Divina Commedia: Purgatorio - Trame: Canti I-XXXIII - UtilePerTutti

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Divina Commedia: Purgatorio - Trame: Canti I-XXXIII - UtilePerTutti
Divina Commedia: Purgatorio

Trame: Canti I-XXXIII
Canto I: Usciti dalle tenebre infernali, Dante e Virgilio si trovano sulla spiaggia del Purgatorio. Appare il
vecchio Catone, venerando nell'aspetto, che scambia i due poeti per dannati. Virgilio gli rivela le ragioni
del viaggio e Catone concede loro di passare nel suo regno. Virgilio dovrà prima lavare il volto di Dante e
cingergli i fianchi con un giunco.

Canto II: Sorge il sole e appare in lontananza la navicella dell'angelo nocchiero che trasporta le anime
penitenti dopo averle raccolte alla foce del Tevere. Le anime si affollano stupite intorno a Dante vivo. Tra
queste Dante riconosce Casella, l'amico musico, che gli canta Amar che ne la mente mi ragiona. Tutti
sono rapiti dalla dolcezza del canto. Catone li sollecita a correre al monte per purificarsi.
Canto III: Dante e Virgilio giungono ai piedi del ripido pendio del monte. Scorgono le anime degli
scomunicati costrette a trascorrere nell'Antipurgatorio trenta volte il tempo della scomunica. Dante parla
con il re Manfredi, che narra al poeta la sua morte nella battaglia di Benevento e lo prega di annunciare
alla figlia Costanza che egli è salvo.

Canto IV: Faticosamente Dante e Virgilio salgono al primo balzo. Virgilio spiega a Dante il corso del sole
nell'emisfero australe. Poco dopo D. incontra Bevilacqua, tra le anime dei negligenti, che in terra
tardarono a pentirsi e per questo devono attendere nell'Antipurgatorio tanto, quanto il tempo della loro
vita.

Canto V: Un'altra schiera di anime s'affolla intorno ai due poeti. Sono i morti di morte violenta. Qualcuna
prega Dante, poiché egli è vivo, di portarne notizia sulla terra. Dante si dichiara pronto a fare ciò. Ha poi
un colloquio con Jacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro e Pia de' Tolomei, che narrano la loro
triste sorte.

Canto VI: Le anime continuano a far ressa intorno a Dante e a chiedere suffragi. Dante promette e
Virgilio spiega l'efficacia della preghiera. Un'anima è in disparte, si tratta del poeta mantovano Sordello
che chiede ai due poeti chi siano. Appena sentita da Virgilio la parola Mantova, riconoscendo in lui un
compatriota, Sordello lo abbraccia. Di fronte all'abbraccio affettuoso Dante prorompe in un'apostrofe
all'Italia, paese senza una guida, straziato da lotte intestine.

Canto VII: Dopo aver saputo da Virgilio le ragioni del viaggio, Sordello guida i due poeti in una valletta
fiorita che ospita i principi negligenti. Indica Rodolfo d'Asburgo, Ottocaro II di Boemia, Filippo II di Francia,
Enrico I di Navarra, Pietro III d'Aragona, Carlo I d'Angiò, Enrico III d'Inghilterra, Guglielmo VII marchese di
Monferrato.

Canto VIII: Al tramonto le anime pregano e attendono l'arrivo di due angeli custodi contro la tentazione.
Con Sordello Dante e Virgilio scendono nella valletta e Dante riconosce l'amico Nino Visconti, giudice in
Sardegna. S'avvicina Corrado Malaspina. Dante tesse un elogio della famiglia Malaspina e Corrado gli
profetizza che presto avrà prova della veridicità di tale opinione.

Canto IX: Dante, Virgilio, Sordello, Nino e Corrado, si addormentano. All'alba D. sogna di essere rapito
da un'aquila sino alla sfera del fuoco. Al risveglio non è più nella valletta e gli è accanto solo V, che
spiega il significato del sogno: santa Lucia ha condotto D. sino alla porta del Purgatorio, qui l'angelo
portiere incide sulla fronte di D. sette P, che egli laverà risalendo la montagna.

