Direttamente a casa nostra. Stranieri e servizio domestico in Sardegna

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Direttamente a casa nostra.
Stranieri e servizio domestico in Sardegna
di Marco Zurru

                                                  “Una estranea perturbante compare all’interno di
                                                  uno spazio domestico borghese. Ella non può esse-
                                                  re tenuta a distanza”.

                                                                               J. Clifford, 1997

1. Il punto di partenza: l’emersione di un welfare nascosto

    Dopo diversi anni in cui si è giustamente posto l’accento sulle caratteristi-
che di late comer del nostro paese nel sistema migratorio europeo, anche e so-
prattutto per contrastare le grida allarmistiche di una stampa poco responsabi-
le, si può ormai affermare che anche l’Italia è diventato - al pari (o quasi) di
Francia, Germania e Inghilterra – un paese ad immigrazione matura: i conti-
nui arrivi di stranieri che vogliono permanere per motivi prevalentemente le-
gati al lavoro e al ricongiungimento famigliare possono essere letti come “un
fenomeno stabilizzato ed embedded nelle trasformazioni della nostra società”1,
ovvero un fatto strutturale. Giustamente qualcuno ha fatto osservare come
“dalle dinamiche del mercato del lavoro ai cambiamenti nell’organizzazione
della vita domestica, dal funzionamento del regime di welfare
all’organizzazione degli spazi urbani, un numero crescente di dimensioni della
vita sociale ed economica in Italia possono essere comprese solo tenendo pre-
sente l’esistenza degli immigrati”2.
    L’espansione del fenomeno migratorio appare, infatti, come continuo e ra-
pido: nel corso degli anni ’90 il numero degli stranieri è più che raddoppiato,

1
  A. Colombo, “Razza, genere, classe. Le tre dimensioni del lavoro domestico in Italia”, in Po-
lis, 2/2003.
2
  G. Sciortino e A. Colombo, Introduzione, in G. Sciortino e A. Colombo (a cura di), Stranieri
in Italia. Un’immigrazione normale, Il Mulino, Bologna 2003.
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aumentato di quasi un milione di unità tra il 2000 e il 2004 e, oramai, alla fine
del 2005 il loro numero supera – seppur di poco – i 3 milioni di presenze3.
    Questa dinamica è stata ampiamente favorita dai formali processi di emer-
sione della componente irregolare della migrazione, ovvero dai vari interventi
legislativi che, pur mettendo in piena luce le difficoltà delle azioni regolative
in materia, hanno consentito l’ingresso e/o la regolare permanenza nel nostro
territorio a numerosi lavoratori irregolari. Basti pensare che più di un terzo dei
649 mila permessi di soggiorno rilasciati nel 1992 sono rappresentati dalle au-
torizzazioni a seguito della L. 39/90 (cosiddetta Legge Martelli), che aveva
fatto uscire dalla clandestinità circa 208 mila persone, soprattutto africani ed
asiatici4. Più del 60% dell’aumento delle presenze straniere registrato tra il
1992 e il 2000 fa riferimento ad immigrati che hanno usufruito della regola-
rizzazione prevista con il Decreto Legge 489 del 1995 (noto come decreto Di-
ni) e con il DPCM del 16 ottobre 1998. A beneficiare in modo prevalente dei
due provvedimenti sono stati i cittadini dell’Europa centro-orientale, mentre
era chiara la presenza via via più ridotta della componente irregolare tra gli
africani.
    Infine, con l’approvazione della legge 189 del 2002 (nota come legge Bos-
si-Fini) e con la legge 222 del 2002 si determina il più cospicuo intervento di
regolarizzazione finora effettuato nel nostro paese: a fronte di oltre 700 mila
nuove domande di regolarizzazione, in poco più di un anno, se ne accolgono
circa 650 mila, un numero di poco inferiore alla somma complessiva di tutte
le regolarizzazioni effettuate a partire dal 1990 (680 mila). La prima normati-
va ha riguardato le procedure per l’emersione del lavoro irregolare da parte di
chi “ha assunto alle proprie dipendenze personale di origine extracomunitaria,
adibendolo ad attività di assistenza a componenti della famiglia affetti da pa-
tologie o handicap ovvero al lavoro domestico di sostegno al bisogno familia-
re”, e ha coinvolto oltre 316 mila irregolari. La seconda riguardava le proce-
dure per l’emersione di immigrati che lavoravano alle dipendenze, ma in nero,
nell’edilizia, in agricoltura e nell’industria, e ha coinvolto oltre 330 mila stra-
nieri irregolarmente presenti.

3
  Dossier Caritas/Migrantes, Immigrazione: riflessioni sui dati del 2005 e sulle prospettive, pa-
per, maggio 2006.
4
  Rispetto alle altre tre regolarizzazioni che verranno in seguito, questa sanatoria ha evidenziato
il maggior numero di irregolari in rapporto alla componente legale (120,9 sanati ogni 100 stra-
nieri presenti regolarmente; molto probabilmente ciò fu favorito dalle facili condizioni di ac-
cesso alla sanatoria, per usufruire della quale era sufficiente dimostrare di essere nel nostro pae-
se alla data del 31 dicembre 1989, rimandando al momento del rinnovo l’obbligo di documenta-
re un’attività lavorativa intrapresa).
                                                 2
Il processo di regolarizzazione del 2002 ha messo in luce delle dinamiche
importanti all’interno del sistema migratorio italiano5: in primo luogo, la pola-
rizzazione per nazionalità ha evidenziato la pressione migratoria esercitata dai
gruppi più recentemente giunti nel nostro paese; in secondo luogo è evidente
un importante stravolgimento nella graduatoria dei gruppi nazionali presenti,
con la presenza sempre più massiccia di cittadini provenienti dall’Europa
dell’Est: in particolare, la Romania sale dal terzo al primo posto, l’Ucraina dal
27° al 5° posto, la Polonia dal 12° al 7°, la Moldavia dal 41° al 17°; infine, il
fatto che su 702.156 domande di regolarizzazione presentate, circa la metà
abbia riguardato colf e badanti ha portato simultaneamente alla ribalta sia la
figura dell’assistente domestico che quella della immigrata-donna-lavoratrice
rispetto alla moglie/sorella/figlia che in passato entrava nel nostro paese per il
ricongiungimento familiare.
    Di fatto, questa sanatoria evidenzia un fenomeno sociale inatteso: la cre-
scita nelle famiglie italiane del ricorso a servizi privati a pagamento per lo
svolgimento di molti compiti domestici, e il fatto che questa domanda di lavo-
ro e di assistenza si orienta prevalentemente verso il mercato del lavoro in-
formale e, specialmente, verso il lavoro delle donne immigrate. Il reclutamen-
to di personale domestico sembra infatti essere diventata una delle componen-
ti strutturali del sistema migratorio italiano e una risorsa indispensabile per il
funzionamento del nostro regime di welfare6: anche se è evidente come la cre-
scita della presenza straniera disponibile a effettuare bad jobs possa aver ali-
mentato una notevole espansione del lavoro domestico salariato, il fatto che
quasi il 10% delle famiglie italiane (circa 2 milioni) utilizzi almeno uno dei
servizi domestici (colf, badanti e baby sitter), dichiara una “evidente difficoltà
da parte delle famiglie (e di tutta la società) a far fronte al lavoro domestico e
di cura”7. La regolarizzazione ha dimostrato come queste difficoltà siano tra-
sversali a tutte le partizioni regionali, siano soddisfatte per lo più dalla com-
ponente immigrata femminile e, in massima parte, da quella ucraina e rumena.
Anche se con numeri più contenuti rispetto alle altre regioni meridionali, la
Sardegna è stata investita dal fenomeno e i processi di femminilizzazione e di
ristrutturazione della gerarchia di nazionalità del sistema migratorio isolano

5
  E. Zucchetti (a cura di), La regolarizzazione degli stranieri. +uovi attori nel mercato del la-
voro italiano, FrancoAngeli, Milano 2004.
6
  G. Sciortino, “Immigration in a Mediterranean Welfare State: The Italian Experience in Com-
parative Perspective”, in Journal of Comparative Policy Analysis, vol.6, 2004; E. Reyneri, I
veri problemi posti dalla regolarizzazione, in www.lavoce.info.it , 2002.
7
  R. Sarti, “Noi abbiamo visto tante città, abbiamo un’altra cultura. Servizio domestico, migra-
zioni e identità di genere: uno sguardo di lungo periodo”, in Polis, 1, 2004. Il dato sulle fami-
glie italiane è quello stimato dall’ISTAT nelle sue indagini multiscopo sulle famiglie, 2003.
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appaiono in tutta la loro evidenza. Questo lavoro cerca di delineare i contorni
della riscoperta del lavoro domestico nell’isola, i profili della professione, i
contenuti e le condizioni del lavoro domestico salariato immigrato e, in parti-
colare, della componente ucraina8.

