DI BEATRICE GORI - CISINT

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C I S I N T                      05|2021

DI   BEATRICE GORI

             C I S I N T
          Centro Italiano di Strategia e Intelligence
DI BEATRICE GORI - CISINT
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IL CONFLITTO PER PROCURA IN YEMEN: QUALI PROSPETTIVE?

SOMMARIO

INTRODUZIONE ........................................................................................ 4

I RIBELLI HOUTHI ..................................................................................... 6

IL GIOCO SAUDITA .................................................................................... 7

LA CONTROPARTE IRANIANA ................................................................ 10

LO YEMEN DEL SUD ................................................................................ 12

AL QAEDA IN YEMEN ............................................................................... 14

UNA CRISI UMANITARIA SENZA PRECEDENTI....................................... 15

ULTIMI SVILUPPI E PROSPETTIVE ......................................................... 18

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IL CONFLITTO PER PROCURA IN YEMEN: QUALI PROSPETTIVE?

INTRODUZIONE
Il conflitto in Yemen trova le sue origini nel marzo 2015, quando il fallimento
della transizione politica degenera in un conflitto civile. La situazione di
instabilità nel Paese yemenita era iniziata nel 2011, sull’onda del fenomeno
protestatario delle cosiddette “Primavere arabe”. Le proteste di piazza erano
dilagate nel Paese costringendo Ali Abdullah Saleh – al potere dal 1978 nello
Yemen del Nord e, in seguito, a capo di tutto il Paese dopo la riunificazione del
1990 – a dare la dimissioni.
Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 si è avviata in Yemen una lenta e
complicata transizione politica, in cui fin da subito sono intervenuti i Paesi del
Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) – Bahrein, Emirati Arabi Uniti,
Kuwait, Oman, Qatar e soprattutto Arabia Saudita -. Saleh ha lasciato il potere
ma, a differenza di altri contesti post-2011, non ha mai lasciato il Paese e ha
continuato a controllare funzionari di governo e dell’esercito, il tutto
risiedendo nel palazzo presidenziale di Sana’a1. Abdel Rabbo Mansour Hadi è
diventato il nuovo Presidente, riconosciuto sia dai Paesi arabi che dalla
comunità internazionale. La transizione politica non ha avuto successo e il lungo
periodo di vuoto di potere ha consentito alle milizie locali di agire ed espandere
il proprio controllo su quei territori storicamente più fragili e abbandonati dal
potere centrale. Il governo unificato nel 1990 della Repubblica dello Yemen non
aveva infatti mai ottenuto il monopolio dell’uso della forza sul suo territorio e
questo ha consentito la proliferazione di molteplici forze antagoniste al potere
statuale.
Il conflitto in Yemen nasce quindi prima di tutto come conflitto civile con alla
base fattori politici e locali storicamente presenti sul territorio2. Successiva-
mente, l’escalation di violenza sul territorio si traduce in un’internazionalizza-
zione con l’ingresso di forze esterne al Paese guidate da ragioni strategiche, che
esulano però dalle cause della guerra.
Tra i gruppi tribali yemeniti uno fra tutti guadagna forza, ossia quello di Ansar
Allah o Movimento houthi, una milizia proveniente dalla minoranza
yemenita degli sciiti zaiditi e localizzata nel nord-est del Paese. Forte del
sostegno popolare, il gruppo houthi ottiene il controllo della capitale Sana’a
con un colpo di Stato

1 Robert F. Worth, Even Out of Office, a Wielder of Great Power in Yemen, 1° febbraio 2014, New York Times,
http://www.nytimes.com/2014/02/01/world/middleeast/even-out-of-office-a-wielder-of-great-power-in-
yemen.html
2 Thomas Juneau, Iran’s policy towards the Houthis in Yemen: a limited return on a modest investment, Inter-
4  |
national                  CISINT - Centro Italiano di Strategia e Intelligence
         Affairs, Maggio 2016.
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militare nel settembre 2014. L’Arabia Saudita comincia a bombardare Sana’a
sperando in una rapida ritirata delle forze houthi. La famiglia regnante dei
Sa’ud presenta non poche somiglianze con i Saleh e teme, di fatto, che la presa
del potere da parte dei ribelli possa ispirare e scatenare ondate di ribellione
anche tra i sudditi sauditi.
L’ingresso della coalizione saudita riaccende le dinamiche competitive con l’Iran
e trasforma lo Yemen in teatro di scontro tra potenze regionali. La variabile
esplicativa religiosa attorno alla contrapposizione sunniti/sciiti addotta da
alcuni risulta illusoria nell’analisi di questo conflitto. La chiave di lettura
dell’ingresso di queste potenze in Yemen è semmai la rivalità regionale che
interessa da decenni Arabia Saudita e Iran e che caratterizza anche altri terreni
di scontro come Bahrein e Siria. La posizione geografica non è poi di secondaria
importanza: lo Yemen si trova al confine meridionale dell’Arabia Saudita,
controlla parte dello Stretto di Bab el-Mandeb, che collega il Mar Rosso con il
Golfo di Aden e rappresenta dunque un importantissimo snodo commerciale
per il trasporto del petrolio. Non trascurabile, davanti alle coste yemenite
occidentali si colloca Gibuti, il piccolo Paese africano al centro degli investimenti
strategici cinesi degli ultimi anni.

