Dirigente Scolastico e Benessere Organizzativo: dall'Assetto Mentale alle Dinamiche Istituzionali
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Dirigente Scolastico e Benessere Organizzativo: dall’Assetto Mentale alle Dinamiche Istituzionali Pasquale Picone Dirigente scolastico Liceo Scientifico Statale “A. Meucci” Ronciglione (VT) - Ordinario A.I.P.A. Roma - I.A.A.P. - Zurigo* 1. Premessa. Le aree di disagio che si riversano nella scuola affiorano nelle diverse compagini con una pluralità di conformazioni che hanno rivelato, nel corso degli ultimi decenni, una corrispondente tendenza ad una differen- ziazione di lessico e di concettualizzazione. Le forme principali possono essere riassunte nel bullismo, ascrivibile alla componente studentesca; al mobbing scolastico, riconducibile alle intera- zioni tra docenti e tra dirigente scolastico e docenti; al burnout, afferente alla professionalità docente, come a tutte le professioni di aiuto. Alla ufficializzazione istituzionale di interventi, studi e analisi del feno- meno bullismo, stanno seguendo analoghe iniziative sul burnout, il distur- bo mentale professionale e il benessere organizzativo. Un esempio signi- ficativo e prezioso è rappresentato dal 1° seminario di studi promosso dall’USR-Lazio nel 2008/09, di cui sono stati prodotti gli atti (MIUR- USR Lazio, 2009) con un prosieguo con il 2° seminario nel 2009/10. Sembra ancora incontrare poca visibilità istituzionale il mobbing scolasti- co che, in quanto fenomeno specifico, ha trovato sinora maggiore espres- sione in alcuni strumenti giuridici, interventi sindacali ed attività associa- zionistiche (edscuola.it, 2009) Pur condividendo la oggettiva differenziazione dei precedenti fenomeni - in quanto fondati sulla diversità dei soggetti coinvolti, della direzionalità delle interazioni e degli stessi settings in cui le interazioni si determinano, essi sono comunque riconducibili alla sfera generale del malessere/benes- sere nel contesto organizzativo. Una simile riconducibilità si impone come ottica di sistema, tanto più quanto la tendenza degli interventi sulle prece- denti forme di malessere è quella di “scotomizzarne” la percezione. Con * A.I.P.A.: Associazione Italiana di Psicologia Analitica - Roma; I.A.A.P.: INternational Association for Analytical Psychology - Zurigo. 10
il risultato di non coglierne le possibili connessioni e circolarità che reci- procamente rinforzano, cronicizzandoli, i processi disfunzionali delle interazioni fra i diversi attori della scena organizzativa della scuola. Per quanto attiene alla complessa individuazione delle cause si potrebbe ragionare per direttrici, filoni e canali di deflusso, di drenaggio delle dina- miche, pressioni e conflitti che, originati da contesti diversi da quello organizzativo specifico della scuola/istituto, ad esempio la famiglia, la coppia genitoriale, ecc., vengono convogliati ed “evacuati” nello spazio organizzativo specifico senza adeguate mediazioni funzionali in quanto a ruoli, funzioni e compiti. In tal senso, come è noto agli analisti delle organizzazioni, è possibile osservare una serie di variabili causali originate specificamente dal conte- sto istituzionale più vasto di quello della scuola/istituto, le quali, sorte tal- volta anche dalle migliori intenzioni riformatrici ed innovative, vanno a nutrire comportamenti e conflittualità confluenti nell’alveo del malessere. A questo livello di analisi, il contesto istituzionale si deve intendere nella sua sfera macro, di interfaccia ministero/sistema paese: «Nel sistema scolastico, per esempio, l’autorità politica si rivolge al vertice strategico perché assicuri la realizzazione degli standard stabi- liti e i professionisti, dal loro canto, si oppongono a tali standard: il vertice strategico si trova schiacciato fra l’autorità politica, e la sua tecnostruttura, desiderosa di controllo e il nucleo operativo che della difesa della propria