2. Un’occupazione scomparsa?

    Tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni Settanta sono nu-
merosi i contributi che considerano il lavoro domestico salariato come
“un’occupazione obsolescente, in crisi, ormai in agonia”9, e i dati relativi al
numero di lavoratori domestici giustificavano queste posizioni. La moderniz-
zazione, il progresso – con il passaggio dalla centralità dei ruoli ascritti a quel-
li acquisiti nella definizione delle relazioni sociali - avrebbero dovuto spazza-
re via molti dei vecchi lavori, ma soprattutto quelli in cui le caratteristiche
specifiche di autorità nella relazione tra il datore di lavoro e il lavoratore (qua-
si sempre “lavoratrice”) potevano risultare in qualche modo “imbarazzanti”.
Infatti, se è vero che tra servi e domestici - largamente diffusi tra il XVI e gli
inizi del XX secolo in Europa - era possibile anche la presenza di soggetti di
estrazione sociale “non dissimile dai padroni”10, era molto più probabile che

8
  Le risultanze seguenti derivano da un’analisi contemporanea della domanda e dell’offerta del
lavoro domestico attraverso delle interviste semi-strutturate effettuate nella città di Cagliari ad
un gruppo di 60 lavoratrici domestiche ucraine; dalla raccolta di una decina di storie di vita ad
ulteriori immigrate e da 40 interviste non strutturate a datori di lavoro. La scelta delle unità da
intervistare è dipesa unicamente dalla disponibilità delle stesse all’intervista; anche se non si
avanza alcuna pretesa di rappresentatività del fenomeno, la possibilità di cogliere lo stesso da
più punti di vista attraverso molteplici strumenti di indagine insieme alla numerosità del gruppo
intervistato (un decimo del totale delle immigrate regolari nell’isola al 31 dicembre 2004) ci
consente di affermare di poter offrire una visione notevolmente significativa del fenomeno. Le
interviste sono state realizzate da Francesca Mocco.
9
  R. Sarti, “Servizio domestico, migrazioni e identità di genere in Italia: uno sguardo storico”,
paper, 2000; in www.uniurb.it/scipol/drs_servizio_domestico.pdf; i riferimenti più importanti
sono L. A. Coser, “Servants: The Obsolescence of an Occupational Role”, in Social Forces,
vol.52, n.1, 1973; V. Aubert, “The Housemaid – An Occupational Role in Crisis”, in Acta So-
ciologica, I, 1955; G. Stigler, “Domestic Sevants in the United States, 1900-1940”, in +ational
Bureau of Economic Research, 1945. In Italia Degli Espositi, pur evidenziando la grande arre-
tratezza dei rapporti tra domestici e datori di lavoro, metteva in luce come “il mutato vivere
sociale, l’assorbimento da parte dell’industria di molto personale femminile, la progressiva
meccanizzazione dei servizi, anche quelli domestici, tendono a rendere anacronistica la stessa
figura della domestica tuttofare, a meno che essa non debba servire agli ozi della signora; G.
Degli Espositi, “Le domestiche”, in Il Mulino, n.15, 1953.
10
   Ciò derivava dal fatto che “andare a servizio in gioventù poteva essere un modo per imparare
un lavoro o altre abilità; che i figli esclusi dalla trasmissione ereditaria potevano rimanere come
servitori; che gli orfani potevano essere accolti con uno status più o meno servile in casa di pa-
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lo status di domestico risentisse di tutta la carica di stigmatizzazione e pena-
lizzazione sedimentata nel tempo. Basti pensare che anche tra le costituzioni
rivoluzionarie (tranne quella giacobina del 1793 e quella bolognese del 1796,
mai applicate), la condizione di domestico era considerata elemento sospensi-
vo dei diritti di cittadinanza11. Non sono pochi, infatti, gli autori che nella de-
scrizione dei contenuti dell’attività domestica retribuita e delle relazioni di di-
pendenza personale tra datore di lavoro e lavoratore usano esplicitamente il
termine schiavismo12: una certa retorica sulle serve e della famiglia (definita
con una equazione servi-figli) contribuiva a costruire un dispositivo di legit-
timazione del controllo esercitato dal padrone sulla persona del servo, in par-
ticolare sul suo corpo (punizioni corporali, accesso al corpo della serva, ha-
rassment), sul tempo libero e sulle sue amicizie; inoltre, la relazione altamente
personalizzata tra il datore di lavoro e il servo consentiva lo sviluppo di una
de-personalizzazione di quest’ultimo, trattato come un oggetto in proprio pos-
sesso o come qualcosa di così irrilevante da diventare talvolta trasparente
(pratica che passava per l’assegnazione di un nome standard, volutamente i-
gnorando quello reale).
    L’aspetto basilare di questa penalizzazione lo si può ritrovare
nell’elemento della co-residenza (servant question): con l’impossibilità di co-
struire una separazione tra spazio e tempo di lavoro e spazio e tempo di vita
privata il domestico non vendeva solo il proprio tempo di lavoro ad una fami-
glia ma anche la propria personalità, le proprie emozioni. Anche i primi mo-
vimenti politici che iniziarono ad occuparsi del lavoro domestico salariato si
rendevano conto dei pericoli che nascondeva la coabitazione del domestico
con la famiglia padronale, e il fatto che la co-residenza dovesse essere supera-
ta era ampiamente condivisa sia da molti socialisti riformisti che da diversi
riformatori sociali13: agli inizi del secolo scorso una missionaria di un modo
razionale, tayloristico, di gestire la casa ribadiva che “finché il lavoratore do-
mestico non smetterà di vivere con noi (datori di lavoro) non risolveremo il