Canto X: Dante e Virgilio salgono nella prima cornice, dove espiano il peccato le anime dei superbi. Curvi
sotto pesantissimi macigni guardano scolpiti a terra esempi di umiltà: l'Annunciazione alla Vergine, la
traslazione dell'Arca Santa, l'imperatore Traiano che ascolta il pianto d'una vedova.

Canto XI: I superbi intonano il Pater Noster. Si avvicinano Omberto Aldobrandeschi, il miniatore Oderisi
da Gubbio e Provenzan Salvani. Con i loro racconti invitano Dante a riflettere sulla vanità della gloria
umana.

Canto XII: Lasciata la schiera di anime, Dante osserva sul pavimento e sulla parete i bassorilievi con gli
esempi di superbia: Lucifero, Briareo, i Giganti, Nembrot, Niobe, Saul, Aracne, Roboamo, Erifile,
Sennacherib, Ciro, Oloferne e la città di Troia. L'angelo dell'umiltà cancella una P dalla fronte di Dante e i
due poeti salgono per una ripida scala.
Canto XIII: Nella seconda cornice sono le anime degli invidiosi, che vestiti d'un saio e con gli occhi cuciti
dal fil di ferro ascoltano voci aeree che narrano esempi di carità e invidia punita. Dante incontra la senese
Sapia, a tal punto rosa dell'invidia d'aver desiderato la sconfitta dei suoi concittadini.

Canto XIV: Un'altra anima, Guido del Duca, si rivolge a Dante e gli presenta Rinieri da Calboli. Guido e
Dante deplorano la corruzione morale degli abitanti delle loro terre, la Val d'Arno e la Romagna, dove
sono scomparsi i valori d'un tempo.

Canto XV: Incontro con l'angelo della misericordia. Salita dalla II alla III Cornice. Spiegazione di Virgilio
circa una frase di Guido del Duca. Esempi di mansuetudine. Ingresso nel fumo della III Cornice.

Canto XVI: Nella terza cornice, dove sono gli iracondi, i due poeti procedono attraverso un fitto fumo che
punge gli occhi. Tra le anime espianti che intonano l'Agnus Dei, una dichiara di essere Marco Lombardo.
Spiega la teoria del libero arbitrio e a Dante, che è tormentato dal desiderio di conoscere la causa della
corruzione del mondo, risponde che questa va ricercata nella mala condotta di papi e imperatori.

Canto XVII: Alighieri, Attraverso la nube di fumo che và diradandosi Dante rivede la luce del sole
prossimo al tramonto. Mentre segue il maestro viene rapito dalle visioni. ... Scende la sera e Dante si
accorge che la forza delle sue gambe sta calando.

Canto XVIII: Nella quarta cornice sono gli accidiosi, costretti a correre. Due di essi gridano esempi di
sollecitudine, mentre l'abate di San Zeno indica la via verso la quinta cornice. Uditi esempi di accidia
punita Dante si addormenta e sogna.

Canto XIX: Poco prima dell’alba Dante fa un sogno: gli appare una "femmina" balbuziente, orba, zoppa,
priva delle mani e pallida. Sotto lo sguardo del poeta ella perde però tutte le menomazioni, compresa la
balbuzie e, intonato un canto ammaliante, si presenta come sirena. Compare a questo punto un’altra
donna che squarciate le vesti alla prima lascia intravedere al poeta un ventre maleodorante. In quel
mentre Dante si sveglia, destato dai ripetuti appelli di Virgilio e si accorge che il sole è già alto e sente la
voce dell’angelo che indica loro il varco per l’ascesa al quinto girone. Ma il dubbio circa il sogno lo assilla
e allora il maestro gli spiega che la vecchia strega che ha visto è il peccato i cui effetti si scontano nei tre
cerchi superiori. Giunti nel quinto girone Dante vede anime che piangono stando bocconi a terra. Sono gli
avari e i prodighi che intonano il salmo XIX. Il poeta inizia a parlare con uno di loro che veniamo a sapere
essere papa Adriano V e che illustra a Dante la pena che deve scontare insieme agli avari. Il poeta si
inchina di fronte a quell’autorità ma lo spirito, schermendosene, glielo impedisce e si congeda ricordando
solo l’amata nipote Alagia che sulla terra prega per lui.