     Si osservano in rosa i territori controllati da Ansar Allah, in viola quelli della coalizione
     filogovernativa saudita e in verde i territori che vedono la presenza di AQAP. (Fonte: Liveumap)

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I RIBELLI HOUTHI
La formazione sociopolitica houthi è presente nella regione settentrionale
yemenita fin dal 2004. Il movimento di Ansar Allah, questa la sua
denominazione originale,è di derivazione sciita zaidita, comunità che in Yemen
rappresenta circa il 35% della popolazione. Gli zaiditi sono una branca dello
sciismo e si differenziano dagli altri per la diversa concezione dell’imam e per
l’interpretazione dello scisma. Ricondurre il conflitto in Yemen alla
contrapposizione sunniti/sciiti risulta del tutto falsato anche a causa di queste
eterogeneità interne3. Inoltre, non tutti gli zaiditi presenti in Yemen si
riconoscono negli houthi – anzi, alcune tribù zaidite vi si sono opposte durante
l’occupazione di Sana’a del 2014 – così come non tutti coloro che sostengono gli
houthi sono zaiditi.
                   Gli houthi non nascono come fronte indipendentista ma
                   come movimento di rottura con le élite che per anni non li
                   hanno inclusi nelle dinamiche di potere. Nel 2011, partecipano
                   attivamente alle manifestazioni e appoggiano la transizione
                   politica con l’incarico ad Abd Rabbu Mansour al-Hadi.
                   Tuttavia le riforme risultano molto deludenti per gli houthi
                   che vedono nella transizione politica solo un
                   rimescolamento delle dinamiche di potere in atto da
                   decenni4.
Approfittando dell’impopolarità del governo di Hadi, il gruppo armato riesce a
prendere il controllo della capitale Sana’a nel settembre 2014. Ciò è possibile solo
grazie al supporto dei militari fedeli all’ex Presidente Saleh, precedentemente
nemico giurato degli houthi. Questa insolita alleanza è da spiegarsi con la
volontà di ristabilire l’ordine pre-2011 e neutralizzare le spinte secessioniste
dello Yemen del Sud che nei mesi di caos avevano guadagnato posizione.
L’ingresso saudita in funzione anti-houthi si concretizza subito in un
acceso conflitto che vede contrapposti la coalizione
saudita-Emirati Arabi Uniti e quella ribelli-Saleh. Nel
gennaio 2015, gli houthi irrompono nel palazzo
presidenziale a Sana’a saccheggiandolo e rapendo il capo
dello staff di Hadi in cambio delle dimissioni del
Presidente. Il capo del movimento di Ansar Allah, Abdel
Malik al-Houthi convoca tutte le parti in campo con l’idea
di negoziare una soluzione

36 Ibidem.
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4 Ibidem.
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sotto l’egida del Consiglio della Rivoluzione Houthi. Nessuno accetta e anche
l’alleato Saleh reputa i leader militari houthi inadatti a guidare un processo di
riforma costituzionale.
Nel febbraio 2016 – dopo più di un anno di conflitto, 6 mila vittime e la
distruzione della parte orientale del Paese – le due coalizioni arrivano a
confrontarsi nell’area centrale del territorio e si trovano in una situazione di
stallo nella quale nessuno degli attori presenti riesce a presentare una capacità
militare adeguata a distruggere l’avversario definitivamente5.
La tattica degli houthi è stata orientata alla conquista di territori strategici dal
punto di vista delle risorse energetiche. L’ultima offensiva lanciata si è per
questo concentrata sul territorio di Marib, nel centro del Paese. Il
governatorato centrale yemenita di Marib si trova appena oltre il confine delle
zone controllate dai ribelli e rappresenta un enorme bacino di risorse
strategiche. È infatti la porta di ingresso per i pozzi di gas e petrolio dell’area
centrale yemenita abitata, tra l’altro, da un milione di sfollati interni (IDPs)6.

