Direttamente a casa nostra. Stranieri e servizio domestico in Sardegna
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Direttamente a casa nostra. Stranieri e servizio domestico in Sardegna di Marco Zurru “Una estranea perturbante compare all’interno di uno spazio domestico borghese. Ella non può esse- re tenuta a distanza”. J. Clifford, 1997 1. Il punto di partenza: l’emersione di un welfare nascosto Dopo diversi anni in cui si è giustamente posto l’accento sulle caratteristi- che di late comer del nostro paese nel sistema migratorio europeo, anche e so- prattutto per contrastare le grida allarmistiche di una stampa poco responsabi- le, si può ormai affermare che anche l’Italia è diventato - al pari (o quasi) di Francia, Germania e Inghilterra – un paese ad immigrazione matura: i conti- nui arrivi di stranieri che vogliono permanere per motivi prevalentemente le- gati al lavoro e al ricongiungimento famigliare possono essere letti come “un fenomeno stabilizzato ed embedded nelle trasformazioni della nostra società”1, ovvero un fatto strutturale. Giustamente qualcuno ha fatto osservare come “dalle dinamiche del mercato del lavoro ai cambiamenti nell’organizzazione della vita domestica, dal funzionamento del regime di welfare all’organizzazione degli spazi urbani, un numero crescente di dimensioni della vita sociale ed economica in Italia possono essere comprese solo tenendo pre- sente l’esistenza degli immigrati”2. L’espansione del fenomeno migratorio appare, infatti, come continuo e ra- pido: nel corso degli anni ’90 il numero degli stranieri è più che raddoppiato, 1 A. Colombo, “Razza, genere, classe. Le tre dimensioni del lavoro domestico in Italia”, in Po- lis, 2/2003. 2 G. Sciortino e A. Colombo, Introduzione, in G. Sciortino e A. Colombo (a cura di), Stranieri in Italia. Un’immigrazione normale, Il Mulino, Bologna 2003. 1
aumentato di quasi un milione di unità tra il 2000 e il 2004 e, oramai, alla fine del 2005 il loro numero supera – seppur di poco – i 3 milioni di presenze3. Questa dinamica è stata ampiamente favorita dai formali processi di emer- sione della componente irregolare della migrazione, ovvero dai vari interventi legislativi che, pur mettendo in piena luce le difficoltà delle azioni regolative in materia, hanno consentito l’ingresso e/o la regolare permanenza nel nostro territorio a numerosi lavoratori irregolari. Basti pensare che più di un terzo dei 649 mila permessi di soggiorno rilasciati nel 1992 sono rappresentati dalle au- torizzazioni a seguito della L. 39/90 (cosiddetta Legge Martelli), che aveva fatto uscire dalla clandestinità circa 208 mila persone, soprattutto africani ed asiatici4. Più del 60% dell’aumento delle presenze straniere registrato tra il 1992 e il 2000 fa riferimento ad immigrati che hanno usufruito della regola- rizzazione prevista con il Decreto Legge 489 del 1995 (noto come decreto Di- ni) e con il DPCM del 16 ottobre 1998. A beneficiare in modo prevalente dei due provvedimenti sono stati i cittadini dell’Europa centro-orientale, mentre era chiara la presenza via via più ridotta della componente irregolare tra gli africani. Infine, con l’approvazione della legge 189 del 2002 (nota come legge Bos- si-Fini) e con la legge 222 del 2002 si determina il più cospicuo intervento di regolarizzazione finora effettuato nel nostro paese: a fronte di oltre 700 mila nuove domande di regolarizzazione, in poco più di un anno, se ne accolgono circa 650 mila, un numero di poco inferiore alla somma complessiva di tutte le regolarizzazioni effettuate a partire dal 1990 (680 mila). La prima normati- va ha riguardato le procedure per l’emersione del lavoro irregolare da parte di chi “ha assunto alle proprie dipendenze personale di origine extracomunitaria, adibendolo ad attività di assistenza a componenti della famiglia affetti da pa- tologie o handicap ovvero al lavoro domestico di sostegno al bisogno familia- re”, e ha coinvolto oltre 316 mila irregolari. La seconda riguardava le proce- dure per l’emersione di immigrati che lavoravano alle dipendenze, ma in nero, nell’edilizia, in agricoltura e nell’industria, e ha coinvolto oltre 330 mila stra- nieri irregolarmente presenti. 3 Dossier Caritas/Migrantes, Immigrazione: riflessioni sui dati del 2005 e sulle prospettive, pa- per, maggio 2006. 4 Rispetto alle altre tre regolarizzazioni che verranno in seguito, questa sanatoria ha evidenziato il maggior numero di irregolari in rapporto alla componente legale (120,9 sanati ogni 100 stra- nieri presenti regolarmente; molto probabilmente ciò fu favorito dalle facili condizioni di ac- cesso alla sanatoria, per usufruire della quale era sufficiente dimostrare di essere nel nostro pae- se alla data del 31 dicembre 1989, rimandando al momento del rinnovo l’obbligo di documenta- re un’attività lavorativa intrapresa). 2
Il processo di regolarizzazione del 2002 ha messo in luce delle dinamiche importanti all’interno del sistema migratorio italiano5: in primo luogo, la pola- rizzazione per nazionalità ha evidenziato la pressione migratoria esercitata dai gruppi più recentemente giunti nel nostro paese; in secondo luogo è evidente un importante stravolgimento nella graduatoria dei gruppi nazionali presenti, con la presenza sempre più massiccia di cittadini provenienti dall’Europa dell’Est: in particolare, la Romania sale dal terzo al primo posto, l’Ucraina dal 27° al 5° posto, la Polonia dal 12° al 7°, la Moldavia dal 41° al 17°; infine, il fatto che su 702.156 domande di regolarizzazione presentate, circa la metà abbia riguardato colf e badanti ha portato simultaneamente alla ribalta sia la figura dell’assistente domestico che quella della immigrata-donna-lavoratrice rispetto alla moglie/sorella/figlia che in passato entrava nel nostro paese per il ricongiungimento familiare. Di fatto, questa sanatoria evidenzia un fenomeno sociale inatteso: la cre- scita nelle famiglie italiane del ricorso a servizi privati a pagamento per lo svolgimento di molti compiti domestici, e il fatto che questa domanda di lavo- ro e di assistenza si orienta prevalentemente verso il mercato del lavoro in- formale e, specialmente, verso il lavoro delle donne immigrate. Il reclutamen- to di personale domestico sembra infatti essere diventata una delle componen- ti strutturali del sistema migratorio italiano e una risorsa indispensabile per il funzionamento del nostro regime di welfare6: anche se è evidente come la cre- scita della presenza straniera disponibile a effettuare bad jobs possa aver ali- mentato una notevole espansione del lavoro domestico salariato, il fatto che quasi il 10% delle famiglie italiane (circa 2 milioni) utilizzi almeno uno dei servizi domestici (colf, badanti e baby sitter), dichiara una “evidente difficoltà da parte delle famiglie (e di tutta la società) a far fronte al lavoro domestico e di cura”7. La regolarizzazione ha dimostrato come queste difficoltà siano tra- sversali a tutte le partizioni regionali, siano soddisfatte per lo più dalla com- ponente immigrata femminile e, in massima parte, da quella ucraina e rumena. Anche se con numeri più contenuti rispetto alle altre regioni meridionali, la Sardegna è stata investita dal fenomeno e i processi di femminilizzazione e di ristrutturazione della gerarchia di nazionalità del sistema migratorio isolano 5 E. Zucchetti (a cura di), La regolarizzazione degli stranieri. +uovi attori nel mercato del la- voro italiano, FrancoAngeli, Milano 2004. 