CURIOSANDO NELL' ARTE CONTEMPORANEA - LA BODY ART DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO - UNITRE Torino

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CURIOSANDO NELL' ARTE CONTEMPORANEA - LA BODY ART DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO - UNITRE Torino
CURIOSANDO NELL' ARTE
  CONTEMPORANEA
      DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO

        LA BODY ART
CURIOSANDO NELL' ARTE CONTEMPORANEA - LA BODY ART DOCENTE GIAN PIERO NUCCIO - UNITRE Torino
Con il termine body art ("arte del corpo" dall'inglese), si intendono tutte
quelle forme artistiche che utilizzano il corpo come mezzo d'espressione
e/o come linguaggio.
Le forme più comuni di body art sono il tatuaggio o il body piercing. Altre
pratiche tipiche della body art comprendono la scarificazione, il Branding, gli
impianti sottopelle, il body painting ed altre forme di modificazione corporea.

Il termine Body Art è stato inizialmente adottato da una corrente artistica
diffusasi negli Stati Uniti e in Europa negli anni sessanta del Novecento e
successivamente inscritto nel più ampio ambito della performance art, ossia
della prassi artistica teorizzata da Allan Kaprow nel 1959, che fece
dell'azione dell'artista l'opera stessa, spesso coinvolgendo il pubblico.

Alcune forme estreme di body Art possono spingere il corpo fino al limite,
ad esempio nell'Azionismo viennese ci si spinge in pratiche dissacranti e
profanatorie del corpo umano, talvolta con connotati religiosi.
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Marina Abramović esplora i suoi limiti fisici e la sua resistenza psichica, grazie
anche ad una lunga preparazione mentale. In una delle prime performance
restò in piedi al centro di una stella infuocata, e quando il fuoco consumò
l'ossigeno svenne; venne salvata da un medico presente tra il pubblico. Nella
performance "The artist is present", svoltasi recentemente al M.O.M.A di New
York, restò seduta immobile su una sedia ogni giorno per tre mesi, a incontrare
con lo sguardo chiunque si fosse seduto innanzi a lei.

Altri artisti eseguono performance irriverenti e molto forti; Vito Acconci si
masturba sotto al pavimento della sua esposizione, rendendo partecipi i
visitatori delle sue fantasie erotiche; Hermann Nitsch propone dei riti tra il
pagano e la simbologia cristiana dove sventra animali morti e cosparge i corpi
dei suoi aiutanti con sangue e interiora; Gina Pane si ferisce con spine di rosa,
lame, o rotolando su dei vetri per denunciare la concezione maschilista della
figura femminile.
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Nell'ambito della liberazione della donna furono molte le body artiste a
combattere col proprio corpo contro le concezioni antiquate ancora in voga.
Valie Export entrò in un cinema sperimentale vestita in modo provocante, con
uno spacco nei pantaloni all'altezza dei genitali, per sfidare la concezione
tradizionale cinematografica che voleva le donne come oggetti passivi incapaci
di agire[2].

Orlan si sottopose a varie operazioni di chirurgia plastica, filmandole e
rendendole pubbliche, nelle quali arrivò a ricercare una deformazione del
proprio volto, in contrasto con l'idea di bellezza conformistica imposta alle
donne.

In tempi più recenti, il corpo è diventato territorio di sperimentazioni: impianti,
protesi, simbiosi fra corpo e nuove tecnologie, realtà virtuale. Anche in questo
campo la body art ha sperimentato molto.
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L'IMPIENGO DEL CORPO NELLE
             PERFORMACE ARTISTICHE

Il principale mezzo espressivo usato per questo genere artistico è il corpo umano.

Il corpo è usato per allestire eventi estemporanei con movimenti corporei accompagnati
da musica, elementi scenografici, danze, sequenze di azioni e gesti.

La body art rende il corpo protagonista assoluto considerandolo soggetto e oggetto
dell'espressione artistica ed esibendolo come opera. Vi è la volontà di provocare, di
scuotere le convinzioni in fatto di arte.