IL GIOCO SAUDITA
L’Arabia Saudita interviene fin dall’inizio in quella che si trasforma in una proxy
war (guerra per procura) in cui si scontrano alcuni dei principali interessi delle
potenze dell’area. I sauditi credono di poter trovare un buon interlocutore nel
Presidente yemenita Saleh. L’ingerenza saudita nel Paese non è nuova e storica-
mente il Regno dei Sa’ud ha sempre appoggiato le tribù yemenite del nord contro
le spinte secessioniste del sud. Basti pensare che all’epoca di Nasser si consumò
proprio sul territorio yemenita quella che viene definita come la “guerra fredda
del Medio Oriente” tra i secessionisti filo-Nasseriani del sud e le forze filo-
saudite del nord7. Questo grande interesse per il piccolo Paese che i Romani
chiamavano Arabia felix (fertile) è riconducibile a due motivi principali: da un
punto di vista strategico, proprio l’appellativo romano si riferiva alla ricchezza
di risorse del Paese – oggi principalmente idrocarburi – contrapposto alla zona
arida e inospitale della Penisola Arabica centrale dove si trova l’Arabia Saudita;

5 Thomas Juneau, Iran’s policy towards the Houthis in Yemen: a limited return on a modest investment, Inter-
national Affairs, Maggio 2016, p.654.
6 Nic Robertson, In a fabled desert city, a decisive battle could determine Yemen's fate, CNN, 23 aprile 2021,
https://edition.cnn.com/2021/04/23/middleeast/yemen-marib-war-intl/index.html.
7 Ibidem.

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da un punto di vista politico invece, i sauditi temevano che il successo di una
rivoluzione contro la dinastia autoritaria dei Saleh potesse innescare una rea-
zione a catena anche tra i sudditi sauditi, specialmente in un periodo delicato di
transizione con il principe ereditario Mohammed Bin Salman. Non a caso,
l’ingresso saudita nel conflitto in Yemen coincide con il lancio della
soprannominata “Salman Doctrine”, una strategia muscolare che inaugura la
stagione dell’interventismo saudita in autonomia dagli USA e che propone il
Principe ereditario come l’uomo forte di quel momento8.
Le motivazioni saudite al proprio intervento militare si sono concentrate sempre
su un unico argomento: la necessità di contrastare la potenza egemonica
iraniana. Sebbene non si sia mai conosciuta l’entità monetaria del
finanziamento iraniano agli houthi, si tratta principalmente di un supporto
logistico mediante armi e addestramento di ribelli yemeniti e lontano dalle
volontà espansionistiche millantate dai sauditi. L’esagerazione del pericolo
iraniano è servita ai sauditi soprattutto per attirare i consensi americani.
L’alleanza con i Saleh ha avuto una durata limitata in quanto la dinastia
yemenita ha intrapreso nei primi anni del conflitto una sorta di “matrimonio di
convenienza”9 con i ribelli houthi contro la secessione del fronte meridionale.
Nonostante ciò, l’Arabia Saudita ha continuato l’intervento militare
supportando Hadi, in una guerra aperta finalizzata, almeno in un primo
momento, al progetto utopico di annettere il complesso territorio yemenita al
proprio regno10. Il governo centrale di Hadi è stato debole sin dalla sua
costituzione, avvenuta nel 2011. L’influenza dell’Arabia Saudita nei confronti di
Hadi è stata importante e da alcuni anni, non a caso, quest’ultimo risiede a
Riyadh e si reca spesso negli USA per cure mediche.
La debolezza di Hadi ha favorito l’Arabia Saudita consentendole di intervenire a
proprio piacimento nel conflitto in Yemen. Tuttavia, il prolungarsi del conflitto
e dell’instabilità governativa preoccupa Riyadh, che vorrebbe svincolarsi dal

8 Jamal Kashoggi, The Salman Doctrine, 1° aprile 2015, https://english.alarabiya.net/views/news/middle-
east/2015/04/01/Saudi-King-Salman-s-doctrine.
9 Iona Craig, Regional rivalries threaten to tear Yemen apart, 26 marzo 2015, Al Jazeera America,
http://america.aljazeera.com/articles/2015/3/26/regional-rivalries-threaten-to-prolong-yemens-civil-war.html
10 Madawi al Rasheed, Mohammed bin Salman has lost the war in Yemen. It's time to end the humanitarian
disaster, 24 marzo 2021, https://www.middleeasteye.net/opinion/saudi-arabia-yemen-mbs-lost-war-end-hu-
manitarian-disaster.

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Paese il prima possibile. Il conflitto in Yemen ha infatti rappresentato per l’Ara-
bia Saudita un ingente sforzo economico e militare e dopo cinque anni senza
aver ottenuto un chiaro risultato, appare difficile giustificarlo agli occhi della sua
opinione pubblica.
La struttura centrale del governo yemenita è praticamente inesistente e le poche
forze rimaste dell’esercito riescono a controllare una parte molto ristretta del
territorio. Inoltre, le disponibilità finanziarie del governo sono molto esigue e
alcuni dei servizi essenziali come la corrente elettrica sono forniti a
intermittenzada anni11. In questo contesto, appare molto complicato che Hadi o
suoi rappresentanti riescano a ricostituire un potere forte in grado di trattare
con le forze in campo e di unificare, davvero, il Paese.
Dopo aver riallacciato i rapporti con gli altri Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita
intende svincolarsi dall’impegno militare in Yemen. Il disimpegno e
l’indebolimento sauditi alimentano però l’escalation di violenza della regione
nord-occidentale dei Paesi verso i territori controllati dalle forze
filogovernative.
Obiettivo di particolare interesse per i ribelli houthi sono i pozzi petroliferi di
Marib. Ma non è tutto: da alcuni mesi, gli attacchi condotti con droni si
rivolgono proprio ai territori sauditi. Ultimo attacco al momento risulta essere
quello a Jazan, nella regione al confine meridionale tra Regno saudita e Yemen,
sede della raffineria di proprietà della compagnia petrolifera ARAMCO12.