6 G. Sciortino, “Immigration in a Mediterranean Welfare State: The Italian Experience in Com- parative Perspective”, in Journal of Comparative Policy Analysis, vol.6, 2004; E. Reyneri, I veri problemi posti dalla regolarizzazione, in www.lavoce.info.it , 2002. 7 R. Sarti, “Noi abbiamo visto tante città, abbiamo un’altra cultura. Servizio domestico, migra- zioni e identità di genere: uno sguardo di lungo periodo”, in Polis, 1, 2004. Il dato sulle fami- glie italiane è quello stimato dall’ISTAT nelle sue indagini multiscopo sulle famiglie, 2003. 3
appaiono in tutta la loro evidenza. Questo lavoro cerca di delineare i contorni della riscoperta del lavoro domestico nell’isola, i profili della professione, i contenuti e le condizioni del lavoro domestico salariato immigrato e, in parti- colare, della componente ucraina8. 2. Un’occupazione scomparsa? Tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni Settanta sono nu- merosi i contributi che considerano il lavoro domestico salariato come “un’occupazione obsolescente, in crisi, ormai in agonia”9, e i dati relativi al numero di lavoratori domestici giustificavano queste posizioni. La moderniz- zazione, il progresso – con il passaggio dalla centralità dei ruoli ascritti a quel- li acquisiti nella definizione delle relazioni sociali - avrebbero dovuto spazza- re via molti dei vecchi lavori, ma soprattutto quelli in cui le caratteristiche specifiche di autorità nella relazione tra il datore di lavoro e il lavoratore (qua- si sempre “lavoratrice”) potevano risultare in qualche modo “imbarazzanti”. Infatti, se è vero che tra servi e domestici - largamente diffusi tra il XVI e gli inizi del XX secolo in Europa - era possibile anche la presenza di soggetti di estrazione sociale “non dissimile dai padroni”10, era molto più probabile che 8 Le risultanze seguenti derivano da un’analisi contemporanea della domanda e dell’offerta del lavoro domestico attraverso delle interviste semi-strutturate effettuate nella città di Cagliari ad un gruppo di 60 lavoratrici domestiche ucraine; dalla raccolta di una decina di storie di vita ad ulteriori immigrate e da 40 interviste non strutturate a datori di lavoro. La scelta delle unità da intervistare è dipesa unicamente dalla disponibilità delle stesse all’intervista; anche se non si avanza alcuna pretesa di rappresentatività del fenomeno, la possibilità di cogliere lo stesso da più punti di vista attraverso molteplici strumenti di indagine insieme alla numerosità del gruppo intervistato (un decimo del totale delle immigrate regolari nell’isola al 31 dicembre 2004) ci consente di affermare di poter offrire una visione notevolmente significativa del fenomeno. Le interviste sono state realizzate da Francesca Mocco. 9 R. Sarti, “Servizio domestico, migrazioni e identità di genere in Italia: uno sguardo storico”, paper, 2000; in www.uniurb.it/scipol/drs_servizio_domestico.pdf; i riferimenti più importanti sono L. A. Coser, “Servants: The Obsolescence of an Occupational Role”, in Social Forces, vol.52, n.1, 1973; V. Aubert, “The Housemaid – An Occupational Role in Crisis”, in Acta So- ciologica, I, 1955; G. Stigler, “Domestic Sevants in the United States, 1900-1940”, in +ational Bureau of Economic Research, 1945. In Italia Degli Espositi, pur evidenziando la grande arre- tratezza dei rapporti tra domestici e datori di lavoro, metteva in luce come “il mutato vivere sociale, l’assorbimento da parte dell’industria di molto personale femminile, la progressiva meccanizzazione dei servizi, anche quelli domestici, tendono a rendere anacronistica la stessa figura della domestica tuttofare, a meno che essa non debba servire agli ozi della signora; G. Degli Espositi, “Le domestiche”, in Il Mulino, n.15, 1953. 10 Ciò derivava dal fatto che “andare a servizio in gioventù poteva essere un modo per imparare un lavoro o altre abilità; che i figli esclusi dalla trasmissione ereditaria potevano rimanere come servitori; che gli orfani potevano essere accolti con uno status più o meno servile in casa di pa- 4
lo status di domestico risentisse di tutta la carica di stigmatizzazione e pena- lizzazione sedimentata nel tempo. Basti pensare che anche tra le costituzioni rivoluzionarie (tranne quella giacobina del 1793 e quella bolognese del 1796, mai applicate), la condizione di domestico era considerata elemento sospensi- vo dei diritti di cittadinanza11. Non sono pochi, infatti, gli autori che nella de- scrizione dei contenuti dell’attività domestica retribuita e delle relazioni di di- pendenza personale tra datore di lavoro e lavoratore usano esplicitamente il termine schiavismo12: una certa retorica sulle serve e della famiglia (definita con una equazione servi-figli) contribuiva a costruire un dispositivo di legit- timazione del controllo esercitato dal padrone sulla persona del servo, in par- ticolare sul suo corpo (punizioni corporali, accesso al corpo della serva, ha- rassment), sul tempo libero e sulle sue amicizie; inoltre, la relazione altamente personalizzata tra il datore di lavoro e il servo consentiva lo sviluppo di una de-personalizzazione di quest’ultimo, trattato come un oggetto in proprio pos- sesso o come qualcosa di così irrilevante da diventare talvolta trasparente (pratica che passava per l’assegnazione di un nome standard, volutamente i- gnorando quello reale). L’aspetto basilare di questa penalizzazione lo si può ritrovare nell’elemento della co-residenza (servant question): con l’impossibilità di co- struire una separazione tra spazio e tempo di lavoro e spazio e tempo di vita privata il domestico non vendeva solo il proprio tempo di lavoro ad una fami- glia ma anche la propria personalità, le proprie emozioni. Anche i primi mo- vimenti politici che iniziarono ad occuparsi del lavoro domestico salariato si rendevano conto dei pericoli che nascondeva la coabitazione del domestico con la famiglia padronale, e il fatto che la co-residenza dovesse essere supera- ta era ampiamente condivisa sia da molti socialisti riformisti che da diversi riformatori sociali13: agli inizi del secolo scorso una missionaria di un modo razionale, tayloristico, di gestire la casa ribadiva che “finché il lavoratore do- mestico non smetterà di vivere con noi (datori di lavoro) non risolveremo il renti, conoscenti o altri; che erano presenti schiavi stranieri di alta estrazione nelle società di origine”; R. Sarti, “Quali diritti per la donna? Servizio domestico e identità di genere dalla rivo- luzione francese ad oggi”, in M. Palazzi e S. Soldani, Lavoratrici e cittadine nell’Italia con- temporanea, Rosemberg & Sellier, Torino 2005. 11 In Francia i domestici maschi divennero cittadini solo nel 1848, ma subirono alcune discri- minazioni legali fino agli anni ’30; in R. Sarti, 2005, cit. 12 Una rassegna in A. Colombo, cit. In particolare vedi B. Sorgoni, “Migrazione femminile e lavoro domestico: un terreno da esplorare”, in La critica sociologica, 134, 2000; R. Sarti, “Noi abbiamo visto tante città.., cit. 13 R. Sarti, “Da serva a operaia? Trasformazioni di lungo periodo del servizio domestico in Eu- ropa”, in Polis, n.1, 2005. 5
