale Coorte
normalmente era di stanza a Casa Irta (l'odierna Caserta), a poca distanza dall'antica Cales, importante colonia
romana, città degli Ausoni, antica popolazione italica (cf Tito Livio, Ab urbe condita libri, VIII, 16). Cales si
trovava sulla via Latina (l'attuale via Casilina), vicino alle montagne sannitiche, pochi chilometri a nord di
Casilinum (l'attuale Capua) e poco a sud di Teanum, a non molta distanza dalla moderna Calvi Risorta nel cui
comune si trova il sito archeologico. A Cales s. Pietro, in viaggio per di Roma, trovò già costituita una piccola
comunità cristiana. Il centurione Cornelio quindi, probabilmente di origine campana, era un timorato di Dio. Il
Signore gli inviò un angelo che lo invitò a rintracciare Simon Pietro. Questi, a sua volta avvertito della necessità
di accogliere nella nuova fede tutti gli uomini indistintamente, anche se non osservanti della Legge di Mosè,
rispose all'appello dell'ufficiale romano ed evangelizzò la sua casa. Tutti ricevettero lo Spirito Santo che si
effuse su di loro nelle sue forme carismatiche più evidenti: parlavano in altre lingue e glorificavano Dio (cf At
10,46). Pietro ordinò in quel momento che tutti i presenti fossero battezzati.

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L'evento ha un'importanza fondamentale nella storia della Chiesa che si apriva così agli
“incirconcisi” come ai “circoncisi”, così come in seguito fu deciso nel concilio di Gerusalemme (51 d. C.).
         Il discorso che Pietro rivolge al centurione Cornelio è una sintesi del racconto evangelico.
Nell'evangelizzazione di Cornelio possiamo riconoscere il modello dell'azione missionaria delle origini.
Cornelio attende l'arrivo di Pietro e riunisce tutti i membri della sua famiglia; quanto accadrà non sarà più
un'esperienza privata. La decisione di Pietro di oltrepassare la soglia «conversando con Cornelio» costituisce
un momento fondamentale: egli è entrato nella casa di un Gentile e dichiara che «Dio gli ha mostrato» di non
chiamare nessuna persona «profana o immonda» (10,28). Poi, nel chiedere a Cornelio di dirgli perché lo ha
mandato a chiamare (10,29), Pietro si mostra pronto ad ascoltare l'esperienza di Cornelio, affinché essa illumini
il significato della sua personale visione. Da questo scambio nasce la proclamazione della buona novella ai
Gentili: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a
qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (10,34-35). Pietro si rende conto che non è l'appartenenza a una
particolare nazione o l'osservanza dei precetti a rendere un essere umano accetto a Dio, ma piuttosto il modo
di rispondere al Signore che viene dal «timor di Dio» o, in termini più precisi, dalla «fede». Pietro si rende
conto adesso che il «messaggio di Dio inviato ai figli d'Israele» contiene già il messaggio della pace e della
riconciliazione tra i popoli. Perciò, l'estensione della missione ai Gentili è la continuazione delle stesse azioni
e dell'opera di Gesù.
         Quest'ultimo discorso missionario di Pietro è una specie di compendio dell'intera narrazione
evangelica. In 10,37-38 Luca riassume il ministero di Gesù: la Galilea è vista come il luogo dove Gesù inizia;
Giovanni come precursore che appartiene ancora al tempo della promessa; l'effusione dello Spirito al
battesimo come unzione messianica (cf Is 61,1). L'attività taumaturgica è descritta per il lettore di lingua e
cultura greca: Gesù agisce da benefattore dell'umanità come medico e amico degli infermi; la guarigione è
vista come vittoria su Satana. Questi versetti offrono una vera teologia del miracolo: esso proviene da Dio
come segno della sua potenza salvifica; compiuto da Gesù, il miracolo dimostra l'autenticità della sua
missione, confermando la sua identità messianica.
         Pietro parla a nome del collegio dei Dodici (v. 39) e formula il concetto lucano della testimonianza, che
riguarda l'intero ministero di Gesù a cominciare dal suo battesimo (1,21-22). Non si può separare tale
ministero dall'evento pasquale della morte-risurrezione di Gesù.
         Il redattore continua (vv. 40-42) a ripresentare la sua concezione della testimonianza rimandando il
lettore all'inizio del libro: la testimonianza è riservata ai Dodici, che sono stati scelti e hanno condiviso il
pasto con Gesù dopo la sua risurrezione (1,3-4). Luca tiene a fondare la fede cristiana sulla testimonianza
apostolica e quest'ultima su di una comunione dei Dodici con Gesù, che abbraccia l'intero suo ministero fino
all'ascensione. Da Cristo essi hanno ricevuto il mandato di predicare a Israele (la cui priorità viene ricordata al
lettore). Tuttavia, ora Luca restringe il contenuto della predicazione alla proclamazione di Gesù quale giudice
universale. Il discorso di Pietro si conclude con un richiamo alla Scrittura che, anch'essa, rende testimonianza.
Luca non ha in mente passi precisi. Tutto l'AT letto profeticamente è orientato a Gesù; e questa lettura
profetica già include la salvezza universale, legata alla fede in Cristo e quindi aperta tanto ai giudei quanto ai
pagani. Il narratore fa parlare Pietro alla maniera di Paolo.
         Il discorso di Pietro apre teologicamente alla missione universale; la predicazione nel mondo pagano
ha per fondamento l'evento pasquale, con il quale Gesù è costituito sovrano universale e giudice
escatologico; l'universalismo è preannunciato dalla Scrittura. Importanza particolare è data alla
testimonianza apostolica e alla fede quale condizione di salvezza. Manca l'appello al pentimento, perché il
contesto non lo esige.
         La conclusione di Pietro diventa stringente: se Dio ha donato a questi Gentili la stessa esperienza che
loro avevano vissuto all'inizio, non significa allora che essi appartengono pienamente alla comunità
messianica? (10,47-48).

