CORRELAZIONI E SUSCETTIBILITA' ALLE MALATTIE DEGLI ALLELI DEL SISTEMA HLA - Core

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CORRELAZIONI E SUSCETTIBILITA' ALLE MALATTIE DEGLI ALLELI DEL SISTEMA HLA - Core
Università degli Studi di Pisa
        Facoltà di Medicina e Chirurgia
 Scuola di Specializzazione in Patologia Clinica

         TESI DI SPECIALIZZAZIONE

CORRELAZIONI E SUSCETTIBILITA’
        ALLE MALATTIE
 DEGLI ALLELI DEL SISTEMA HLA

Candidata:                              Relatori:
Francesca Fantolini                     Prof. Aldo Paolicchi
                                        Dottor Piero Palla

                      Anno Accademico
                         2013-2014

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CORRELAZIONI E SUSCETTIBILITA' ALLE MALATTIE DEGLI ALLELI DEL SISTEMA HLA - Core
INDICE

RIASSUNTO                                                      pag 1
1. INTRODUZIONE                                                pag 3

1.1 Sistema HLA                                                  pag 3
  1.1.1. Antigeni HLA di classe I                                pag 3
  1.1.2. Antigeni HLA di classe II                               pag 5
  1.1.3. Nomenclatura Sistema HLA                                pag 8
1.2 Correlazione tra alleli HLA e malattie                      pag 11
  1.2.1. Principali malattie autoimmuni associate al sistema HLA pag 16
  1.2.2. Principali malattie infettive associate al sistema HLA  pag 31
1.3 Scopo della tesi                                             pag 34

2.MATERIALI E METODI
2.1 Microlinfocitotossicità complemento dipendente              pag 36
  2.1.1. Principio del test                                     pag 36
  2.1.2. Esecuzione test                                        pag 38
  2.1.3. Interpretazione risultati                              pag 40
2.2 PCR-SSP (sequence specific primer)                          pag 41
  2.2.1. Principio del test                                     pag 41
  2.2.2 Esecuzione test                                         pag 42
2.3 Metodiche alternative di tipizzazione HLA                   pag 45

3. INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI                               pag 48
3.1 Microlinfocitotossicità complemento dipendente
    per “spondilite anchilosante” e per “malattia Behçet”       pag 49
3.2 PCR-SSP per “malattia celiaca”, per “diabete tipo I”,
    per “pazienti HIV positivi”                                 pag 51

4. DISCUSSIONE                                                  pag 57

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI                                       pag 59

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RIASSUNTO

Negli ultimi anni sono state individuate numerose associazioni fra antigeni HLA e

malattie soprattutto a patogenesi immunitaria. Queste scoperte hanno contribuito a

delucidare i meccanici patogenetici di alcune patologie e a valutare l’utilità clinica

della tipizzazione HLA. In particolare sono state fornite indicazioni chiare su quali

loci e a quale risoluzione è corretto tipizzare tali malattie, in modo da favorire l’uso

delle risorse dei laboratori nel modo più razionale possibile.

In questo lavoro di tesi, svolto presso il laboratorio di tipizzazione tissutale HLA

dell’AUSL 6 di Livorno, sono stati presi in esame, nell’anno 2013, i pazienti

richiedenti la suscettibilità genetica per patologie associate al sistema HLA, in

particolare per la spondilite anchilosante, per la malattia celiaca, per il diabete

mellito di tipo I, per la malattia di Behçet e per valutare nei pazienti hiv positivi

l’eventuale insorgenza della reazione di ipersensibilità al trattamento con abacavir.

E’ stato impiegato il test di microlinfocitotossicità complemento dipendente (test

sierologico) per valutare l’eventuale presenza dell’aplotipo HLA-B27 per la

spondilite anchilosante e dell’aplotipo HLA-B51 per la malattia di Behçet, e la PCR-

SSP (test di biologia molecolare) per valutare l’espressione dell’eterodimero DQ2

e/o DQ8 per la celiachia, dell’aplotipo DR3 e DR4 per il diabete mellito di tipo I e

dell’allele HLA-B*57:01 per valutare la risposta al trattamento terapeutico con

abacavir nei pazienti HIV positivi.

Questi non possono essere considerati test né di routine o screening, ma possono solo

fornire un supporto diagnostico al clinico. L’unico fenotipo potenzialmente utile

nella diagnosi risulta la spondilite anchilosante, che presenta un’alta frequenza nei

pazienti affetti e una relativamente bassa nella popolazione normale; ha valore, ad

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esempio nei casi ad esordio precoce di artrite con utilità per la classificazione delle

forme giovanili.

Per le altre patologie questo test ci consente di valutare solo la predisposizione

genetica alla malattia, ad esempio, per la celiachia, a seconda dell’allele espresso,

identificato con PCR in alta risoluzione, si identifica il “gruppo di rischio”, che

consente per i familiari di primo grado dell’affetto, sulla base del rischio, di definire

la frequenza degli esami sierologici da effettuare nel tempo, onde seguire con

massima attenzione la possibile insorgenza della malattia.