problema”14. Da qui tutta una pletora di proposte quali la diffusione del servi- zio di non co-residenti, di operaie di stabilimenti cooperativi e, infine, l’utopia tecnocratica con la presenza in ogni casa di un servizio di elettrodomestici. Le condizioni del lavoro domestico diventano quindi una questione impor- tante in tutta Europa e nel II Congresso femminista, svoltosi a Bruxelles nel 1912, ritroviamo iniziative tese a fare del servizio domestico un vero lavoro: si propone di migliorare le condizioni degli addetti, di proteggere la maternità, di applicare la legislazione relativa agli infortuni sul lavoro, di regolamentare gli uffici di collocamento. Come ricorda bene Sarti, all’epoca pareva dunque che il futuro potesse essere radioso: “mille riforme sembrano poter rendere meno dura la vita dei domestici co-residenti che comunque, a detta di molti, sono destinati a ridursi fortemente o a scomparire, sostituiti da lavoratori e- sterni, operai o macchine”15. A distanza di quasi un secolo la realtà delle cose disegna un altro panora- ma sociale16: non solo i lavoratori domestici non sono scomparsi ma sono di- ventati più numerosi di quanto fossero cento anni fa17; non solo cresce il lavo- ro domestico in tutti i paesi occidentali, ma anche il numero di lavoratori e la- voratrici che vivono con le famiglie dove prestano il servizio, mettendo in chiaro la persistenza di elementi pre-moderni nelle relazioni di lavoro, come la mancata separazione tra casa e luogo di lavoro. Si assiste insomma ad una sorta di revival del lavoro domestico salariato: a differenza di quanto avveniva un secolo fa, sono molte le persone – prevalentemente immigrate - disposte a 14 C. Frederick, The +ew Housekeeping: Efficiency Studies in Home Management, Garden City, New York 1914. Con grande chiarezza Sarti mette in luce come, almeno in una prima fase, la solidarietà delle femministe borghesi occidentali verso le domestiche faticasse a farsi concreta; ma neanche i socialisti sembravano brillare per iniziativa. Le cose andavano un po’ meglio in Russia, dove nel 1907 presso la Duma di Mosca – pur senza successo – venne presentato un vasto programma a favore dei domestici: orario massimo di 9-10 ore giornaliere, controllo delle condizioni di lavoro da parte delle autorità, ambienti salubri, assicurazione nel caso di infortu- nio o disoccupazione, congedi di maternità e uffici di collocamento; R. Sarti, “Da serva a ope- raia?...” cit”. A distanza di quasi un secolo queste richieste rimangono talmente attuali che mol- te delle badanti ucraine, russe e moldave, probabilmente, le sottoscriverebbero con convinzione. 15 R. Sarti, “Da serva a operaia?...”; cit. 16 In particolare, vedi J. Andall, Gender, Migration and Domestic Service: The Politics of Black Women in Italy, Aldershot, Ashgate, 2000; J. Andall, “Hierarchy and Interdependence: The Emergence of a Service Caste in Europe”, in J. Andall (a cura di), Gender and Ethnicity in Contemporary Europe, Berge, Oxford 2003; J. Andall e R. Sarti, “Le trasformazioni del servi- zio domestico in Italia: un’introduzione”, in Polis, n. 1, 2004; B. Anderson, Doing the Dirty Work? The Global Politics of Domestic Labour, Zed Books, London – New York 2000; Inps/Caritas, Il mondo della collaborazione domestica: I dati del cambiamento, www.caritasfano.net/documenti/collaborazione_domestica.pdf.; A. Colombo, “Il mito del lavo- ro domestico” in Polis, n. 3, 2005. 17 R. Sarti, “Noi abbiamo visto tante città ...”; cit. 6
lavorare come domestici o come badanti in tutti i paesi occidentali a prezzi contenuti rispetto alla disponibilità dei datori di lavoro, e non sono analfabeti, ma spesso ex-professionisti (medici, ingegneri, docenti, etc..), impiegati pres- so famiglie per cui la loro presenza “non è una questione di lusso, ma una stretta e contingente necessità”18. Nel nostro paese il lavoro domestico con la presenza di una componente straniera ha cominciato a prendere piede intorno agli anni Settanta (vedi tab. 1), è cresciuto negli anni Ottanta ed ha assunto un trend fortemente ascenden- te nel decennio successivo. Solo nel 1982 gli stranieri non erano che il 5,6% degli immatricolati all’Inps19; nel 1991 balzavano al 16,5% e in questi ultimi anni sono ampiamente oltre la metà degli iscritti. Tab. 1 – Lavoratori domestici, nel complesso e stranieri iscritti all’Inps (1972 al 2001) Totale lavoratori domestici Lavoratori domestici stranieri % stranieri 1972-82 1004302 56037 5,6 1991 216836 35740 16,5 1992 263956 53861 20,4 1993 243248 58954 24,2 1994 186214 52251 28,1 1995 191663 66620 34,8 1996 250496 126203 50,4 1997 236639 114901 48,6 1998 238077 117099 49,2 1999 247450 126297 51,0 2000 256539 136619 53,3 2001 244947 130334 53,2 Fonte: R. Sarti, 2004 È evidente come il dato sia, per la natura stessa del lavoro, assolutamente sottostimato: secondo l’Istat la quota sommersa del lavoro domestico è cre- sciuta col tempo fino a raggiungere, nel 2000, oltre 800 mila lavoratori. Infatti, i dati della sanatoria del 2002 starebbero evidenziando una tendenza all’emersione del sommerso per meno della metà dei lavoratori irregolari, tra i quali è difficile distinguere italiani e stranieri. 18 C. Alemanni, “Le colf: ansie e desideri delle datrici di lavoro”, in Polis, n. 1, 2004. 19 In Sardegna, nel 1982, il numero dei lavoratori domestici iscritti alle casse dell’Inps era di 46.743 unità, di cui 538 stranieri, poco più dell’1% sul totale; R. Sacconi, “Le colf, queste sco- nosciute”, in Politica ed Economia, n. 1, 1984. 7