        La seconda lettura (Col 3,1-4) è tratta dalla Lettera ai Colossesi, nella quale Paolo esorta i cristiani, che
sono risuscitati con Cristo, ad assumere un comportamento coerente con il vangelo. Colossi (Κολοσσαί) era
un'antica città della Frigia, sulle rive del fiume Lico, un affluente del fiume Meandro. Era situata a meno di
venti chilometri da Laodicea e presso la grande strada che conduceva da Efeso all'Eufrate. Nel sito, presso la
moderna città di Honaz in Turchia, non sono mai stati intrapresi scavi archeologici. Non ci sono prove che san
Paolo avesse visitato la città prima di scrivere la Lettera ai Colossesi, giacché dice a Filemone che spera di
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visitarla dopo la liberazione dal carcere (Fl 1,22). Sembra che Èpafra fosse il fondatore della Chiesa di Colossi
(Col 1,7; 4,12). Oltre a Èpafra, ci sono stati tramandati i nomi dei vescovi Epifanio nel 451 e Cosma nel 692. La
città decadde (forse per un terremoto) e presso le sue rovine sorse la città bizantina di Cone.

Col 3,1-2: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto
alla destra di Dio; 2rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra (Εἰ οὖν
συνηγέρθητε τῷ Χριστῷ, τὰ ἄνω ζητεῖτε, οὗ ὁ Χριστός ἐστιν ἐν δεξιᾷ τοῦ θεοῦ καθήμενος· 2τὰ ἄνω
φρονεῖτε, μὴ τὰ ἐπὶ τῆς γῆς).
- Se dunque siete risorti con Cristo (Εἰ οὖν συνηγέρθητε τῷ Χριστῷ). La sezione comincia con l'essere-risuscitati-
con (συνηγέρθητε, sunēgérthēte, aor. pass. συνεγείρω) Cristo e manifesta chiaramente (col «dunque», οὖν
iniziale) che l'agire etico del credente deriva dalla sua situazione, che è di essere-vivo della vita stessa del
Cristo.
- cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio (τὰ ἄνω ζητεῖτε, οὗ ὁ Χριστός ἐστιν ἐν δεξιᾷ τοῦ
θεοῦ καθήμενος). L'autore invita i credenti a desiderare «le cose dell'alto» (τὰ ἄνω), cioè il regno celeste, là
dove è Cristo, seduto alla destra di Dio (cf Sal 115,3: Il nostro Dio è nei cieli; Mt 6,9: Padre nostro che sei nei cieli).
Per intendere bene cosa significhi «cercate le cose di lassù» dobbiamo procedere nella lettura. Il credente deve
forse praticare una fuga dalle realtà del mondo o contemplare ideali celesti a partire dai quali regolerà la sua
condotta? In realtà i credenti non guardano il Cristo da giù, perché sono risuscitati con lui; perciò trovandosi
già con lui, devono guardare le realtà del luogo in cui sono, quelle di «lassù». Il Cristo risorto è il Signore, e i
credenti devono condurre la loro esistenza guardando verso di lui, cioè obbedendogli. Notiamo che l'autore
non parla di «cieli».
- rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra (τὰ ἄνω φρονεῖτε, μὴ τὰ ἐπὶ τῆς γῆς). L'autore porta
fino in fondo la sua metafora spaziale, ma l'opposizione non è tra cielo e terra, né tra alto e basso, ma tra alto
e terra. Ora si può capire perché non viene detto ai credenti che essi sono «nei cieli»: non devono credere che li
si inviti a vivere nel sogno. Ma tuttavia non devono pensare (φρονεῖτε, phroneĩn) alle «cose della terra». Il
verbo phroneĩn indica il desiderio e il modo di vedere gli esseri e le cose (giudicandoli positivamente o
negativamente). La connotazione si capisce dal contesto. Così, si può pensare alle cose terrene e carnali per
desiderarle (Rm 8,5; Fil 3,19). L'espressione τὰ ἐπὶ τῆς γῆς, «le cose della terra» non viene precisata
immediatamente, ma verrà spiegata in seguito. Con questa seconda raccomandazione a non «pensare» alle cose
della terra, l'autore annuncia la serie di esortazioni negative dei vv. 5-9a: impurità, immoralità, passioni, desideri
cattivi e quella cupidigia che è idolatria … ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca.
Non dite menzogne gli uni agli altri.