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INTRODUZIONE

1.1 SISTEMAHLA

I geni del sistema HLA sono localizzati sul braccio corto del cromosoma 6 (6p21.1-

21.3, a 6000 Kb circa dal centromero) e rappresentano una parte della regione

genetica conosciuta come MHC, la cui funzione specifica è la regolazione della

risposta immune.

Questi geni si dividono in tre classi secondo il tipo di proteina che codificano, ma

solo sei loci, rispettivamente i loci HLA A, B, C (che codificano proteine di classe I)

e i loci DR, DQ e DP (che codificano proteine di classe II) codificano proteine che

costituiscono gli alloantigeni di istocompatibilità convolti nella presentazione

dell’antigene e quindi nel controllo della risposta immune. Tra il locus B ed il locus

DR si estende per 98 Kb la regione di classe III, che codifica per proteine solubili

come ad esempio le frazioni C2 e C4 del complemento.

FIG. 1 Struttura genetica dell’HLA

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Il Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC) ha sviluppato nel corso della sua

evoluzione tre caratteristiche fondamentali: polimorfismo, poligenia e codominanza.

E’ considerato un sistema polimorfico in quanto esistono numerosi alleli per ogni

gene e questo ha lo scopo di aumentare la variabilità nella composizione chimica

della “tasca”, di modo che nessuna molecola estranea possa sfuggire al meccanismo

di riconoscimento da parte dei linfociti T.

Per questo motivo ogni molecola di classe I e II è in grado legare peptidi diversi.

Infatti il legame peptide-molecola HLA non è specifico, ma è eterogeneo (ad una

molecola HLA possono associarsi più peptidi).

Infatti il polimorfismo a livello delle molecole di tipo I e II determina le varie

differenze immunogenetiche tra individui appartenenti alla stessa specie e

rappresenta il meccanismo che è alla base del fenomeno del rigetto dei trapianti.

E’ un sistema poligenico, ovvero vi sono numerosi geni che codificano per le

proteine di I e II classe, con diversa specificità per i vari peptidi.

Infine l’espressione degli alleli HLA è di tipo codominante: in ogni essere umano

risultano essere espressi i prodotti di entrambi gli alleli (uno di origine materna e uno

di origine paterna), quindi entrambe le molecole partecipano al meccanismo di

presentazione degli antigeni.

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1.1.1 Antigeni HLA di classe I

Gli antigeni di classe I (HLA A, B, C) sono presenti sulla membrana di tutte le

cellule nucleate dell’organismo e sulle piastrine. Sono anche presenti, allo stato

solubile, nel sangue.

La molecola è costituita da un dimero proteico formato da una catena pesante

(catena α, PM 44 KDa) e da una catena leggera denominata β2-microglobulina (PM

12 KDa), unite tra loro da legami non covalenti. Delle due, solo la catena α, nella

quale risiede l’allotipia, è codificata da geni HLA. La β2-microglobulina è invece

controllata da geni posti sul cromosoma 15.

Lo studio chimico di questi antigeni ha permesso di ottenere informazioni precise

sulla loro struttura, in particolare è stato evidenziato che la catena α è costituita da tre

porzioni distinte: la prima, intracitoplasmatica, di 32 aminoacidi implicata nella

trasduzione del segnale; la seconda, sempre di 32 aminoacidi, transmembranaria

idrofobica   probabilmente      in   una    configurazione     ad   α    elica;   la   terza

extramembranosa, di 247 aminoacidi. In quest’ultima porzione periferica sono inoltre

riconoscibili tre diversi “domini” (regioni) di uguale lunghezza denominati α1 (N-

terminale), α2 e α3. Il dominio α1, codificato dall’esone 2, è composto dai residui

aminoacidici 1-90; mentre i domini α2 (codificato dall’esone 3, residui aminoacidici

91-182) e α3 (codificato dall’esone 4, residui aminoacidici 183-274) hanno ponti

disolfuro intracatenari che comprendono regioni di 63 e 86 aminoacidi

rispettivamente e danno una conformazione ad anello. Il dominio α3 ha estese

omologie con la regione costante delle immunoglobuline, appartiene infatti alla

superfamiglia delle Ig.

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I domini polimorfici α1 ed α2 interagiscono per formare una piattaforma costituita da

un foglietto β planare ad 8 strisce antiparallele, delimitato da due regioni ad α elica.

Quattro strisce del foglietto β ed una delle due α eliche sono costituite dai residui

aminoacidici del dominio α1, mentre le restanti sono costituite dai residui

aminoacidici del dominio α2. Ne risulta che i due domini esterni α1 ed α2 delimitano

un solco che prende il nome di “tasca combinatoria” , alla quale si lega il peptide che

presenta una lunghezza di 8-11 aminoacidi.

