CORTE COSTITUZIONALE SEGNALAZIONI SULL'ATTUALITÀ COSTITUZIONALE STRANIERA - SERVIZIO STUDI

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CORTE COSTITUZIONALE
        SERVIZIO STUDI

     Area di diritto comparato

SEGNALAZIONI SULL’ATTUALITÀ
 COSTITUZIONALE STRANIERA

                           a cura di
                     Carmen Guerrero Picó
                     Sarah Pasetto
                     Maria Theresia Rörig
                     Céline Torrisi
                           con il coordinamento di
                     Paolo Passaglia

        n. 26 (giugno 2019)
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SOMMARIO

Spagna
  CATALOGNA – SECESSIONE
  La Corte di Strasburgo dichiara irricevibile un ricorso riguardante
  la sospensione della seduta del Parlamento catalano che avrebbe
  dichiarato l’indipendenza .................................................................................. 5

Francia
  LAVORATORE – LICENZIAMENTO
  Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-787 QPC del 7 giugno 2019,
  M. Taoufik B., sull’impossibilità di sospendere l’esecuzione
  del licenziamento di un lavoratore c.d. protetto ................................................ 9

Germania
  IMMIGRAZIONE
  Il Bundestag approva varie modifiche alla normativa sull’immigrazione
  e sull’allontanamento di stranieri senza titolo di soggiorno ........................... 13

Francia
  PROTEZIONE DEI DATI – SICUREZZA SOCIALE
  Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-789 QPC del 14 giugno 2019,
  Mme. Hanen S., sulla comunicazione di dati agli organismi di sicurezza
  sociale .............................................................................................................. 19

Francia
  DETENUTI – USCITE DAL CARCERE
  Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-791 QPC del 21 giugno 2019,
  Section française de l'Observatoire international des prisons, in tema
  di autorizzazione all’uscita con scorta dei detenuti dal carcere ...................... 23
Francia
  MEDICI – ATTIVITÀ INTRA-MOENIA
  Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-792 QPC del 21 giugno 2019,
  Clinique Saint-Coeur et autres, in tema di superamento degli onorari dei medici
  nell’ambito dell’attività intra-moenia ............................................................. 25

Spagna
  PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – MOBBING
  Il Tribunale costituzionale si pronuncia su un caso di mobbing nell’ambito
  della pubblica amministrazione ....................................................................... 29

Spagna
  AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA – PROCESSO TELEMATICO
  Il Tribunale costituzionale si pronuncia su alcune criticità collegate
  al processo telematico ...................................................................................... 33

Stati Uniti
  CENSIMENTO – DOMANDA SULLA CITTADINANZA
  Corte suprema, sentenza Department of Commerce et al. v. New York et al.,
  588 U.S. __ (2019), No. 18–966, del 27 giugno 2019, sulla reintroduzione
  di una domanda sulla cittadinanza nel formulare inerente al censimento
  decennale ......................................................................................................... 37

Francia
  GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA – CONTROLLO DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI
  Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-794 QPC del 28 giugno 2019,
  Union syndicale des magistrats administratifs et autre, sul controllo della
  legittimità formale delle decisioni amministrative non regolamentari ............ 43

Stati Uniti
  COLLEGI ELETTORALI (INDIVIDUAZIONE) – LIMITI AL SINDACATO
  GIURISDIZIONALE

  Corte suprema, sentenza Rucho et al. v. Common Cause et al., 588 U.S. (2019),
  No. 18 422, del 27 giugno 2019, sul ruolo delle corti nei casi di
  partisan gerrymandering ................................................................................. 47
SPAGNA
                                CATALOGNA – SECESSIONE

        La Corte di Strasburgo dichiara irricevibile un ricorso
        riguardante la sospensione della seduta del Parlamento
            catalano che avrebbe dichiarato l’indipendenza

                                                                                      04/06/2019

   La Corte europea dei diritti dell’uomo, con decisione del 28 maggio 2019 1, ha
dichiarato irricevibile il ricorso María Carmen Forcadell i Lluis ed altri c.
Spagna, riguardante i fatti collegati al processo secessionista catalano che si
presentano qui di seguito.
   Il 4 ottobre 2017, l’Ufficio di presidenza del Parlamento catalano, accettando la
richiesta di Junts pel Sí e di Canditatura d’Unitat Popular Crida Constituent (i
due gruppi parlamentari di maggioranza), aveva convocato una seduta plenaria
ordinaria per il giorno 9 ottobre. In essa sarebbe intervenuto il Presidente della
Generalitat per valutare i risultati del c.d. referendum indipendentista del 1º
ottobre ed i suoi effetti, in conformità all’art. 4 della legge n. 19/2017, del 6
settembre, sul referendum di autodeterminazione.
   Il Tribunale costituzionale era stato subito adito dai deputati del gruppo
parlamentare socialista catalano, che lamentavano l’asserita violazione dello jus in
officium (art. 23, comma 2, Cost.) e del diritto dei cittadini di partecipare agli
affari pubblici attraverso rappresentanti (art. 23, comma 1, Cost.). L’ATC
134/2017, del 5 ottobre, aveva dichiarato ammissibile il loro ricorso di amparo,
aveva sospeso in via cautelare l’efficacia degli acuerdos del 4 ottobre e, di
conseguenza, aveva impedito la celebrazione della seduta plenaria prevista per il 9
ottobre. Anticipando un possibile atto di disobbedienza del Parlamento catalano 2,
il Tribunale costituzionale aveva altresì dichiarato radicalmente nullo e privo di
alcun valore giuridico qualsivoglia atto, risoluzione o accordo che potesse essere
adottato in violazione del provvedimento di sospensione.