autonomia fa una questione di vita e di morte. In questo processo, nessuno ci guadagna» (Mintzberg 1996, p. 323). Si pensi, inoltre, alla tensione istituzionale, oramai decennale, generata dall’autonomia scolastica. Chi ne condivide lo spirito, come la gran parte dei dirigenti scolastici, deve scontrarsi, quasi quotidianamente, con com- portamenti che esprimono un “bisogno” situato all’opposto simmetrico dell’autonomia, cioè la “dipendenza/subordinazione”. Comportamenti provenienti, tra gli altri, anche da ruoli e funzioni che istituzionalmente detengono compiti di coordinamento e di raccordo. Nel cuneo dell’auto- nomia/dipendenza si inserisce con facilità l’altro tema, che è comune a tutta la pubblica amministrazione. Quello dello scontro tra cultura del- l’adempimento, o dei mezzi, e cultura del risultato. Lo stesso ministro della funzione pubblica, riferendosi al D.Lvo.150/09 applicativo della L. 15/2009, ha rimarcato di recente il contenuto di innovazione derivante dal 11
passaggio dalla prima alla seconda delle precedenti due culture (Brunetta, 2009). È del tutto evidente che atteggiamenti e comportamenti che lette- ralizzano l’adempimento, sino all’esagerazione che sfiora l’ossessione, intralciano e appesantiscono i processi; esasperano le interazioni tra le persone; falliscono il risultato. Ciò non significa che, al contrario, come è stato segnalato a suo tempo nel dibattito di teoria delle organizzazioni pro- duttive (Mintzberg 1996, pp. 320-21), pur di ottenere il risultato, o gli obiettivi, si debba prescindere dalle regole, con i relativi scivolamenti verso l’inversione mezzi-fini. Le regole, va sempre ricordato, hanno la funzione di prevenire l’arbitrio. Come sempre, l’equilibrio tra le polarità dicotomiche è generato dalle impostazioni culturali, una sufficiente condivisione delle rappresentazioni e dall’ ”assetto mentale” delle persone coinvolte. 2. L’assetto mentale. Il problema del burnout e del malessere dei docenti è stato trattato sinora prevalentemente in maniera punitiva, rispetto ai comportamenti disfunzio- nali o in forme che il soggetto ha comunque visto come punitiva, come il deferimento, su provvedimento del dirigente scolastico, alla commissione medica per collocazione in altro ruolo. Diverso è il caso in cui la pratica si articola a partire dalla domanda del soggetto interessato. Quindi, come ha segnalato il dirigente tecnico Mauro Arena nell’intervento alla prima tavola rotonda del 5/11/09 del seminario dell’USR-Lazio su questi temi, persone che versano già in uno stato di sofferenza, vengono ulteriormen- te colpiti. Né l’amministrazione scolastica dispone di operatori, équipe e protocolli di intervento a sostegno e trattamento di tali casi, a differenza di altre amministrazioni, quali, ad es., le forze armate. Vi è già qui un problema di rappresentazioni mentali. Ad es. è di facile osservazione diffusa, delle mentalità collettive della scuola, l’intolleranza all’errore, con buona pace di G. Rodari che, in Grammatica della fanta- sia, aveva lanciato una prospettiva dei processi di apprendimento e di una didattica sviluppata proprio a partire dagli errori. Dato che, quando lo stu- dente sbaglia, spesso i docenti lo redarguiscono con intolleranza, lo stes- so avviene, in maniera anche più accentuata, quando la situazione si ribal- ta. Se è il docente a sbagliare, gli studenti hanno occasione di rivalsa nel redarguire il loro docente. Figurarsi poi se sbaglia il dirigente scolastico: si ritrova i fucili puntati da tutte le parti. Con l’osservazione di tali micro- 12