All'uso del corpo come linguaggio, ricorrono sempre più artisti contemporanei di differenti
tecniche e tematiche. Lea Vergine parla di alcuni caratteri che fanno da comune
denominatore a questa maniera di fare arte: «la perdita di identità; il rifiuto del
prevalere del senso della realtà sulla sfera emozionale; la romantica ribellione alla
dipendenza da qualcuno o da qualcosa; la tenerezza come meta mancata e quindi
frustrante; l'assenza (e l'angoscia che ne deriva) di una forma adulta, altruistica,
d'amore».
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In queste azioni spesso gli autori sono ossessionati dalla necessità di agire in
funzione dell'altro.

Vi è la necessità di mostrarsi per poter essere. Il performer non sceneggia la
storia di un personaggio, ma è egli stesso storia e personaggio. Si volge così
verso la ricerca di un'umanità non schiacciata dal funzionalismo della società,
che sfugge al concetto di profitto: «l'importante non è sapere, ma sapere che si
sa. È uno stato in cui la cultura non serve più a niente» (Lea Vergine,
dall'informale alla body Art).

E continua: «Sbloccate le forze produttive dell'inconscio, si scatenano - in un
continuo drammatizzare isterico - conflitti tra desiderio e difesa, tra licenza e
divieto, tra contenuto latente e contenuto manifesto, tra pulsioni di vita e pulsioni
di morte, tra voyerismo ed esibizionismo, tra tendenze sadiche e piacere
masochistico, tra fantasie distruttive e catartiche».

Nelle azioni della body Art la riproduzione meccanica (video, fotografia, film)
assolve ad una duplice funzione: documentativa e di indagine penetrante.
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LE ORIGINE DEL NUDO IN MOVIMENTO

Uno fra i primi a presentare modelli nudi, raffigurati in movimento su teli colorati fu,
appunto negli anni Sessanta, l'artista francese Yves Klein mentre Salvador Dalí utilizzava
le tracce cromatiche lasciate su grandi teli\tele dai corpi -nudi e colorati- lasciati agire in
movimenti stimolati dalla musica.

Da allora la body art ha subito naturali evoluzioni, incluse rappresentazioni a sfondo
sadomaso oltre ai riti di autolesionismo eseguiti a fini di un'arte performativa che prende
spunto da tradizioni simili -di impronta religiosa- con l'intento di simboleggiare
l'annullamento del ruolo dell'autore a favore di un 'fare arte' che lo sublima nell'opera in
progress.

Gli inglesi Gilbert & George espongono se stessi, oppure compongono i loro ritratti viventi
con riferimenti alla cultura statuaria classica ma con 'invenzioni' che insieme la onorano e
la reinventano ogni volta.
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LA BODY ART IN ITALIA

In Italia, autori di body art sono stati, e in parte tuttora sono, artisti come Piero Manzoni,
Jannis Kounellis, Gino De Dominicis e Vettor Pisani.

Piero Manzoni propone anche un 'prodotto' escreto dal proprio corpo e confezionato in
scatola firmata ("Merda d'artista"), mentre Gina Pane sembra in preda alla sofferenza per
le automutilazioni che si produce ad ogni happening d'arte estrema.

Ketty La Rocca negli anni settanta si distingue per l'uso delle mani e di radiografie di crani
nei suoi lavori.
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Gina Pane
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LA BODY ART OGGI

In tempi più recenti, il termine body art è stato esteso (secondo alcuni in maniera non del
tutto appropriata) alle moderne tecniche di tatuaggio, di scarificazione .

La modificazione corporea consiste in un insieme di pratiche atte ad alterare
deliberatamente il corpo umano senza che vi sia alcuna ragione medica. Si tratta di una
forma d'arte universale praticata da migliaia di anni per fini sessuali, come
rito di passaggio, per ragioni estetiche, per indicare appartenenza, fiducia e lealtà, per
motivi religiosi, a scopo di provocazione o per esprimere se stessi.