   1
           La        decisione      è     reperibile    on     line               alla       pagina
https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-193593%22]}.
   2
      In effetti, il 10 ottobre 2017, il Presidente catalano Carles Puigdemont si era presentato in
aula, aveva dichiarato l’indipendenza della Catalogna e subito dopo aveva chiesto al Parlamento
catalano di sospenderla. La STC 46/2018, del 26 aprile, ha accolto, nel merito, il ricorso di amparo
dei deputati socialisti.
                                                                                                  5
Un gruppo di settantasei deputati del Parlamento catalano, tra cui la sua
presidente Carme Forcadell e Carles Puigdemont, aveva allora adito la Corte di
Strasburgo, ritenendo che la decisione di sospendere la seduta plenaria del 9
ottobre 2017 fosse contraria agli artt. 6 (diritto ad un processo equo), 10 (libertà di
espressione) e 11 (libertà di riunione e di associazione) della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, nonché all’art. 3 del protocollo addizionale n. 1 alla
CEDU (diritto a libere elezioni).
   Sull’asserita violazione degli artt. 10 e 11 CEDU, la Corte di Strasburgo ha
ribadito ancora una volta che il diritto alla libertà di riunione è un diritto
fondamentale in una società democratica e, non diversamente dal diritto alla
libertà di espressione, costituisce uno dei fondamenti di un tale tipo di società.
Tuttavia, l’ingerenza denunciata non può ritenersi illegittima perché, come sancito
dall’art. 11 CEDU, sono ammesse restrizioni previste dalla legge 3, che rispondano
ad una finalità legittima 4 e che costituiscano misure necessarie in una società
democratica 5.
   In questo caso, la sospensione decisa dal Tribunale costituzionale era prevista
dalla legge. L’art. 56 della Legge organica sul Tribunale costituzionale prevede la
possibilità di adottare misure di sospensione o misure cautelari e provvisorie già
nella fase di ammissibilità, trattandosi di casi di urgenza eccezionale. La decisione
può essere contestata dal pubblico ministero e dalle parti entro cinque giorni dalla
sua notifica e, nella specie, il Tribunale costituzionale aveva concesso un termine
di dieci giorni. Inoltre, l’ingerenza era da ritenersi prevedibile, poiché (i) la seduta
plenaria era stata convocata in attuazione della legge n. 19/2017, anche questa
sospesa dal Tribunale costituzionale, e (ii) la STC 259/2015, del 2 dicembre,
poteva essere considerata un precedente riguardo alla posizione del Tribunale
costituzionale in merito al processo di creazione di uno stato indipendente
catalano.
   La misura cautelare aveva una finalità legittima: era volta a garantire la
protezione dei diritti e delle libertà dei parlamentari in minoranza nel Parlamento
catalano, nei confronti di possibili abusi della maggioranza parlamentare.
   Infine, si trattava di una misura necessaria in una società democratica. La
decisione dell'Ufficio di presidenza del Parlamento catalano di autorizzare lo
svolgimento della sessione plenaria del 9 ottobre presupponeva una chiara
inosservanza della decisione del Tribunale costituzionale che aveva decretato la

    3
        V. in particolare i §§ 28-31 della decisione.
    4
        V. i §§ 32-33.
    5
        V. i §§ 34-40.
6
sospensione della legge n. 19/2017, legge che sarebbe stata dichiarata
incostituzionale dalla STC 114/2017, del 17 ottobre, per – tra l’altro – il mancato
rispetto dei diritti delle minoranze nel procedimento legislativo. Pertanto, la
sospensione della seduta plenaria era volta a garantire l’osservanza delle decisioni
del Tribunale costituzionale, preservando così l’ordine costituzionale. La Corte
EDU ha, quindi, dichiarato il ricorso manifestamente infondato.
   Con riferimento all’asserita violazione del diritto a libere elezioni 6, “in
condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla
scelta del corpo legislativo”, poiché la decisione dell’Ufficio di presidenza del
Parlamento catalano presupponeva una chiara inosservanza delle decisioni del
Tribunale costituzionale, la pretesa dei ricorrenti era incompatibile ratione
materiae con le disposizioni della CEDU.
   Infine, non era stata provata alcuna violazione dell’art. 6 CEDU.

                                                            Carmen Guerrero Picó

   6
       V. i §§ 41-46.
                                                                                  7
FRANCIA
                         LAVORATORE – LICENZIAMENTO

         Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-787 QPC
 del 7 giugno 2019, M. Taoufik B., sull’impossibilità di sospendere
   l’esecuzione del licenziamento di un lavoratore c.d. protetto

                                                                          10/06/2019

   Il Conseil constitutionnel è stato adito dal Conseil d’État, che ha sollevato una
questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto l’art. L. 1232-6 del
Codice del lavoro, come modificato dalla legge n. 2018-217 del 29 marzo 2018, di
ratifica delle ordonnances adottate sul fondamento della legge n. 2017-1340 del
15 settembre 2017, di abilitazione ad adottare, mediante, ordonnances, misure per
il rafforzamento del dialogo sociale.
    Le disposizioni contestate stabiliscono che, qualora il datore di lavoro decida di
licenziare un lavoratore, la decisione deve essere notificata mediante
raccomandata con ricevuta di ritorno. Tale lettera, contenente le motivazioni
addotte dal datore di lavoro, non può essere spedita oltre due giorni dopo la data
del colloquio preliminare di licenziamento. Inoltre, gli artt. L. 2411-1 e L. 2411-2
del Codice del lavoro specificano che, nel caso in cui i lavoratori coinvolti
ricoprano un mandato di rappresentanza, godono di una protezione specifica, in
virtù della quale il licenziamento può intervenire solo previa autorizzazione
dell’ispettorato del lavoro. Tale autorizzazione può essere impugnata dinanzi al
giudice amministrativo e, in applicazione dell’art. L. 521-1 del Codice di giustizia
amministrativa, dinanzi al giudice dei référés, che può ordinare la sospensione di
tale decisione o di alcuni dei suoi effetti. Tuttavia, la giurisprudenza del Conseil
d’État ha fissato l’esecutività dell’autorizzazione al licenziamento di un lavoratore
“protetto” al momento dell’invio della lettera di licenziamento. Di conseguenza, la
richiesta di sospensione eventualmente sollevata dinanzi al giudice dei référés
dopo l’invio di tale lettera diventa priva di oggetto, il che implica il suo rigetto.
    Il ricorrente nel giudizio a quo sosteneva che, qualora tali disposizioni si
applicassero a un lavoratore c.d. protetto e per il quale l’autorità amministrativa
avesse autorizzato il licenziamento, esse non avrebbero garantito la possibilità di
promuovere un ricorso per chiederne la sospensione. Ne sarebbe derivata una
violazione del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo nonché una
incompetenza negativa da parte del legislatore, nella misura in cui non sarebbe
stato previsto un meccanismo che garantisse l’effettività della domanda di
                                                                                    9
sospensione. Inoltre, tali disposizioni avrebbero violato il principio di uguaglianza
davanti alla legge, nella misura in cui un lavoratore non protetto può contestare il
proprio licenziamento dinanzi al giudice dei référés di diritto comune, senza che
tale ricorso possa – a differenza di quello esercitato innanzi al giudice
amministrativo da un lavoratore protetto – essere privo di effetto al momento
dell’invio della raccomandata.
    Il Conseil constitutionnel ha stabilito che la natura non sospensiva di un ricorso
non viola, di per sé, il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo garantito
dall’art. 16 della Dichiarazione del 1789. Ha poi considerato che, malgrado
l’impossibilità di sospendere la decisione amministrativa di autorizzazione al
licenziamento dopo la data di invio della lettera, esiste sempre la possibilità, per il
giudice di merito, di annullarla. In questo caso, il lavoratore può, nel caso lo
auspicasse, riprendere il suo posto di lavoro o uno equivalente.
    Il Conseil constitutionnel ha poi sottolineato che, in applicazione dell’art. L.
2422-2 del medesimo Codice, il componente della delegazione del personale al
comitato economico, il rappresentante di prossimità ed il componente della
delegazione del personale al comitato sociale e economico interimprese godono,
per un verso, di una reintegrazione di diritto nei loro mandati qualora, nel
frattempo, l’istituzione non sia stata rinnovata, e, per altro verso, di una protezione
contro il licenziamento per un periodo di sei mesi, a partire dal giorno in cui
abbiano reintegrato il loro posto di lavoro.
    Infine, l’art. L. 2422-4 del medesimo Codice prevede che il lavoratore che
ricopre uno dei mandati menzionati all’art. L. 2422-1 ha diritto ad una indennità
che corrisponde alla totalità del pregiudizio subito nel corso del periodo trascorso
tra il licenziamento ed il suo reintegro. Qualora non avesse chiesto il reintegro,
l’indennizzo coprirebbe il periodo trascorso tra il licenziamento ed i due mesi
successivi alla notifica dell’annullamento dell’autorizzazione amministrativa al
licenziamento.
    Sulla scorta di queste considerazioni, il Conseil constitutionnel ha considerato
che il legislatore avesse istituito garanzie sufficienti volte a rimediare alle
conseguenze, per il lavoratore “protetto”, dell’esecuzione dell’autorizzazione
amministrativa al licenziamento. Ha stabilito, inoltre, che, non garantendo
l’effetto sospensivo del ricorso contro tale autorizzazione, le disposizioni
contestate non violano il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo e non danno
luogo ad una incompetenza negativa.