11 https://reports.unocha.org/en/country/yemen
12 https://www.reuters.com/world/middle-east/saudi-civil-defense-reports-some-damage-after-houthi-projec-
tile-hits-jazan-2021-05-10/.

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LA CONTROPARTE IRANIANA
I ribelli houthi sono molto attivi nel nord-est del Paese e il loro principale
sostenitore straniero è l’Iran. L’ambasciatore americano in Yemen Christopher
Henzel ha recentemente affermato che il traffico di armi proveniente dall’Iran
attraverso il Mare Arabico continua senza sosta nonostante l’embargo delle
Nazioni Unite13. Le massicce forniture iraniane di missili, droni e armi d’assalto
cominciano del 2016 in risposta all’ingresso saudita nel conflitto. Alcuni report
del Comitato Sanzioni Iran del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
sostengono però che il supporto balistico al gruppo houthi si origini sin dai primi
anni 200014.
La vera e propria partnership tra Iran e houthi comincia nel 2015. La narrazione
saudita secondo cui l’Iran tenterebbe di esercitare un ruolo di potenza
egemonica usando gli houthi come proxies non trova però riscontro nella
realtà. L’Iran del 2015 – e ancor più l’Iran post-pandemia del 2021 – è infatti una
media potenza con risorse inadeguate a intraprendere una campagna militare
espansionistica15. Lo Yemen può servire all’Iran come base militare ed è
sicuramente un Paese altamente strategico per la posizione al confine
meridionale dell’Arabia Saudita e con un importante sbocco marittimo nel
Golfo. Il controllo da parte degli houthi dei quasi 2000km di confine
settentrionale con l’Arabia Saudita è infatti un importante accesso per la
penetrazione nel Paese arabico. Tuttavia, il motivo del

13 Jon Gambrell, UN Navy seizes weapons in Arabian Sea likely bound for Yemen, 9 Maggio 2021, Associated
Press News, https://apnews.com/article/yemen-middle-east-e4bde7250333a85445fe9a9f0f1c64a8.
14 Thomas Juneau, Iran’s policy towards the Houthis in Yemen: a limited return on a modest investment, Inter-
national Affairs, Maggio 2016, p.654.
15 Thomas Juneau, Iran’s failed foreign policy: dealing from a position of weakness, Middle East Institute, Policy
10  | 2015-1, April 2015, http://www.mei.edu/sites/default/files/publications/Juneau%20Iran.pdf.
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supporto iraniano ai ribelli houthi non si spinge oltre alla pragmatica esigenza
di creare una sfera politica di influenza nel Paese16. Lo Yemen rappresenta infatti
una preoccupazione molto più grande per la confinante Arabia Saudita che per
l’Iran. Per questo, la Repubblica Iraniana ha optato per un supporto limitato e
spesso indiretto evitando così un confronto frontale con l’Arabia Saudita17.
Questo ruolo low-profile non è nuovo per l’Iran e assomiglia alla tattica usata
per esempio in Bahrein in seguito alle proteste del 2011: l’Iran ha lavorato dietro
le quinte supportando le comunità sciite che si opponevano al governo centrale
sunnita, sostenuto invece dai sauditi18.
La comunanza religiosa è sicuramente l’elemento che legittima l’intervento
iraniano in vari contesti di conflitto al fianco delle comunità sciite ma non è la
chiave di lettura in grado di spiegare a fondo queste dinamiche. Negli ultimi de-
cenni l’Iran ha supportato Hezbollah in Libano e le milizie sciite in Iraq, la cui
determinante caratteristica non era tanto l’essere sciiti, quanto quella di essere
attori ibridi, cioè da una parte non sottoposti al controllo statuale ma allo stesso
tempo capaci di prendere parte in certe attività statali19. In questo modo, l’Iran
è riuscito a esercitare la propria influenza su attori locali opposti allo status quo
senza mai però intervenire in modo diretto in un confronto con uno Stato. La
scelta dei gruppi ribelli da supportare è inoltre determinata dalla posizione
filooccidentale dei governi ai quali i gruppi si oppongono. In tutti e tre i casi
presi ad esempio, Libano, Iraq e Yemen, i ribelli si opponevano e si oppongono
a governi filostatunitensi e filo sauditi.
La strategia si basa dunque non tanto su conquiste territoriali immediate,
quanto sulla possibilità di stabilire e fidelizzare delle aree di influenza che si
riveleranno utili come canali di comunicazione nel lungo termine. Nel caso
yemenita, l’influenza iraniana è molto debole e non esiste necessariamente e
sempre un nesso causale tra le azioni houthi e la postura della Repubblica
Islamica. In altre parole, l’Iran non è la potenza game-changer che vuol far
credere l’Arabia Saudita.