La parte più esterna della tasca è quella responsabile del contatto con il recettore dei

linfociti T, mentre la parte più interna è quella in cui si formano i legami con il

peptide.

La variabilità dei domini α1 e α 2 è fondamentale per permettere l’alloggiamento di

un alto numero di peptidi diversi e per l’interazione con il recettore dei linfociti T.

La regione α 3 invece non è polimorfica cioè non varia tra le molecole HLA-I e

contiene un’ansa che serve come sito di legame per i CD8 (linfociti T citotossici).

1.1.2 Antigeni HLA di classe II

Gli antigeni HLA di classe II (HLA-DR, HLA-DQ, HLA-DP) non hanno una

distribuzione ubiquitaria, ma sono presenti in quantità dimostrabile solo su alcuni tipi

cellulari: linfociti B, macrofagi, cellule di Langherans, alcune cellule endoteliali e

compaiono su altri tipi cellulari in condizioni di attivazione (per es. sui linfociti T).

Sono inoltre presenti allo stato solubile nel sangue circolante.

Nella sottoregione DR sono stati localizzati un gene, che codifica per la catena α

(gene A), che non è polimorfica, e quattro geni che codificano per la catena β

altamente polimorfica (geni B).

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Le sottoregioni DP e DQ contengono entrambe un gene A e un gene B, che

codificano rispettivamente una catena α e una catena β, entrambe polimorfiche. In

ciascuna delle due regioni sono presenti un gene α e un gene β che non sono espressi

a livello fenotipico.

Da un punto di vista molecolare, questi antigeni sono dimeri costituiti da due catene

polipeptidiche α (PM 34 kDa) e β (PM 29 kDa) associate da legami non covalenti.

Entrambe le catene sono suddivise in tre regioni: -regione extracellulare idrofilica

composta da due domini α1,α2 per una catena e β1 e β2 per l’altra catena, -regione

idrofobica transmembrana con struttura ad alfa-elica e -regione idrofilica

intracitoplasmatica

La regione che lega il peptide è formata dall’interazione dei domini α1 e β1 delle due

catene, che formano una tasca con il pavimento e le pareti rispettivamente formate da

un foglietto β planare a 8 strisce antiparallele, delimitato da due regioni ad α elica.

Quattro strisce del foglietto β ed una delle due α eliche sono costituite dai residui

aminoacidici del dominio α1, mentre le restanti sono costituite da residui

aminoacidici del dominio β1. I peptidi, che si legano alla molecola HLA presentano

una lunghezza di circa 30 aminoacidi. Nell’uomo il polimorfismo maggiore si ha per

il dominio β1, mentre i domini α2 e β2 non sono polimorfici.

La regione β2 costituisce il sito di legame dei CD4 (linfociti Thelper).

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Fig.2 Rapprentazione molecole HLA di I classe e di II classe

1.1.3 NOMENCLATURA SISTEMA HLA

 I geni MHC sono i geni più polimorfi presenti nel genoma umano e in quello di tutte

 le specie finora analizzate. Un’analisi svolta con approccio sierologico eseguita

 sull’uomo ha portato all’identificazione di più di 150 alleli HLA diversi, ma con

 l’uso di nuove tecniche più sensibili e specifiche si è visto che ogni allele può avere

 numerose varianti non rilevabili con il test sierologico.

Tab. 1 Alleli HLA classe I secondo l’IMGT/HLA Database dell’Antony Nolan Istitute

                                                                                      8
Tab. 2 Alleli HLA classe II secondo l’IMGT/HLA Database dell’Antony Nolan Istitute

                                                                mutazione allele null

                                                                fuori reg. codificante

 prefisso del gene     gene           gruppo di   specifica   mutazione mutazione

                                       alleli     proteina    sinonima fuori reg.cod

 Fig.3 Nomenclatura HLA

 Ciascun allele HLA è definito da un “codice” che ne indica la specificità. Questo

 codice è costituito da coppie di numeri definite “digits”, le tipizzazioni possono

 essere definite a 2, 4 o 6 digits.

 I primi due digits indicano vari tipi e nella maggior parte dei casi corrispondono agli

 antigeni sierologici caratterizzanti un allotipo.

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Il terzo ed il quarto digits caratterizzano i sottotipi antigenici e sono assegnati sulla

base della loro identificazione genetica mediante sequenziamento diretto degli

antigeni.

Gli alleli che si differenziano nei primi 4 digits differiscono in uno o più posizioni

nucleotidiche e quindi nella sequenza amminoacidica della proteina codificata.

Il quinto ed il sesto digits discriminano alleli che presentano delle mutazioni definite

sinonime in quanto consistono in una sostituzione di una singola base che non

comporta cambiamenti nell’espressione fenotipica della molecola.

Occasionalmente possono essere aggiunti un settimo ed un ottavo digits per

discriminare alleli che differiscono nella sequenza di introni o di regioni UTR (non

tradotte) all’estremità 5’ o 3’.