Tab. 2 – Stima della consistenza dei lavoratori domestici (servizi domestici presso famiglie e convivenze), nel complesso e irregolari (in migliaia; 1992-2000) Totale Irregolari % irregolari sul totale 1992 953,9 710,3 74,5 1993 954,8 723,9 75,8 1994 950,7 711,8 74,9 1995 959,1 713,2 74,4 1996 1050,2 802,7 76,4 1997 1042,2 801,4 76,9 1998 1048,0 799,1 76,3 1999 1043,8 797,9 76,4 2000 1049,5 807,9 77,0 Fonte: Istat, 2002 Prendendo per buone le stime più attendibili20 che valutano in Italia il nu- mero dei lavoratori domestici in oltre un milione di unità, l’Istat ne considera stranieri circa il 45-46%21; si conosce invece con maggior dettaglio il dato sul- la quota degli immigrati sul totale dei lavoratori regolari o in via di regolariz- zazione, che assommerebbero a circa i quattro quinti del totale. Il lavoro do- mestico si è dunque trasformato, crescendo, in “nicchia etnica”. Altre indagini, come quelle multiscopo sulle famiglie dell’Istat (che dal 1996 rilevano il ricorso a collaboratori domestici), evidenziano una novità che caratterizza le famiglie italiane, ovvero “l’allargamento della schiera dei dato- ri di lavoro”: da lusso riservato ai gruppi sociali benestanti, il ricorso al lavoro domestico diventa necessità accessibile per nuclei familiari di ceto medio e medio-basso. Nei primi anni del 2000 il ricorso da parte delle famiglie al lavo- ro domestico salariato ha riguardato 2 milioni e 17mila famiglie22: il 12,3% delle famiglie del Centro, l’8,4% del Nord e l’8,1% del Mezzogiorno; un mi- lione e 576 mila famiglie si sono avvalse di una colf, 173 mila sono state sup- portate nel lavoro di cura dei figli da babysitter e 451 mila hanno usufruito dell’aiuto di una badante nell’assistenza a familiari anziani o con handicap. In particolare (tab. 3), pur con delle oscillazioni di breve periodo, le famiglie che impiegano una colf sarebbero il 7-7,5% del totale, quelle che ricorrono ad una babysitter l’1-2%, circa il 2% quelle che si avvalgono di una badante. 20 La CGIL stimava, per il 1999, la presenza di circa 1 milione e 200 mila lavoratori domestici; cfr. Audizione Parlamento Europeo di M. Meschieri, www.filcams.cgil.it, citato in R. Sarti, cit. Il dato Istat in L’occupazione non regolare nelle stime di contabilità nazionale secondo il Sec95. Anni 1992-1999, Dati analitici settembre 2002, www.istat.it. 21 Quota che si ottiene contabilizzando solo gli stranieri regolari e in via di regolarizzazione. 22 Istat, Indagini multiscopo sulle famiglie, 1996-2001. 8
Tab. 3 – Famiglie italiane che fanno ricorso a collaborazioni domestiche (1996-2001; val. %) Colf Babysitter Badante Almeno un servizio 1996 7,4 1,0 1,8 9,2 1997 7,6 1,1 2,2 9,2 1998 6,9 1,7 2,0 8,7 1999 6,8 1,4 1,8 8,4 2000 6,9 0,9 1,5 8,8 2001 7,2 1,2 2,1 8,8 Fonti: Istat, varie 1996-2001; dati trattati in R. Sarti, cit. Certo, sono dati che vanno letti con prudenza, proprio perché frutto di sti- me e fortemente caratterizzati dai già citati fenomeni di sommersione: sono infatti le caratteristiche del lavoro stesso che determinano ampi margini di in- visibilità a questa professione, spesso svolta in nero. Nonostante ciò, pur in presenza di un contenzioso sui numeri, sia che si parli di “crescita con anda- menti alterni, che di ritorno, o di rinascita”23, è evidente la forte responsabili- tà della componente straniera nell’aver alimentato la rapida e notevole espan- sione del lavoro domestico salariato: il lavoro domestico “è conseguenza attu- ale di una migrazione che vede le lavoratrici spostarsi su lunghe distanze per coprire la domanda di servizi domestici dei paesi più ricchi” 24 , e in ciò l’ultima grande regolarizzazione – come è stato già detto – ha contribuito non poco. Nonostante i suoi numeri contenuti rispetto al dato nazionale (3202 istanze presentate, lo 0,5% sul totale complessivo), il recente processo di regolarizza- zione sviluppatosi in Sardegna ha coinvolto un elevato numero di immigrati 23 In particolare, Asher Colombo insiste sul fatto che “più che di ritorno e svolta nel lavoro domestico, è più corretto parlare di una interruzione del declino post-bellico seguita da una mo- desta crescita con molte oscillazioni erratiche”. Secondo l’autrice, in primo luogo, la crescita del lavoro domestico non sarebbe un fenomeno lineare in tutti i paesi europei e in USA; inoltre, in Italia la crescita molto recente sarebbe iniziata nella seconda metà degli anni ’90 ma avrebbe dimensioni molto meno marcate di quanto finora sostenuto nella letteratura specializzata ed è seguita da una nuova fase di declino; A. Colombo, “Il mito del lavoro domestico”, in Polis, n. 3, 2005. Mentre a parlare di svolta e rinascita sono la Andall e la Sarti; in particolare per quest’ultima: “proprio questi dati, per quanto frutto di stime, rappresentano un secondo elemen- to che colpisce chi conosce la storia del servizio domestico. Se infatti ammettiamo con tutte le cautele del caso che i lavoratori domestici siano più di un milione su una popolazione di circa 57 milioni, siamo costretti a concludere che – oggi – ci sono in Italia più domestici di quanto non ce ne fossero un secolo fa. E non solo in numero assoluto, ma anche in numero relativo. […] in numero assoluto più del doppio di quelli presenti nel 1901 […] ma la popolazione ita- liana non è raddoppiata rispetto a quella d’inizio del Novecento, è solo 1,76 volte più numerosa. Detto altrimenti: se allora c’erano circa 15 domestici ogni mille abitanti, oggi ce ne sarebbero più di 18”; R. Sarti, Servizio domestico, migrazioni...; cit. 24 J. Andall e R. Sarti, Le trasformazioni del servizio domestico in Italia…; cit. 9
se confrontato alle “cifre locali”. L’isola, infatti, è sempre stata molto in basso nella graduatoria regionale per numero di immigrati presenti25: basti pensare che nel 2002, anno di avvio del processo di emersione dall’irregolarità, in Sardegna erano presenti 11.737 stranieri, di cui oltre il 30% proveniente da paesi occidentali. Dunque, la base di partenza per valutare la portata della sanatoria va rivista alla luce di questi dati relativi che, invero, mostrano un certo “spessore” del fenomeno anche nell’isola. Se è evidente che la Bossi-Fini ha interessato solo immigrati provenienti da paesi in ritardo di sviluppo economico, bisogna evi- denziare come questa opportunità abbia coinvolto un volume pari al 40% de- gli immigrati regolarmente presenti in Sardegna. Inoltre, questo dato diventa anche una misura indiretta dell’irregolarità degli stranieri: in altri termini, nel 2002, ogni 10 immigrati regolari presenti nell’isola se ne trovavano 4 in con- dizioni di irregolarità, una cifra notevole. Tab. 4 – Domande di regolarizzazione per principali cittadinanze del lavoratore e genere in Sardegna e in Italia (2004) I II cittadi- III IV cittadi- (%) (%) (%) (%) cittadinanza nanza cittadinanza nanza Maschi Senegal Marocco Albania Cina 32,7 19,5 9,0 8,1 Sardegna (561) (333) (155) (139) Maschi Romania Marocco Albania Cina 20,8 12,4 11,6 5,8 Italia (77.926) (46.419) (43.717) (21.928) Femmine Ucraina Romania Polonia Cina 38,1 10,8 9,8 7,5 Sardegna (501) (142) (129) (98) Femmine Ucraina Romania Polonia Cina 28,4 20,0 8,4 7,4 Italia (90.311) (63.837) (26.647) (23.522) Fonte: ns. elaborazioni su dati Ministero dell’Interno Il Ministero dell’Interno ha fornito anche alcuni dati relativi alla prove- nienza di chi ha presentato istanza di regolarizzazione; purtroppo non sempre i dati sono completi, ma sono sufficienti ad illuminare qualche segmento del fenomeno dell’irregolarità: la tab. 4 mostra, infatti, come il processo di emer- 25 I titolari del permesso di soggiorno - comunitari e non - nella regione erano al dicembre 2002 pari allo 0,8% del totale dei soggiornanti in Italia, di cui invece la popolazione residente dell'I- sola costituisce il 2,8%, essi rappresentano lo 0,7% della popolazione della regione, mentre il valore corrispondente per l'Italia è 2,9%; M. L. Gentileschi, “Sardegna, terra di immigrazione nella quale non è facile mettere radici, in Sardegna”, in Sardegna Economica, n. 1, 2004. 10