Alcune forme di modificazione corporea, che nella sua accezione più ampia include
anche la chirurgia estetica, sono considerate socialmente accettabili (si pensi a un banale
piercing all'orecchio o al rito della circoncisione), mentre altre forme spesso più estreme
sono fonte di controversia.
IL CORPO COME OGGETTO ARTISTICO:
            LA BODY ART

                         IL CORPO COME OGGETTO ARTISTICO
La tematica della corporeità, grazie a un inusuale utilizzo del corpo, è strettamente legata
agli avvenimenti storici della fine degli anni Sessanta.
È, infatti, all'interno dei processi di cambiamento storico e sociale che gli eventi estetici si
collocano come momento di indagine profonda del sé, e nella proliferante ondata di
spinte conoscitive la corporeità si afferma come il territorio privilegiato di ricerca
identitaria.
Ciò accade esattamente nel momento in cui, socialmente e politicamente, il mettere in
discussione il soggetto, attraverso i movimenti liberatori, coincide con l'affermazione di
filosofie, di ricerche culturali e psicoanalitiche che vanno a concentrarsi sulla soggettività
in costruzione.
Tali ricerche non sono avulse dalle contestazioni giovanili legate al movimento del '68,
anzi, le correnti sperimentali artistiche di questi anni manifestano una nuova sensibilità
estetica.
Confluiscono nella tematica corporea pratiche orientali come il Mudra (che
regola i gesti simbolici delle mani) e lo Zen (filosofia che si basa sulla
concentrazione e sul controllo corporeo).

Inoltre, su questo percorso influisce soprattutto il fondamento psicoanalitico. La
Body art è, dunque, la corrente artistica che, attraverso il suo eccessivo codice
visivo, si pone il problema dell'In-der-Welt-sein, ossia dell'essere al mondo e
del collocamento dell'individuo all'interno della società.

Grazie a un'estremizzazione linguistica, gli artisti della Body art indagano le
contraddizioni dell'essere.
IL CORPO COME LUOGO DEL SIMBOLICO

Non c'è una data precisa che attesti la nascita della Body art, poiché le
manifestazioni legate a questa sensibilità che utilizza e sfrutta tutte le
possibilità della corporeità nascono dal superamento di alcuni dati acquisiti
dalle avanguardie artistiche. È possibile, semmai, rinvenire in alcuni eventi
artistici del passato alcune ascendenze che collimano nella codificazione di
quella che sarà la Body art.

Sicuramente importanti per gli artisti della Body art sono le esperienze
dadaiste (Duchamp tonsure), totalmente slegate dal concetto di arte
tradizionale, così come decisiva appare l'esperienza degli happening della
corrente Fluxus, affermatasi nei primi anni Cinquanta come una delle
esperienze azzeratrici del linguaggio artistico classico, sia attraverso la
vanificazione dell'oggetto artistico sia attraverso lo scompaginamento di
quella che era stata, da sempre, l'idea del fare arte all'interno del suo
stesso sistema.
La foto ha un significato all’apparenza più contingente e
                                                   al contempo più commovente. È stata scattata nel ’19 a
                                                   Parigi, dopo quattro anni di assenza: sotto, nella grafia di
                                                   Duchamp, si legge “Tonsure de 1919 – Paris”.
                                                   L’artista o “anartista”, come preferiva definirsi, vi era
                                                   giunto da New York dove abitava da alcuni anni,
                                                   passando da Londra, e vi si sarebbe trattenuto estate e
                                                   autunno, forse fino a dicembre. Il riferimento al luogo
                                                   non è casuale, e nemmeno la data. Duchamp aveva
                                                   deciso di tornare a Parigi dopo la morte, alla fine del ’18,
                                                   di suo fratello Raymond Duchamp–Villon e di Apollinaire.
                                                   La morte del poeta aveva suscitato grande dolore nelle
                                                   cerchie artistiche. Severini ricorda così quel momento:
                                                   “Tout d’un coup, une sorte de nuage noir et lourd se
                                                   répandit dans Paris: «Apollinaire se meurt, Apollinaire
                                                   est mort!»”.
                                                   Non fu la ferita, ma la ‘spagnola’ a portarsi via il poeta.
                                                   La ferita l’aveva confinato tra morte e vita per alcuni
                                                   giorni, e un ascesso gli aveva provocato una paralisi, ma
                                                   ripresa la salute si fa fotografare in uniforme con la
                                                   vistosa benda alla testa , e riprende a scrivere. La prima
                                                   poesia sintetizza in calligramma l’evento:
                                                   Una stella di sangue m’incorona per sempre
                                                   […]
                                                   Questo quasi mortale foro che si è stellato…
                                                   (G. Apollinaire, Alcool Calligrammi, Milano 1986, trad. L.
                                                   Frezza, p. 499)
                                                   Il titolo? “Tristezza d’una stella”. Un intero ciclo di poesie,
                                                   scritte sul fronte e raccolte in Calligrammes, reca il titolo
                                                   “La tête étoilée”: la testa stellata.