Al codice numerico possono essere aggiunti dei suffissi letterali che indicano

particolari caratteristiche di espressione dell’allele:

      • L (low) una bassa espressione dell’allele sulla superficie cellulare.

      • S (soluble) un allele che codifica per una proteina che è presente in forma

            solubile e non associata alla membrana, es. le molecole HLA-G.

      • C (cytoplasm) un allele il cui prodotto è ritrovabile nel citoplasma.

      • A (aberrant) un allele la cui proteina non viene espressa o comunque porta

            ad un’alterazione della struttura che non la rende funzionale.

      • Q (questionable) un allele i cui effetti del prodotto genico non sono ancora

            completamente definiti.

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1.2 Correlazione tra alleli HLA e malattie

Uno degli sviluppi più interessanti in campo clinico degli studi sul sistema HLA a

livello di popolazione è nato dalla dimostrazione che molte malattie hanno una

associazione preferenziale con un determinato antigene o aplotipo.

Dalla prima osservazione, che risale al 1967 e che riguarda il morbo di Hodgkin, la

lista delle associazioni, nel tempo, si è notevolmente allungata e comprende

patologie molto differenti tra loro ma che presentano alcuni aspetti comuni.

In generale si tratta di malattie a patogenesi immunitaria che evidenziano: -frequente

ereditarietà, anche se la segregazione del carattere non segue le leggi mendeliane

perché a bassa penetranza (frequenza con cui il genotipo si esprime nel fenotipo) e

bassa espressività (grado di espressione fenotipica del genotipo), -decorso subacuto

o cronico, -abituale espressività dopo la maturità sessuale e scarso effetto sulla

riproduzione, -raramente influenzano la sopravvivenza in età fertile, -eziologia

multifattoriale nella quale hanno una forte rilevanza anche fattori extragenetici legati

all’ambiente.

Le informazioni sulle relazioni esistenti tra regione HLA e malattie sono state

raccolte attraverso sia “studi di popolazione” che “studi familiari”.

Nei primi viene paragonata la distribuzione degli antigeni HLA in gruppi di pazienti

e di soggetti controllo, omogenei da un punto di vista etnico, in quanto la frequenza

degli antigeni HLA varia notevolmente nelle diverse razze.                Questi studi

evidenziano che la malattia tende ad esprimersi più facilmente se è presente il gene

che codifica un particolare antigene di istocompatibilità, quale che sia il motivo di

questa associazione.

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Nel caso particolare di una malattia che è condizionata da un gene, questo può

significare che il “gene malattia” è in linkage disequilibrium con un particolare gene

HLA. Molte sono le malattie che presentano questa correlazione.

Fig.4 Malattie associate con il sistema HLA

Come si può vedere dalla tabella, alcune malattie mostrano un’ associazione

preferenziale con un antigene codificato dal locus B, altre con quelli del locus C,

altre ancora con gli antigeni DR o DQ.

In alcuni casi, infine, sembra dimostrata un’associazione preferenziale con un intero

apoltipo HLA più che con un singolo allele. In alcuni casi, infine, l’associazione è

costante in tutte le popolazioni studiate ( ad esempio il B27 per la spondilite

anchilopoietica), altrove, è osservata solo in alcuni gruppi etnici.

Quindi è evidente ammettere l’intervento di un gene in linkage disequilibrium con

quel particolare antigene HLA in quella determinata popolazione e con specificità

diverse in gruppi etnici diversi.

Gli “studi familiari”, invece, dimostrano che il gene che determina la malattia viene

ereditato con alta probabilità insieme ad un gene che occupa un particolare locus

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nella regione HLA (gene che può variare da una famiglia all’altra); quindi questi

studi risultano utili per identificare la regione cromosomica del “gene malattia”, che

viene detto in linkage (cioè strettamente prossimo) con un particolare locus HLA,

indipendentemente dall’esistenza di un’associazione (che può esserci se esiste non

solo linkage, ma anche un linkage disequilibrium).

In questi casi, pertanto, diremo che quella “malattia” segrega insieme ad HLA.

Un esempio di questo tipo di patologie è dato dalla sindrome adrenogenitale

(deficienza della 21-OH-idrossilasi) che è una malattia monofattoriale recessiva in

cui il gene mutato CYP21 localizzato nella regione HLA di classe III è in linkage

disequilibrium con HLA-B47, situato a 681 Kb di distanza dal gene mutato.

Un altro esempio di malattie ereditarie è l’emocromatosi, in cui l’allele HLA-A03 è

in linkage disequilibrium con il gene mutato HFE, che dista 3697 kb dall’altro.

L’interesse della concatenazione fra il gene per una malattia ed il sistema HLA sta

nel fatto che essendo i prodotti HLA evidenziabili con tecniche di laboratorio

semplici, sia sierologiche che di biologia molecolare, nei familiari di persone affette

è possibile documentare la presenza dei geni per una determinata patologia anche

prima che questa si manifesti. Inoltre, per le malattie recessive, è anche possibile

identificare i portatori eterozigoti (“portatori sani”) del gene responsabile.