3,3: Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! (ἀπεθάνετε γάρ καὶ ἡ
ζωὴ ὑμῶν κέκρυπται σὺν τῷ Χριστῷ ἐν τῷ θεῷ).
- Voi infatti siete morti (ἀπεθάνετε γάρ). L'autore ha appena detto che i credenti sono risuscitati con Cristo, ma
ora aggiunge: «Voi siete morti». I credenti non possono pensare alle cose della terra, perché sono morti a ciò che
è della terra, non ne dipendono più, e le loro decisioni, i loro desideri, hanno ormai la loro fonte in Cristo. Il
verbo ἀπεθάνετε, apethánete «siete morti» non ha lo stesso senso del νεκροὺς, nekroùs «morti» di 2,13: eravate
morti a causa delle colpe, ove si parla di una morte spirituale. Il nostro verbo rinvia piuttosto alla sepoltura di
2,12: con lui sepolti nel battesimo. Il linguaggio può apparire contorto e contraddittorio, ma non dimentichiamo
che il verbo è all'aoristo e che rinvia all'avvenimento del battesimo: i cristiani sono passati attraverso la
morte, come il Cristo, per entrare nella vita del Risorto, e vivere della sua vita. La morte di cui parla il versetto è
una morte a, come quella di Rm 6,2.8.10, capitolo dal quale dipendono chiaramente Col 2,13 e 3,1-2. Il testo
indica d'altra parte come deve essere letto, perché passa dall'aoristo siete morti all'oggi della vita: la vostra vita è
nascosta con Cristo in Dio. Il perfetto κέκρυπται (è nascosta) indica una situazione che dura ancora. Così la morte
ebbe luogo nel passato, e la vita caratterizza il presente.

3,4: Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella
gloria (ὅταν ὁ Χριστὸς φανερωθῇ, ἡ ζωὴ ὑμῶν, τότε καὶ ὑμεῖς σὺν αὐτῷ φανερωθήσεσθε ἐν δόξῃ).
Il versetto segnala il collegamento tra la vita etica dei credenti e la gloria futura: il credente è fatto per la gloria
e non può vivere la sua vita etica come se non fosse così. L'essere-con-Cristo cominciato con il battesimo non
avrà fine. Il verbo φανεροῦν, phaneroũn, «manifestare» si riferisce alla manifestazione gloriosa finale del Cristo.
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- vostra vita (ἡ ζωὴ ὑμῶν). Questa formulazione ricorda Gal 2,20 e Fil 1,21. Può essere compresa almeno in due
modi: a) il Cristo è modello di vita dei credenti; b) la sua vita di risorto è la stessa che i credenti ricevono nel
battesimo e che li anima in tutto, a livello ecclesiale, sociale, etico. Il contesto non autorizza la prima
interpretazione. Se in 2,13 l'autore sosteneva che Dio ha fatto rivivere i credenti con Cristo, qui invece la vita dei
credenti è quella stessa del Cristo.