16 Mohsen Milani, Iran’s Game in Yemen. Why Tehran Isn’t to Blame for the Civil War, 19 aprile 2015, Foreign
Affairs.
17 Thomas Juneau, Iran’s policy towards the Houthis in Yemen: a limited return on a modest investment, Inter-
national Affairs, Maggio 2016, p.648.
18 Martin Reardon, Saudi Arabia, Iran and the ‘Great Game’ in Yemen, 26 marzo 2015, Al Jazeera,
19 Thomas Juneau, Iran’s policy towards the Houthis in Yemen: a limited return on a modest investment, Inter-
national Affairs, Maggio 2016, p.648.

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LO YEMEN DEL SUD
                                           Tra gli attori che competono per la
                                           sovranità territoriale yemenita si
                                           trovano i separatisti del Sud. La
                                           situazione nell’area meridionale dello
                                           Yemen è molto complessa perché
                                           quello che viene indicato come il fronte
                                           secessioni sta include, in realtà, gruppi
                                           molto eterogenei e non sempre in
                                           accordo fra loro. Infatti, non tutti gli
                                           insorti           del           territorio
di Aden si riconoscono nel Consiglio di Transizione del Sud (STC), l’organo
autoproclamatosi nel 2017 come rappresentante del movimento indipendenti-
sta del sud. Questa complessità non può prescindere dalla storia dello Yemen
che ha visto il Paese diviso per gran parte del XX secolo. Il sentimento
secessionista del sud dello Yemen è per questo ben radicato storicamente nel
territorio e non nasce certo con il conflitto del 2015. La storia di Yemen del Nord
e del Sud non segue lo stesso percorso e mentre la parte settentrionale ottiene
l’indipendenza dall’Impero Ottomano nel 1919, il percorso nell’area meridionale
sotto protettorato britannico è più travagliato e giunge a compimento solo nel
1967 dopo un aspro conflitto civile.
Proprio negli anni del protettorato britannico di Aden Nassi si concretizzano i
principali movimenti indipendentisti dello Yemen del sud, prima come Movi-
mento degli yemeniti liberi (1944) e poi come Fronte di Liberazione dello Yemen
del Sud. I due Paesi si sono riuniti nella Repubblica Unita dello Yemen solo nel
1990. Tuttavia, contrasti con i Saleh portarono alla secessione e alla proclama-
zione della Repubblica Democratica dello Yemen (DRY) nel sud del Paese nel
1994. Sebbene la DRY non abbia mai ottenuto riconoscimento e la dinastia Saleh
sia riuscita a riprendere controllo del Paese, un gruppo piuttosto consistente non
si è mai arreso all’idea di un Paese unificato sotto il governo centrale di Sana’a.
Sin dall’immediato post-conflitto civile del 1994, il movimento secessionista al-
Hirak al-Janoubi ha proliferato e ha raggiunto un certo consenso popolare.
Proprio da quel nucleo di secessionisti – che si riconoscono come hirakis – è
nato il STC20. Nei primi mesi di conflitto nel 2015, il fronte secessionista si è
dimostrato
20 Peter Salisbury, Yemen’s Southern Transitional Council: A Delicate Balancing Act, International Crisis Group,
30 marzo 2021.

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IL CONFLITTO PER PROCURA IN YEMEN: QUALI PROSPETTIVE?

compatto per far fronte alla peculiare
alleanza tra houthi e sostenitori del
Presidente 'Ali 'Abd Allah Saleh, uniti
proprio nell’intento di neutralizzare le
forze dello Yemen del Sud. Con il
consolidamento del controllo nei
principali governatorati dello Yemen
meridionale, le linee di frattura
interne al fronte sono però emerse
con vigore.
Una frattura in particolare spacca il
sud: quella tra i beduini delle città di Abyan e Shebwa, dalle quali provengono
Hadi e i suoi, e i capi tribali provenienti da Lahji e al-Dahle, governatorati di
origine dei leader del movimento hiraki Aydrous al-Zubaidi e Shelal Shayea21.
Dopo la prima guerra civile yemenita conclusasi nel 1968 e l’indipendenza dagli
inglesi, il potere passò infatti direttamente nelle mani dei signori tribali.
L’elemento tribale ha perciò sempre rappresentato un fattore di instabilità nei
rapporti con il potere centrale e la fidelizzazione non è mai stata completa22. Le
spinte indipendentiste delle tribù minano adesso la compattezza dello stesso
fronte secessionista dello Yemen del Sud.