comportamenti si possono acquisire dati ed indizi sui climi e le rappresen- tazioni sottostanti ai comportamenti stessi. Si determinano circoli viziosi alimentati da proiezioni compulsive, induzioni, evacuazioni talvolta esplosive e identificazioni proiettive di pezzi negativi dei Sé individuali. Già questa osservazione, sommariamente descritta, ma di concreta inciden- za sui climi e le relazioni organizzative della scuola, ci mette di fronte all’in- sufficienza delle rappresentazioni sulle interdipendenze tra natura umana, passibile sempre di errore (“errare humanum est”); cultura e sua trasmissio- ne, dove è intrinseca la tolleranza all’errore (“sbagliando s’impara”); pro- cessi di apprendimento, che includono l’autoconoscenza; mente umana adulta e processi mentali delle diverse età evolutive. La scuola filosofica dello stoicismo ci ha insegnato che le rappresentazioni (in greco: phanta- siai) sono decisive nel nostro rapporto con il mondo. Epittéto diceva: “Non sono le cose che ci turbano ma i nostri giudizi sulle cose”. Talvolta errori di rappresentazione sono inoculati da alcuni imprinting pre- coci dallo stesso sistema scolastico. Ritengo di averne individuato un esem- pio nella convinzione diffusa tra gli adolescenti che l’organo di senso del tatto siano le mani e non la pelle. L’imprinting errato proviene dai cartello- ni didattici, che ancora oggi vengono usati nelle prime elementari, dove la parola della funzione sensoriale viene associata l’immagine dell’organo di senso corrispondente. Un tale errore altera la rappresentazione e lo schema corporeo che, come è noto, costituisce la base psico-biologica del Sé indivi- duale (Picone, 2007). La complessità della formazione in e per un mondo complesso richiede alla professionalità docente e del dirigente scolastico un patrimonio di rap- presentazioni esposto alla manutenzione continua. Patrimonio fondato sull’autoconoscenza, tale da farsi carico delle dicotomie di cui il mondo e noi stessi siamo costituiti, senza facili ricorsi al pensiero disgiuntivo che taglia, rifiuta ed espelle parti negative dal Sé individuale, per poi, proiet- tivamente, attribuirli ad altri. In altri termini, un tale quadro implica un assetto mentale capace di con- tenimento della tendenza primordiale all’evacuazione di parti rifiutate del Sé. Laddove il dirigente scolastico realizza la capacità di contenimento, si può sviluppare, attraverso un lavoro di addestramento e di supervisione, un assetto mentale in cui alcune sensazioni, emozioni e vissuti possono essere utilizzati come elementi-sonda, di lettura delle attivazioni induttive prodotte dall’ambiente. Viene così a stabilirsi un’analogia con l’analisi del 13
contro-transfert nel trattamento psicoanalitico. Nel senso di poter svilup- pare un assetto mentale in cui non si prendono alla lettera le ansie e le angosce prodotte da situazioni disfunzionali, onde mantenere il pensiero positivo, l’insight e la soluzione creativa. È osservazione accessibile nel lavoro quotidiano del dirigente scolastico quella che, ad esempio, là dove si mantiene, soprattutto nel gruppo dei collaboratori, un clima non ansio- geno, di fiducia e di rassicurazione, la soluzione al problema insorto, il superamento di un passaggio istituzionale impegnativo, avviene con modalità creative. Non è da escludere talvolta che approcci differenti deb- bano comunque essere compresenti e non necessariamente alternativi. Traggo tali indicazioni dalla mia casistica di gestione del malessere pro- fessionale, dove, nel gruppo dei miei collaboratori, si è delineato sponta- neamente un modello misto di gestione che, dalla tolleranza, ascolto este- so sino all’assistenza e all’accompagnamento nei diversi passaggi, e solu- zione creativa, si estende all’intervento drastico di rifiuto verso un caso affetto da disturbi maniacali che, oramai pensionato, riteneva di poter con- tinuare ad utilizzare la scuola per agire i suoi sintomi. Il problema dell’assetto mentale, fondato su rappresentazioni condivise e su capacità di contenimento, sembra quindi proporsi come vero e proprio strumento di lavoro nella professionalità del dirigente scolastico e dei docenti. La manutenzione continua dell’assetto mentale deve necessaria- mente avvalersi di un ascolto, lettura ed analisi delle dinamiche istituzio- nali specifiche dell’organizzazione scolastica. Alla luce dell’insegnamen- to di B. Russel “non vi è niente di più pratico di una buona teoria”, è necessario qualche ulteriore riferimento a modelli teorici delle organizza- zioni che danno maggior conto dell’approccio psico-dinamico. 