         Il vangelo (Mt 28,1-10) della veglia pasquale anno A, che può essere proclamato anche nella Messa del
mattino di Pasqua, ci offre la testimonianza di Matteo (ebr. Mattityahu, composto dai termini matath «dono» e
Yah «Adonay», significa «dono di Dio». In gr. Ματθαίος, Matthaíos; in lat. Matthaeus) sulla risurrezione di
Gesù. La descrizione di questo evento non è riportato da nessun vangelo canonico, a differenza dei vangeli
apocrifi, non riconosciuti ispirati dalla Chiesa. In questi si ritrova la coreografia che ha segnato la tradizione
cristiana.

Mt 28,1: Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra
Maria andarono a visitare la tomba (ὀψὲ δὲ σαββάτων, τῇ ἐπιφωσκούσῃ εἰς μίαν σαββάτων ἦλθεν
Μαριὰμ ἡ Μαγδαληνὴ καὶ ἡ ἄλλη Μαρία θεωρῆσαι τὸν τάφον).
- Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana (ὀψὲ δὲ σαββάτων, τῇ ἐπιφωσκούσῃ εἰς μίαν σαββάτων,
lett. «Dopo il sabato, all'albeggiante del primo [giorno] della settimana»). Il termine ὀψέ opsé, è un avverbio che significa
«tardi, ora tarda, sera inoltrata», ma può essere anche una preposizione seguita da genitivo (σαββάτων), in
questo caso significa «dopo». Matteo dice che la visita delle donne ha avuto luogo «all'alba» (ἐπιφωσκούσῃ);
gli altri evangelisti dicono «di buon mattino» (Mc 16,2); «di buon mattino» (Lc 24,1); «quando era ancora buio»
(Gv 20,1). Matteo inoltre è l'unico che riferisce il particolare delle donne che vanno a «vedere» (θεωρῆσαι, inf.
aor. di θεωρέω) la tomba del Signore senza portare aromi per l'unzione «quando incominciava a brillare il
primo [giorno] della settimana». Il verbo ἐπιφώσκω significa «cominciare a splendere, sorgere» e σαββάτων,
oltre a sabato, significa anche «settimana». Gli studiosi si chiedono: la risurrezione di Gesù è avvenuta nella
«sera inoltrata dello shabbat» (intendendo il venerdì sera: kabbalàt shabbat) o «all'alba del primo giorno»? Le
parole usate da Matteo sembrano contraddittorie. Ma in verità, ammesso che l'espressione «l'ora tarda del
sabato» possa risultare ambigua, potendola interpretare come il venerdì sera o il sabato sera, la specificazione
che segue «all'alba del primo giorno della settimana» risolve ogni dubbio. Matteo è coerente con gli altri tre
vangeli. La versione dei vangeli canonici è confermata dalla testimonianza dell'apocrifo del II sec. d.C. Vangelo
di Pietro, 9,35-36: «ma durante la notte nella quale spuntava il giorno del Signore, mentre i soldati montavano la
guardia a turno, due a due, risuonò in cielo una gran voce, [36] videro aprirsi i cieli e scendere di lassù uomini, in
un grande splendore, e avvicinarsi alla tomba». Tuttavia, i dubbi sul testo di Matteo sono antichi, al punto che
anche Girolamo (347 – 419/420) si pose il problema. In una sua lettera, confrontando la versione di Matteo con
quella di Marco, illustra il motivo che avrebbe portato i due evangelisti a dare resoconti diversi a riguardo: «Tu
vuoi sapere, anzitutto, come mai Matteo riferisce che il Signore è risorto la sera del sabato, all'alba del primo
giorno della settimana, mentre Marco afferma che è risorto il mattino del giorno seguente [...]. Questo problema
lo si può risolvere in due modi. Ti spiego: o non accettiamo questa testimonianza di Marco, in quanto è
riportata da rare copie del suo Vangelo, ma soprattutto per il motivo che il suo racconto sembra diverso e in
contrasto con quello degli altri evangelisti, oppure dobbiamo rispondere che tutti e due hanno detto il vero, in
quanto Matteo avrebbe indicato il momento in cui il Signore è risorto, e cioè la sera del sabato, mentre
Marco avrebbe indicato il momento in cui Maria Maddalena lo vide, e cioè il mattino del primo giorno della
settimana» (Epistola a Edibia, 120,4,11). A ben guardare, tenendo conto della tradizione ebraica che stabilisce la
fine del giorno dopo il tramonto del sole quando si vedono le prime due stelle in cielo, i quattro evangelisti
risultano concordi nella loro testimonianza. Nessuno conosce l'ora esatta della risurrezione (che fa parte del
mistero di Dio), ma certamente è avvenuta nella notte tra lo shabbat e il primo giorno della settimana del
calendario ebraico che noi chiamiamo domenica, quando le donne si avviano «di buon mattino» (Mc e Lc) o
«quando incominciava a brillare il primo [giorno] della settimana» (Mt). Il fatto che il giudeo-cristiano Matteo
citi due volte la parola σαββάτων, sabbátōn potrebbe spiegarsi con l'intenzione di ribadire il valore perenne
dello Shabbat come vertice della creazione (il settimo giorno) e giorno dell'incontro con Dio. Di certo Gesù
non è risuscitato nel settimo giorno, cioè durante lo shabbat, giorno di riposo e di attesa.