10
Infine, il Conseil ha stabilito che le disposizioni contestate non violano il
principio di uguaglianza, giacché il legislatore non ha creato alcuna disparità di
trattamento tra i lavoratori licenziati.
   Ha, quindi, dichiarato le disposizioni contestate conformi alla Costituzione 1.

                                                                                Céline Torrisi

   1
        La     decisione      è     reperibile    on  line    alla  pagina   https://www.conseil-
constitutionnel.fr/sites/default/files/as/root/bank_mm/decisions/2019787qpc/2019787qpc.pdf.
                                                                                              11
GERMANIA
                                        IMMIGRAZIONE

          Il Bundestag approva varie modifiche alla normativa
                sull’immigrazione e sull’allontanamento
                  di stranieri senza titolo di soggiorno

                                                                                       11/06/2019

   Il Bundestag ha approvato, il 7 giugno scorso, numerose nuove norme
riguardanti la politica d’accoglienza. Il c.d. ‘pacchetto migratorio’ comprende
sette leggi che modificano, in particolare, la normativa relativa alle espulsioni
coatte, all’immigrazione regolare ed all’integrazione di migranti e rifugiati nel
mondo del lavoro. La riforma prevede l’introduzione di numerose modifiche alla
legge tedesca sul soggiorno, sull’attività lavorativa e sull’integrazione degli
stranieri nel territorio federale (Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit
und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet 1, di seguito anche AufenthG)
del 30 luglio 2004 (da ultimo modificata nel luglio 2018), che disciplina i
permessi di soggiorno di cittadini extracomunitari. Tale normativa costituisce,
infatti, la principale base giuridica in materia di ingresso, allontanamento e
soggiorno di cittadini stranieri in Germania ed è applicabile anche ai rifugiati ed ai
richiedenti asilo nella misura in cui la normativa sul procedimento di asilo non
preveda norme speciali 2.

   Il voto al Bundestag è stato preceduto da un dibattito molto intenso, nel corso
quale i Verdi e la sinistra radicale dei Die Linke hanno criticato il Governo,
accusandolo di calpestare i diritti civili e umani degli immigrati e di gestire il tema
solo secondo criteri di interesse economico. I Verdi e Die Linke hanno anche
cercato di far slittare la votazione finale alla settimana successiva, ma senza
successo. Si è in particolare contestata la tempistica troppo veloce con cui la
normativa è stata approvata impedendo un opportuno e approfondito dibattito.

   1
      Una traduzione inglese dell’AufenthG (nella sua nuova versione del 25 febbraio 2008, BGBl.
I. p. 162, da ultimo modificata il 12 luglio 2018, BGBl. I., p. 1147), aggiornata al 30 ottobre 2017,
è disponibile alla pagina https://www.gesetze-im-internet.de/englisch_aufenthg/index.html.
   2
     Per un’illustrazione dettagliata della normativa si rinvia al contributo sulla Germania di M.
Th. Roerig, nel Dossier del Servizio Studi, Area di diritto comparato, Ingresso, accoglienza e
allontanamento dello straniero, Comp. 253, Maggio 2019, a cura di P. Passaglia.
                                                                                                  13
Con la riforma, è stato da un lato semplificato e ulteriormente agevolato in base
al c.d. “FEG – Fachkräfteeinwanderungsgesetz (“legge sull’immigrazione di
lavoratori specializzati”), l’ingresso di stranieri extracomunitari come lavoratori
qualificati, avendo individuato nell’accoglienza in Germania di detti lavoratori la
mossa cruciale per poter restare un competitor valido nel mercato globale. Un
lavoratore qualificato può ottenere un visto d’ingresso di sei mesi anche per la
sola ricerca di un posto di lavoro e successivamente un permesso di soggiorno
illimitato una volta trovato il posto di lavoro. La nuova legge facilita così
l’ingresso ai cittadini extraeuropei che intendano raggiungere la Germania per
motivi puramente economici.

   La questione dell’immigrazione professionale (la c.d. migrazione economica)
viene, infatti, chiaramente separata da quella dei richiedenti asilo. Mentre si potrà
sempre chiedere asilo in base alla legge tedesca, i cittadini extra-Ue senza un
diritto alla tutela internazionale e che non posseggano elevati livelli di istruzione
(non necessariamente accademica ma comunque qualificata) e, possibilmente, una
offerta di lavoro concreta in Germania, avranno maggiore difficoltà a varcare i
confini federali tedeschi. I migranti vengono essenzialmente classificati sulla base
di una serie di prerequisiti: livello di istruzione, età, competenze linguistiche,
offerte di lavoro e sicurezza finanziaria.

   Inoltre, in base alle c.d. leggi sulla formazione e sull’attività di stranieri
“tollerati” (Gesetze über Duldung bei Ausbildung 3 und Beschäftigung 4), che sono
state parimenti approvate, si prevede il rilascio di particolari permessi di
soggiorno per “tollerati” per un periodo più lungo (30 mesi) anche a quei
richiedenti asilo che, pur presenti sul territorio tedesco (come “tollerati”, senza
permesso), abbiano visto rifiutata la loro domanda, a patto che questi siano ben
integrati (perché abbiano già un lavoro a tempo pieno in Germania da almeno 18
mesi, siano in grado di dimostrare la loro identità, non abbiano alcun precedente
criminale e parlino almeno un livello medio di tedesco o anche per motivi
formativi) e che siano entrati in Germania prima dell’agosto 2018. Lo “stato di
tollerato” per motivi formativi di cui all’art. 60a, comma 2, per. 4 ss., della legge
sul soggiorno (Aufenthaltsgesetz), quale sotto-caso di “tolleranza per motivi
personali”, viene ora disciplinato in un’apposita norma. I presupposti per una
“tolleranza per motivi formativi” (anche in considerazione della formazione
qualificata in materie in cui manchi personale) vengono regolati per legge, anche
per creare una prassi uniforme all’interno del territorio federale. I nuovi permessi

     3
         Beschäftigungsduldungsgesetz
     4
         Ausländerbeschäftigungsförderungsgesetz
14
per tollerati potranno infine, in presenza dei requisiti, essere convertiti in veri e
propri permessi di soggiorno (ai sensi del § 25b 5 o del § 18a 6 AufenthG).