renti, conoscenti o altri; che erano presenti schiavi stranieri di alta estrazione nelle società di
origine”; R. Sarti, “Quali diritti per la donna? Servizio domestico e identità di genere dalla rivo-
luzione francese ad oggi”, in M. Palazzi e S. Soldani, Lavoratrici e cittadine nell’Italia con-
temporanea, Rosemberg & Sellier, Torino 2005.
11
   In Francia i domestici maschi divennero cittadini solo nel 1848, ma subirono alcune discri-
minazioni legali fino agli anni ’30; in R. Sarti, 2005, cit.
12
   Una rassegna in A. Colombo, cit. In particolare vedi B. Sorgoni, “Migrazione femminile e
lavoro domestico: un terreno da esplorare”, in La critica sociologica, 134, 2000; R. Sarti, “Noi
abbiamo visto tante città.., cit.
13
   R. Sarti, “Da serva a operaia? Trasformazioni di lungo periodo del servizio domestico in Eu-
ropa”, in Polis, n.1, 2005.
                                                 5
problema”14. Da qui tutta una pletora di proposte quali la diffusione del servi-
zio di non co-residenti, di operaie di stabilimenti cooperativi e, infine, l’utopia
tecnocratica con la presenza in ogni casa di un servizio di elettrodomestici.
    Le condizioni del lavoro domestico diventano quindi una questione impor-
tante in tutta Europa e nel II Congresso femminista, svoltosi a Bruxelles nel
1912, ritroviamo iniziative tese a fare del servizio domestico un vero lavoro:
si propone di migliorare le condizioni degli addetti, di proteggere la maternità,
di applicare la legislazione relativa agli infortuni sul lavoro, di regolamentare
gli uffici di collocamento. Come ricorda bene Sarti, all’epoca pareva dunque
che il futuro potesse essere radioso: “mille riforme sembrano poter rendere
meno dura la vita dei domestici co-residenti che comunque, a detta di molti,
sono destinati a ridursi fortemente o a scomparire, sostituiti da lavoratori e-
sterni, operai o macchine”15.
    A distanza di quasi un secolo la realtà delle cose disegna un altro panora-
ma sociale16: non solo i lavoratori domestici non sono scomparsi ma sono di-
ventati più numerosi di quanto fossero cento anni fa17; non solo cresce il lavo-
ro domestico in tutti i paesi occidentali, ma anche il numero di lavoratori e la-
voratrici che vivono con le famiglie dove prestano il servizio, mettendo in
chiaro la persistenza di elementi pre-moderni nelle relazioni di lavoro, come
la mancata separazione tra casa e luogo di lavoro. Si assiste insomma ad una
sorta di revival del lavoro domestico salariato: a differenza di quanto avveniva
un secolo fa, sono molte le persone – prevalentemente immigrate - disposte a

14
   C. Frederick, The +ew Housekeeping: Efficiency Studies in Home Management, Garden City,
New York 1914. Con grande chiarezza Sarti mette in luce come, almeno in una prima fase, la
solidarietà delle femministe borghesi occidentali verso le domestiche faticasse a farsi concreta;
ma neanche i socialisti sembravano brillare per iniziativa. Le cose andavano un po’ meglio in
Russia, dove nel 1907 presso la Duma di Mosca – pur senza successo – venne presentato un
vasto programma a favore dei domestici: orario massimo di 9-10 ore giornaliere, controllo delle
condizioni di lavoro da parte delle autorità, ambienti salubri, assicurazione nel caso di infortu-
nio o disoccupazione, congedi di maternità e uffici di collocamento; R. Sarti, “Da serva a ope-
raia?...” cit”. A distanza di quasi un secolo queste richieste rimangono talmente attuali che mol-
te delle badanti ucraine, russe e moldave, probabilmente, le sottoscriverebbero con convinzione.
15
   R. Sarti, “Da serva a operaia?...”; cit.
16
   In particolare, vedi J. Andall, Gender, Migration and Domestic Service: The Politics of Black
Women in Italy, Aldershot, Ashgate, 2000; J. Andall, “Hierarchy and Interdependence: The
Emergence of a Service Caste in Europe”, in J. Andall (a cura di), Gender and Ethnicity in
Contemporary Europe, Berge, Oxford 2003; J. Andall e R. Sarti, “Le trasformazioni del servi-
zio domestico in Italia: un’introduzione”, in Polis, n. 1, 2004; B. Anderson, Doing the Dirty
Work? The Global Politics of Domestic Labour, Zed Books, London – New York 2000;
Inps/Caritas, Il mondo della collaborazione domestica: I dati del cambiamento,
www.caritasfano.net/documenti/collaborazione_domestica.pdf.; A. Colombo, “Il mito del lavo-
ro domestico” in Polis, n. 3, 2005.
17
   R. Sarti, “Noi abbiamo visto tante città ...”; cit.
                                               6
lavorare come domestici o come badanti in tutti i paesi occidentali a prezzi
contenuti rispetto alla disponibilità dei datori di lavoro, e non sono analfabeti,
ma spesso ex-professionisti (medici, ingegneri, docenti, etc..), impiegati pres-
so famiglie per cui la loro presenza “non è una questione di lusso, ma una
stretta e contingente necessità”18.
    Nel nostro paese il lavoro domestico con la presenza di una componente
straniera ha cominciato a prendere piede intorno agli anni Settanta (vedi tab.
1), è cresciuto negli anni Ottanta ed ha assunto un trend fortemente ascenden-
te nel decennio successivo. Solo nel 1982 gli stranieri non erano che il 5,6%
degli immatricolati all’Inps19; nel 1991 balzavano al 16,5% e in questi ultimi
anni sono ampiamente oltre la metà degli iscritti.

     Tab. 1 – Lavoratori domestici, nel complesso e stranieri iscritti all’Inps (1972 al 2001)
                     Totale lavoratori domestici Lavoratori domestici stranieri     % stranieri
       1972-82                 1004302                        56037                       5,6
         1991                    216836                       35740                      16,5
         1992                    263956                       53861                      20,4
         1993                    243248                       58954                      24,2
         1994                    186214                       52251                      28,1
         1995                    191663                       66620                      34,8
         1996                    250496                      126203                      50,4
         1997                    236639                      114901                      48,6
         1998                    238077                      117099                      49,2
         1999                    247450                      126297                      51,0
         2000                    256539                      136619                      53,3
         2001                    244947                      130334                      53,2
     Fonte: R. Sarti, 2004

    È evidente come il dato sia, per la natura stessa del lavoro, assolutamente
sottostimato: secondo l’Istat la quota sommersa del lavoro domestico è cre-
sciuta col tempo fino a raggiungere, nel 2000, oltre 800 mila lavoratori. Infatti,
i dati della sanatoria del 2002 starebbero evidenziando una tendenza
all’emersione del sommerso per meno della metà dei lavoratori irregolari, tra i
quali è difficile distinguere italiani e stranieri.

18
  C. Alemanni, “Le colf: ansie e desideri delle datrici di lavoro”, in Polis, n. 1, 2004.
19
  In Sardegna, nel 1982, il numero dei lavoratori domestici iscritti alle casse dell’Inps era di
46.743 unità, di cui 538 stranieri, poco più dell’1% sul totale; R. Sacconi, “Le colf, queste sco-
nosciute”, in Politica ed Economia, n. 1, 1984.
                                                  7
Tab. 2 – Stima della consistenza dei lavoratori domestici (servizi domestici presso famiglie e
             convivenze), nel complesso e irregolari (in migliaia; 1992-2000)
                              Totale                  Irregolari       % irregolari sul totale
          1992                 953,9                     710,3                  74,5
          1993                 954,8                     723,9                  75,8
          1994                 950,7                     711,8                  74,9
          1995                 959,1                     713,2                  74,4
          1996                1050,2                     802,7                  76,4
          1997                1042,2                     801,4                  76,9
          1998                1048,0                     799,1                  76,3
          1999                1043,8                     797,9                  76,4
          2000                1049,5                     807,9                  77,0
     Fonte: Istat, 2002

    Prendendo per buone le stime più attendibili20 che valutano in Italia il nu-
mero dei lavoratori domestici in oltre un milione di unità, l’Istat ne considera
stranieri circa il 45-46%21; si conosce invece con maggior dettaglio il dato sul-
la quota degli immigrati sul totale dei lavoratori regolari o in via di regolariz-
zazione, che assommerebbero a circa i quattro quinti del totale. Il lavoro do-
mestico si è dunque trasformato, crescendo, in “nicchia etnica”.
    Altre indagini, come quelle multiscopo sulle famiglie dell’Istat (che dal
1996 rilevano il ricorso a collaboratori domestici), evidenziano una novità che
caratterizza le famiglie italiane, ovvero “l’allargamento della schiera dei dato-
ri di lavoro”: da lusso riservato ai gruppi sociali benestanti, il ricorso al lavoro
domestico diventa necessità accessibile per nuclei familiari di ceto medio e
medio-basso. Nei primi anni del 2000 il ricorso da parte delle famiglie al lavo-
ro domestico salariato ha riguardato 2 milioni e 17mila famiglie22: il 12,3%
delle famiglie del Centro, l’8,4% del Nord e l’8,1% del Mezzogiorno; un mi-
lione e 576 mila famiglie si sono avvalse di una colf, 173 mila sono state sup-
portate nel lavoro di cura dei figli da babysitter e 451 mila hanno usufruito
dell’aiuto di una badante nell’assistenza a familiari anziani o con handicap. In
particolare (tab. 3), pur con delle oscillazioni di breve periodo, le famiglie che
impiegano una colf sarebbero il 7-7,5% del totale, quelle che ricorrono ad una
babysitter l’1-2%, circa il 2% quelle che si avvalgono di una badante.