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- l'altra Maria (ἡ ἄλλη Μαρία). Maria Maddalena e l'«altra Maria» rimangono i capisaldi della continuità
durante tutta la passione. Queste due donne che hanno visto Gesù morire (Mt 27,56) e hanno visto dove è stato
sepolto (Mt 27,61) sono le prime a trovare la tomba vuota domenica di Pasqua (28,1). Matteo tralascia di dire
che il motivo per cui sono andate alla tomba era per imbalsamare Gesù (cf Mc 16,1), forse perché nel suo
racconto questa operazione di preparazione del corpo di Gesù per la sepoltura era già stata scritta (cf Mt 26,12).
Il trattato talmudico Evel Rabbati «Grande lutto», chiamato eufemisticamente Semachot «Gioie», ricorda che i
Giudei erano soliti vegliare presso la tomba di una persona amata fino al terzo giorno dopo la morte per
assicurarsi che la sepoltura non fosse stata prematura (cf Semachot 8,1).
- andarono a visitare la tomba (ἦλθεν … θεωρῆσαι τὸν τάφον, lett. «venne a vedere il sepolcro»). Il verbo θεωρῆσαι,
inf. aor. di θεωρέω, significa «vedere, osservare», come in 27,55, e non «visitare» (così la versione CEI) il
sepolcro.

28,2-3: Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si
avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 3Il suo aspetto era come folgore e il
suo vestito bianco come neve (καὶ ἰδοὺ σεισμὸς ἐγένετο μέγας• ἄγγελος γὰρ κυρίου καταβὰς ἐξ
οὐρανοῦ καὶ προσελθὼν ἀπεκύλισεν τὸν λίθον καὶ ἐκάθητο ἐπάνω αὐτοῦ. 3ἦν δὲ ἡ εἰδέα αὐτοῦ ὡς
ἀστραπὴ καὶ τὸ ἔνδυμα αὐτοῦ λευκὸν ὡς χιών).
- vi fu un gran terremoto (σεισμὸς ἐγένετο μέγας). Matteo usa il termine σεισμός, seismós «terremoto» non solo
nell'episodio della tempesta sedata (8,24) ma anche in contesti apocalittici: nel discorso escatologico (24,7) e
nella risurrezione dei santi (27,54). Qui vuole presentare la risurrezione di Gesù come un evento apocalittico.
- Un angelo del Signore (ἄγγελος γὰρ κυρίου). Come gli angeli hanno svolto un ruolo importante nel racconto
dell'infanzia nel comunicare e nel chiarire la volontà di Dio, così qui l'angelo spiega cosa è accaduto e dice alle
donne cosa devono fare. Per Matteo il misterioso νεανίσκος, neanískos, «giovane» di Mc 16,5 è un «angelo», al
quale attribuisce anche il compito di rotolare via la pietra dall'entrata della tomba (cf Mc 16,3: «Chi ci rotolerà
via il masso dall'ingresso del sepolcro?»).
- 3Il suo aspetto era come folgore (3ἦν δὲ ἡ εἰδέα αὐτοῦ ὡς ἀστραπὴ). Si tratta della stessa espressione presente in
24,27 per descrivere la venuta del Figlio dell'uomo. La παρουσία, «venuta» sembra proprio compiersi con la
morte e risurrezione del Messia, qui rievocata attraverso un termine che aveva usato Gesù per descrivere la
venuta del Figlio dell'uomo, e che richiama Dn 10,6. Rispetto a Mc 16,5 («vestito d'una veste bianca») Matteo dà
una descrizione più elevata dell'aspetto dell'angelo. E tuttavia l'angelo non appare così glorioso come il Cristo
trasfigurato: «il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2).