Duchamp, come estremo, commovente omaggio all’amico –e al poeta– si fa rasare la nuca in forma di stella
L'happening è la prima esperienza estetica che tenta di uscire fuori dalla
canonizzazione dell'asfittico circuito artistico.
Fluxus, infatti, attraverso i suoi happening, unifica per la prima volta,
nell'esperienza artistica, specificità come la danza, la musica, il teatro, la poesia
e, attraverso eventi come i Festum Fluxorum Fluxus (interminabili maratone
multimediali), apre l'arte visiva ad altre contaminazioni estetiche.

Legati all'humus poliedrico di Fluxus sono gli artisti George Maciunas, Dick
Higgins, Nam June Paik, George Brecht, Wolf Vostell, Yoko Ono, Terry Riley,
Robert Filliou, Daniel Spoerri, John Cage, La Monte Young.

Ciò che è importante sottolineare nell'esperienza di Fluxus è la trasformazione
linguistica e la sua incontrollabile messa a punto nel sistema dell'arte fin
troppo codificato in una serie di ruoli fin qui mai violati.
George Maciunas – Solo for Violin – 234 maggio 1964
George Maciunas - Initiales
L'affinità sostanziale tra Fluxus e la Body art sta nella volontà comune,
benché esplicitata attraverso pratiche diverse, di operare una forte rottura
all'interno del sistema.

La Body art, infatti, si segnala tra le esperienze estetiche degli anni
Sessanta-Settanta come una sorta di forte trauma espressivo, come il
radicale svuotamento dei canonici fondamenti artistici esistenti,
raccogliendo, in qualche modo, tutta la fenomenologia di esperienze estreme
legate all'idea di corpo come luogo del simbolico:

il corpo viene utilizzato dagli artisti per sondare le esperienze dell'essere
umano, per indagare le forze produttive dell'inconscio, per esplorare le
pulsioni di vita e di morte e per liberare tutti i flussi del desiderio repressi da
una società rinchiusa in tabù atavici.
Nam Jun Paik - TV - BUDDHA
Nam Jun Paik
Nam Juk Paik - 32 Cars for the 20th century
La Body art è dunque il linguaggio artistico 'esperenziale' che, per la prima
volta, scava nei recessi dell'essere umano e li rende manifesti.

All'interno di questa nutritissima corrente si intrecciano discorsi e paradigmi
differenti. La Body art, infatti, raccoglie molte esperienze sul corpo che
esplodono in Europa e in California, e all'interno della sua poliedrica
fenomenologia si può distinguere una linea più fredda e analitica, in cui
l'azione sottolinea le funzioni del corpo stesso servendosi di mezzi di
riproduzione meccanica come la fotografia, il video e il film.