3. Teoria delle organizzazioni e psicologia del profondo La produzione scientifica del settore di teorie delle organizzazioni degli ultimi quaranta anni presenta una consapevolezza sempre più marcata di psicologia del profondo. Due specialisti di area europea affermano: «Questa convinzione culturale è quindi caratterizzata da solide basi teoriche, fondate sia sulle teorie freudiane o junghiane sia su moderne linee di sviluppo soprattutto delle prime, che considerano l’organizza- zione una “prigione psichica” in parte costruita dagli stessi membri a protezione delle proprie tensioni interne e in parte consistente in arche- tipi collettivi che impongono dei limiti a pensiero e comportamenti. 14
Esistono attualmente all’interno della convenzione psicodinamica due prospettive distinte: la prima con chiare connotazioni freudiane o kleiniane, basata su proiezioni e fantasie collettive; la seconda, di tipo junghiano, basata sulla presenza di archetipi sociali e strutture simboliche profonde» (Alvesson e Berg 1993, p. 120). Un altro autore di area statunitense, K. E. Weick, nel prospettare il passag- gio da un modello teorico di tipo argomentativo e paradigmatico ad uno di tipo narrativo, disegna una morfologia delle organizzazioni sulla scorta di “legami deboli” (flessibili) o rigidi e difensivi. Nel differenziare il senso dal significato delle organizzazioni, nell’analizzare le ambiguità e le con- traddizioni, Weick introduce di fatto, anche se non lo esplicita nel lessico, un paradigma clinico per l’analisi organizzativa (Weick 1997). Lo studioso che introduce un approccio clinico freudiano alle organizza- zioni è Kets de Vries. Un testo chiave per il rapporto tra psicologia del pro- fondo e teoria delle organizzazioni è L’organizzazione irrazionale. La dimensione nascosta dei comportamenti organizzativi. Kets de Vries, oltre a citare Jung, utilizza nel suo lessico i concetti di “paradigma clinico” per l’analisi delle organizzazioni e quello di “setting aziendale”. Dedica un intero capitolo ad esplorare il ruolo dell’invidia nelle relazioni organizza- tive (Kets de Vries 2001). Per quanto concerne l’area europea ed italiana, G. P. Quaglino è lo specia- lista di settore che più direttamente si è ispirato al contributo di Jung. Oltre a discutere in maniera dettagliata e critica la ricerca più accreditata del set- tore, Quaglino, in un testo del 1996 elabora i contributi degli studiosi che, nel panorama internazionale di settore sulle organizzazioni, si sono ispira- ti a Jung. Nel suo manuale di analisi della vita organizzativa, Quaglino dedica un denso e stimolante capitolo all’analisi junghiana delle organizza- zioni. Come già aveva indicato, con realismo e autenticità, nella prefazio- ne alla traduzione italiana del testo di Kets de Vries sulla psicologia della leadership (Quaglino 1995), Quaglino sottolinea con argomenti stringenti il ruolo dell’Ombra organizzativa. L’analisi delle polarità dell’individuale dentro il collettivo porta all’utilizzazione della teoria dei tipi psicologici e agli archetipi dell’organizzazione. «Gli archetipi riassumono dunque in sé ogni aspetto della vita orga- nizzativa per cui è possibile riconoscere una valenza altamente sim- bolica: ma d’altra parte quale aspetto della vita organizzativa non ha 15