28,4: Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte (ἀπὸ
δὲ τοῦ φόβου αὐτοῦ ἐσείσθησαν οἱ τηροῦντες καὶ ἐγενήθησαν ὡς νεκροί, lett. «da la paura di lui tremarono le
guardie e diventarono come morte»).
- le guardie furono scosse (ἐσείσθησαν οἱ τηροῦντες). Matteo ribadisce l'idea di un picchetto di soldati messi a
guardia della tomba di Gesù per impedire il furto del suo corpo. Il verbo ἐσείσθησαν, eseísthēsan (ind. aor.
pass. di σείω) «furono scosse» deriva dalla stessa radice di σεισμός, seismós «terremoto» (Mt 28,2).
L'apparizione dell'angelo e il terremoto spiegano bene come mai le guardie siano rimaste scosse e impotenti a
fare la guardia al corpo di Gesù.

28,5-6: L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso.
6Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato

deposto (ἀποκριθεὶς δὲ ὁ ἄγγελος εἶπεν ταῖς γυναιξίν• μὴ φοβεῖσθε ὑμεῖς, οἶδα γὰρ ὅτι Ἰησοῦν τὸν
ἐσταυρωμένον ζητεῖτε• 6οὐκ ἔστιν ὧδε, ἠγέρθη γὰρ καθὼς εἶπεν• δεῦτε ἴδετε τὸν τόπον ὅπου ἔκειτο).
- L’angelo disse alle donne (ἀποκριθεὶς δὲ ὁ ἄγγελος εἶπεν). Uno dei motivi che hanno indotto Matteo a
identificare il «giovane» di Mc 16,5 con un angelo è il ruolo che egli svolge di interprete della scena.
L'«interprete angelico» è una figura comune negli scritti apocalittici dal libro di Zaccaria in avanti.
- Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto (6οὐκ ἔστιν ὧδε, ἠγέρθη γὰρ καθὼς εἶπεν). Matteo aggiunge
«come aveva detto» (cf Mc 16,6), ricollegando in tal modo la risurrezione alle tre predizioni della passione (cf
Mt 16,21-23; 17,22-23; 20,18-19). La spiegazione angelica: «È risorto» non deriva dal fatto che la tomba è stata
trovata vuota, ma è piuttosto un'interpretazione o una spiegazione data per la tomba vuota.

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- È risorto (ἠγέρθη). Anche se alcuni ritengono che la forma passiva del verbo ἐγείρω veicoli l'idea che Cristo «è
stato risuscitato» (passivum divinum con Dio agente), altri intendono in modo diverso. Infatti la presenza usuale
nel NT di questa forma del verbo suggerisce che s'intenda il passivo in senso mediale: «si alzò, si svegliò». Se
non può essere esclusa del tutto una sfumatura passiva, tuttavia questa sta in secondo piano rispetto al
significato mediale (Michelini 2013, 462s.). Una tale interpretazione tuttavia non si concilia con quanto afferma
s. Paolo: E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti
darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi (Rm 8,11).
- dove era stato deposto (ὅπου ἔκειτο). Nel codice Alessandrino (A), di Efrem riscritto (C), di Beza (D), Regio (L),
di Washington (W) e in altri testimoni subito dopo appare una variante: ὁ κύριος «il Signore». Ma in tutta la
narrazione matteana della risurrezione il Risorto è sempre chiamato Ἰησοῦς «Gesù), e mai κύριος. Il testo breve
comunque è riportato in testimoni più autorevoli, quali il codice Sinaitico e il Vaticano (B).