    Per altro verso, la nuova normativa, di cui in particolare la “Zweites Gesetz zur
besseren Durchsetzung der Ausreisepflicht”, detta anche “Geordnete-Rückkehr-
Gesetz” (19/10047), renderà più facili e veloci gli itinera per il rimpatrio per
coloro che non abbiano alcun titolo di soggiorno (ivi inclusi i profughi la cui
domanda di asilo politico in Germania venga respinta) e che siano quindi tenuti a
lasciare il paese. Si cerca essenzialmente di rendere più efficace l’esecuzione
dell’ordine di allontanamento e dunque l’espulsione coattiva. A tal fine, viene
anche ampliata la custodia cautelare e la detenzione propedeutica
all’allontanamento per i soggetti che, decorsi 30 giorni dalla data prefissata per
l’espatrio volontario, non abbiano rispettato l’obbligo di allontanarsi dal paese,
così evitando la fuga nella clandestinità. La detenzione propedeutica viene inoltre
estesa a soggetti potenzialmente pericolosi, anche ai fini di protezione della
sicurezza della Bundesrepublik Deutschland e contro un pericolo terroristico.
   È stata introdotta una c.d. “detenzione cooperativa” (Mitwirkungshaft), che
riguarda stranieri che non osservino i provvedimenti al fine di accertare la loro
identità. Per la custodia ai fini dell’allontanamento non viene più richiesto un
pericolo di fuga. Le autorità avranno inoltre la possibilità – in deroga al principio
di separazione tra centri penitenziari e appositi centri per l’espulsione – di
rinchiudere, fino al 30 giugno 2022, i soggetti da allontanare in centri di
detenzione preventiva e, se necessario, anche all’interno di penitenziari, sebbene
in spazi separati (e quindi non necessariamente in appositi centri visto che questi
risultano troppo affollati). In linea di massima, l’esatto momento
dell’allontanamento coatto dal territorio non viene più comunicato allo straniero
una volta scaduta la data entro cui è consentito l’espatrio volontario per evitare la
fuga nella clandestinità. Le informazioni circa le concrete misure di
allontanamento vengono considerate alla stregua di un vero e proprio segreto la
cui violazione è penalmente rilevante.

    Persone che sono state condannate definitivamente per truffa relativa
all’ottenimento di sussidi sociali o per violazione delle norme sugli stupefacenti

   5
     Una sorta di sanatoria per gli stranieri “tollerati” residenti nella Repubblica federale da più di
otto anni (sei per le famiglie con minori) è stata prevista dal § 25b AufenthG, introdotto dalla legge
del 27 luglio 2015 sulla ridefinizione del diritto di permanenza e della cessazione del soggiorno
(Gesetz zur Neubestimmung des Bleiberechts und der Aufenthaltsbeendigung), che ha concesso
loro un permesso di soggiorno (rinnovabile) di 2 anni, a condizione che conoscano
sufficientemente la lingua tedesca e siano in grado di provvedere al proprio sostentamento.
   6
       Permesso per tollerati professionalmente “qualificati”.
                                                                                                    15
ad una reclusione di almeno un anno potranno essere più facilmente allontanate
coattivamente. Sono previste anche nuove misure di sorveglianza degli autori di
reati gravi che non possono essere allontanati.

   La permanenza nei centri di accoglienza per i richiedenti d’asilo è stata estesa
fino a 18 mesi (per famiglie rimane ferma la durata di 6 mesi). Chi non collabora
ai fini dell’accertamento dell’identità o chi proviene da c.d. stati sicuri può essere
rinchiuso nei centri per un periodo maggiore.

   Infine, viene introdotto un nuovo stato di tollerato per “persone con identità
non accertata” da attribuirsi a soggetti che non possono essere allontanati per
motivi a loro stessi imputabili (perché hanno omesso o fornito informazioni false
sulla propria identità e/o nazionalità). A dette persone viene vietato di lavorare in
Germania e sono anche assoggettati a limitazioni relative alla dimora o alla
residenza. La violazione degli obblighi di collaborazione (circa l’accertamento
dell’identità, ecc.) comporta una più significativa riduzione di prestazioni sociali
ed esistenziali ai sensi della legge sui sussidi per i richiedenti d’asili
(Asylbewerberleistungsgesetz), che viene modificata nel rispetto del dettato della
direttiva Ue 2013/33 del Parlamento Ue e del Consiglio del 26 giugno 2013.

  Chi abbia già ottenuto o deve ottenere la tutela internazionale in un altro Stato
membro, riceverà prestazioni sociali soltanto in misura limitata e provvisoria.

   Si è inoltre esteso il termine per lo scrutinio delle decisioni d’asilo da 3 fino a 5
anni, al fine di alleggerire il sovraccarico dell’autorità federale per la migrazione
ed i profughi.

   Con la legge che rende la durata della legge sull’integrazione indeterminata
(Gesetz zur Entfristung des Integrationsgesetzes), le disposizioni sulle restrizioni e
gli obblighi di dimora e residenza dei richiedenti di protezione internazionale,
finora provvisorie, vengono rese definitivamente applicabili.

   Un’altra novità riguarda la registrazione e lo scambio tra le varie autorità
competenti di dati personali sugli stranieri (in particolare su quelli senza
documento d’identità) in base alla “seconda legge sul miglioramento dello
scambio di dati personali” (Datenaustauschgesetz), che si estende anche a minori
non accompagnati, le cui impronte digitali possono essere registrate. La legge
intende tra l’altro agevolare l’identificazione degli stranieri da allontanare.

   Il Bundesrat deve ancora esprimersi sul pacchetto normativo nella (comunque
limitata) misura in cui è richiesta la sua approvazione. Quest’ultima è necessaria
in merito alla definizione delle prestazioni sociali per richiedenti d’asilo ed alla
normativa sullo scambio di dati personali tra autorità. La Linke è inoltre

16
dell’opinione che il Bundesrat debba approvare anche le nuove regole
sull’allontanamento coattivo.