Le azioni di questi artisti vengono viste attraverso la loro riproduzione, senza
quindi una loro diretta fruizione fisica. L'azione, infatti, viene rigorosamente
concettualizzata e realizzata attraverso la 'freddezza' del mezzo tecnico: è la
sua documentazione a divenire opera.
A questo versante 'freddo' appartengono le azioni di Bruce Nauman, Klaus
Rinke, Ketty La Rocca, Arnulf Rainer, Lucas Samaras, Katharina Sieverding,
Luigi Ontani e alcune azioni di Gilbert & George, Michel Journiac e Urs
Luthi. Sebbene sia impossibile generalizzare le esperienze, ciò che lega e
avvicina queste ricerche è la rappresentazione del corpo che si espleta
tramite la sperimentazione del mezzo tecnico. In qualche modo, questi
lavori, per radicali e simbolici che siano, rientrano ancora nella produzione di
oggetti estetici: fotografie, video e film. È una sorta di primo livello di
esperienza corporea che ne annuncia un altro molto più devastante dal
punto di vista sia morfologico sia linguistico.

La performance è appunto il momento più estremo in cui si esplicano le
esperienze della Body art. Come scrive l'antropologo V. Turner: "La materia
base della vita sociale è la performance, la presentazione di sé nella vita
quotidiana, il sé è presentato mediante la performance di ruoli, mediante la
performance che li infrange, e mediante la dichiarazione a un pubblico della
trasformazione di stato salvata o condannata, innalzata o liberata" (Turner
1986).
La performance è il territorio in cui è possibile autorappresentarsi, scardinando
tutte le forze pulsionali dell'io.

Al tempo stesso la performance, in quanto produzione di effimero, tende a
vanificare il sistema dell'arte ancorato alla produzione di bene e, in quanto atto
estetico, è, in realtà, produzione di sensibilità.

La codificata produzione di oggetto artistico viene ribaltata dalla performance
proprio perché ciò che viene evidenziato e messo in discussione è, per la prima
volta nella storia dell'arte, il soggetto.
Tale rovesciamento riconduce all'acquisizione della centralità del soggetto nei
confronti dell'oggetto.

L'estremismo del gesto accompagna dunque il versante più radicale della Body
art che si autoevidenzia attraverso la performance.
Marina Abramovich - Imponderabilia
M. Abramovich – Rythm 0 - 1974   M.Abramovich
M. Abramovich – Rythm 0 - 1974
A questa sensibilità pulsionale è ancorato il lavoro di Gina Pane, Vito Acconci,
Chris Burden, Marina Abramovic, Rebecca Horn, Coum Transmission, degli slavi
Petr Stembera, Jan Mlcoch e Karel Miler e degli esponenti del Wiener
Aktionismus della prima generazione, come Hermann Nitsch, Otto Muehl,
Gunther Brus, Oswald Wiener, Rudolf Schwarzkogler, e della seconda
generazione, come Valie Export, Wolfgang Ernst, Peter Weibel, Dominik Steiger
e il regista Ernst Schmitd.

Il lavoro degli artisti viennesi rappresenta, forse, il più perturbante esempio di
indagine dell'io attraverso pratiche scioccanti di autodistruzione fisica.
Nelle performance del Wiener Aktionismus c'è, infatti, una sorta di
scatenamento di pulsioni distruttive che il performer manifesta violentandosi e
autotorturandosi.

In realtà la performance diviene il luogo simbolico dove viene catturata la
conflittualità sociale e culturale. Attraverso l'espediente rappresentativo e
proiettivo, il performer sconfessa l'aggressività esterna scatenandola sul
proprio corpo.
Marina Abramovich
Marina Abramovich
Accanto a queste dominanti psicologiche e patologiche altre variazioni tematiche
si legano al linguaggio corporeo: è il caso delle politiche di genere che
affiancano i temi del femminismo degli anni Settanta, in cui convergono i
lavori delle americane Carolee Schneemann, Hannah Wilke e della cubana Ana
Mendieta.