21 Peter Salisbury, Yemen’s Southern Transitional Council: A Delicate Balancing Act, International Crisis Group,
30 marzo 2021.
22 Marcella Emiliani, Medio Oriente. Una storia del 1918 al 1991, p.130

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Inoltre, i secessionisti del sud sono divisi anche sullo schema di alleanze che li
riguarda: da una parte quelle internazionali con il supporto degli Emirati Arabi
Uniti, dall’altra l’alleanza temporanea che i secessionisti hanno avuto con Hadi
e il blocco saudita per contrastare gli houthi. L’alleanza con le forze governative
è durata molto poco e sin dal 2018 le forze filo saudite governative hanno guidato
offensive per riconquistare la città di Aden, luogo strategico per i commerci nel
golfo. Dopo un successo durato poche settimane della coalizione saudita, i ribelli
del Sud sono riusciti a difendere l’avamposto portuale.
Le divisioni intestine minacciano ogni ipotesi di negoziazione che preveda la
presenza dell’STC come rappresentante del fronte meridionale.

AL QAEDA IN YEMEN
                                                L’organizzazione         terroristica
                                                islamista AQAP, acronimo di Al-
                                                Qaeda in the Arabian Peninsula,
                                                nasce nel 2009 anche se
                                                mujaheddin sono presenti nel
                                                territorio yemenita dopo essere
                                                tornati dalla guerra contro
                                                l’occupazione       sovietica      in
                                                Afghanistan conclusasi a
              23
fine anni ’80 . La filiazione jihadista yemenita è stata fin dai primi anni 2000
molto attiva sul territorio, portando avanti, accanto ai transnazionali obiettivi
antioccidentali, un progetto autonomo di insurrezione contro il potere di Saleh.
Proprio Saleh fece tornare le migliaia di combattenti jihadisti dall’Afghanistan
nel Nord dello Yemen, pensando che potessero fungere da supporto nell’allora
obiettivo della riunificazione del Paese24. Solo in seguito all’11 settembre, su in-
vito degli Stati Uniti, Saleh fu costretto a intraprendere una campagna
antiterroristica nei confronti di quella frangia di Al Qaeda in Yemen.
La poca convinzione del governo Saleh, che vedeva gli huthi e i gruppi ribelli
come minaccia più grave rispetto ai jihadisti, favorì la proliferazione dell’AQAP,
che nel 2014 raggiunse, secondo il Dipartimento di Stato USA, circa un migliaio

23 Al Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP), Council on Foreign Relations, 19 giugno 2015.
https://www.cfr.org/backgrounder/al-qaeda-arabian-peninsula-aqap
24 Ibidem.

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di membri dalle poche centinaia del 200925. Con lo scoppio del caos post-2011,
AQAP è riuscita a diffondersi indisturbata nella regione orientale del Paese, con-
trollando circa un terzo del territorio yemenita.
I proclami di AQAP si rivolgono anche contro la monarchia regnante saudita e
anche per questo, il confine tra Yemen e Arabia Saudita è una delle fonti di
preoccupazione più grande per i sauditi. Inoltre, tra i principali finanziatori di
AQAP risultano esserci proprio investitori sauditi26.

UNA CRISI UMANITARIA SENZA PRECEDENTI
L’ultimo report delle Nazioni Unite parla di quasi 21 milioni di persone in situa-
zione di necessità e 4 milioni di sfollati interni su una popolazione di poco meno
di 30 milioni. Le situazioni di maggiore criticità si localizzano nella parte
occidentale del Paese, con picchi nei governatorati settentrionali di Al Jawf,
Marib e in quelli meridionali di Taiz e Aden27. La pandemia da Covid-19 ha
infierito su un popolo che da sei anni sperimenta una devastazione
indiscriminata.
I casi identificati nelle aree di controllo governativo sono circa 4mila, con un
tasso di mortalità in ospedale molto alto a causa del ritardo di arrivo negli stessi,
così come per via delle scarse conoscenze mediche e mancanza di risorse nelle
strutture. Si stima dunque che i casi siano molto più numerosi, ma una
valutazione completa è praticamente impossibile da eseguire a causa delle
molteplici forze a controllo del Paese. Lo Yemen fa parte del programma delle
Nazioni Unite COVAX – che destina dosi di vaccini anti Covid-19 ai paesi
sottosviluppati – e ha ricevuto sinora 2 milioni di dosi sulle 14 totali destinate al
Paese28.
Già dopo il primo anno di conflitto, la popolazione yemenita si trovava in una
situazione di profonda precarietà, stremata dai combattimenti che avevano
interessato quasi tutto il territorio. La rincorsa saudita agli houthi era infatti
partita da Aden spostandosi poi verso il Nord del Paese e devastando interi
centri abitati. Solo nel 2016, le stime parlavano dell’80% della popolazione
bisognosa di assistenza29.