                                                 Maria Theresia Roerig

                                                                    17
FRANCIA
                     PROTEZIONE DEI DATI – SICUREZZA SOCIALE

          Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-789 QPC
       del 14 giugno 2019, Mme. Hanen S., sulla comunicazione
               di dati agli organismi di sicurezza sociale

                                                                                   17/06/2019

   Il Conseil constitutionnel è stato adito dal Conseil d’État, che ha sollevato una
questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto l’art. L. 114-19 del
Codice della sicurezza sociale, come modificato dalla legge n. 2015-1702 del 21
dicembre 2015 di finanziamento della sicurezza sociale per il 2016, e gli artt. L.
114-20 e L. 114-21 del medesimo Codice, come modificati dalla legge n. 2007-
1786 del 19 dicembre 2007 di finanziamento della sicurezza sociale per il 2008 1.
   Tali disposizioni conferiscono ad alcuni agenti della sicurezza sociale il c.d.
“diritto di comunicazione”, ovvero la possibilità di richiedere agli istituti bancari
alcune informazioni – quali, ad esempio, estratti conto e/o altri documenti bancari
– riguardanti il beneficiario di una prestazione sociale, il suo avente diritto o un
qualsiasi contribuente, senza che possa essere opposto il segreto bancario. Si
riconosceva anche il diritto a richiedere i dati di connessione dei medesimi
soggetti detenuti dagli operatori di comunicazioni elettroniche, dai fornitori di
accesso ad un servizio di comunicazione al pubblico on line o dagli hosters di
contenuti di tale servizio.
   Il ricorrente nel giudizio a quo sosteneva che tali disposizioni violassero il
diritto al rispetto della vita privata, in ragione dell’insufficienza delle garanzie
previste. Si denunciava anche il fatto che il soggetto sottoposto ai suddetti
controlli dovesse essere informato dell’esercizio del diritto di comunicazione nei
suoi confronti solo nel caso in cui tali informazioni fossero state utilizzate per
giustificare una decisione di ritiro di una prestazione sociale o di ripetizione di
somme indebitamente versate. Per i medesimi motivi, si adduceva, infine, una
violazione, da parte del legislatore, della propria competenza, tale da violare il
diritto al rispetto della vita privata.

   1
      Successivamente, tali disposizioni sono state parzialmente modificate con la legge n. 2016-
1691 del 9 dicembre 2016 sulla trasparenza, sulla lotta alla corruzione e sulla modernizzazione
della vita economica. La modifica non era però applicabile, ratione temporis, nel giudizio a quo.
                                                                                              19
Il Conseil constitutionnel ha considerato che, adottando le disposizioni
contestate, il legislatore ha perseguito l’obiettivo di valore costituzionale di lotta
alla frode fiscale in materia di protezione sociale; una parte di tali disposizioni è
stata, nondimeno, dichiarata incostituzionale.
   Nello specifico, il Conseil ha sottolineato che, in virtù dell’art. L. 114-19 del
Codice della sicurezza sociale, le disposizioni contestate perseguono l’obiettivo di
agevolare il controllo della sincerità e dell’esattezza delle dichiarazioni fatte dagli
utenti e dell’autenticità dei documenti prodotti al fine dell’attribuzione e del
pagamento di prestazioni di sicurezza sociale; obiettivi parimenti perseguiti sono
l’agevolazione dell’esercizio delle missioni di controllo dei contribuenti al regime
obbligatorio di sicurezza sociale e di contrasto al lavoro dissimulato, nonché il
recupero di prestazioni indebitamente versate. Il Conseil ha altresì ricordato che
gli agenti degli organismi di sicurezza sociale ai quali è stato riconosciuto tale
diritto di comunicazione sono sottoposti al rispetto del segreto professionale e che
tale diritto non può essere esercitato mediante esecuzione forzata. Si è poi rilevato
che, autorizzando la comunicazione di dati bancari al fine di poter conoscere i
redditi, le spese e la situazione familiare di determinati soggetti, le disposizioni
contestate hanno una piena giustificazione dovuta alla necessità di valutare la
situazione del richiedente o del beneficiario di prestazioni sociali. Se, quindi, tali
dati possono rivelare informazioni relative alle circostanze nelle quali il soggetto
avesse speso o percepito il proprio reddito, a parere del Conseil constitutionnel, la
violazione al diritto al rispetto della vita privata non è comunque sproporzionata
rispetto all’obiettivo perseguito dalla legge. Il legislatore ha, quindi, conciliato in
maniera equilibrata il diritto al rispetto della vita privata con l’obiettivo di valore
costituzionale di lotta alla frode in materia di protezione sociale.
   Tuttavia, con riguardo ai dati di connessione, il Conseil constitutionnel ha
stabilito che, considerata la loro natura ed i trattamenti cui possono essere oggetto,
nonché la quantità e la precisione delle informazioni fornite da tali strumenti, la
previsione relativa alla loro comunicazione violasse il diritto al rispetto della vita
privata dei soggetti controllati e non fosse in connessione diretta con la necessità
di valutare la situazione delle persone coinvolte. Di conseguenza, sul punto, il
legislatore non aveva conciliato in maniera equilibrata il diritto al rispetto della
vita privata con la lotta alla frode in materia di protezione sociale.
   Sulla scorta di queste considerazioni, il Conseil constitutionnel ha, quindi,
dichiarato l’art. L. 114-20 del Codice della sicurezza sociale contrario alla
Costituzione.
   Per quanto riguarda l’art. L. 114-21 del medesimo Codice, che disciplina le
condizioni nelle quali il soggetto i cui dati sono stati trasmessi viene informato di

20
tale procedura (limitando tale obbligo alle situazioni nelle quali è stato deciso di
eliminare il beneficio di una prestazione o di ripetere determinate somme), il
Conseil constitutionnel ha sottolineato che, nella misura in cui consentono alla
persona controllata di avere conoscenza dei documenti comunicati al fine di poter
contestare le decisioni che sono state adottate contro di lui, tali disposizioni non
violano il diritto al rispetto della vita privata. L’art. L. 114-21 è, stato, quindi,
dichiarato conforme alla Costituzione.
   Infine, considerando che l’impugnazione dei provvedimenti già adottati in
applicazione delle disposizioni dichiarate non conformi alla Costituzione
violerebbe l’obiettivo di valore costituzionale di lotta alla frode fiscale in materia
di protezione sociale e che tale situazione avrebbe conseguenze manifestamente
eccessive, il Conseil ha stabilito che tali provvedimenti non possano essere
contestati sulla base dell’incostituzionalità pronunciata 2.

                                                                           Céline Torrisi

   2
        La     decisione     è   reperibile on   line   alla   pagina   https://www.conseil-
constitutionnel.fr/decision/2019/2019789QPC.htm.
                                                                                         21
FRANCIA
                         DETENUTI – USCITE DAL CARCERE

         Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-791 QPC
        del 21 giugno 2019, Section française de l'Observatoire
         international des prisons, in tema di autorizzazione
             all’uscita con scorta dei detenuti dal carcere