Tale ricerca si situa in un territorio di conflittualità legate al ruolo e alla sessualità
femminile, nel mettere in crisi un'identità stereotipata. La diaspora identitaria
strettamente connessa alla dominazione colonialista è invece il motivo centrale
del lavoro sul corpo operato dal brasiliano Helio Oiticica, mentre Lygia Clark,
anch'essa brasiliana, affronta il postcolonialismo all'interno delle tematiche
della differenza sessuale.

La corporeità diviene dunque una sorta di cartina di tornasole in cui sembra
confluire tutto l'insieme dei conflitti, dei piaceri e dei desideri dell'essere
contemporaneo.
YOKO ONO
L’azione è arte. Il corpo la tela.

Le suggestive actions di Gina Pane sono protagoniste della mostra, curata da
Valerio Dehò, alla Osart Gallery di Milano. Dal 30 novembre 2018 al 23 febbraio
2019, l’opera dell’artista viene riproposta attraverso una selezione di momenti
che vanno dal 1968 al 1988. Nel ventennio che intercorre, il 1981 segna uno
spartiacque nel linguaggio espressivo di Gina Pane che abbandona la Body Art
per tornare alla scultura: il momento si traduce in “Constatazioni” e “Partizioni”
di cui la retrospettiva si compone.

Le “Constatazioni” sono sequenze fotografiche che documentano alcune tra le
Azioni più celebri: seguendo un percorso cronologico, il sipario si apre su Pierres
déplacées (Pietre spostate) del 1968 in cui una serie di immagini ripropone la
performance realizzata nella Valle dell’Orco, in provincia di Torino, dove l’artista
raccoglie pietre di piccola taglia secondo caratteristiche scelte -«esposte a nord,
ricoperte di muschio, incastrate dentro una terra umida»- per spostarle in un
luogo orientato verso sud.
L’opera rappresenta il superamento della prima fase delle Structures
affirmées (sculture minimaliste) e segna l’esordio della riflessione sul
rapporto uomo-natura.

Successivamente, nel 1973, alla Galleria Diagramma di Milano, si tiene
Action sentimentale (Azione sentimentale).
Il celebre momento è dedicato alle donne e si divide in quattro atti: ad
alcune donne viene chiesto di disporsi in cerchi tracciati a terra con il
gessetto all’interno dei quali figurava la parola “donna”; l’artista, vestita di
bianco e con un bouquet di rose rosse, stacca le spine dal mazzo per poi
conficcarsele nelle braccia; il sangue, che inizia a colare, tinge il vestito di
rosso e le rose rosse diventano bianche.
Gina Pane – Azione sentimentale -
             1973
Gina Pane, Io mescolo tutto: Cocaina, Frà Angelico, 30 ottobre 1976.
                 Courtesy Anne Marchand | Max Pescio.

Dell’anno seguente è, invece, Action mélancolique 2x2x2 (Azione
malinconica 2x2x2) in cui -come si evince dal titolo- la malinconia viene
esplorata attraverso l’evocazione della relazione di coppia in tutte le
combinazioni possibili.
L'”io” è rappresentato da Gina Pane mediante un taglio che l’artista italo-
francese si procura all’orecchio, chiara allusione al gesto disperato di Van
Gogh.
Una schiena nuda di ragazza personifica, altresì, il “tu”. Il cuore disegnato
inscrive, dunque, la relazione amorosa in uno spazio non più identificato
con il genere ma codificato dalla forza del sentimento assoluto, passando
da una situazione isolata ad una situazione unificatrice.
Straziante è la sequenza dedicata ad Action Psyché (Essai) (Azione
Psiche, Prova) del 1974-75, in assoluto la performance che condensa e
supera a livello filosofico-poetico il linguaggio della Body Art: sul viso di Gina
Pane, che ha gli occhi chiusi, colano lacrime di sangue dalle palpebre che ha
tagliato in precedenza con una lama di rasoio.