Un risultato comune emerso da entrambi gli studi è che la presenza di un

determinato antigene (o aplotipo) non conferisce automaticamente la malattia a tutti

gli individui che hanno quel particolare fenotipo, ma solo una suscettibilità sulla

quale agiscono altri fattori ereditari o ambientali. In altre parole l’individuo che ha

un certo antigene incorre, rispetto a chi non l’ha, in un rischio maggiore di

sviluppare la malattia ad esso associata. La misura di questo “rischio relativo”

                                                                                    13
rappresenta un buon indice della forza di associazione e viene calcolata come

rapporto tra la frequenza dell’antigene nei soggetti affetti dalla malattia e la

frequenza dello stesso antigene nei sani. Un’associazione positiva è indicata da un

rischio relativo >1 e negativa se
linfonodi regionali, queste cellule vengono “risvegliate” ed avviano quindi una

risposta autoimmune verso gli autoantigeni presentati dall’ APC.

In particolare è stato osservato che molte delle malattie associate agli antigeni DR

hanno una patogenesi immunitaria. Un esempio molto esplicativo è costituito dalle

malattie associate al fenotipo HLA-DR3 (il cui gene è in linkare disequilibrium con

HLA-B8). Come si può osservare si tratta di una serie di malattie d’organo

caratterizzate dalla produzione di autoanticorpi importanti nella patogenesi della

malattia : il diabete insulino dipendente, l’Addison idiopatico, ecc. E’ evidente

perciò che l’intervento del gene non consiste nel controllo della produzione di un

autoanticorpo particolare, ma che molto probabilmente il suo intervento si attua a

livello dei circuiti di controllo della produzione anticorpale, influenzando la

cooperazione tra linfociti T e linfociti B. Al contrario, il ruolo degli antigeni di

classe I nella risposta immune fa spiegare alcune delle associazioni trovate come

dovute all’intervento di geni la cui azione si esplicherebbe invece attraverso i T

citotossici.

Al di là dell’intervento dei geni della risposta immune vi sono altre ipotesi che, più o

meno indirettamente, prendono in considerazione il ruolo della regione HLA nella

risposta immune. Una di queste è “la teoria della mimesi” che ipotizza una possibile

somiglianza e quindi cross-reazione immunologica tra antigeni di istocompatibilità e

l’agente eziologico della malattia. Questa a sua volta aprirebbe due possibilità, sia

una mancata risposta immune e quindi una maggiore suscettibilità ad un agente

esogeno in alcuni casi che, una risposta cross-reagente e quindi un’autoreattività in

altri casi. Una variante di questa teoria è quella del “se stesso” modificato, che

prende in esame il ruolo degli antigeni HLA come molecole di presentazione

                                                                                     15
dell’antigene virale, o batterico o parassitario al sistema immunitario. In questo

 caso, però, l’autoaggressione sarebbe la conseguenza diretta di una reazione verso

 strutture autologhe non più riconosciute come self. Pur considerando che la maggior

 parte delle associazioni trovate può essere spiegata attraverso la modulazione della

 risposta immune, vi sono alcune associazioni per le quali una simile spiegazione non

 può essere chiamata in causa. Si pensa in questi casi che l’azione sia mediata

 attraverso l’interferenza degli antigeni HLA, in quanto antigeni di membrana, con

 l’azione di altri recettori e sistemi di membrana cellulare. Infatti, in alcuni casi, è

 stata documentata tale interferenza, ad esempio quella esercitata dall’antigene B35

 sul trasporto di magnesio intracellulare.

1.2.1 Principali malattie autoimmuni associate al sistema HLA

    • SPONDILITE ANCHILOSANTE

 La spondilite anchilosante è una malattia che fa parte del gruppo di artropatie

 conosciute come spondiloartriti sieronegative,         perché accumunate da alcune

 caratteristiche quali: artrite periferica e sacroileite, lesioni cutanee, oculari (uveite

 acuta anteriore) o genitali, assenza di fattore reumatoide, assenza di noduli

 sottocutanei. Sintomo caratteristico è la perdita della mobilità spinale dovuta

 all’infiammazione      e/o    al   danneggiamento        strutturale,   causato    dalla

 osteoproliferazione. Non è del tutto chiaro se i due processi siano concatenati anche

 se è noto che l’infiammazione porta alla deposizione di tessuto osseo. La causa della

 spondilite anchilosante e delle altre spondiloartropatie è sconosciuta. Le principali

 caratteristiche della malattia sono i desmofiti e la anchilosi che sono visibili, molti

 mesi dopo se non anni, all’esame radiografico.

                                                                                       16
Colpiscono principalmente il sesso maschile in età compresa tra la seconda e terza

decade; circa l’80% dei pazienti manifesta i primi sintomi di malattia al di sotto dei

30 anni e meno del 5% oltre i 45 anni.