                                                                           24/06/2019

    Il Conseil constitutionnel è stato adito dal Conseil d’État, che ha sollevato una
questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto gli artt. 148-5, 712-5 e
723-6 del Codice di procedura penale (d’ora in avanti c.p.p).
    Tali disposizioni disciplinavano le autorizzazioni di uscita dal carcere delle
persone detenute (art. 723-6) o in custodia cautelare (art. 148-5), stabilendo che
tali soggetti potessero ottenere, alle condizioni stabilite dall’art. 712-5, e a titolo
eccezionale, una autorizzazione all’uscita con scorta. Per i soggetti sottoposti a
custodia cautelare, tale autorizzazione veniva rilasciata dal giudice istruttorio o dal
giudice di merito, mentre per le persone condannate veniva rilasciata dal giudice
dell’applicazione delle pene. L’art. 712-5 stabiliva, inoltre, che, tranne che in caso
di urgenza, le ordinanze di riduzione della pena, le autorizzazioni all’uscita con
scorta ed i permessi di uscita fossero adottati previo parere della commissione di
applicazione delle pene.
    L’associazione ricorrente nel giudizio a quo sosteneva che tali disposizioni
violassero il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, nella misura in cui il
rifiuto opposto all’autorizzazione all’uscita di una persona in custodia cautelare
non poteva essere contestato. Si lamentava il fatto che, anche se la persona
detenuta poteva impugnare tale decisione, nessun termine era imposto al giudice
per decidere su tale richiesta. Inoltre, a parere della ricorrente, considerata la
natura di tale misura, il legislatore avrebbe dovuto imporre al giudice di
pronunciarsi con celerità. Ancora, si asseriva che le disposizioni contestate non
specificassero i motivi per i quali una autorizzazione all’uscita con scorta potesse
essere rifiutata. Si sosteneva, infine, che le disposizioni contestate violassero il
diritto ad avere una vita familiare normale.
    Sulla contestazione del rifiuto di autorizzare l’uscita con scorta di una persona
in custodia cautelare, il Conseil constitutionnel ha considerato che, in ragione
delle conseguenze di tale rifiuto, l’impossibilità di impugnare tale decisione

                                                                                    23
violasse le esigenze costituzionali stabilite dall’art. 16 della Dichiarazione del
1789. L’art. 148-5 c.p.p è stato, quindi, dichiarato contrario alla Costituzione 1.
    Per quanto riguarda, invece, la contestazione del rifiuto di autorizzare l’uscita
con scorta di una persona condannata, il Conseil ha sottolineato che, in virtù degli
artt. 712-1 e 712-12 c.p.p., tale decisione può essere, in realtà, impugnata dinanzi
al presidente della camera dell’applicazione delle pene. Ha poi sottolineato che, in
applicazione dell’art. 802-1 c.p.p., qualora una giurisdizione venga adita in merito
ad una richiesta alla quale debba rispondere mediante decisione motivata
suscettibile di ricorso, è possibile impugnare la decisione implicita di rigetto che
matura trascorsi due mesi dalla richiesta. Di conseguenza, in assenza di risposta
del giudice entro i due mesi, il condannato può impugnare tale rifiuto implicito. Il
Conseil constitutionnel ha poi stabilito che spetta al giudice tenere conto
dell’eventuale urgenza della richiesta per rendere una decisione prima del decorso
del termine sopra menzionato. Infine, si è considerato che il diritto ad un ricorso
giurisdizionale effettivo non obbliga il legislatore a definire i motivi di
accettazione o di rifiuto dell’autorizzazione all’uscita con scorta.
    In virtù di queste considerazioni, il Conseil constitutionnel ha dichiarato l’art.
723-6 c.p.p conforme alla Costituzione.
    Atteso il fatto che le disposizioni dell’art. 148-5 c.p.p. non erano più in vigore,
il Conseil ha stabilito che la declaratoria di incostituzionalità si sarebbe applicata a
tutte le istanze non ancora giudicate definitivamente alla data di pubblicazione
della decisione.

                                                                           Céline Torrisi

     1
        La     decisione     è   reperibile on   line   alla   pagina   https://www.conseil-
constitutionnel.fr/decision/2019/2019791QPC.htm.
24
FRANCIA
                         MEDICI – ATTIVITÀ INTRA-MOENIA

          Conseil constitutionnel, decisione n. 2019-792 QPC
          del 21 giugno 2019, Clinique Saint-Coeur et autres,
           in tema di superamento degli onorari dei medici
                 nell’ambito dell’attività intra-moenia

                                                                           24/06/2019

    Il Conseil constitutionnel è stato adito dal Conseil d’État, che ha sollevato una
questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto l’ultimo comma del par.
II dell’art. L. 6154-2 del Codice della sanità pubblica (d’ora in avanti c.s.p.), come
modificato dall’ordonnance n. 2017-31 del 12 gennaio 2017, di adeguamento
delle norme in vigore alle disposizioni della legge n. 2016-41 del 26 gennaio 2016
di modernizzazione del sistema sanitario.
    Tali disposizioni disciplinano le condizioni di esercizio della professione
medica all’interno degli ospedali pubblici. Nello specifico, il 4° del par. I dell’art.
L. 6112-2 c.s.p. garantisce che non vengano fatturati c.d. dépassements
d’honoraires, ovvero i superamenti delle tariffe regolamentari all’interno delle
strutture ospedaliere pubbliche. L’art. L. 6154-2 del medesimo codice prevede,
invece, una deroga alle disposizioni del 4° del I dell’art. L. 6112-2, stabilendo che
si possano definire, con disposizioni regolamentari, le modalità di esercizio
dell’attività professionale privata presso le strutture pubbliche.
    I ricorrenti criticavano tali disposizioni nella misura in cui consentivano ai
medici di ruolo presso strutture pubbliche di esercitare, in seno alla medesima
struttura, una attività professionale privata non soggetta al divieto di fatturazione
dei superamenti degli onorari. Sostenevano che tali disposizioni creassero
differenze di trattamento tali da violare il principio di uguaglianza davanti alla
legge sotto due profili. Il primo riguardava i pazienti delle strutture pubbliche:
secondo i ricorrenti, non poteva essere garantito per tutti i pazienti il divieto di
superamento degli onorari, giacché tale garanzia dipendeva dal fatto di essere
curato da un medico che esercitasse, o meno, la professione a titolo privato. Il
secondo profilo atteneva alla distinzione tra le strutture pubbliche e le strutture
private abilitate a svolgere il servizio pubblico ospedaliero, nella misura in cui
solo le prime potevano impiegare medici autorizzati a praticare i c.d.
dépassements d’honoraires. I ricorrenti asserivano, infine, che, limitando tale
possibilità alle strutture pubbliche, le disposizioni contestate limitavano le
                                                                                    25
opportunità, per le strutture private, di essere abilitate all’esercizio del servizio
pubblico ospedaliero. Ne risultava una violazione della libertà di impresa e della
libertà contrattuale.
   Il Conseil constitutionnel ha ricordato che l’attività professionale privata svolta
dai medici nella loro struttura di appartenenza (pubblica) non interferisce in alcun
modo con l’attività di servizio pubblico. Il paziente accolto in tale struttura può,
quindi, scegliere tra essere curato da un medico a titolo privato – senza godere
della garanzia di assenza di dépassements d’honoraires – o da un medico che
eserciti il servizio pubblico ospedaliero, tenuto, in tal caso, a non fatturare alcun
superamento di onorario. A parere del Conseil constitutionnel, tale situazione non
crea alcuna disparità di trattamento per i pazienti 1.
   Successivamente, il Conseil constitutionnel ha ricordato che i medici di ruolo
presso una struttura pubblica che possono beneficiare della deroga prevista dalle
disposizioni contestate sono tenuti a dedicare, in ragione del loro statuto, la
totalità della loro attività professionale alle loro funzioni ospedaliere e
universitarie. Diverso è per i medici assunti da una struttura privata che svolge il
servizio pubblico ospedaliero, i quali non sono sottoposti a tale obbligo. Di
conseguenza, essi possono esercitare, nei limiti stabiliti per legge, altre attività
mediche, non sottoposte al divieto di dépassements d’honoraires, nell’ambito
della c.d. médecine de ville o in una struttura che non svolga un’attività di servizio
pubblico. Per il Conseil constitutionnel, la differenza di trattamento tra i medici
che esercitano presso le strutture pubbliche e quelli che esercitano presso le
strutture private si fonda, quindi, su una differenza tra le due situazioni.
   Il Conseil constitutionnel ha poi rilevato che la possibilità, per i medici che
operano nel settore pubblico, di esercitare un’attività professionale privata presso
la medesima struttura è sottoposta a diverse condizioni 2, e che tale possibilità ha
come scopo quello di offrire, solo a titolo accessorio, un complemento di
remunerazione e di pensione ai suddetti medici. Consente anche di migliorare