28,7: Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in
Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto» (καὶ ταχὺ πορευθεῖσαι εἴπατε τοῖς μαθηταῖς αὐτοῦ ὅτι
ἠγέρθη ἀπὸ τῶν νεκρῶν, καὶ ἰδοὺ προάγει ὑμᾶς εἰς τὴν Γαλιλαίαν, ἐκεῖ αὐτὸν ὄψεσθε• ἰδοὺ εἶπον ὑμῖν).
- Presto, andate a dire ai suoi discepoli (καὶ ταχὺ πορευθεῖσαι εἴπατε τοῖς μαθηταῖς αὐτοῦ). Visto il particolare
interesse che Matteo mostra per Pietro, è sorprendente che egli ometta l'accenno esplicito a Pietro che si trova
in Mc 16,7: «dite ai suoi discepoli e a Pietro». Al detto dell'angelo invece Matteo aggiunge: «È risorto dai
morti».
- vi precede in Galilea; là lo vedrete (προάγει ὑμᾶς εἰς τὴν Γαλιλαίαν, ἐκεῖ αὐτὸν ὄψεσθε). La frase ricorda al
lettore la promessa fatta da Gesù subito dopo l'Ultima Cena (Mt 26,32) che dopo la risurrezione avrebbe
preceduto i suoi discepoli in Galilea. Secondo Luca 24 e Giovanni 20 le apparizioni di Gesù risorto si verificano
nella zona di Gerusalemme. In Mt 28,16-20 e in Gv 21 Gesù appare in Galilea. Anche in Mc 16,8 si rimanda alla
Galilea.
- Ecco, io ve l’ho detto (ἰδοὺ εἶπον ὑμῖν). Matteo ribadisce l'affermazione angelica «io ve l'ho detto» (cf 28,6) per
evitare l'eventuale accusa che siano stati i discepoli a inscenare quanto accaduto.

28,8: Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare
l’annuncio ai suoi discepoli (καὶ ἀπελθοῦσαι ταχὺ ἀπὸ τοῦ μνημείου μετὰ φόβου καὶ χαρᾶς μεγάλης
ἔδραμον ἀπαγγεῖλαι τοῖς μαθηταῖς αὐτοῦ).
- Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande (καὶ ἀπελθοῦσαι ταχὺ ἀπὸ τοῦ μνημείου μετὰ φόβου
καὶ χαρᾶς μεγάλης). Mentre in Mc 16,8 il timore riduce le donne al silenzio, in Mt 28,8 la gioia che provano
le induce a riferire ai discepoli ciò che hanno visto.

28,9: Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli
abbracciarono i piedi e lo adorarono (καὶ ἰδοὺ Ἰησοῦς ὑπήντησεν αὐταῖς λέγων• χαίρετε. αἱ δὲ
προσελθοῦσαι ἐκράτησαν αὐτοῦ τοὺς πόδας καὶ προσεκύνησαν αὐτῷ, lett. «Ed ecco Gesù venne incontro a loro
dicente: Rallegratevi! Esse allora essendosi avvicinate strinsero i suoi piedi e lo adorarono»).
- Gesù venne loro incontro (Ἰησοῦς ὑπήντησεν αὐταῖς). L'apparizione di Gesù alle donne suona come una sintesi
di Gv 20,11-18. I termini tipicamente matteani «avvicinatesi... gli abbracciarono i piedi e lo adorarono»
esprimono il giusto atteggiamento da tenere davanti al Signore (cf Mt 28,16-20) e indicano che Matteo ha
adattato il racconto alle proprie esigenze, in particolare quella di sottolineare che il giusto atteggiamento verso
Gesù è l'adorazione (cf Mt 2,1-12).

28,10: Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano
in Galilea: là mi vedranno» (τότε λέγει αὐταῖς ὁ Ἰησοῦς• μὴ φοβεῖσθε• ὑπάγετε ἀπαγγείλατε τοῖς
ἀδελφοῖς μου ἵνα ἀπέλθωσιν εἰς τὴν Γαλιλαίαν, κἀκεῖ με ὄψονται).
- ai miei fratelli (τοῖς ἀδελφοῖς μου). Questa è la lezione meglio attestata, e che ha una portata teologica
importante. Il codice Sinaitico, invece, non ha il pronome μου, col risultato che Gesù dice: «Andate ad an-
nunciare ai fratelli». La frase detta alle donne dal Gesù di Matteo è molto simile a quella detta a Maria in Gv
20,17: πορεύου δὲ πρὸς τοὺς ἀδελφούς μου «ma va' dai miei fratelli», ed è curioso che anche in quel caso il
codice Sinaitico ometta il pronome. È ancora più curioso che per Mt 28,10 alcuni codici medievali, contro la
maggioranza, abbiano sostituito ἀδελφοῖς «fratelli» con μαθηταῖς «discepoli». Si ha l'impressione che in

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alcuni codici vi sia un certo imbarazzo nel fatto che Gesù si sia riferito ai discepoli come a «suoi fratelli». La
lezione «ai miei fratelli» potrebbe invece essere un segno del perdono dato dal Risorto, che non nutre alcun
rancore verso i discepoli che l'hanno abbandonato poche ore prima.
- che vadano in Galilea (ἀπέλθωσιν εἰς τὴν Γαλιλαίαν). Cè una sorprendente somiglianza tra il messaggio
dell'angelo e l'ordine dato da Gesù risorto, al punto da sembrare un doppione. La ripetizione serve allo scopo
di mettere ancora in maggiore evidenza l'apparizione culminante in Galilea (Mt 28,16-20).