L’associazione della malattia con l’allele HLA-B27, documentata oltre 25 anni fa,

resta la più classica associazione conosciuta con una forza di associazione elevata

che si avvicina al valore del 100%. Benchè il 95% circa dei pazienti affetti da

spondilite anchilosante sia portatore di questo antigene, è comunque necessario

precisare che questa malattia può insorgere anche in soggetti HLA-B27 negativi.

Se da una parte, quindi, l’antigene HLA-B27 rappresenta la componente genetica

più importante, dall’altra esso può non essere indispensabile, suggerendo

l’intervento di altri fattori genetici.

Studi epidemiologici hanno rilevato che la prevalenza di spondilite anchilosante

rispecchia la distribuzione dell’antigene HLA-B27 (ad esempio, la malattia è molto

rara nelle popolazioni dell’Africa Sub-Sahariana, dove HLA-B27 è virtualmente

assente).

Sono state proposte molte teorie per spiegare questa associazione, l’ipotesi più

accertata è data dalle proprietà biochimiche della molecola. L’HLA-B27 presenta

lentezza nel ripiegamento della catena pesante portando ad uno stress intracellulare

con conseguente attivazione di una risposta infiammatoria; inoltre la presenza di una

cys in posizione 67 della catena pesante contribuisce alla formazione di omodimeri

di catene pesanti in grado di legarsi a peptidi. L’espressione sulla superficie cellulare

di tali omodimeri mima le molecole di classe II attivando linfociti T CD4+

autoreattivi.

                                                                                      17
Ad oggi sono conosciuti più di 43 sottotipi molecolari (alleli) della specificità HLA-

B27, codificante per il corrispettivo antigene. Gli alleli più comuni (HLA-B*27:05,

B*27:02, B*27:04, B*27:07) sono stati chiaramente associati con spondilite

anchilosante e con le altre spondiloartropatie in genere.

Mentre, due alleli, HLA-B*27:06 e B*27:09, caratteristici rispettivamente del sud-

est asiatico e della Sardegna non sembrano correlati con la malattia.

Entrambi questi alleli sono portatori di mutazioni che implicano una sostituzione

aminoacidica in posizione 114 e/o 116 della molecola: essendo localizzati sul

pavimento della tasca di legame al peptide, tali aminoacidi modificherebbero il

repertorio di peptidi che si possono legare ad HLA-B27, annullandone la sua

caratteristica di fattore di suscettibilità alle spondiloartropatie.

Il ruolo del laboratorio di tipizzazione HLA nella spondilite anchilosante è quello di

orientare un sospetto formulato precocemente, prima della comparsa del danno

osseo, in particolare è utilizzato un algoritmo diagnostico (“criteri di Berlino”) in cui

la presenza di dolore lombare cronico infiammatorio, caratteristiche cliniche ed

anamnestiche frequentemente presenti nelle spondiloartriti, le alterazioni dei

markers di flogosi sistemica, la risonanza magnetica nucleare e la positività per

HLA-B27 aumentano la specificità diagnostica.

Considerato che, dei numerosi alleli del gene HLA-B27, solo due sono riconosciuti

non essere correlati con la malattia (HLA-B*27:06 nel sud est asiatico e HLA-

B*27:09 in Sardegna), è di norma adeguato riconoscere la presenza dell’antigene o

del gene con test in bassa risoluzione. L’eventuale ricorso alla determinazione degli

alleli con test in alta risoluzione è da riservarsi ai soggetti originari delle popolazioni

sopra menzionate.

                                                                                        18
• DIABETE DI TIPO 1

Il diabete mellito di tipo 1 (diabete insulino dipendente, IDDM della vecchia

classificazione)    comprende,       nei      suoi   due   sottogruppi   (idiopatico   ed

immunomediato), le forme di malattia dipendenti, per il mantenimento della

omeostasi glucidica, dalla somministrazione esogena di insulina. Può insorgere a

qualsiasi età anche se generalmente si evidenzia entro i primi venti anni di vita.

E’ una malattia che si manifesta dopo un iniziale periodo silente e di lunghezza

molto variabile durante il quale vengono distrutte le β-cellule delle isole di

Langherans del pancreas, periodo seguito da disfunzioni e danni progressivi a lungo

termine a carico di svariati organi, come retina, reni, sistema nervoso e

cardiovascolare. Questa patologia è caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi e

dalla infiltrazione di cellule del sistema immunitario nelle isole pancreatiche

(insulite), seguita dalla loro distruzione.

Studi condotti in modelli umani e murini hanno dimostrato che il processo

autodistruttivo è mediato da CD4, CD8 e macrofagi, che si accumulano in una

iniziale lesione delle isole. L’evento scatenante non è noto, anche se molto

probabilmente è causato da virus (ad esempio i citomegalovirus, i virus Coxackie B).