valenza simbolica? Se vi è teoria o modello di analisi organizzativa che in questi anni ha saputo, a nostro avviso, imporsi sia per le potenzialità esplicative che ha offerto, sia per le suggestioni e le evocazioni attraverso le quali è riuscita a farci avvicinare la “strut- tura profonda” della vita organizzativa stessa, è certo quella rappre- sentata dal Simbolismo Organizzativo. Essa di fatto costituisce, ai nostri occhi, la migliore se non l’unica possibilità, oggi, di dialogo fecondo della psicologia con le discipline dell’organizzazione. Proprio in questi termini occorre allora ipotizzare come ogni espres- sione simbolica (dagli artefatti ai miti, dal linguaggio ai riti) possa, o forse debba, essere riletta alla luce delle valenze archetipiche di cui può essere portatrice, conducendoci a sostenere, proprio in que- sto dialogo con il contributo proposto dal Simbolismo Organizzativo, che al di là della struttura profonda individuata dalla presenza dei simboli, sia indispensabile giungere alla matrice sim- bolica, ovvero ai principi ancora più profondi che li generano: e che ovviamente, dal nostro punto di vista, coincidono con la “struttura” degli archetipi» (Quaglino 1996, p. 321). Mostrando l’inflazione dell’apparente razionalità dei modelli non analiti- ci di teoria delle organizzazioni, inflazione determinata dall’accentuazio- ne unilaterale del collettivo, Quaglino, raccogliendo l’invito di Jung, auspica lo spostamento verso l’individuo per il recupero “dei significati più autentici della vita organizzativa stessa”. Affiora qui il profilo di un movimento compensatorio tra due settori della cultura occidentale. La progressione dell’individuale verso il collettivo, tipica della cultura junghiana, incontra la dinamica del collettivo verso l’individuale, tipica della teoria delle organizzazioni. In tale direzione, per Quaglino è necessario adottare la ragione narrativa, onde poter cogliere come gli individui attraverso il “fare” nell’organizzazio- ne, siano in realtà impegnati a narrare la propria storia (Ibidem, pp. 326-327). Sulla scorta di M. L. Bowles e R. B. Denhardt, autori che hanno prodotto sin dagli inizi degli anni ottanta modelli di analisi junghiana delle organizzazio- ni, Quaglino passa poi ad enucleare concetti, quali l’Ombra organizzativa, Eros e Logos, maschile e femminile nelle loro rispettive polarità positive e negative, i miti nella e dell’organizzazione, che consentono di disegnare un vero e proprio “profilo archetipico del mondo organizzativo” (Ibid. p. 332). 16
4. Benessere organizzativo e dinamiche istituzionali Risulta prioritario che, per lavorare ai fini del benessere organizzativo, è fondamentale disporre di una teoria (gr.: modo di vedere), di una prospet- tiva, visione e rappresentazione che configurino la complessità delle dina- miche come tessitura, trama ed ordito dell’organizzazione con i rispettivi risvolti di micro-potere, qualità e disfunzioni. Tutto ciò finalizzato al lavo- ro di ricerca, analisi, interpretazione e intervento sulle dinamiche stesse. Un altro fondamento è che, come ha segnalato Avallone nel suo manuale sul benessere organizzativo, le priorità e le rappresentazioni della dirigen- za hanno un’influenza significativa sull’assetto dell’organizzazione nel suo complesso (Avallone-Bonaretti, 2003, p. 105). Alla luce quindi del primato delle rappresentazioni e dell’assetto mentale, propongo qui un tentativo descrittivo delle dinamiche organizzative sinte- tizzato in due grafici. Il primo grafico esprime la direzionalità delle dinamiche a seconda dei comparti, sotto-insiemi, orizzontalità/simmetria (tra docenti o tra studen- ti), verticalità/asimmetria (tra docenti e studenti) della scuola/istituto. Nello scorso contributo ho proposto una sintesi delle dinamiche orizzon- tali interne al gruppo-classe (Picone 2009). Il grafico 1 illustra come vi siano dei sotto-insiemi che, pur collocati nel- l’alveo macro della scuola/istituto, possono avere una vita propria la cui conoscenza, spesso, può sfuggire agli altri insiemi della comunità organiz- zativa. Ovviamente, il grafico è una semplificazione che non riesce a dar conto della completezza delle dinamiche. Ad es., a livello micro della clas- se, esistono dinamiche sia orizzontali –tra studenti, da una