20
   La CGIL stimava, per il 1999, la presenza di circa 1 milione e 200 mila lavoratori domestici;
cfr. Audizione Parlamento Europeo di M. Meschieri, www.filcams.cgil.it, citato in R. Sarti, cit.
Il dato Istat in L’occupazione non regolare nelle stime di contabilità nazionale secondo il
Sec95. Anni 1992-1999, Dati analitici settembre 2002, www.istat.it.
21
   Quota che si ottiene contabilizzando solo gli stranieri regolari e in via di regolarizzazione.
22
   Istat, Indagini multiscopo sulle famiglie, 1996-2001.
                                                  8
Tab. 3 – Famiglie italiane che fanno ricorso a collaborazioni domestiche (1996-2001; val. %)
                          Colf              Babysitter           Badante   Almeno un servizio
       1996                7,4                  1,0                1,8           9,2
       1997                7,6                  1,1                2,2           9,2
       1998                6,9                  1,7                2,0           8,7
       1999                6,8                  1,4                1,8           8,4
       2000                6,9                  0,9                1,5           8,8
       2001                7,2                  1,2                2,1           8,8
Fonti: Istat, varie 1996-2001; dati trattati in R. Sarti, cit.

    Certo, sono dati che vanno letti con prudenza, proprio perché frutto di sti-
me e fortemente caratterizzati dai già citati fenomeni di sommersione: sono
infatti le caratteristiche del lavoro stesso che determinano ampi margini di in-
visibilità a questa professione, spesso svolta in nero. Nonostante ciò, pur in
presenza di un contenzioso sui numeri, sia che si parli di “crescita con anda-
menti alterni, che di ritorno, o di rinascita”23, è evidente la forte responsabili-
tà della componente straniera nell’aver alimentato la rapida e notevole espan-
sione del lavoro domestico salariato: il lavoro domestico “è conseguenza attu-
ale di una migrazione che vede le lavoratrici spostarsi su lunghe distanze per
coprire la domanda di servizi domestici dei paesi più ricchi” 24 , e in ciò
l’ultima grande regolarizzazione – come è stato già detto – ha contribuito non
poco.
    Nonostante i suoi numeri contenuti rispetto al dato nazionale (3202 istanze
presentate, lo 0,5% sul totale complessivo), il recente processo di regolarizza-
zione sviluppatosi in Sardegna ha coinvolto un elevato numero di immigrati

23
   In particolare, Asher Colombo insiste sul fatto che “più che di ritorno e svolta nel lavoro
domestico, è più corretto parlare di una interruzione del declino post-bellico seguita da una mo-
desta crescita con molte oscillazioni erratiche”. Secondo l’autrice, in primo luogo, la crescita
del lavoro domestico non sarebbe un fenomeno lineare in tutti i paesi europei e in USA; inoltre,
in Italia la crescita molto recente sarebbe iniziata nella seconda metà degli anni ’90 ma avrebbe
dimensioni molto meno marcate di quanto finora sostenuto nella letteratura specializzata ed è
seguita da una nuova fase di declino; A. Colombo, “Il mito del lavoro domestico”, in Polis, n. 3,
2005. Mentre a parlare di svolta e rinascita sono la Andall e la Sarti; in particolare per
quest’ultima: “proprio questi dati, per quanto frutto di stime, rappresentano un secondo elemen-
to che colpisce chi conosce la storia del servizio domestico. Se infatti ammettiamo con tutte le
cautele del caso che i lavoratori domestici siano più di un milione su una popolazione di circa
57 milioni, siamo costretti a concludere che – oggi – ci sono in Italia più domestici di quanto
non ce ne fossero un secolo fa. E non solo in numero assoluto, ma anche in numero relativo.
[…] in numero assoluto più del doppio di quelli presenti nel 1901 […] ma la popolazione ita-
liana non è raddoppiata rispetto a quella d’inizio del Novecento, è solo 1,76 volte più numerosa.
Detto altrimenti: se allora c’erano circa 15 domestici ogni mille abitanti, oggi ce ne sarebbero
più di 18”; R. Sarti, Servizio domestico, migrazioni...; cit.
24
   J. Andall e R. Sarti, Le trasformazioni del servizio domestico in Italia…; cit.
                                                   9
se confrontato alle “cifre locali”. L’isola, infatti, è sempre stata molto in basso
nella graduatoria regionale per numero di immigrati presenti25: basti pensare
che nel 2002, anno di avvio del processo di emersione dall’irregolarità, in
Sardegna erano presenti 11.737 stranieri, di cui oltre il 30% proveniente da
paesi occidentali.
    Dunque, la base di partenza per valutare la portata della sanatoria va rivista
alla luce di questi dati relativi che, invero, mostrano un certo “spessore” del
fenomeno anche nell’isola. Se è evidente che la Bossi-Fini ha interessato solo
immigrati provenienti da paesi in ritardo di sviluppo economico, bisogna evi-
denziare come questa opportunità abbia coinvolto un volume pari al 40% de-
gli immigrati regolarmente presenti in Sardegna. Inoltre, questo dato diventa
anche una misura indiretta dell’irregolarità degli stranieri: in altri termini, nel
2002, ogni 10 immigrati regolari presenti nell’isola se ne trovavano 4 in con-
dizioni di irregolarità, una cifra notevole.

Tab. 4 – Domande di regolarizzazione per principali cittadinanze del lavoratore e genere in
         Sardegna e in Italia (2004)

                   I               II cittadi-                 III               IV cittadi-
                            (%)                  (%)                      (%)                  (%)
             cittadinanza            nanza                cittadinanza             nanza

 Maschi        Senegal             Marocco                  Albania                Cina
                            32,7                 19,5                     9,0                  8,1
 Sardegna       (561)               (333)                    (155)                 (139)

 Maschi       Romania              Marocco                 Albania                  Cina
                            20,8                 12,4                     11,6                 5,8
 Italia       (77.926)             (46.419)                (43.717)               (21.928)

 Femmine       Ucraina             Romania                  Polonia                 Cina
                            38,1                 10,8                     9,8                  7,5
 Sardegna       (501)               (142)                    (129)                  (98)

 Femmine      Ucraina              Romania                 Polonia                  Cina
                            28,4                 20,0                     8,4                  7,4
 Italia       (90.311)             (63.837)                (26.647)               (23.522)
Fonte: ns. elaborazioni su dati Ministero dell’Interno

   Il Ministero dell’Interno ha fornito anche alcuni dati relativi alla prove-
nienza di chi ha presentato istanza di regolarizzazione; purtroppo non sempre
i dati sono completi, ma sono sufficienti ad illuminare qualche segmento del
fenomeno dell’irregolarità: la tab. 4 mostra, infatti, come il processo di emer-