                    L'annuncio della risurrezione (28,1-10). Il racconto matteano della tomba vuota e della prima
apparizione del Risorto diverge per molti punti da quello degli altri vangeli. La diversità tra i vari racconti,
«dovuta alla stesura dell'evangelista oppure alla varietà di tradizioni, lascia intendere che non si tratta di una
creazione della comunità, perché in tal caso vi sarebbe una maggiore unità» (J. Caba). Poiché i racconti
evangelici non sono solo storici, ma anche interpretazione teologica degli eventi lì narrati, ci dobbiamo
aspettare che la mano di Matteo emerga in modo evidente attraverso alcuni dettagli che contraddistinguono il
suo modo di scrivere e il suo pensiero.
         Il particolare delle donne che non vanno a ungere il corpo di Gesù, ma a «vedere» la tomba è
significativo ed è ritenuto storico dall'archeologo C.A. Evans, che ha studiato da vicino la sepoltura giudaica al
tempo di Gesù e la pratica dell'ossilegium (raccolta delle ossa di una persona deceduta per il posizionamento in
un ossario). Infatti, «se l'intento delle donne è quello di piangere privatamente (come la Legge giudaica e i
costumi permettevano) e, ancora più importante, prendere nota della precisa collocazione della tomba di
Gesù (per poter poi raccogliere più avanti i suoi resti e, se possibile, riporli nella tomba di famiglia), allora
abbiamo qui un racconto conforme agli usi giudaici». Questo poteva comportare, secondo una testimonianza
mishnaica, anche il «porre un segnale» su un cadavere, per poterlo poi riconoscere dopo la sua
decomposizione (prevista dai rabbini in un anno di tempo); in tal caso, le donne avrebbero dovuto aprire il
sepolcro, ma questo non è detto da Matteo. Il racconto della tomba vuota è credibile anche perché è in
tensione con l'idea che ci si aspettasse la risurrezione. Questa è piuttosto un evento inatteso, insperato dopo la
tragedia della passione e dopo tutto il male e il dolore a cui si è assistito. Serve proprio qualcuno, un inviato di
Dio, insomma, un «angelo», che apra la tomba e svolga una funzione ermeneutica, spiegando quanto è
accaduto.
         Un angelo ritorna ora nel vangelo, dopo quello che appariva in sogno nei racconti dell'infanzia, e dopo
quelli che hanno servito Gesù al termine delle sue prove (cf 4,11). La funzione degli angeli nel primo vangelo
non è solo quella evocata da Gesù (che ne parla in contesti escatologici: cf 13,39.41; 16,27; 24,31 ecc.): svolgono
un ruolo ermeneutico, devono cioè aiutare a interpretare gli eventi alla luce della fede. Come Giuseppe può
prendere le giuste decisioni grazie all'angelo che gli appare in sogno, così le donne grazie all'angelo
apprendono che Gesù è risorto. Un angelo deve anche aprire il sepolcro: il grande shofar di cui aveva parlato
Gesù (e che accompagnerà la risurrezione dei morti, secondo 1Ts 4,16 e 1Cor 15,52) è lo stesso che risuona per
spalancare i sepolcri dei morti e che provoca i terremoti. All'apertura della tomba, mentre le guardie
rimangono tramortite, le donne sono invitate a non avere paura: devono ascoltare il lieto annuncio e incontrare
il Risorto.
         Il Risorto è «semplicemente» Gesù. Come accadrà ancora dopo, con gli Undici, è lui che si fa incontro
alle donne, e che viene descritto non come il Signore, titolo che ci si aspetterebbe dall'evangelista, ma col nome
di colui che ora, davvero, «ha salvato» il suo popolo dai peccati: «Gesù» (28,9;). Le donne e i discepoli lo
vedono. Il messaggio della Chiesa delle origini è che non vi è solo l'indizio della tomba vuota (che da solo non
basta, e potrebbe essere erroneamente interpretato): vi è anche un incontro (che da solo non basta, e potrebbe
essere creduto come un'illusione o una visione di un fantasma). Il fatto che le donne si prostrino davanti a
Gesù e gli abbraccino i piedi è il segno che lui è vivo (il suo cadavere non è stato trafugato) e le sue
apparizioni non sono un inganno, non è un fantasma.

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