25 Country Reports on Terrorism 2013, https://2009-2017.state.gov/j/ct/rls/crt/2013/index.htm
26 Ibidem.
27 https://reports.unocha.org/en/country/yemen (vedasi mappa a inizio paragrafo)
28 Ibidem.
29 The three-way war in Yemen is not going well, The Economist, 12 dicembre 2015.

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La guerra ha devastato le infrastrutture fondamentali come la rete fognaria,
idrica e gli ospedali e questo ha facilitato la diffusione di una delle peggiori
epidemie di colera al mondo degli ultimi cinquanta anni30. Ancora oggi,
nonostante la situazione sia in miglioramento rispetto ai picchi spaventosi di
200 mila casi di colera del 201731, persiste un problema enorme nel reperimento
di acqua potabile, prima causa di diffusione del batterio vibrio cholerae nonché
di altre pericolose infezioni intestinali.
La coalizione saudita – supportata da alcuni governi occidentali – ha inoltre
bombardato e attaccato indiscriminatamente tutti i territori controllati dai
ribelli senza rispettare lo ius in bello, il diritto umanitario dei conflitti armati
che prevede la possibilità di attaccare unicamente obiettivi militari mirati ma
mai

30 Word Health Organization
31 https://www.unicef.it/media/200mila-casi-inarrestabile-epidemia-di-colera-nello-yemen/

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civili. L’ONU stima invece che siano 18 500 le vittime civili degli attacchi portati
avanti dalla coalizione saudita32.
Uno dei nodi cruciali e determinanti nell’aggravamento della crisi umanitaria è
stato poi la mancanza di un accordo sui territori di passaggio dei beni primari
verso le zone abitate da civili. L’approvvigionamento di beni e personale
umanitario è stato più volte strumentalizzato dai sauditi per chiedere agli
houthi di liberare certi territori in cambio della sospensione del blocco. Per
settimane sono stati bloccati a più riprese gli arrivi umanitari, in attesa che la
controparte cedesse i territori occupati. Inoltre, la debolezza e il
condizionamento saudita del Presidente Hadi hanno accelerato l’aggravamento
della situazione economica del Paese. Nel 2016, infatti, il governo yemenita
appoggiato dai sauditi trasferì le operazioni della propria banca centrale da
Sana’a, sotto controllo houthi, a Aden. Secondo una strategia saudita, la banca
cominciò a stampare grandi quantità di denaro provocando un ulteriore
aumento del tasso di inflazione e riducendo ancora il valore dei risparmi degli
yemeniti. La banca inoltre ha smesso di pagare gli stipendi di un milione di
dipendenti pubblici che lavoravano nei territori controllati dagli houthi, zona
dove risiede l’80% della popolazione yemenita totale. Nello specifico, questo si
traduce in un indebolimento addizionale del sistema sanitario dove, dal 2016,
circa 30mila operatori non percepiscono stipendio33.
Solo a fine 2018, dopo quasi cinque anni di conflitto, i ribelli hanno finalizzato
un accordo – facente parte del piano ONU – che prevede il ritiro militare dai
porti di Hodeidah, Saleef e Ras Issa, e da parti della città di Hodeidah, dalla
quale parte la strada principale che connette il sud con Sana’a, necessaria per il
trasporto di aiuti umanitari34. Tuttavia, dal 28 gennaio al 21 marzo 2021, dal
porto di Hodeidah non sono arrivate importazioni di carburante commerciale
che serve, ad esempio, al trasporto di cibo e altri beni essenziali nel Paese.
Questo preoccupante evento ha aggravato la condizione della popolazione,
talmente indebolita che anche solo un giorno senza beni primari equivale
all’aumento del tasso di bambini malnutriti. Proprio nel governatorato di
Hodeidah vivono circa 3 milioni di persone in grave bisogno di assistenza
umanitaria35.
Nic Robertson, In a fabled desert city, a decisive battle could determine Yemen's fate, CNN, 23 aprile 2021,
https://edition.cnn.com/2021/04/23/middleeast/yemen-marib-war-intl/index.html.
32 Ibidem.
33 Faisal Edroos, Yemen’s warring parties agree to ceasefire in Hodeidah, Al Jazeera, 13 dicembre 2018,
https://www.aljazeera.com/news/2018/12/13/yemens-warring-parties-agree-to-ceasefire-in-hodeidah/
35 https://reports.unocha.org/en/country/yemen.