25
  I titolari del permesso di soggiorno - comunitari e non - nella regione erano al dicembre 2002
pari allo 0,8% del totale dei soggiornanti in Italia, di cui invece la popolazione residente dell'I-
sola costituisce il 2,8%, essi rappresentano lo 0,7% della popolazione della regione, mentre il
valore corrispondente per l'Italia è 2,9%; M. L. Gentileschi, “Sardegna, terra di immigrazione
nella quale non è facile mettere radici, in Sardegna”, in Sardegna Economica, n. 1, 2004.
                                                 10
sione sia stato caratterizzato da una forte polarizzazione rispetto al genere e
alla nazionalità. La presenza femminile è infatti notevole, ed è concentrata in
alcuni paesi dell’Europa dell’Est, dove primeggia l’Ucraina. Quella maschile
è invece caratterizzata da altre due comunità storicamente “forti” nell’isola, il
Senegal ed il Marocco; non a caso, sono queste due comunità – insieme alla
sovrarappresentazione della componente ucraina – a presentare una consisten-
za più elevata rispetto al dato medio nazionale.
    Dunque, l’applicazione della Bossi-Fini ha confermato ciò che i dati istitu-
zionali e le ricerche locali avevano già messo in luce: la peculiare presenza
della componente senegalese e marocchina e un’alta incidenza di irregolarità
al proprio interno. Ma ha pure letteralmente “portato alla luce” ciò che era in-
negabilmente da diverso tempo sotto gli occhi di gran parte dell’opinione
pubblica, ovvero la nuova presenza di una comunità di donne provenienti
dall’Est europeo, la cui comparsa nel panorama migratorio isolano appariva
funzionale alla domanda di cura domestica delle famiglie sarde. Non è infatti
un caso che quasi il 60% delle domande presentate nell’isola (quasi tutte ac-
colte; tab. 5)26, abbia riguardato la regolarizzazione nel settore della collabo-
razione domestica.

    Tab. 5 – +umero di istanze di regolarizzazione presentate e concesse in Sardegna per
              sesso e provincia al 1 gennaio 2004
                                            accolte     accolte    % accolte su    % accolte
                 presentate    accolte
                                            maschi     femmine      presentate     su totale
    Cagliari        1408        1217           711        506           86,4          43,3
    Sassari         1376        1213           658        555           88,2          43,2
    Nuoro            257         236           152          84          91,8           8,4
    Oristano         161         144            86          58          89,4           5,1
    Sardegna        3202        2810         1607        1203           87,8        100,0
    Fonte: ns. elaborazione su dati Istat 2005

   L’influenza della sanatoria sulle dinamiche e la consistenza del settore del-
la collaborazione domestica è stata, inoltre, impressionante (tab. 6): con la
presenza dei nuovi migranti gli iscritti all’Inps hanno subito un incremento
notevole grazie ad una variazione positiva del 326% (mentre la media nazio-
nale era del 333%), con un rapporto di 4 badanti ogni 1000 famiglie nell’isola.

26
   La quasi totalità (87,8%) delle domande presentate in Sardegna è stata accolta, pur con qual-
che lieve differenziazione a livello provinciale: di fatto, sono le due province dove storicamente
si è sedimentato l’insediamento migratorio – quella di Cagliari e Sassari – a mobilitare il mag-
gior numero di richieste di regolarizzazione, oltre l’87% del totale.
                                               11
Tab. 6 - Addetti stranieri alla collaborazione familiare e incidenza sulla popolazione (stima
         2003)
                                                                                Colf/badanti
              Ass. INPS     Regolarizzati       Totale
                                                                 Variazione %    ogni 1000
                2002           2002         Domestici regolari
                                                                                    ab.
Cagliari          467           783                  1250             267,7          1,6
Sassari           151           692                   843             558,3          1,8
Nuoro               81          111                   192             237,0          0,7
Oristano            28           55                     83            296,4          0,5
Sardegna          727          1641                  2368             325,7          1,4
Fonte: ns. elab. su dati I+PS – Dossier Statistico Caritas/Migrantes, 2003

    Un monitoraggio dell’Inps (tab. 7) concede inoltre la possibilità di inqua-
drare in modo più completo il fenomeno delle regolarizzazioni nel settore
domestico in Sardegna e alcune sue peculiarità rispetto al panorama nazionale.
In primo luogo bisogna evidenziare come la Bossi-Fini sia stata letta – ov-
viamente – come una grande opportunità da parte di un gran numero di immi-
grati provenienti da un eterogeneo gruppo di paesi, anche quelli in cui il lavo-
ro domestico non si è mai presentato come una concreta possibilità di impiego
per tutti e per la componente maschile in particolare, come il Senegal o il Ma-
rocco. Le ristrettezze normative della Legge 202 in merito alle possibilità di
permanere regolarmente nel nostro paese spiegano così la grande differenza
dei regolarizzati africani in Sardegna rispetto al dato nazionale: in questo caso
l’assunzione nel settore domestico sembra sia stata utilizzata solo esclusiva-
mente per sanare una posizione di irregolare presenza sul territorio, senza al-
cuna influenza reale ed effettiva sul settore economico relativo; si tratterebbe,
insomma, di false assunzioni.
    In secondo luogo è evidente come il processo di emersione abbia coinvolto
fortemente la componente dell’Europa orientale rispetto alle altre aree del
mondo: l’Europa dell’Est è presente per il 53% dei regolarizzati (che, come
abbiano già ricordato, sono quasi esclusivamente donne), mentre – a parte il
caso africano già discusso – rimane decisamente inferiore al dato nazionale la
quota delle donne proveniente dai paesi latinoamericani (4,8% contro il 14,6%)
e più o meno in linea quella dei paesi asiatici (8,2% contro l’8,9% nazionale).
    Infine, all’interno del contesto europeo-orientale è la componente ucraina
ad emergere come la comunità prevalentemente coinvolta nel settore domesti-
co, e ciò sia rispetto alle altre comunità dell’Est europeo presenti nell’isola
(Romania, Polonia, Russia e Moldavia) sia rispetto al dato medio nazionale.
Si tratta, in questo caso, di soggetti entrati regolarmente in Sardegna con un
visto turistico, già effettivamente impiegati nel settore domestico e, una volta
scaduto il visto, rimaste in situazione di irregolarità.
                                              12
Tab. 7 - Regolarizzazioni nel settore della collaborazione domestica per paesi e grandi aree
       (Sardegna e Italia, 2004)
                                         Val.% Sarde-      Val. % sul
                              Val.ass.                                  Val.ass.   Val. %
                                         gna sul Conti-   totale com-
                              Sardegna                                   Italia     Italia
                                             nente          plessivo
            Paesi asiatici
  Bangladesh                      24             17,8           1,5        3571       1,0
  Cina                            53             39,3           3,2        5830       1,7
  Filippine                       14             10,4           0,9       10709       3,1
  India                            3              2,2           0,2        2160       0,6
  Pakistan                        33             24,4           2,0        1119       0,3
  Sri Lanka                        2              1,5           0,1        5709       1,7
  Altri                            6              4,4           0,4        1512       0,4
  Tot. Asia                      135           100,0            8,2       30610       8,9
     Paesi Latinoamericani
  Argentina                        2              2,6           0,1         643       0,2
  Brasile                         10             12,8           0,6        3263       1,0
  Colombia                        10             12,8           0,6        2823       0,8
  Equador                         33             42,3           2,0       25785       7,5
  Perù                            16             20,5           1,0       13919       4,1
  Rep. Domenicana                  1              1,3           0,1         979       0,3
  Altri                            6              7,7           0,4        2759       0,8
  Totale America Latina           78           100,0            4,8       50171     14,6
            Paesi africani
  Algeria                          3              0,5           0,2         816       0,2
  Egitto                           0              0,0           0,0         510       0,1
  Marocco                        125             22,0           7,6        9915       2,9
  Nigeria                         42              7,4           2,6        3978       1,2
  Senegal                        317             55,7          19,3        4621       1,3
  Tunisia                          7              1,2           0,4        1201       0,4
  Altri                           75             13,2           4,6       11060       3,2
  Totale Africa                  569           100,0           34,7       32101       9,4
          Paesi est-europei
  Polonia                         83              4,0           5,1       26256       7,7
  Romania                        150              7,3           9,1       65638     19,1
  Albania                         28              1,4           1,7       11609       3,4
  Russia                          31              1,5           1,9        5262       1,5
  Ucraina                        507             24,6          30,9       90247     26,3
  Moldavia                        32              1,6           2,0       23020       6,7
  Altri                           28              1,4           1,7        8065       2,4
  Totale Europa Est              859             41,7          52,3      230097     67,1
  Totale complessivo            1641           100,0          100,0      342979    100,0