Canto XX: Un’invettiva contro la lupa, simbolo dell’avarizia, caratterizza l’esordio del canto: a essa fa eco
la voce di un’anima che celebra tre esempi famosi di povertà e di liberalità: quello del parto di Maria in
una stalla, quello del console romano Caio Fabrizio Luscino e quello di San Nicola, vescovo di Bari.
Incuriosito, Dante si rivolge allo spirito che ha parlato chiedendogli chi esso sia e il motivo per cui, solo,
pronunci quelle lodi. L’anima si fa allora riconoscere come Ugo Capeto, re di Francia, fondatore della
dinastia capetingia: dalle sue labbra escono un’aspra requisitoria contro la sua stirpe e una profezia
relativa ai misfatti di Carlo di Valois, di Carlo III d’Angiò e di Filippo il Bello. Dopodiché lo spirito passa a
rispondere al secondo quesito di Dante illustrando le consuetudini di quella quinta cornice e citando
esempi di avarizia puniti: quelli di Pigmalione, di Mida, di Acan, di Saffira, di Eliodoro, di Polinestore e di
Licinio Crasso. I due pellegrini, che hanno ripreso il cammino al termine delle parole di Ugo,
all’improvviso sentono il monte tremare: tutte le anime intonano all’unisono l’inno di gloria a Dio fin
quando il terremoto non cessa. Dante, incerto sulla natura e sulle cause di quel subitaneo fenomeno,
prosegue al fianco di Virgilio, ma assillato da dubbi che tuttavia non osa dichiarare.

Canto XXI: La calma è appena tornata quando improvvisamente appare ai due poeti un’anima, alle
domande della quale Virgilio, come altrove, risponde, per poi interrogarla circa il terremoto. Lo spirito
spiega allora che quel fenomeno si verifica ogni volta che un’anima, compiuto il tempo dell’espiazione, si
è liberata dalla penitenza. Aggiunge inoltre che sua è l’anima or ora redenta. Virgilio gli chiede allora chi
sia e lo spirito si presenta come il poeta latino Stazio, che, non sapendo di trovarsi al cospetto dell’autore
dell’Eneide, ne intesse le lodi e se ne dichiara discepolo. Virgilio intima a Dante di tacere, ma un semplice
movimento degli occhi mette in sospetto quell’anima finché la guida autorizza il poeta a rivelare la sua
identità: al che Stazio, in atto di riverenza e di omaggio, fa l’atto di inginocchiarsi. Ma Virgilio lo esorta a
non farlo, ricordandogli come entrambi sono solo ombre.

Canto XXII: Guidati dall’angelo, i due poeti, accompagnati da Stazio, intraprendono la salita al sesto
girone: sulla fronte di Dante rimangono adesso solo due "P". Virgilio chiede a Stazio come sia stato
possibile che egli abbia peccato d’avarizia e lo spirito, sorridendo, gli risponde che in effetti non quella fu
la sua colpa, ma l’essere stato prodigo fino all’eccesso. Virgilio gli rivolge allora una seconda domanda: in
che modo e quando è egli divenuto cristiano? Stazio gli spiega che ciò è accaduto proprio grazie al suo
magistero che non fu solo letterario, ma anche e soprattutto morale, e gli rivela di avere ricevuto il
battesimo durante la composizione della Tebaide. A questo punto passa egli stesso a interrogare Virgilio
chiedendo dove si trovino gli altri poeti latini e apprende che la loro dimora è il Limbo. Giunti al sesto
girone verso mezzogiorno, Dante, che li segue, osserva la scena di quei due poeti immersi nella
conversazione quando all’improvviso essi trovano sulla loro strada un albero carico di frutti odorosi
irrigato dall’acqua che esce dalla montagna. Stazio e Virgilio si avvicinano alla pianta e in quel momento
da essa esce una voce che ammonisce le anime e che ricorda esempi di temperanza: la preoccupazione
di Maria per le nozze di Cana, l’astinenza dal nutrimento del profeta Daniele, il nutrirsi di ghiande durante
l’età dell’oro, il cibarsi di locuste da parte di Giovanni Battista.