sione sia stato caratterizzato da una forte polarizzazione rispetto al genere e alla nazionalità. La presenza femminile è infatti notevole, ed è concentrata in alcuni paesi dell’Europa dell’Est, dove primeggia l’Ucraina. Quella maschile è invece caratterizzata da altre due comunità storicamente “forti” nell’isola, il Senegal ed il Marocco; non a caso, sono queste due comunità – insieme alla sovrarappresentazione della componente ucraina – a presentare una consisten- za più elevata rispetto al dato medio nazionale. Dunque, l’applicazione della Bossi-Fini ha confermato ciò che i dati istitu- zionali e le ricerche locali avevano già messo in luce: la peculiare presenza della componente senegalese e marocchina e un’alta incidenza di irregolarità al proprio interno. Ma ha pure letteralmente “portato alla luce” ciò che era in- negabilmente da diverso tempo sotto gli occhi di gran parte dell’opinione pubblica, ovvero la nuova presenza di una comunità di donne provenienti dall’Est europeo, la cui comparsa nel panorama migratorio isolano appariva funzionale alla domanda di cura domestica delle famiglie sarde. Non è infatti un caso che quasi il 60% delle domande presentate nell’isola (quasi tutte ac- colte; tab. 5)26, abbia riguardato la regolarizzazione nel settore della collabo- razione domestica. Tab. 5 – +umero di istanze di regolarizzazione presentate e concesse in Sardegna per sesso e provincia al 1 gennaio 2004 accolte accolte % accolte su % accolte presentate accolte maschi femmine presentate su totale Cagliari 1408 1217 711 506 86,4 43,3 Sassari 1376 1213 658 555 88,2 43,2 Nuoro 257 236 152 84 91,8 8,4 Oristano 161 144 86 58 89,4 5,1 Sardegna 3202 2810 1607 1203 87,8 100,0 Fonte: ns. elaborazione su dati Istat 2005 L’influenza della sanatoria sulle dinamiche e la consistenza del settore del- la collaborazione domestica è stata, inoltre, impressionante (tab. 6): con la presenza dei nuovi migranti gli iscritti all’Inps hanno subito un incremento notevole grazie ad una variazione positiva del 326% (mentre la media nazio- nale era del 333%), con un rapporto di 4 badanti ogni 1000 famiglie nell’isola. 26 La quasi totalità (87,8%) delle domande presentate in Sardegna è stata accolta, pur con qual- che lieve differenziazione a livello provinciale: di fatto, sono le due province dove storicamente si è sedimentato l’insediamento migratorio – quella di Cagliari e Sassari – a mobilitare il mag- gior numero di richieste di regolarizzazione, oltre l’87% del totale. 11
Tab. 6 - Addetti stranieri alla collaborazione familiare e incidenza sulla popolazione (stima 2003) Colf/badanti Ass. INPS Regolarizzati Totale Variazione % ogni 1000 2002 2002 Domestici regolari ab. Cagliari 467 783 1250 267,7 1,6 Sassari 151 692 843 558,3 1,8 Nuoro 81 111 192 237,0 0,7 Oristano 28 55 83 296,4 0,5 Sardegna 727 1641 2368 325,7 1,4 Fonte: ns. elab. su dati I+PS – Dossier Statistico Caritas/Migrantes, 2003 Un monitoraggio dell’Inps (tab. 7) concede inoltre la possibilità di inqua- drare in modo più completo il fenomeno delle regolarizzazioni nel settore domestico in Sardegna e alcune sue peculiarità rispetto al panorama nazionale. In primo luogo bisogna evidenziare come la Bossi-Fini sia stata letta – ov- viamente – come una grande opportunità da parte di un gran numero di immi- grati provenienti da un eterogeneo gruppo di paesi, anche quelli in cui il lavo- ro domestico non si è mai presentato come una concreta possibilità di impiego per tutti e per la componente maschile in particolare, come il Senegal o il Ma- rocco. Le ristrettezze normative della Legge 202 in merito alle possibilità di permanere regolarmente nel nostro paese spiegano così la grande differenza dei regolarizzati africani in Sardegna rispetto al dato nazionale: in questo caso l’assunzione nel settore domestico sembra sia stata utilizzata solo esclusiva- mente per sanare una posizione di irregolare presenza sul territorio, senza al- cuna influenza reale ed effettiva sul settore economico relativo; si tratterebbe, insomma, di false assunzioni. In secondo luogo è evidente come il processo di emersione abbia coinvolto fortemente la componente dell’Europa orientale rispetto alle altre aree del mondo: l’Europa dell’Est è presente per il 53% dei regolarizzati (che, come abbiano già ricordato, sono quasi esclusivamente donne), mentre – a parte il caso africano già discusso – rimane decisamente inferiore al dato nazionale la quota delle donne proveniente dai paesi latinoamericani (4,8% contro il 14,6%) e più o meno in linea quella dei paesi asiatici (8,2% contro l’8,9% nazionale). Infine, all’interno del contesto europeo-orientale è la componente ucraina ad emergere come la comunità prevalentemente coinvolta nel settore domesti- co, e ciò sia rispetto alle altre comunità dell’Est europeo presenti nell’isola (Romania, Polonia, Russia e Moldavia) sia rispetto al dato medio nazionale. Si tratta, in questo caso, di soggetti entrati regolarmente in Sardegna con un visto turistico, già effettivamente impiegati nel settore domestico e, una volta scaduto il visto, rimaste in situazione di irregolarità. 12
Tab. 7 - Regolarizzazioni nel settore della collaborazione domestica per paesi e grandi aree (Sardegna e Italia, 2004) Val.% Sarde- Val. % sul Val.ass. Val.ass. Val. % gna sul Conti- totale com- Sardegna Italia Italia nente plessivo Paesi asiatici Bangladesh 24 17,8 1,5 3571 1,0 Cina 53 39,3 3,2 5830 1,7 Filippine 14 10,4 0,9 10709 3,1 India 3 2,2 0,2 2160 0,6 Pakistan 33 24,4 2,0 1119 0,3 Sri Lanka 2 1,5 0,1 5709 1,7 Altri 6 4,4 0,4 1512 0,4 Tot. Asia 135 100,0 8,2 30610 8,9 Paesi Latinoamericani Argentina 2 2,6 0,1 643 0,2 Brasile 10 12,8 0,6 3263 1,0 Colombia 10 12,8 0,6 2823 0,8 Equador 33 42,3 2,0 25785 7,5 Perù 16 20,5 1,0 13919 4,1 Rep. Domenicana 1 1,3 0,1 979 0,3 Altri 6 7,7 0,4 2759 0,8 Totale America Latina 78 100,0 4,8 50171 14,6 Paesi africani Algeria 3 0,5 0,2 816 0,2 Egitto 0 0,0 0,0 510 0,1 Marocco 125 22,0 7,6 9915 2,9 Nigeria 42 7,4 2,6 3978 1,2 Senegal 317 55,7 19,3 4621 1,3 Tunisia 7 1,2 0,4 1201 0,4 Altri 75 13,2 4,6 11060 3,2 Totale Africa 569 100,0 34,7 32101 9,4 Paesi est-europei Polonia 83 4,0 5,1 26256 7,7 Romania 150 7,3 9,1 65638 19,1 Albania 28 1,4 1,7 11609 3,4 Russia 31 1,5 1,9 5262 1,5 Ucraina 507 24,6 30,9 90247 26,3 Moldavia 32 1,6 2,0 23020 6,7 Altri 28 1,4 1,7 8065 2,4 Totale Europa Est 859 41,7 52,3 230097 67,1 Totale complessivo 1641 100,0 100,0 342979 100,0 13