                                            13
Sono dunque gli immigrati dell’Est europeo, quasi esclusivamente donne e
per lo più provenienti dall’Ucraina, ad avere dato il maggior contributo nel
rivoluzionare il settore di cura domestico in Sardegna.
    Lo schema utilizzato per spiegare questa rapida crescita del settore dome-
stico è legato ad un complesso di elementi che la Andall27 fa risalire alla fine
degli anni ’60: è proprio in questi anni che si verificano alcuni cambiamenti
importanti nel settore del lavoro domestico ma, in generale, negli schemi cul-
turali delle donne italiane. Queste sono sempre meno disposte a prendere ser-
vizio vivendo “sotto lo stesso tetto” dei datori di lavoro e cercano di spostarsi
in altri settori del mercato del lavoro o nel segmento del lavoro domestico ad
ore. Ciò, però, non significa che le famiglie italiane smettano di domandare
questi servizi domestici: proprio le nuove possibilità lavorative che si aprono
alle donne le spingono a ricercare quelli che sono stati definiti equivalenti fun-
zionali28, ovvero altre donne che possano svolgere, in loro vece, alcune delle
funzioni di cura che il modello culturale dominante assegna loro. Per poter
accedere al mercato del lavoro – conciliando professione e famiglia - le donne
italiane, oltre a sperimentare strategie quale il ridimensionamento del tasso di
fecondità29, sono costrette a cercare altre donne che possano sostituirle in am-
bito domestico. Il vicolo cieco in cui è costretta la donna italiana si costruisce
infatti in presenza di altri tre elementi vincolanti: l’allungamento della vita
media e un aumento della domanda di assistenza da parte dei genitori anziani;
la natura del modello di welfare mediterraneo e il contemporaneo restringi-
mento delle reti parentali in grado di fornire aiuto; e, infine, la cristallizzazio-
ne di genere nella distribuzione dei compiti domestici, con l’indisponibilità
degli uomini a supportare la donna in relazione ad un aumento dei carichi di
cura.
    Fino a non molti anni addietro il problema dell’equivalente funzionale non
si poneva in un paese dove il numero di donne che potevano vantare un lavoro
extradomestico era poco significativo e la gran parte di queste si ritirava dal
mercato del lavoro al momento del matrimonio, provvedendo così in prima
persona al lavoro di cura30. I tassi crescenti di attività femminile hanno ribalta-
to questo fragile equilibrio: basti pensare che mentre nel 1981 il tasso femmi-
nile di partecipazione al mercato del lavoro si attestava intorno al 39,6, nel
2001 lo troviamo al 47,8 (Italia, dati Ocse e Istat). Questo processo appare in

27
   J. Andall, 2000, cit.
28
   A. Colombo, 2003, cit.
29
   L’Italia ha uno dei tassi più bassi al mondo, 1,2 figli/donna; cfr. A. Golini, A. Mussino, M.
Savioli, Il malessere demografico in Italia, Il Mulino, Bologna 2001.
30
   C. Saraceno, “Le politiche per la famiglia”, in M. Barbagli e C. Saraceno (a cura di), Lo stato
delle famiglie in Italia, Il Mulino, Bologna 1997.
                                               14
tutta la sua portata in Sardegna dove, nel 2004, il livello di partecipazione
femminile – pur ancora distante di circa 20 punti da quello maschile – era in
costante crescita (46,2) e risultava ben più elevato rispetto al tasso delle donne
siciliane (35,5), pugliesi (36,9), campane (37,3) e calabresi (39). Come ben
dice Pruna31, “per valutare la portata del cambiamento, ciò che va tenuto pre-
sente è che fino agli anni ’90 la Sardegna aveva tassi di attività molto più bas-
si rispetto a tutte le altre regioni meridionali. Non solo, dunque, abbiamo rag-
giunto un livello di partecipazione al lavoro mai registrato in precedenza – re-
cuperando il divario rispetto al resto del Mezzogiorno e addirittura ribaltando-
lo a nostro favore - ma lo abbiamo fatto in un tempo piuttosto breve”. Anche
altri indicatori mostrano questa enorme propensione delle donne ad entrare nel
mercato del lavoro: oltre l’82% dell’occupazione aggiuntiva creata in Italia
negli ultimi dieci anni è femminile, mentre in Sardegna la quota di donne tra
gli occupati aggiuntivi oltrepassa l’86%; se nel resto del paese il numero degli
occupati cresce dal 1993 al 2003 del 7,7% e per le donne questa variazione
oltrepassa il 18%, in Sardegna il numero degli occupati cresce del 10,3% e
quello delle donne del 30,6%. Le donne dunque entrano più numerose nel
mercato del lavoro, studiano di più e, anche per questo, trovano più opportuni-
tà di impiego e rimangono attive più a lungo.
    Ma mentre queste enormi trasformazioni consentono un certo migliora-
mento della condizione sociale delle donne, sono altri cambiamenti socio-
demografici a determinare difficoltà di allineamento e di conciliazione tra oc-
cupazione retribuita e impegni domestici, primi tra tutti il crescente aumento
della popolazione anziana e il relativo carico di cura nei confronti della parte
più debole. Negli ultimi 25 anni, tra il 1975 e il 2000, all’interno dell’Europa
mediterranea l’Italia è il paese ad aver avuto il più rapido e alto tasso di varia-
zione assoluta media annua della popolazione ultra-sessantacinquenne
(+136,5% contro +119% della Spagna, il +32% della Grecia e il +28,7% del
Portogallo)32. Nella stessa direzione la variazione assoluta media annua degli
ultraottantenni: in Italia, tra il 1975 e il 2000, sono cresciuti del 37,2%
all’anno, mentre il dato si ferma al 35% per la Spagna, all’11% per la Grecia e
all’8,3% per il Portogallo. Anche un sintetico quadro storico dell’evoluzione
demografica dal dopoguerra ad oggi (tab. 8) non fa altro che confermare lo
stravolgimento demografico del nostro paese, e le previsioni per il 2021 evi-
denziano l’accelerazione del forte trend di invecchiamento della popolazione
ormai già avviato da tempo. D’altronde, non sempre si tratta di una popola-

31
   M. L. Pruna, “Quello che i dati sul mercato del lavoro raccontano di noi. Ovvero come cam-
biamo senza accorgercene”, paper non pubblicato, Università degli Studi di Cagliari, 2006.
32
   Dati Eurostat, 2001.
                                             15
zione “sana”, ma di soggetti che necessitano di attenzioni e cure più o meno
continuative: l’Istat stima che nel 1999-2000 sul complesso delle persone con
più di 65 anni, solo il 19% non denunciava alcuna malattia cronica, mentre il
41,2% ne riportava almeno una grave e il 47,5% almeno tre33.
Tab. 8 – Popolazione per grandi classi d’età (1951-1991 e previsioni al 2021); Italia, val. %
                   1951           1981              1991           2001              2021
 0 – 19             34,6             29,7            23,4            19,4             17,6
 20 – 59            53,2             52,8            55,4            55,8             51,7
 60 e più           12,1             17,4            21,1            24,8             30,6
 Totale           100,0             100,0           100,0          100,0             100,0
Fonte: Istat, 2001