Una volta che le isole sono infiltrate da linfociti T e macrofagi si innesca una cascata

distruttiva, ovvero i macrofagi giocano il ruolo di APC presentando gli antigeni delle

cellule β ai linfociti CD4 e CD8, che producono contro tali cellule perforine e

citochine come Il-1, IL-2, IL-12, IL-17, IL-18, TNF-α. Inoltre i linfociti CD4+

attivano i linfociti B, che iniziano a produrre autoanticorpi. La maggior parte degli

autoantigeni noti sono associati a componenti delle cellule β, tra cui l’insulina.

Quest’ultima è il primo antigene target rintracciabile durante la progressione iniziale

                                                                                       19
del diabete, successivamente si ha un aumento del numero di autoantigeni e di

epitopi degli autoantigeni che va di pari passo con la progressione e l’aumento di

severità della malattia. Le prime manifestazioni cliniche del diabete in un individuo

si manifestano dopo che il 90% delle isole è ormai distrutto.

Lo studio della familiarità e delle modalità di trasmissione della malattia ha

dimostrato come questa patologia sia correlata a fattori ambientali ed individuali

caratterizzati da una predisposizione di tipo multigenica.

Componente essenziale di questo background genetico è il sistema HLA.

L’incidenza della malattia presenta un gradiente decrescente nord-sud con un picco

d’incidenza nel Nord-Europa. La malattia presenta una rilevante familiarità con una

concordanza del 30-50% nelle coppie di gemelli monovulari mentre il rischio di

ammalarsi per un fratello di un soggetto affetto da IDDM è di circa il 6%.

E’ inoltre emersa una maggiore incidenza di soggetti affetti fra i figli di uomini

ammalati rispetto a donne affette da IDDM; infine la possibilità che una bambina

affetta da IDDM avesse un padre ammalato era maggiore di quella di un figlio

maschio mentre la relazione reciproca tra madre e figlio non è significativa.

Dagli anni ’80 in poi gli alleli DR3-DR4 sono considerati marcatori privilegiati della

suscettibilità alla malattia con effetti sinergici legati alla contemporanea espressione

dei due alleli nello stesso individuo.

Studiando una popolazione di soggetti affetti da IDDM ed eterozigoti DR3/DR4 fu

dimostrato che la suscettibilità era legata agli alleli dei geni HLA-DQA1 e HLA-

DQB1 che codificano per molecole in grado di formare eterodimeri estremamente

polimorfi. Si vide inoltre che gli alleli del locus HLA-DQB1, oltre alla

predisposizione all’IDDM erano associati alla resistenza; in particolare, gli alleli non

                                                                                     20
presentanti un residuo di aspargina in posizione 57 della sequenza aminoacidica

della catena DQβ conferivano resistenza alla malattia (HLA-DQB1*03:02), mentre

la presenza di un residuo di arginina in posizione 52 della catena DQα era correlata

con un certo grado di suscettibilità alla malattia.

In conclusione, al fine di ottenere una corretta identificazione degli aplotipi

predisponenti, in laboratorio, la tipizzazioni principale da eseguire è l’ HLA-DRB in

bassa risoluzione.

   • ARTRITE REUMATOIDE

L’artrite reumatoide, tra tutte le malattie associate al sistema HLA, è quella con la

più alta prevalenza, pari all’1%.      E’ una poliartrite infiammatoria cronica con

manifestazioni sistemiche (noduli reumatici, vasculite, impegno oculare e viscerale,

neuropatia), a genesi autoimmune, caratterizzata da localizzazione primitiva del

processo patologico nella membrana sinoviale delle articolazioni diartrodiali, delle

guaine tendinee e delle borse. Essa è a carattere erosivo, ad andamento progressivo,

con evoluzione in dislocazione e distruzione completa della cartilagine articolare ed

esito finale in anchilosi.

E’ più frequente nella donna che nell’uomo, solitamente esordisce nella quinta

decade anche se può comparire in tutto il corso dell’età adulta; esistono inoltre

alcune forme di artrite reumatoide tipiche dell’età infantile, alcune delle quali sono

solo l’esordio precoce dell’artrite reumatoide dell’adulto.

Analogamente ad altre malattie autoimmuni, l’eziologia dell’artrite reumatoide è

complessa e multifattoriale; sia fattori genetici che ambientali influenzano la

suscettibilità ad ammalarsi, la gravità, la prognosi nonché la risposta alla terapia.

                                                                                        21
La diagnosi di artrite reumatoide si basa sulla presenza di un certo numero di criteri

clinici, non particolarmente specifici per la malattia. Uno dei criteri è la presenza del

fattore reumatoide (FR), un autoanticorpo diretto alla porzione Fc delle IgG che ha

una sensibilità del 60-70% ed una specificità del 80-90%.