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ULTIMI SVILUPPI E PROSPETTIVE
Lo Yemen ha rappresentato un importante terreno di scontro delle potenze di
area. Complice di questo nuovo ricorso all’hard power da parte degli attori
regionali è stata la posizione americana. Sin dalla presidenza Obama del 2015,
gli USA appoggiano l’intervento saudita in Yemen in quanto strumentale
contro il nemico comune iraniano. Con l’avvento dell’Amministrazione Trump
e l’adozione di una strategia di disimpegno nell’area, le potenze regionali
hanno avutomaggior campo di azione. In questo scenario, è infatti da intendere
l’intervento di potenze tradizionalmente non assertive in campo militare come
Emirati ArabiUniti e Kuwait a fianco dell’Arabia Saudita.
Tuttavia, il cambio di Presidenza americana segna un passaggio cruciale nei
legami tra USA e Sauditi. Se il Presidente Trump era riuscito a porre il veto al
Congresso sulla legge che chiedeva la fine dell’appoggio militare americano ai
sauditi, la situazione è velocemente mutata con Joe Biden, il quale si è
pronunciato sulle restrizioni che l’Arabia Saudita impone in merito all’arrivo dei
beni di prima necessità in Yemen36. Inoltre, la forte presa di posizione di Biden
in riferimento all’omicidio di Jamal Kashoggi – giornalista saudita residente
negli Stati Uniti – è stata determinante nel segnare un cambio di passo nei
rapporti con i Sa’ud.

36 https://edition.cnn.com/2021/04/13/politics/yemen-hfac-letter-blinken/index.html

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Le dinamiche tra i Paesi del CCG sono poi altrettanto fondamentali per
comprendere la posizione saudita in Yemen. Il ritiro degli Emirati Arabi Uniti
dal conflitto in Yemen nel 2019 ha causato infatti un forte contraccolpo nella
coalizione saudita, innanzitutto perché gli emiratini avevano giocato un ruolo
fondamentale come mediatori delle tribù del sud. Gli EAU avevano mostrato
infatti interesse per la regione meridionale yemenita in riferimento al porto di
Aden, snodo cruciale per i traffici marittimi verso Dubai37.
L’accordo di Riyadh del 5 novembre 2019 – che prevede il ritiro delle truppe emi-
ratine – è stato firmato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Consiglio di
Transizione del Sud (STC) per la costituzione di un governo unitario ad Aden.
Mentre gli inviati delle Nazioni Unite cercavano una soluzione diplomatica che
includesse tutte le forze in campo, i sauditi si sono affrettati a concludere un
documento che dovrebbe siglare la pace tra il governo legittimo e i separatisti
dell’STC. L’accordo non ha prodotto i risultati sperati principalmente perché
non include i principali attori in campo. Infatti, i sauditi non hanno
interpellato i ribelli houthi nelle trattative e come già indicato, molti gruppi
insurrezionali delsud non si riconoscono nell’STC.
                                                           Il recente ripristino dei
                                                           rapporti tra Qatar e gli
                                                           altri Paesi del Golfo in
                                                           seguito alla Dichiara-
                                                           zione di Al-‘Ula del
                                                           gennaio 2021, voluta e
                                                           supportata dai sauditi,
                                                           si inserisce perfetta-
                                                           mente in questo scena-
                                                           rio. Questo accordo di
                                                           rinnovata “unità, sta-
                                                           bilità e solidarietà”
                                                           tra i Paesi del GCC
serve all’Arabia Saudita per assicurarsi un’alleanza anti-isolamento dopo il
ritiro emiratino e il clima di incertezza generato dalla nuova presidenza
americana. Inoltre, essa è un punto chiave nella lotta anti-Iran

37 Nic Robertson, In a fabled desert city, a decisive battle could determine Yemen's fate, CNN, 23 aprile 2021,
https://edition.cnn.com/2021/04/23/middleeast/yemen-marib-war-intl/index.html.

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e consentirebbe all’Arabia Saudita di svincolarsi dal teatro di confronto
yemenita. I sei anni di lacerante conflitto hanno prodotto una crisi umanitaria
e un conseguente esodo migratorio senza precedenti, che costringeranno il
Paese ad anni di profonda instabilità interna. L’Arabia Saudita è stata trascinata
in un conflitto che doveva far emergere il Principe ereditario Mohammed Bin
Salman come uomo forte ma che, contrariamente, si è rivelato solo un enorme
costo, sia in termini economici, sia di sicurezza ai propri confini meridionali.

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INTELLIGENCE E PIRATERIA

L’AUTRICE

BEATRICE GORI
                  Consegue la laurea triennale presso la Scuola di Scienze
                  Politiche “Cesare Alfieri”, curriculum studi internazionali, con
                  una tesi sul potere degli Assad in Siria e l’avvento della guerra
                  del 2011. Partecipa al programma Erasmus, trascorrendo un
                  semestre di studio presso l’Università Sorbonne di Parigi.
                  Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in
International Relations dell’Università di Firenze. Studiosa di lingua araba,
scrive su Pandora Rivista ed è membro del Limes Club di Firenze. Tra le
principali tematiche di ricerca dell’autrice sono la storia e la geopolitica del
Nord Africa e del Medio Oriente.

                            Via Aurelia 424, 00165 - Roma
                               E-mail: info@cisint.org
                                   www.cisint.org

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