Canto XXIII: Lo sguardo di Dante è colpito dalla magrezza impressionante delle anime del sesto girone:
si tratta dei golosi, ridotti così dal desiderio inappagabile dell’acqua e dei frutti dell’albero descritti nel
canto ventiduesimo. Quand’ecco che uno spirito di quella schiera apostrofa il poeta, ma Dante in un
primo momento è incapace di riconoscerlo, dato il mutamento subito dal volto del penitente: comincia
così l’episodio dell’incontro con Forese Donati, l’amico di un tempo. Il poeta, che credeva Forese tra i
negligenti dell’Antipurgatorio, si mostra stupito, ma Forese gli spiega che a condurlo in quel luogo sono
state le preghiere di sua moglie Nella. Dopodiché lancia un’invettiva contro gli indecorosi costumi delle
donne fiorentine, per le quali profetizza un’imminente castigo. A questo punto, però, vuole sapere da
Dante le ragioni di quel suo viaggio, da vivo, nel regno dei morti: il poeta lo informa allora di sé e dei due
poeti, Stazio e Virgilio, che gli sono al fianco.

Canto XXIV: Continuando la conversazione con Forese, Dante chiede all’amico notizie della di lui sorella
Piccarda e lo prega di indicargli, nella schiera dei golosi, qualche anima degna di nota. Dopo averlo
informato che Piccarda si trova in Paradiso, Forese addita al poeta il rimatore Bonagiunta Orbicciani, il
papa Martino IV e molti altri personaggi. L’attenzione di Dante è però focalizzata su Bonagiunta il quale
gli si rivolge profetizzando al poeta il suo futuro esilio e domandando conferma del fatto che colui che gli
sta dinanzi sia proprio l’autore di Donne ch’avete intelletto d’amore. Segue tra lo spirito e il poeta un
dialogo tutto incentrato sul Dolce Stil Novo, al termine del quale Dante riprende a parlare con Forese che
si congeda dall’amico con una profezia sulla morte di Corso Donati. Dante, Virgilio e Stazio ora trovano
sul loro cammino un secondo albero, circondato dalle anime dei golosi con le mani tese verso i rami
carichi di frutti. Come era accaduto per l’altro, anche da questa pianta esce una voce che ammonisce i
pellegrini a non avvicinarsi e che subito dopo ricorda esempi famosi di gola punita, tra i quali quello dei
Centauri alle nozze di Piritoo e Ippodamia e quello di Gedeone e degli Ebrei. A un tratto i tre poeti si
sentono apostrofare: Dante vede solo un infuocato splendore, ma sente che l’angelo che li esorta a salire
al settimo girone gli ha cancellato dalla fronte un’altra "P".

Canto XXV: Sono le due del pomeriggio e i tre poeti stanno salendo la scala che li porterà nel settimo
girone, quello dei lussuriosi. Dante, che non capisce come le ombre possano sentire gli stimoli della fame
e della sete e quindi dimagrire, ne chiede spiegazione. A rispondergli è Stazio, eletto dal poeta a
pronunciare una vera e propria disquisizione che tratta della generazione fisica dell’uomo, della sua
graduale evoluzione dallo stadio vegetativo a quello animale a quello intellettivo, della stessa sua morte,
che comporta sì la scissione dell’anima dal corpo, ma anche la potenziale conservazione in essa di tutte
le sue facoltà, comprese quelle sensoriali, e infine della trasmigrazione della stessa anima nel luogo che
le è assegnato da Dio e dove arriva ad assumere la natura di un corpo aereo. Le parole di Stazio
terminano all’ingresso dell’ultimo girone: una fiamma che esce dalla parete della montagna costringe i
pellegrini a camminare sull’orlo del baratro. Le anime intonano un inno e subito dopo aver celebrato due
esempi di castità, quello di Maria e quello di Diana, riprendono a cantare.

Canto XXVI: La schiera dei lussuriosi guarda stupita Dante e una delle anime, fattasi avanti, gli chiede,
come consueto, spiegazioni. Il poeta sta per rispondere ma ne è impedito dal sopraggiungere di un’altra
schiera, che procede in senso contrario alla prima: sono i sodomiti. I due gruppi si avvicinano e si
scambiano saluti amichevoli e al momento della separazione i lussuriosi ricordano, a mo’ di monito, il mito
di Pasifae, i sodomiti Sodoma e Gomorra. Finita questa sorta di rituale, Dante riprende a parlare e a sua
volta chiede a quell’anima informazioni sui penitenti di quel girone. Essa chiarisce peccato e colpa di
entrambi i gruppi di espiandi e alla fine dichiara di essere il poeta stilnovista Guido Guinizzelli. Dante
resta turbato di fronte a colui che definisce maestro suo e di tutti gli altri poeti d’amore; poi i due iniziano a
parlare e Guido gli addita Arnaut Daniel che, fattosi avanti al congedarsi dell’altra anima, si presenta
parlando in provenzale, per tornare subito dopo nella fiamma che purifica dal peccato di lussuria.