     1
        La     decisione     è   reperibile on   line           alla    pagina     https://www.conseil-
constitutionnel.fr/decision/2019/2019792QPC.htm.
     2
       Tali attività non devono disturbare lo svolgimento delle missioni di servizio pubblico
ospedaliero; i medici devono avere sottoscritto la convenzione sull’inquadramento degli onorari
che disciplina i rapporti tra gli organismi di assicurazione malattia ed i medici (ex art. L. 162-5
c.s.s); devono esercitare, a titolo personale ed a titolo principale, una attività della stessa natura nel
settore pubblico; la durata dell’attività liberale non deve superare il 20% della durata del servizio
ospedaliero settimanale che i medici sono tenuti ad esercitare; il numero di visite e di interventi
svolti a titolo dell’attività privato deve essere inferiore a quelli esercitati nell’ambito dell’attività
pubblica; infine, nessun posto letto e nessun dispositivo medico-tecnico deve essere riservato
all’attività privata.
26
l’attrattività delle carriere ospedaliere pubbliche nonché la qualità delle strutture
sanitarie pubbliche. Nella misura in cui la possibilità di praticare alcuni
dépassements d’honoraires contribuisce a tale scopo, il Conseil constitutionnel ha
considerato che la differenza di trattamento contestata sia in rapporto diretto con
l’oggetto della legge.
   Sulla scorta di queste considerazioni, il Conseil constitutionnel ha respinto
l’asserita violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge.
   Le disposizioni sono state, quindi, dichiarate conformi alla Costituzione.

                                                                      Céline Torrisi

                                                                                  27
SPAGNA
                    PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – MOBBING

   Il Tribunale costituzionale si pronuncia su un caso di mobbing
            nell’ambito della pubblica amministrazione

                                                                           25/06/2019

    La sala prima del Tribunale costituzionale, con STC 56/2019 1, del 6 maggio,
ha accolto il ricorso di amparo presentato da un funzionario pubblico nei
confronti delle decisioni amministrative e giurisdizionali che non avevano accolto
i suoi reclami per mobbing sul posto di lavoro.
    Il ricorrente era un funzionario di carriera che, una volta cessato dall’incarico
di direttore del Gabinetto di presidenza del Consiglio di Stato, aveva chiesto il
reintegro presso la Segreteria di Stato per la sicurezza, poiché beneficiava del
diritto di riserva del posto di lavoro. Il Ministero degli interni aveva promosso
allora la creazione di un posto di “vocal asesor” (consulente) presso la Gerencia
de Infraestructuras y Equipamiento de la Seguridad del Estado, tuttavia il posto
di lavoro non aveva mansione definite. Il funzionario aveva denunciato il fatto
che, durante un anno e mezzo, non aveva avuto alcuna occupazione, non aveva
ricevuto alcuna informazione sui compiti che avrebbe dovuto svolgere e non
aveva partecipato ad alcuna riunione. L’amministrazione non aveva neppure preso
in considerazione le sue richieste di avere un’effettiva occupazione o di essere
trasferito. Inoltre, erano state archiviate le sue denunce di mobbing sul lavoro,
nonostante il protocollo di attuazione dell’Amministrazione generale dello Stato
del 2011 ritenga costitutive da mobbing le condotte consistenti nel lasciare il
dipendente in modo continuativo senza occupazione effettiva, o isolato, senza
causa alcuna che lo giustifichi.
   In sede giurisdizionale, era stata provata la situazione di emarginazione
professionale prolungata, ma non erano state accolte le pretese del ricorrente,
perché la situazione subita non poteva essere ritenuta violenta o di particolare
gravità, e non era stato provato che questa rispondesse ad un ordine dato dal
ministero. Era stata accolta invece la giustificazione data dall’amministrazione, e
cioè che la ridotta attività della Gerencia in quel periodo traesse origine dalla
situazione di crisi economica che attraversava il paese.

   1
         Il   testo     della     decisione  è   reperibile   on   line   alla   pagina
https://www.boe.es/diario_boe/txt.php?id=BOE-A-2019-8637.
                                                                                    29
Il ricorrente denunciava dinanzi al Tribunale costituzionale la violazione del
diritto alla carica (art. 23, comma 2, Cost.) e del diritto all’integrità morale (art. 15
Cost.), in combinato disposto con il diritto al rispetto della dignità umana (art. 10,
comma 1, Cost.), del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e del diritto al
processo (art. 24 Cost.).
   La sala prima ha escluso che fosse interessato il diritto alla carica. La
prolungata inattività professionale può vulnerare diritti che derivano dallo statuto
dell’impiegato pubblico, in concreto il diritto allo svolgimento effettivo delle
mansioni collegate alla propria condizione professionale, ma questo non forma
parte del diritto di accedere in condizioni di eguaglianza alle funzioni o cariche
pubbliche 2. Per contro, la condotta denunciata interessava inequivocabilmente il
diritto fondamentale all’integrità morale ed il divieto di trattamento inumani o
degradanti (art. 15 Cost.).
   Per valutare se l’amministrazione avesse violato il diritto all’integrità morale di
un impiegato pubblico, nella specie bisognava verificare: i) se la condotta
denunciata fosse stata deliberata o se, per lo meno, fosse collegata al risultato
lesivo; ii) se avesse causato alla vittima una sofferenza fisica, mentale o morale o,
almeno, se avesse il potenziale per causarla; iii) se fosse diretta a vessare, umiliare
o svilire oppure fosse obiettivamente idonea a produrre quel risultato o, ancora, se
lo avesse effettivamente prodotto. In difetto di quest’ultimo requisito, non vi
sarebbe stato alcun trattamento degradante, ma si sarebbe potuto escludere la
violazione dell’art. 15 Cost. solo se la condotta oggetto di giudizio avesse base
legale, rispondesse ad uno scopo costituzionalmente legittimo, costituisse
l’alternativa meno restrittiva per il diritto all’integrità e producesse benefici
rispetto in relazione ad altri beni o valori costituzionali.
   Nel caso di specie 3, l’inattività professionale del ricorrente non era stata
casuale, si era prolungata nel tempo ed aveva interessato solo lui, senza che
l’amministrazione avesse apportato alcuna giustificazione al riguardo.
   Il fatto che non si sapesse con certezza se la situazione del funzionare
obbedisse o meno ad un ipotetico “ordine dall’alto”, ad un castigo o ad una
rappresaglia, non era rilevante da un punto di vista costituzionale, ma solo agli
effetti di appurare eventuali responsabilità disciplinari o penali. Per contro, non
potevano ammettersi come validi i motivi riguardanti, da un lato, le difficoltà di
assegnare una destinazione ai funzionari che, dopo le elezioni politiche, chiedano
di ritornare al servizio attivo presso l’amministrazione e, dall’altro, una presunta