parte, e tra docenti, dall’altra- che verticali, cioè tra studenti e docenti. Il secondo grafico riassume la coesistenza delle circolarità virtuose, rap- presentati dai circoli in senso orario, insieme a quelle disfunzionali, rap- presentati dai circoli in senso anti-orario. Il grafico 2 esprime il principio che la coesistenza, di circolarità virtuose con quelle disfunzionali, esiste nelle relazioni tra tutti i sotto-insiemi. Ad es., per esigenze di semplifica- zione, nel grafico 2 non è riportata la coesistenza delle circolarità tra la componente Ata e gli studenti e i genitori. La cordialità e la funzionalità nelle relazioni di un genitore con la segreteria didattica può coesistere con momenti di tensione, conflittualità e scortesia. Lo scopo dei due grafici è, da una parte, quello di provare a rappresenta- re e visualizzare il rapporto tra i sotto-insiemi e l’insieme che li contiene, a livello di scuola/istituto, ai fini di una flessibile escursione tra parte e 17
tutto, e viceversa. Considerando, tuttavia, che non è solo la parte ad esse- re contenuta nel tutto ma anche l’inverso. Anche se, il precedente assunto delle teorie della complessità (Telfener-Casadio, a cura di, 2003), non è esprimibile in un grafico. Dall’altra, vi è pure l’esigenza, così tipica delle teorie della complessità, di superare il pensiero disgiuntivo e uni-lineare per rappresentarsi la coesistenza di circolarità opposte; della loro pensabi- lità, orientata al contenimento e alla subordinazione possibile delle dina- miche disfunzionali a quelle creative e funzionali. In conclusione, la rappresentabilità delle dinamiche organizzative risulta essa stessa un esercizio di pensiero complesso. Simultaneamente, costitui- sce un modo per evitare la rimozione dell’Ombra organizzativa, per con- tribuire al lavoro comune del benessere organizzativo. GRAFICO 1 18
GRAFICO 2 19
Bibliografia – Alvesson M. e Berg P. O. 1993: L’organizzazione e i suoi simboli. Milano, Cortina. – Avallone F.-Bonaretti M., a cura di, 2003: Benessere Organizzativo. Per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Soveria Mannelli, Rubbettino. – Brunetta R. 2009: Presentazione della Relazione al Parlamento sullo stato della Pubblica Amministrazione, 15 ottobre. – edscuola.it 2009: agenzia di stampa, da IMGPress e Comitato Naz. Anti mobbing sco- lastico, “Visite di idoneità psico-fisiche per i 10 mila dirigenti scolastici”, 4/11/09. – Kets de Vries M. F. R. 2001: L’organizzazione irrazionale. La dimensione nascosta dei comportamenti organizzativi. Milano, Cortina. – Mintzberg H. 1996. La progettazione dell’organizzazione aziendale. Bologna, Il Mulino. – MIUR-USR Lazio 2009: Burnout. Cause, prevenzione, gestione, orientamenti e supporti. Atti del corso di formazione sul benessere dei docenti e sulla prevenzione del disagio mentale professionale. – Picone P. 2007: La scuola reitera l’errore di Cartesio e di Piaget, in edscuola.it. – Picone P. 2009: “Significato finalistico del burnout per la mission della professiona- lità docente” in Burnout. Cause, prevenzione, gestione, orientamenti e supporti. Atti del corso di formazione sul benessere dei docenti e sulla prevenzione del disagio mentale professionale. MIUR-Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, pp.56-62. – Quaglino G. P. 1995: Leader senz’Ombra e organizzazioni senz’anima. In: Kets de Vries M. F. R., Leader, giullari e impostori. Sulla psicologia della leadership. Milano, Cortina. – Quaglino G. P. 1996: Psicodinamica della Vita Organizzativa. Competizione, difese, ambivalenza nelle relazioni di lavoro. Milano, Cortina. – Telfener –Casadio [a cura di] (2003): Sistemica. Voci e percorsi della complessità. Torino, Bollati Boringhieri – Weick K. E. 1997: Senso e significato nell’organizzazione. Alla ricerca delle ambi- guità e delle contraddizioni nei processi organizzativi. Milano, Cortina. 20
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