Canto XXVII: Al tramonto compare l’angelo che esorta i tre poeti a entrare tra le fiamme per liberarsi
definitivamente delle macchie del peccato. Dante è preso da terrore, ma Virgilio lo rassicura,
ricordandogli che Beatrice si trova oltre quella barriera di fuoco. Solo allora il poeta accetta di affrontare
quella prova. Una volta dentro, egli sente una voce venire dall’altra parte e all’uscita dal fuoco ad
accogliere lui e i suoi due compagni c’è l’angelo custode dell’Eden che consiglia loro di affrettare il passo
per non lasciarsi sorprendere dalla notte. Inizia dunque la salita dei tre pellegrini verso il Paradiso
Terrestre: ma la notte avanza ed essi sono costretti a fermarsi e a dormire sugli scalini. A Dante appaiono
in sogno Lia e Rachele, simboli rispettivamente della vita attiva e della vita contemplativa. Al suo destarsi
viene ripreso il cammino, fino a quando, giunti i tre sulla soglia dell’Eden, illuminata dal sole e ornata da
erbette e fiori, Virgilio annuncia a Dante che il suo compito di guida è finito e che presto egli incontrerà
Beatrice.

Canto XXVIII: Dante si inoltra, ancora accompagnato da Virgilio e Stazio, nella foresta dell’Eden, fino a
giungere sulla riva di un fiume, sulla sponda opposta del quale scorge una donna intenta a cantare e a
raccogliere fiori. Come verremo a sapere solo alla fine della cantica, si tratta di Matelda, inviata dal cielo a
fare da guida a Dante nell’ultima parte del suo viaggio in Purgatorio. Chiamata dal poeta, ella si avvicina
e scioglie tutti i dubbi di Dante circa i fenomeni naturali che caratterizzano il luogo. Dalle sue parole
apprendiamo allora che quello è il Paradiso Terrestre, che in esso vento e acqua non si generano
secondo normali meccanismi atmosferici, che quel fiume si divide in due rami (uno di essi è il Lete, le cui
acque tolgono la memoria del peccato, l’altro l’Eunoé, che invece induce il ricordo del bene).

Canto XXIX: Mentre Dante segue lungo il corso del Lete Matelda che canta, uno splendore e una
melodia pervadono all’improvviso il luogo. Il racconto è interrotto dall’invocazione del poeta alle Muse per
riprendere subito dopo con la descrizione della processione che sfila sotto gli occhi dei tre pellegrini: essa
è aperta da sette candelabri, al cui seguito vi sono ventiquattro vecchi incoronati di gigli, dietro ai quali
vengono quattro animali per la descrizione dei quali Dante rimanda a Giovanni e a Ezechiele; al centro si
trova un carro trionfale trainato da un grifone. Alla destra del carro danzano in cerchio tre donne, alla
sinistra, invece, quattro. Dietro all’intero gruppo, a chiudere la processione, camminano sette vecchi,
incoronati di rose e di altri fiori. Al passaggio del carro davanti a Dante, un forte tuono scuote l’atmosfera
e la processione, subitamente, si ferma.