     2
         V. il FJ 5.
     3
         V. il FJ 6.
30
diminuzione del carico di lavoro dovuta alla crisi. La Costituzione obbliga le
pubbliche amministrazioni ad impiegare le risorse personali efficacemente ed
efficientemente (artt. 103, comma 1, e 31, comma 2, Cost.).
   L’amministrazione, quindi, deliberatamente, senza un obiettivo legittimo, con
abuso di potere o arbitrarietà, aveva emarginato il ricorrente per un lungo periodo
di tempo. Tale condotta implicava un chiaro disprezzo ed offesa alla dignità del
lavoratore, idonea a screditarlo davanti agli altri impiegati, a provocare in lui una
sensazione di inferiorità, bassa autostima, frustrazione e impotenza e, in breve, di
ledere il libero sviluppo della sua personalità.
   Il Tribunale costituzionale ha dichiarato che non gli spettava dare una
definizione di mobbing e che la corretta applicazione del protocollo per prevenire
e contrastare il mobbing presso l’amministrazione avrebbe potuto porre fine alla
violazione dell’art. 15 Cost. già in sede amministrativa o giurisdizionale.

                                                            Carmen Guerrero Picó

                                                                                  31
SPAGNA
          AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA – PROCESSO TELEMATICO

       Il Tribunale costituzionale si pronuncia su alcune criticità
                     collegate al processo telematico

                                                                                     26/06/2019

    Il Tribunale costituzionale si è pronunciato di recente su talune violazioni dei
diritti fondamentali avvenute nell’ambito del processo telematico, collegate quindi
all’utilizzo della piattaforma LexNet, che garantisce lo scambio sicuro ed
immediato di informazioni tra organi giurisdizionali ed operatori giuridici.
    In particolare, la STC 55/2019 1, del 6 maggio, ha accolto un ricorso di amparo
riguardante la commissione di un errore durante la compilazione di un formulario
di LexNet.
    La specie riguardava il licenziamento di una lavoratrice di Bankia, dichiarato
illegittimo in primo e secondo grado di giudizio. L’impresa aveva presentato un
ricorso per cassazione per l’unificazione della giurisprudenza contro queste
decisioni ed il letrado dell’amministrazione di giustizia della sala del lavoro del
Tribunale supremo aveva tenuto per non presentato lo scritto di impugnazione
dell’interessata. Il suo rappresentante legale aveva inviato lo scritto entro il
termine legalmente previsto ma, nel compilare il formulario relativo allo scritto
caricato nel sistema, aveva sbagliato all’identificare il tipo di ricorso cui era
riferito. Aveva selezionato il codice 1 “cassazione” anziché il codice 8
“unificazione della giurisprudenza”, pensando che avrebbe dovuto selezionare
entrambi perché il processo riguardava un ricorso per cassazione per unificazione
della giurisprudenza. Il sistema aveva accettato e trasmesso il primo codice

   1
         Il     testo     della    decisione      è     reperibile    on     line    alla    pagina
https://www.boe.es/diario_boe/txt.php?id=BOE-A-2019-8636. V. anche E. ROJO, La tecnología al
servicio de la justicia, y no la justicia al servicio de la tecnología. Notas a la sentencia del TC
55/2019, de 6 de mayo, del 10/06/2019, http://www.eduardorojotorrecilla.es/2019/06/la-
tecnologia-al-servicio-de-la.html.
    La STC 61/2019, del 6 maggio, evidenzia altre criticità collegate all’utilizzo di LexNet. Una
donna era stata condannata per un reato di truffa perché il tribunale non aveva valutato la
documentazione aggiuntiva che accompagnava la memoria difensiva. La piattaforma non aveva
caricato i files perché erano troppo voluminosi. In questo caso, il rappresentante era riuscito ad
inviare i documenti mancanti via fax.
                                                                                                33
inserito, e il letrado aveva ritenuto che lo scritto non rispettasse i requisiti di
forma prescritti. Contro le sue decisioni non vi era alcun ricorso giurisdizionale.
    La sala seconda del Tribunale costituzionale ha confermato che le decisioni del
letrado avevano leso il diritto di non subire indefensión (art. 24, comma 1, Cost)
della ricorrente 2.
    Il Tribunale costituzionale ha dichiarato di non poter ritenere irrilevante il fatto
che il sistema non fosse del tutto chiaro e che l’operatore giuridico non potesse
chiarire i dubbi ricorrendo alla normativa di LexNet, che non conteneva alcuna
previsione su questi aspetti. Del pari, ha dovuto constatare che, nei casi di
semplice errore nei formulari, il sistema non generava alcuna avvertenza affinché
l’interessato potesse sanare eventuali errori, poiché una volta caricati tutti i dati
obbligatori la loro trasmissione avveniva con successo, rilasciandosi una ricevuta
elettronica che non permetteva all’interessato di sapere che vi fosse un errore da
sanare.
    La sala del Tribunale costituzionale ha dichiarato, al riguardo, che
l’ammodernamento dell’amministrazione della giustizia attraverso la
generalizzazione dell’uso delle nuove tecnologie non è fine a sé stesso, ma deve
essere uno strumento volto a facilitare il lavoro sia dell’organo giudiziario che
delle persone che intervengono nei processi, di persona o attraverso i
professionisti. I mezzi tecnologici non possono porsi in alcun caso come ostacoli
affinché le persone possano ricevere la tutela giurisdizionale cui hanno diritto.
    Il Tribunale costituzionale ha altresì considerato che, nonostante il sistema
avesse registrato un ricorso per cassazione c.d. di regime comune, lo scritto di
impugnazione caricato era corretto ed era indirizzato all’organo giudiziario
competente. La segreteria del Tribunale supremo avrebbe potuto agevolmente
individuare il ricorso cui era riferito il documento caricato con il formulario.
    Inoltre, il formulario ha un ruolo accessorio, facilita la comunicazione
elettronica, ma non per questo condiziona la validità dello scritto che accompagna,
la cui intestazione, nella specie, identificava correttamente il numero del ricorso,
per cui avrebbe dovuto essere incorporato agli atti del processo.
    Le decisioni del letrado avevano conferito carattere essenziale ed insanabile al
dato erroneo inserito nel formulario. Il suo ragionamento, non solo mancava di
fondamento giuridico, ma ignorava pure la giurisprudenza costituzionale in
materia di errori processuali.
    Lo scritto di impugnazione era l’unico mezzo di cui disponeva la parte
per attaccare la rivendicazione dell’ente promotore del ricorso per cassazione e
per fornire all’organo giurisdizionale argomenti a favore della conferma

     2
         V. in particolare il FJ 5 della decisione.
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