Sono dunque gli immigrati dell’Est europeo, quasi esclusivamente donne e per lo più provenienti dall’Ucraina, ad avere dato il maggior contributo nel rivoluzionare il settore di cura domestico in Sardegna. Lo schema utilizzato per spiegare questa rapida crescita del settore dome- stico è legato ad un complesso di elementi che la Andall27 fa risalire alla fine degli anni ’60: è proprio in questi anni che si verificano alcuni cambiamenti importanti nel settore del lavoro domestico ma, in generale, negli schemi cul- turali delle donne italiane. Queste sono sempre meno disposte a prendere ser- vizio vivendo “sotto lo stesso tetto” dei datori di lavoro e cercano di spostarsi in altri settori del mercato del lavoro o nel segmento del lavoro domestico ad ore. Ciò, però, non significa che le famiglie italiane smettano di domandare questi servizi domestici: proprio le nuove possibilità lavorative che si aprono alle donne le spingono a ricercare quelli che sono stati definiti equivalenti fun- zionali28, ovvero altre donne che possano svolgere, in loro vece, alcune delle funzioni di cura che il modello culturale dominante assegna loro. Per poter accedere al mercato del lavoro – conciliando professione e famiglia - le donne italiane, oltre a sperimentare strategie quale il ridimensionamento del tasso di fecondità29, sono costrette a cercare altre donne che possano sostituirle in am- bito domestico. Il vicolo cieco in cui è costretta la donna italiana si costruisce infatti in presenza di altri tre elementi vincolanti: l’allungamento della vita media e un aumento della domanda di assistenza da parte dei genitori anziani; la natura del modello di welfare mediterraneo e il contemporaneo restringi- mento delle reti parentali in grado di fornire aiuto; e, infine, la cristallizzazio- ne di genere nella distribuzione dei compiti domestici, con l’indisponibilità degli uomini a supportare la donna in relazione ad un aumento dei carichi di cura. Fino a non molti anni addietro il problema dell’equivalente funzionale non si poneva in un paese dove il numero di donne che potevano vantare un lavoro extradomestico era poco significativo e la gran parte di queste si ritirava dal mercato del lavoro al momento del matrimonio, provvedendo così in prima persona al lavoro di cura30. I tassi crescenti di attività femminile hanno ribalta- to questo fragile equilibrio: basti pensare che mentre nel 1981 il tasso femmi- nile di partecipazione al mercato del lavoro si attestava intorno al 39,6, nel 2001 lo troviamo al 47,8 (Italia, dati Ocse e Istat). Questo processo appare in 27 J. Andall, 2000, cit. 28 A. Colombo, 2003, cit. 29 L’Italia ha uno dei tassi più bassi al mondo, 1,2 figli/donna; cfr. A. Golini, A. Mussino, M. Savioli, Il malessere demografico in Italia, Il Mulino, Bologna 2001. 30 C. Saraceno, “Le politiche per la famiglia”, in M. Barbagli e C. Saraceno (a cura di), Lo stato delle famiglie in Italia, Il Mulino, Bologna 1997. 14
tutta la sua portata in Sardegna dove, nel 2004, il livello di partecipazione femminile – pur ancora distante di circa 20 punti da quello maschile – era in costante crescita (46,2) e risultava ben più elevato rispetto al tasso delle donne siciliane (35,5), pugliesi (36,9), campane (37,3) e calabresi (39). Come ben dice Pruna31, “per valutare la portata del cambiamento, ciò che va tenuto pre- sente è che fino agli anni ’90 la Sardegna aveva tassi di attività molto più bas- si rispetto a tutte le altre regioni meridionali. Non solo, dunque, abbiamo rag- giunto un livello di partecipazione al lavoro mai registrato in precedenza – re- cuperando il divario rispetto al resto del Mezzogiorno e addirittura ribaltando- lo a nostro favore - ma lo abbiamo fatto in un tempo piuttosto breve”. Anche altri indicatori mostrano questa enorme propensione delle donne ad entrare nel mercato del lavoro: oltre l’82% dell’occupazione aggiuntiva creata in Italia negli ultimi dieci anni è femminile, mentre in Sardegna la quota di donne tra gli occupati aggiuntivi oltrepassa l’86%; se nel resto del paese il numero degli occupati cresce dal 1993 al 2003 del 7,7% e per le donne questa variazione oltrepassa il 18%, in Sardegna il numero degli occupati cresce del 10,3% e quello delle donne del 30,6%. Le donne dunque entrano più numerose nel mercato del lavoro, studiano di più e, anche per questo, trovano più opportuni- tà di impiego e rimangono attive più a lungo. Ma mentre queste enormi trasformazioni consentono un certo migliora- mento della condizione sociale delle donne, sono altri cambiamenti socio- demografici a determinare difficoltà di allineamento e di conciliazione tra oc- cupazione retribuita e impegni domestici, primi tra tutti il crescente aumento della popolazione anziana e il relativo carico di cura nei confronti della parte più debole. Negli ultimi 25 anni, tra il 1975 e il 2000, all’interno dell’Europa mediterranea l’Italia è il paese ad aver avuto il più rapido e alto tasso di varia- zione assoluta media annua della popolazione ultra-sessantacinquenne (+136,5% contro +119% della Spagna, il +32% della Grecia e il +28,7% del Portogallo)32. Nella stessa direzione la variazione assoluta media annua degli ultraottantenni: in Italia, tra il 1975 e il 2000, sono cresciuti del 37,2% all’anno, mentre il dato si ferma al 35% per la Spagna, all’11% per la Grecia e all’8,3% per il Portogallo. Anche un sintetico quadro storico dell’evoluzione demografica dal dopoguerra ad oggi (tab. 8) non fa altro che confermare lo stravolgimento demografico del nostro paese, e le previsioni per il 2021 evi- denziano l’accelerazione del forte trend di invecchiamento della popolazione ormai già avviato da tempo. D’altronde, non sempre si tratta di una popola- 31 M. L. Pruna, “Quello che i dati sul mercato del lavoro raccontano di noi. Ovvero come cam- biamo senza accorgercene”, paper non pubblicato, Università degli Studi di Cagliari, 2006. 32 Dati Eurostat, 2001. 15
zione “sana”, ma di soggetti che necessitano di attenzioni e cure più o meno continuative: l’Istat stima che nel 1999-2000 sul complesso delle persone con più di 65 anni, solo il 19% non denunciava alcuna malattia cronica, mentre il 41,2% ne riportava almeno una grave e il 47,5% almeno tre33. Tab. 8 – Popolazione per grandi classi d’età (1951-1991 e previsioni al 2021); Italia, val. % 1951 1981 1991 2001 2021 0 – 19 34,6 29,7 23,4 19,4 17,6 20 – 59 53,2 52,8 55,4 55,8 51,7 60 e più 12,1 17,4 21,1 24,8 30,6 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Istat, 2001 A modificare la richiesta di servizi alla persona concorre non solo l’invecchiamento delle persone ma anche quello delle famiglie, che vedono in questi ultimi 20 anni una modificazione importante nel peso delle differenti tipologie: secondo i dati Istat, dal 1981 al 2001 le famiglie con figli vedono ridurre il proprio peso dal 53% al 41%, mentre cresce il volume delle coppie senza figli (dal 18% al 21%) e quello delle persone sole (dal 18% al 25%), per lo più composte da persone anziane. La crescita della domanda di lavoro domestico soddisfatto dalla presenza di manodopera immigrata a buon prezzo, tradisce quindi una chiara difficoltà della società italiana