Canto XXX: Al fermarsi dei sette candelabri i ventiquattro vecchi si rivolgono tutti al carro e al canto di
uno di essi si accorda quello degli angeli nunzi di beatitudine. A questo punto appare a Dante una donna
velata, vestita di bianco e avvolta in una nuvola di fiori: il poeta avverte immediatamente in lei la presenza
di Beatrice e la potenza dell’amore che ella gli ha ispirato, per cui, turbato, si volge istintivamente a
Virgilio per avere conforto e consiglio. Ma il maestro non è più a suo fianco e Dante non può trattenersi
dal piangere la scomparsa della sua guida. Beatrice allora, chiamandolo per nome, gli intima di smettere
con il tono di una madre che rimprovera il figlio. Il gelo che pervade il cuore del poeta lentamente si
scioglie al sentire che gli angeli intercedono per lui presso la donna: e pur tuttavia, Beatrice continua il
suo atto d’accusa contro Dante, cui però non si rivolge direttamente, ricordando come egli dopo la sua
morte abbia deviato dalla retta via, dimentico di lei e attratto da false parvenze di bene, e come ella
stessa abbia fatto di tutto per salvarlo dalla perdizione, compreso, ultima ratio, mostrargli l’Inferno. Ma
arrivato a questo punto, conclude Beatrice, Dante, prima di immergersi nelle acque purificatrici del Lete,
deve fare atto di contrizione.

Canto XXXI: Rivolgendosi ora direttamente a Dante, Beatrice pretende da lui la piena confessione del
suo traviamento: ma il poeta è tal punto turbato che riesce a malapena a pronunciare un "sì". Beatrice
però continua a incalzarlo e a rimproverargli di essersi lasciato sedurre da fallaci miraggi: sollevato lo
sguardo su di lei, Dante vede la bellezza della donna e quindi, vinto dal rimorso, perde i sensi. Tornato in
sé, si accorge che Matelda lo ha immerso nel Lete e che lo sta tirando all’altra sponda. Una volta arrivato,
ella gli fa bere l’acqua purificatrice per farlo poi entrare nel cerchio delle quattro donne danzanti che lo
conducono al cospetto del grifone. Intento nella contemplazione dell’animale, Dante è raggiunto dalle
altre tre donne, le quali pregano Beatrice di rivolgere il suo sguardo al poeta, di sorridergli e di rivelarglisi
in tutta la sua celestiale bellezza. Beatrice indulge a quella richiesta e al ricordo di quella visione, il poeta
si dichiara incapace di rappresentarla.

Canto XXXII: Dante distoglie lo sguardo dalla contemplazione di Beatrice per assistere al ritorno della
processione verso oriente. Insieme alla donna e a Stazio egli percorre la foresta, al suono di una melodia
angelica. Compiuto un breve tragitto, il corteo si ferma intorno a una pianta assolutamente priva di foglie,
al cui fusto il grifone lega il carro: subito dopo l’albero torna miracolosamente a fiorire. Un canto ineffabile
immerge Dante nel sonno: a destarlo è Matelda che gli indica Beatrice circondata da sette ninfe. Ella
stessa allora lo invita a osservare attentamente quel che succederà, perché poi possa descriverlo nei
suoi versi. Dante assiste quindi all’aggressione del carro compiuta in sequenza prima da un’aquila, poi da
una volpe e infine da un drago uscito dal terreno. Dopodiché, quel che ancora resta del carro viene
sommerso dalle piume dell’aquila e successivamente si trasforma in un mostro a sette teste, sul dorso del
quale siede un prostituta, a sua volta protetta da un gigante che alla fine, sciolto il mostro dall’albero, lo
conduce via per la selva, impedendo così a Dante di vedere altro.

Canto XXXIII: In dolce canto le sette donne piangono la sorte del carro, fin quando Beatrice non riprende
l'interrotto cammino: il poeta e Stazio la seguono. Il poeta comincia a parlare con lei e dalle sue parole
apprende il vero significato degli eventi cui ha assistito: Beatrice, inoltre, profetizza l'avvento di un
condottiero che riscatterà la Chiesa dal degrado attuale e chiarisce come quell'albero prima spoglio e poi
rinverdito sia il simbolo della giustizia divina. Segue la valutazione dei limiti della sapienza umana. Verso
mezzogiorno il gruppo giunge in prossimità della sorgente da cui scaturiscono sia il Lete che l'Eunoé ed è
a questo punto che Matelda immerge il poeta e Stazio nelle acque del secondo fiume, da cui entrambi
escono purificati e quasi ringiovaniti, pronti insomma a salire in cielo. Dante vorrebbe descrivere. meglio
la sensazione provata in quel momento, ma, lo dice egli stesso, la seconda cantica è ormai finite.

FINE.                                                                              BY

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