    A modificare la richiesta di servizi alla persona concorre non solo
l’invecchiamento delle persone ma anche quello delle famiglie, che vedono in
questi ultimi 20 anni una modificazione importante nel peso delle differenti
tipologie: secondo i dati Istat, dal 1981 al 2001 le famiglie con figli vedono
ridurre il proprio peso dal 53% al 41%, mentre cresce il volume delle coppie
senza figli (dal 18% al 21%) e quello delle persone sole (dal 18% al 25%), per
lo più composte da persone anziane.
    La crescita della domanda di lavoro domestico soddisfatto dalla presenza
di manodopera immigrata a buon prezzo, tradisce quindi una chiara difficoltà
della società italiana a farsi carico di un aumento della domanda di cura da
parte dei più deboli. Ma l’utilizzo di personale straniero non è un dato sconta-
to: Sciortino34 ha dimostrato come oggi il ricorso a personale domestico priva-
to sembra essere più forte in presenza di particolari modelli di welfare, come
quello italiano o mediterraneo, laddove la spesa sociale comporta più trasfe-
rimenti monetari che offerta di servizi. In Italia e in Spagna, infatti, il modello
di welfare si basa sostanzialmente sulla prevalente importanza della famiglia e
della donna nella dazione di servizi di accudimento. Senza entrare nel detta-
glio, come è noto35, la famiglia è infatti solo una delle tre istituzioni principali
(oltre il mercato e lo stato) che nei moderni regimi di welfare concorre a pro-
durre servizi assicurando un certo grado di protezione ai cittadini. È proprio il
livello di prevalenza di uno degli attori sugli altri a definire i principali model-
li di welfare: quello italiano vede esaltato il ruolo della famiglia e - nel con-

33
   Per malattia cronica grave si intende: diabete, infarto del miocardio, angina pectoris, altre
malattie del cuore, trombosi, embolia, emorragia celebrale, bronchite, enfisema, insufficienza
respiratoria, cirrosi epatica; Istat 2001.
34
   G. Sciortino, “Immigration in a Mediterranean Welfare State ...”; cit.
35
   Il riferimento obbligato per lo studio dei tre modelli di welfare è G. Esping Andersen, I fon-
damenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino, Bologna 2000.
                                               16
tempo - uno stato che provvede con trasferimenti monetari in sostituzione di
una scarsa offerta di servizi sociali. Nel nostro paese, dunque, la famiglia è
chiamata a svolgere un ruolo di compensazione delle carenze istituzionali, fa-
cendosi carico dell’erogazione di servizi di cura che, negli altri regimi di wel-
fare, sono invece tipicamente prerogativa dello stato sociale. Solo per dare
un’idea delle difficoltà che incontra una famiglia italiana nell’accudimento
delle persone più deboli e bisognose, basti pensare che solo il 6% dei bambini
in età prescolare (da 0 a 3 anni) frequenta asili nido (a fronte del 40% in Nor-
vegia, 48% in Svezia, 64% in Danimarca, 38% in Irlanda, 30% in Belgio, 29%
in Francia e 34% in Gran Bretagna)36. Solo il 3,9% degli anziani vive in resi-
denze assistenziali, mentre la quota è del 6,6% in Norvegia, 8,7% in Svezia, 7%
in Danimarca, 5% in Irlanda, 6,4% in Belgio, 6,5% in Francia e 5,1% in Gran
Bretagna.
    L’aumento del potenziale di cura presente nella nostra società e la latitanza
del welfare statale nel fornire un volume di servizi sociali adeguati sono ag-
gravati anche dalla strutturale asimmetria di genere nella distribuzione dei ca-
richi di lavoro familiari: parlare di cura da parte delle famiglie significa, infat-
ti, parlare del ruolo isolato della donne nei compiti assistenziali. Le indagini
multiscopo dell’Istat sulle famiglie, da questo punto di vista, descrivono uno
scenario immutato nel tempo: a qualsiasi ora del giorno, a prescindere
dall’impegno lavorativo retribuito (ovvero extra-domestico), in relazione alle
diverse classi d’età, il carico del lavoro familiare della donna rispetto a quello
del proprio partner maschio è assolutamente “esorbitante”. Sia che si svolga in
ambito domestico o che l’aiuto sia fornito a familiari non coabitanti, la donna
è sempre più presente dell’uomo nella cura sanitaria, nell’assistenza degli a-
dulti, in quella ai bambini e nel complesso delle altre attività domestiche. Ha
quindi ragione Alemanni a descrivere la situazione di abbandono in cui si tro-
vano le donne italiane nell’affrontare i compiti di cura come doppio inganno:
il lavoro domestico viene delegato alle donne contemporaneamente dalle isti-
tuzioni e dagli uomini37.
    Dal punto di vista della domanda, viste le condizioni strutturali appena de-
scritte, la mancanza di una politica in materia di immigrazioni e il sistema del-
le sanatorie si sono perfettamente saldati con i bisogni delle famiglie italiane:
il ricorso a colf e badanti diventa una scelta (quasi) necessaria per far fronte
alle responsabilità del lavoro domestico e di cura in una situazione di insuffi-
cienza del welfare. Ecco che in tutte le regioni italiane impiegare persone di
servizio non è più un lusso riservato ai ceti più benestanti, ma è diventato una

36
     La fonte è Oecd, Employment Outlook, Bruxelles 2001.
37
     C. Alemanni, “Le colf: ansie e desideri delle datrici di lavoro”, in Polis, n. 1, 2004.
                                                   17
necessità per tutti i ceti, compresi quelli medio e medio bassi che fino a poco
tempo fa non se ne avvalevano o (soprattutto) non potevano permetterselo: in
tal senso, si sta definendo una inversione di tendenza che in certi contesti è
stata plurisecolare38. Questa necessità può venire soddisfatta perché, sempli-
cemente, in altre zone del mondo esistono persone (per lo più donne) che tro-
vano conveniente impiegarsi come domestiche in paesi occidentali e ciò av-
viene non solo per evidenti ragioni di carattere strettamente economico39.
    Dunque la sanatoria del 2002 non ha fatto altro che far emergere una delle
strategie più importanti di ingresso nel mercato del lavoro, nel sistema abitati-
vo e nelle relazioni socio-culturali da parte di una massa crescente di popola-
zioni di recente immigrazione, per lo più quella proveniente dall’Est europeo.
Insomma, le donne italiane si sono “liberate usando altre donne”40, disponibili
ad essere usate.