a farsi carico di un aumento della domanda di cura da parte dei più deboli. Ma l’utilizzo di personale straniero non è un dato sconta- to: Sciortino34 ha dimostrato come oggi il ricorso a personale domestico priva- to sembra essere più forte in presenza di particolari modelli di welfare, come quello italiano o mediterraneo, laddove la spesa sociale comporta più trasfe- rimenti monetari che offerta di servizi. In Italia e in Spagna, infatti, il modello di welfare si basa sostanzialmente sulla prevalente importanza della famiglia e della donna nella dazione di servizi di accudimento. Senza entrare nel detta- glio, come è noto35, la famiglia è infatti solo una delle tre istituzioni principali (oltre il mercato e lo stato) che nei moderni regimi di welfare concorre a pro- durre servizi assicurando un certo grado di protezione ai cittadini. È proprio il livello di prevalenza di uno degli attori sugli altri a definire i principali model- li di welfare: quello italiano vede esaltato il ruolo della famiglia e - nel con- 33 Per malattia cronica grave si intende: diabete, infarto del miocardio, angina pectoris, altre malattie del cuore, trombosi, embolia, emorragia celebrale, bronchite, enfisema, insufficienza respiratoria, cirrosi epatica; Istat 2001. 34 G. Sciortino, “Immigration in a Mediterranean Welfare State ...”; cit. 35 Il riferimento obbligato per lo studio dei tre modelli di welfare è G. Esping Andersen, I fon- damenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino, Bologna 2000. 16
tempo - uno stato che provvede con trasferimenti monetari in sostituzione di una scarsa offerta di servizi sociali. Nel nostro paese, dunque, la famiglia è chiamata a svolgere un ruolo di compensazione delle carenze istituzionali, fa- cendosi carico dell’erogazione di servizi di cura che, negli altri regimi di wel- fare, sono invece tipicamente prerogativa dello stato sociale. Solo per dare un’idea delle difficoltà che incontra una famiglia italiana nell’accudimento delle persone più deboli e bisognose, basti pensare che solo il 6% dei bambini in età prescolare (da 0 a 3 anni) frequenta asili nido (a fronte del 40% in Nor- vegia, 48% in Svezia, 64% in Danimarca, 38% in Irlanda, 30% in Belgio, 29% in Francia e 34% in Gran Bretagna)36. Solo il 3,9% degli anziani vive in resi- denze assistenziali, mentre la quota è del 6,6% in Norvegia, 8,7% in Svezia, 7% in Danimarca, 5% in Irlanda, 6,4% in Belgio, 6,5% in Francia e 5,1% in Gran Bretagna. L’aumento del potenziale di cura presente nella nostra società e la latitanza del welfare statale nel fornire un volume di servizi sociali adeguati sono ag- gravati anche dalla strutturale asimmetria di genere nella distribuzione dei ca- richi di lavoro familiari: parlare di cura da parte delle famiglie significa, infat- ti, parlare del ruolo isolato della donne nei compiti assistenziali. Le indagini multiscopo dell’Istat sulle famiglie, da questo punto di vista, descrivono uno scenario immutato nel tempo: a qualsiasi ora del giorno, a prescindere dall’impegno lavorativo retribuito (ovvero extra-domestico), in relazione alle diverse classi d’età, il carico del lavoro familiare della donna rispetto a quello del proprio partner maschio è assolutamente “esorbitante”. Sia che si svolga in ambito domestico o che l’aiuto sia fornito a familiari non coabitanti, la donna è sempre più presente dell’uomo nella cura sanitaria, nell’assistenza degli a- dulti, in quella ai bambini e nel complesso delle altre attività domestiche. Ha quindi ragione Alemanni a descrivere la situazione di abbandono in cui si tro- vano le donne italiane nell’affrontare i compiti di cura come doppio inganno: il lavoro domestico viene delegato alle donne contemporaneamente dalle isti- tuzioni e dagli uomini37. Dal punto di vista della domanda, viste le condizioni strutturali appena de- scritte, la mancanza di una politica in materia di immigrazioni e il sistema del- le sanatorie si sono perfettamente saldati con i bisogni delle famiglie italiane: il ricorso a colf e badanti diventa una scelta (quasi) necessaria per far fronte alle responsabilità del lavoro domestico e di cura in una situazione di insuffi- cienza del welfare. Ecco che in tutte le regioni italiane impiegare persone di servizio non è più un lusso riservato ai ceti più benestanti, ma è diventato una 36 La fonte è Oecd, Employment Outlook, Bruxelles 2001. 37 C. Alemanni, “Le colf: ansie e desideri delle datrici di lavoro”, in Polis, n. 1, 2004. 17
necessità per tutti i ceti, compresi quelli medio e medio bassi che fino a poco tempo fa non se ne avvalevano o (soprattutto) non potevano permetterselo: in tal senso, si sta definendo una inversione di tendenza che in certi contesti è stata plurisecolare38. Questa necessità può venire soddisfatta perché, sempli- cemente, in altre zone del mondo esistono persone (per lo più donne) che tro- vano conveniente impiegarsi come domestiche in paesi occidentali e ciò av- viene non solo per evidenti ragioni di carattere strettamente economico39. Dunque la sanatoria del 2002 non ha fatto altro che far emergere una delle strategie più importanti di ingresso nel mercato del lavoro, nel sistema abitati- vo e nelle relazioni socio-culturali da parte di una massa crescente di popola- zioni di recente immigrazione, per lo più quella proveniente dall’Est europeo. Insomma, le donne italiane si sono “liberate usando altre donne”40, disponibili ad essere usate. 3. Perché proprio le donne dall’Est? L’immigrazione ucraina in Italia è abbastanza recente, risalendo i primi ar- rivi al 1998-99, dunque solo 7 – 8 anni41; si è però posta all’attenzione degli studiosi, dei media e delle altre istituzioni come un fenomeno rilevante per la 38 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia italiana dal XV al XX secolo, Il Mulino, Bologna 1984. 39 Spesso il lavoro domestico viene preferito ad altri tipi di lavoro perché, oltre a risolvere im- mediatamente problemi gravi quali l’alloggio e l’impiego riducendo al minimo le spese, è un canale privilegiato di socializzazione culturale. La presenza di donne che emigrano individual- mente (lasciandosi alle spalle mariti e prole) è un fenomeno ricorrente: molte storiche hanno visto nel servizio domestico uno dei principali canali di inurbamento di masse enormi di donne di origini rurali e un fondamentale percorso di socializzazione alla vita urbana; R. Sarti, Noi abbiamo visto.., cit. Anche nel caso isolano, il Casalis mette in evidenza come nell’800 la gran parte dei servitori provenisse dai contadi o dalle zone rurali, con spostamenti su brevi distanze; vedi le voci “Cagliari” e “Sassari”, in G. Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico- commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Forni Ed., Bologna 1849, Ristampa Anasta- tica. 40 È una frase di Rosalba Dessì, delegata provinciale per Roma al congresso Acli-Colf; continua la sindacalista: “Le donne […] quando cercano nel lavoro l’evasione che permetta loro di uscire dal ghetto della famiglia per una propria realizzazione fanno pagare lo scotto di questa emanci- pazione alle colf che le sostituiscono”; riportato in J. Andall, “Acli-Colf e immigrazione stra- niera”, in Polis, n. 1, 2004. 41 Le prime arrivano in Italia tra il 1998 e il 1999 con un progetto migratorio a breve termine (tra 6 mesi e l’anno); la realtà delle cose (rimborso spese di viaggio, ripiano debiti, acquisto casa, etc..) allunga il progetto ad altri 2-4 anni; cfr. C. Mazzacurati, “Dal blat alla vendita del lavoro. Come sono cambiate colf e badanti ucraine e moldave a Padova”, in T. Caponio e A. Colombo, Migrazioni globali, integrazioni locali, Il Mulino, Bologna 2005. 18