Dall’ombelico, centro del corpo e centro del'”Io”, quattro tagli si diramano
nelle quattro direzioni principali, «riportando all’unità i punti estremi in una
sintesi di amore».

In Io mescolo tutto: Cocaina, Frà Angelico, Gina Pane utilizza il corpo come
strumento naturale della psiche stessa.
GINA PANE - 1974
Gina Pane – Action Psychè Essai – 24 gennaio 1974
Gina Pane, Action Psyché (Essai), 24 gennaio 1974. Courtesy Anne
                         Marchand | Max Pescio

L’azione -30 ottobre 1976- è la prima che viene eseguita in un museo, la
Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna: due giovani si lanciano una
pallina su un tavolo appoggiato al muro, mentre l’artista, servendosi di una
scheggia di un vetro andato in frantumi, si incide sull’avambraccio il disegno
di alcuni pezzi di un gioco trovati per terra. Il vetro rappresenta un materiale
chiave nell’esperienza della performer: in diverse opere, infatti, indica
simbolicamente la possibilità si uscire da una cornice che sia sociale, civile o
personale «per andare in strada, nel mondo, non a livello dei manichini ma a
livello della carne».
Gina Pane, Io mescolo tutto: Cocaina, Frà Angelico, 30 ottobre 1976.
                  Courtesy Anne Marchand | Max Pescio

Le “Partizioni” sanciscono, nel 1981, l’abbandono dell’uso del corpo come
strumento e protagonista dell’arte di Gina Pane. I limiti fisici richiedono,
infatti, un cambiamento delle pratiche espressive che si risolve in un ritorno
alla scultura: ne L’Homme à la branche verte qui n’avait pas lu les
Fleurs du mal – Partition pour une blessure (L’uomo con il ramo verde
che non aveva letto i Fiori del Male – Partizione per una ferita), 1982,
l’artista torna sull’idea di ferita -simbolo di vita- richiamando i moti poetici
dell’Action Sentimentale con una foto che occupa un posto centrale
dell’installazione.

L’uomo con il rametto verde che non aveva letto i Fiori del Male rappresenta
chi la disprezza e di conseguenza è ritenuto ridicolo: infatti, per l’artista, il
sangue è un’offerta d’amore verso il prossimo che libera l’uomo dai propri
limiti.
L’ultima opera presente, che conclude il ventennio in mostra, è Le Son de F.
L’homme indien en prière, version 3 (Il suono di F. L’uomo indiano in
preghiera, versione 3) del 1986-88.

Questa si compone di più pannelli assemblati in rame e in ferro su cui l’artista
interviene come se lavorasse sul proprio corpo, infatti il rame non appena viene
utilizzato registra i segni del contatto.

I pannelli ricordano i polittici delle chiese medievali e la loro disposizione a “T” la
forma della croce latina. L’opera è una chiara evocazione di San Francesco e
della sua fede, centrali in diverse opere di Gina Pane.
Robert FILLIOU – Ways to use the Emmet William's skull
Robert FILLIOU – Ways to use the Emmet William's skull
REBECCA HORN

Einhorn (Unicorno) è una delle più famose opere della Horn (il titolo è anche un gioco di
parole sul nome dell'artista). L'opera fu utilizzata per una performance ed indossata, in
quest'ultima, da una donna mentre camminava in campagna.
La body extension è attaccata al corpo tramite delle cinghie, simili a quelle utilizzate dalla
pittrice Frida Kahlo.

Pencil Mask (Maschera di matite) è un'altra body extension, composta da sei cinghie
orizzontali e tre verticali. Dove le cinghie si incontrano sono inserite delle matite.