3. Perché proprio le donne dall’Est?

    L’immigrazione ucraina in Italia è abbastanza recente, risalendo i primi ar-
rivi al 1998-99, dunque solo 7 – 8 anni41; si è però posta all’attenzione degli
studiosi, dei media e delle altre istituzioni come un fenomeno rilevante per la

38
   M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia italiana dal XV al XX secolo, Il
Mulino, Bologna 1984.
39
   Spesso il lavoro domestico viene preferito ad altri tipi di lavoro perché, oltre a risolvere im-
mediatamente problemi gravi quali l’alloggio e l’impiego riducendo al minimo le spese, è un
canale privilegiato di socializzazione culturale. La presenza di donne che emigrano individual-
mente (lasciandosi alle spalle mariti e prole) è un fenomeno ricorrente: molte storiche hanno
visto nel servizio domestico uno dei principali canali di inurbamento di masse enormi di donne
di origini rurali e un fondamentale percorso di socializzazione alla vita urbana; R. Sarti, Noi
abbiamo visto.., cit. Anche nel caso isolano, il Casalis mette in evidenza come nell’800 la gran
parte dei servitori provenisse dai contadi o dalle zone rurali, con spostamenti su brevi distanze;
vedi le voci “Cagliari” e “Sassari”, in G. Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico-
commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Forni Ed., Bologna 1849, Ristampa Anasta-
tica.
40
   È una frase di Rosalba Dessì, delegata provinciale per Roma al congresso Acli-Colf; continua
la sindacalista: “Le donne […] quando cercano nel lavoro l’evasione che permetta loro di uscire
dal ghetto della famiglia per una propria realizzazione fanno pagare lo scotto di questa emanci-
pazione alle colf che le sostituiscono”; riportato in J. Andall, “Acli-Colf e immigrazione stra-
niera”, in Polis, n. 1, 2004.
41
   Le prime arrivano in Italia tra il 1998 e il 1999 con un progetto migratorio a breve termine
(tra 6 mesi e l’anno); la realtà delle cose (rimborso spese di viaggio, ripiano debiti, acquisto
casa, etc..) allunga il progetto ad altri 2-4 anni; cfr. C. Mazzacurati, “Dal blat alla vendita del
lavoro. Come sono cambiate colf e badanti ucraine e moldave a Padova”, in T. Caponio e A.
Colombo, Migrazioni globali, integrazioni locali, Il Mulino, Bologna 2005.
                                                18
sua rapidissima crescita in tempi così ristretti: gli ultimi dati disponibili (pre-
senze al gennaio 200542) raccontano di una comunità che si attesta ad oltre 93
mila presenze. Dopo l’Albania (316 mila), il Marocco (294 mila), la Romania
(248 mila), e la Cina (111 mila), l’Ucraina è il quinto paese per ordine di pre-
senze sul territorio italiano. Come abbiamo visto, grazie alla Bossi-Fini è pro-
prio questo paese (insieme alla Romania, alla Polonia e all’Albania) ad aver
modificato radicalmente il panorama migratorio in Italia: se nei primi anni ‘90
era l’Africa maghrebina insieme all’Asia centro-orientale a dominare la scena,
ora sono soprattutto l’Europa dell’Est e (ma in minor misura) l’America Lati-
na a definirsi come aree di forte pressione migratoria verso il nostro paese.
    Ciò ha significato una radicale trasformazione della struttura della popola-
zione migrante, con una più incisiva presenza delle donne rispetto al passato
(quasi il 49% del totale). D’altronde, se si leggono i dati dell’International
Organization for Migration, si scopre che oggi la metà dei migranti del mon-
do è costituita da donne43; in particolare, sono donne che rivestono un ruolo
differente rispetto a quello svolto nelle migrazioni più tradizionali. In passato
le donne erano trattate come esponenti rappresentative di una categoria omo-
genea: “non parla la lingua del paese ospite, non sa di solito né leggere né
scrivere e poiché non lavora, non possiede risorse proprie; soprattutto non ha
alcuna possibilità di entrare in contatto con il mondo industrializzato in cui
vive”44.
    Ma, pur sempre esistendo le migrazioni femminili, il ruolo delle donne mi-
granti appare oggi sicuramente differente dal passato: certo, continuano i mo-
vimenti sostanzialmente legati ai ricongiungimenti familiari (per cui le donne
emigrano a traino dei loro uomini), ma oggi, più che in passato, le donne
sembrano presentarsi da subito come protagoniste di progetti migratori auto-
nomi, e ciò vale a maggior ragione per le donne ucraine.
    Infatti, le donne dell’Europa Orientale hanno avuto, per motivi legati al si-
stema economico pianificato e al ruolo loro assegnato dall’ideologia che so-
steneva gran parte delle relazioni di genere nel blocco sovietico, un forte ruolo

42
   ISTAT, http://demo.istat.it/bil2005/index.html.
43
   Dato citato in B. Ehrenreich e A. Russell Hochschild, Donne globali. Tate, colf e badanti,
Feltrinelli, Milano 2002.
44
   Molto spesso, però, si confondeva la modalità di ingresso di alcune donne immigrate (ricon-
giungimento familiare) con le forme della loro permanenza; in realtà, sebbene molte donne mi-
grassero come mogli, attuali o potenziali, ciò non significava automaticamente – e per tutte -
una loro esclusione dal mercato del lavoro e la conseguente inclusione nella categoria degli in-
dividui a carico. Inoltre, spesso il ricongiungimento familiare rende le entrate del marito insuf-
ficienti a mantenere la propria famiglia spingendo le donne a cercare un impiego; vedi B. Sor-
goni, “Migrazione femminile e lavoro domestico: un terreno da esplorare”, in La critica socio-
logica, 134, 2000.
                                               19
produttivo oltre che riproduttivo. Come si vedrà oltre, tutte (tranne le giova-
nissime) vengono da esperienze lavorative lunghe e faticose sia nelle fabbri-
che sia nella burocrazia statale (e lo stesso è accaduto per le loro madri)45: ciò
significa che l’esperienza dell’inversione dei ruoli - con il marito impegnato
nell’accudimento della casa e dei figli - non è nuova nei paesi dell’Est.
    La notevole presenza delle donne ucraine rispetto ai maschi si spiega, oltre
alla flessibilità nella possibilità di ricoprire ruoli domestici da parte della
componente maschile, anche in relazione al fatto che il lavoro disponibile in
Italia è solo per le donne, ovvero quello domestico. Allora, la decisione di e-
migrare viene presa in accordo con gli altri componenti come esito di un cal-
colo di costi/benefici all’interno del contesto-famiglia; il fatto che la domanda
di personale domestico in Italia sia orientato prevalentemente verso la compo-
nente femminile rende le possibilità di successo delle donne superiori a quelle
degli uomini.
    Un'altra causa della forte prevalenza femminile è determinata dalle modali-
tà di strutturazione delle reti che, nel tempo, sono state attivate e implementate
prevalentemente da donne e non da uomini: le pioniere nel corso del tempo
hanno attivato un canale di reclutamento propagatosi a catena attraverso il
quale sorelle, amiche e altre parenti – una volta giunte in Italia – hanno favori-
to gli arrivi di nuove donne. Come ben dice Boyd46, “sono le catene che emi-
grano”: le storie, i racconti delle altre donne e le informazioni che parenti e
amici emigrati nel nostro paese veicolano durante il loro ritorno sembrano il
fattore decisivo che determina la scelta di una donna ad emigrare e, una volta
iniziati, i flussi migratori si autoalimentano in quanto “riflettono reti di infor-
mazioni, assistenza e obbligazione che si sviluppano tra immigrati nella socie-
tà di destinazione e amici e parenti rimasti nell’area di origine”.
    Ma è in generale uno sguardo ai fattori di spinta che può aiutare a spiegare
questo improvviso e rapido movimento migratorio caratterizzato nel genere.
L’Ucraina è un paese caratterizzato da un forte sviluppo dell’industria pesante,
oggi però tecnologicamente obsoleta; ha una posizione strategica tra Europa e
Asia ed è anche terreno di attraversamento da parte dell’immigrazione illega-
le47. Il crollo dell’ex regime sovietico e l’ingresso nell’economia di mercato
hanno colpito improvvisamente e inaspettatamente il paese e le famiglie, pol-

45
   A. Spanò e A. M. Zaccaria, “Il mercato delle collaborazioni domestiche a Napoli: il caso del-
le ucraine e delle polacche”, in M. La Rosa e L. Zanfrini (a cura di), Percorsi migratori tra reti
etniche,istituzioni e mercato del lavoro, FrancoAngeli, Milano 2003.
46
   M. Boyd, “Family and Personal Networks in International Migration: Recent Developments
and New Agendas”, in International Migration Review, vol. 23, n.3, 1989.
47
   Cfr. A. M. Baldussi, Asia mobile. Luoghi e percorsi di dinamiche migratorie, in questo vo-
lume.
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