sua rapidissima crescita in tempi così ristretti: gli ultimi dati disponibili (pre- senze al gennaio 200542) raccontano di una comunità che si attesta ad oltre 93 mila presenze. Dopo l’Albania (316 mila), il Marocco (294 mila), la Romania (248 mila), e la Cina (111 mila), l’Ucraina è il quinto paese per ordine di pre- senze sul territorio italiano. Come abbiamo visto, grazie alla Bossi-Fini è pro- prio questo paese (insieme alla Romania, alla Polonia e all’Albania) ad aver modificato radicalmente il panorama migratorio in Italia: se nei primi anni ‘90 era l’Africa maghrebina insieme all’Asia centro-orientale a dominare la scena, ora sono soprattutto l’Europa dell’Est e (ma in minor misura) l’America Lati- na a definirsi come aree di forte pressione migratoria verso il nostro paese. Ciò ha significato una radicale trasformazione della struttura della popola- zione migrante, con una più incisiva presenza delle donne rispetto al passato (quasi il 49% del totale). D’altronde, se si leggono i dati dell’International Organization for Migration, si scopre che oggi la metà dei migranti del mon- do è costituita da donne43; in particolare, sono donne che rivestono un ruolo differente rispetto a quello svolto nelle migrazioni più tradizionali. In passato le donne erano trattate come esponenti rappresentative di una categoria omo- genea: “non parla la lingua del paese ospite, non sa di solito né leggere né scrivere e poiché non lavora, non possiede risorse proprie; soprattutto non ha alcuna possibilità di entrare in contatto con il mondo industrializzato in cui vive”44. Ma, pur sempre esistendo le migrazioni femminili, il ruolo delle donne mi- granti appare oggi sicuramente differente dal passato: certo, continuano i mo- vimenti sostanzialmente legati ai ricongiungimenti familiari (per cui le donne emigrano a traino dei loro uomini), ma oggi, più che in passato, le donne sembrano presentarsi da subito come protagoniste di progetti migratori auto- nomi, e ciò vale a maggior ragione per le donne ucraine. Infatti, le donne dell’Europa Orientale hanno avuto, per motivi legati al si- stema economico pianificato e al ruolo loro assegnato dall’ideologia che so- steneva gran parte delle relazioni di genere nel blocco sovietico, un forte ruolo 42 ISTAT, http://demo.istat.it/bil2005/index.html. 43 Dato citato in B. Ehrenreich e A. Russell Hochschild, Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli, Milano 2002. 44 Molto spesso, però, si confondeva la modalità di ingresso di alcune donne immigrate (ricon- giungimento familiare) con le forme della loro permanenza; in realtà, sebbene molte donne mi- grassero come mogli, attuali o potenziali, ciò non significava automaticamente – e per tutte - una loro esclusione dal mercato del lavoro e la conseguente inclusione nella categoria degli in- dividui a carico. Inoltre, spesso il ricongiungimento familiare rende le entrate del marito insuf- ficienti a mantenere la propria famiglia spingendo le donne a cercare un impiego; vedi B. Sor- goni, “Migrazione femminile e lavoro domestico: un terreno da esplorare”, in La critica socio- logica, 134, 2000. 19
produttivo oltre che riproduttivo. Come si vedrà oltre, tutte (tranne le giova- nissime) vengono da esperienze lavorative lunghe e faticose sia nelle fabbri- che sia nella burocrazia statale (e lo stesso è accaduto per le loro madri)45: ciò significa che l’esperienza dell’inversione dei ruoli - con il marito impegnato nell’accudimento della casa e dei figli - non è nuova nei paesi dell’Est. La notevole presenza delle donne ucraine rispetto ai maschi si spiega, oltre alla flessibilità nella possibilità di ricoprire ruoli domestici da parte della componente maschile, anche in relazione al fatto che il lavoro disponibile in Italia è solo per le donne, ovvero quello domestico. Allora, la decisione di e- migrare viene presa in accordo con gli altri componenti come esito di un cal- colo di costi/benefici all’interno del contesto-famiglia; il fatto che la domanda di personale domestico in Italia sia orientato prevalentemente verso la compo- nente femminile rende le possibilità di successo delle donne superiori a quelle degli uomini. Un'altra causa della forte prevalenza femminile è determinata dalle modali- tà di strutturazione delle reti che, nel tempo, sono state attivate e implementate prevalentemente da donne e non da uomini: le pioniere nel corso del tempo hanno attivato un canale di reclutamento propagatosi a catena attraverso il quale sorelle, amiche e altre parenti – una volta giunte in Italia – hanno favori- to gli arrivi di nuove donne. Come ben dice Boyd46, “sono le catene che emi- grano”: le storie, i racconti delle altre donne e le informazioni che parenti e amici emigrati nel nostro paese veicolano durante il loro ritorno sembrano il fattore decisivo che determina la scelta di una donna ad emigrare e, una volta iniziati, i flussi migratori si autoalimentano in quanto “riflettono reti di infor- mazioni, assistenza e obbligazione che si sviluppano tra immigrati nella socie- tà di destinazione e amici e parenti rimasti nell’area di origine”. Ma è in generale uno sguardo ai fattori di spinta che può aiutare a spiegare questo improvviso e rapido movimento migratorio caratterizzato nel genere. L’Ucraina è un paese caratterizzato da un forte sviluppo dell’industria pesante, oggi però tecnologicamente obsoleta; ha una posizione strategica tra Europa e Asia ed è anche terreno di attraversamento da parte dell’immigrazione illega- le47. Il crollo dell’ex regime sovietico e l’ingresso nell’economia di mercato hanno colpito improvvisamente e inaspettatamente il paese e le famiglie, pol- 45 A. Spanò e A. M. Zaccaria, “Il mercato delle collaborazioni domestiche a Napoli: il caso del- le ucraine e delle polacche”, in M. La Rosa e L. Zanfrini (a cura di), Percorsi migratori tra reti etniche,istituzioni e mercato del lavoro, FrancoAngeli, Milano 2003. 46 M. Boyd, “Family and Personal Networks in International Migration: Recent Developments and New Agendas”, in International Migration Review, vol. 23, n.3, 1989. 47 Cfr. A. M. Baldussi, Asia mobile. Luoghi e percorsi di dinamiche migratorie, in questo vo- lume. 20
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