Finger Gloves è il nome sia di una performance, sia della principale body extension
contenuta in essa. Si tratta di guanti, ma la forma delle dita si estende grazie ad
allungamenti in balsa e tessuto.
Un'altra opera simile fu concepita dalla stessa Horn nel 1974 (touching the walls with both
hands simultaneously, "toccare le mura con entrambe le mani contemporaneamente"). La
lunghezza delle dita in questa performance era concepita in modo che il soggetto, stando
al centro della stanza, potesse toccare due muri opposti nello stesso momento.
Rebecca HORN - Einhorn   Rebecca HORN – Pencil Mask
Rebecca HORN – Finger Gloves
Anche Feather Fingers (Guanti di piume, 1972) è un'opera incentrata
sull'illusione del tatto e sulle mani. Una piuma viene attaccata a ciascun dito con
un anello di metallo, per far sì, nelle intenzioni dell'artista, che la mano diventi
"simmetrica (e sensibile) come un'ala di uccello". La Horn, toccando un braccio
con le piume attaccate alla mano opposta, sperimentò la sensazione di sentir
toccare il braccio dalle dita della mano opposta (e di provare la sensazione
anche nelle dita), pur essendo, in realtà, le piume a toccare il braccio. Secondo
la Horn, in questa opera "è come se una mano, improvvisamente, diventasse
disconnessa dall'altra, come se si trattasse di due esseri senza nessun
collegamento.
Rebecca Horn continuò a utilizzare piume negli anni ottanta e novanta,
concentrandosi sulla creazione di occhiali da sole. Molte delle opere piumate
avvolgono la figura, come un bozzolo, oppure sono maschere e ventagli ideati
per coprire o imprigionare il corpo. Tra queste opere possiamo ricordare
Cockfeather (Piume di gallo, 1971), Cockfeather Mask (Maschera di piume di
gallo, 1973), Cockatoo Mask (1973), Paradise Widow (Vedova del Paradiso,
1975), e The Feathered Prison Fan (Il ventaglio-prigione di piume, 1977), ideato
per il suo film Die Eintänzer.
Le opere di Rebecca Horn sono ispirate, a suo dire, dalle opere di Franz Kafka
e Jean Genet, e dai film di Luis Buñuel e Pier Paolo Pasolini
REBECCA HORN
HERMANN NITSCH

L'arte di Hermann Nitsch è fortemente influenzata dalla sua ammirazione per autori e
artisti come de Sade, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud e Antonin Artaud. Nel suo
manifesto puntualizza come le sue azioni debbano suscitare nello spettatore disgusto e
ribrezzo, per innescare una controreazione di catarsi e purificazione.

L'opera di Hermann Nitsch trova la sua massima espressione nel Teatro delle Orge e dei
Misteri, opera d'arte totale che si riferisce, come già lo suggerisce il nome, alle
orge dionisiache dell'antichità e alla tradizione teatrale medievale del Teatro dei misteri.
Infatti, il Teatro delle Orge e Misteri ha una forte valenza rituale e sacra.

Nitsch cerca di insinuarsi nel subconscio del singolo colpendolo con immagini di animali
sanguinanti e sacrificati in croce, ebbrezza, nudità e sangue. In questi giochi rituali, che
durano diversi giorni, si incitano gruppi di persone a squartare bestie da soma, a tirarne
fuori le viscere e a calpestarle, a imbrattare di sangue delle persone crocifisse e a unirsi
in un rito collettivo di frenesia, basato su riti liturgici e sacri.
Hermann NITSCH
Questi gesti portano il singolo ad entrare in contatto con il proprio essere
animale più profondo e istintivo, e quindi a toccare gli ambiti più bui e
nascosti del proprio essere, che sono normalmente repressi dalla società
umana.

I partecipanti all'opera di Nitsch vengono costretti a vivere con una presa di
coscienza questa totale disinibizione degli impulsi animali, e con questo
anche la nostra innata potenzialità e tendenza alla violenza e alla distruzione.
La decadenza radicale verso la sensualità ha come risultato una reazione
catartica e purificatoria, e quindi l'ascesa alla spiritualità.

Hermann Nitsch è stato processato varie volte e condannato a tre pene
detentive.
Hermann NITSCH
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