Inoltre è rilevante la presenza di anticorpi contro peptidi ciclici citrullinati (anti-

CCP) associati al danno articolare; la sensibilità di questo esame è simile a quella

del FR ma la specificità è significativamente superiore (99%). Entrambi questi

autoanticorpi possono essere presenti anche per diversi anni prima della comparsa

della malattia e sono associati alla gravità della malattia stessa.

L’importanza del fattore genetico è emersa dai primi lavori di Peter Stratsny nel

1976, dove è stata evidenziata l’associazione tra HLA e artrite reumatoide e da

allora molti immunogenetisti si sono occupati di questo argomento.

E’ stato visto che la suscettibilità ad ammalarsi di artrite reumatoide è fortemente

associata al gene HLA-DRB1; inoltre, in particolare sono interessati gli alleli del

gruppo HLA-DRB1*04 (HLA-DRB1*04:01, *04:04, *04:05, *04:08) e HLA-

DRB1*01:01, *01:02, *10:01, *14:02.

Un’analisi dei prodotti di questi geni dimostra che condividono una sequenza di 5

aminoacidi nelle posizioni 70-74 della terza regione ipervariabile della molecola

HLA-DRB1. Questi aminoacidi sono essenziali per la conformazione della tasca 4,

in particolare gli aminoacidi in posizione 71, che presentano carica positiva e

quindi consentono il legame solo con residui con carica negativa. Questa

osservazione ha gettato le basi dell’ipotesi della “shared epitope” (motivo

condiviso). Questo modello evidenzia che questi aminoacidi predispongono

all’artrite reumatoide influenzando la presentazione dell’antigene nella tasca oppure

                                                                                      22
agendo come peptidi self in grado di modulare l’educazione timica dei T linfociti.

Nel processo di educazione timica, potranno essere selezionati, perché a bassa

affinità, cloni autoreattivi per la suddetta sequenza (come per altri epitopi del self)

che potranno espandersi in un secondo momento in seguito a infezione specifica e

poi migrare nelle sinovie, dove possono essere “intrappolati” per l’azione di

citochine.

Una seconda ipotesi sostiene che, sempre nella stessa regione della molecola DRB1

(aminoacidi 70-74), esistono sequenze che conferiscono protezione nei confronti

dell’artrite reumatoide (rheumatoid arthritis protection); in questo caso, l’importanza

della sequenza 70-74 non sarebbe tanto nella modificazione della tasca 4 quanto nel

peptide che potrebbe legarsi a molecole HLA-DQ ed essere riconosciuto da cellule

T regolatorie che inibirebbero i linfociti autoreattivi.

In particolare alcuni autori hanno studiato la correlazione tra alleli associati con

suscettibilità e quelli associati a protezione con anticorpi anti-CCP ed hanno

evidenziato che tutti i pazienti con anticorpi anti-CCP avevano gli alleli associati

con suscettibilità, mentre erano assenti nei pazienti senza anticorpi anti-CCP, mentre

per i pazienti con alleli associati a protezione, la protezione era indipendente dalla

presenza o meno di anticorpi anti-CCP. Quindi usando l’HLA e gli anticorpi anti-

CCP è possibile suddividere l’artrite reumatoide in “sottotipi” e prevederne la

prognosi.

Inoltre, con tecniche di biologia molecolare, è emerso che l’ allele HLA-

DRB1*04:01 ed in minor misura l’allele HLA-B1*04:03 sono coinvolti non solo

nella suscettibilità alla malattia ma rappresentano un marker prognostico sfavorevole

( i soggetti positivi presentano un fenotipo clinico più grave) e l’allele HLA-

                                                                                    23
DBR1*04:02 è perfino coinvolto nella resistenza alla malattia, i soggetti positivi

presentano una minore incidenza alla malattia.

   • CELIACHIA

La malattia celiaca è un’enteropatia indotta dall’intolleranza al glutine, nei confronti

del quale si stabilisce una reazione immune che provoca danni alla mucosa

intestinale del digiuno con conseguente atrofia dei villi, iperplasia delle cellule delle

cripte ed infiltrazione di cellule linfoidi.

Nella forma classica si presenta nei primi 6-24 mesi di vita ed è caratterizzata da

diarrea cronica, distensione addominale e scarsa crescita. La forma atipica, invece, si

presenta nell’adulto con manifestazioni prevalentemente extraintestinali quali

anemia, osteoporosi, alopecia, infertilità. E’ nota anche una forma silente, del tutto

asintomatica nonostante la presenza dell’atrofia della mucosa intestinale, e una

forma latente dove la mucosa risulta normale ma sono presenti gli anticorpi

caratteristici della malattia.

La celiachia è stata perciò paragonata ad un iceberg la cui porzione emergente

rappresenta le forme clinicamente manifeste (tipica o atipica), mentre la parte

sommersa, di maggiori dimensioni, comprende i casi silenti e latenti.

Questa ampia variabilità clinica e la conseguente difficoltà diagnostica hanno reso

necessari anni per definire correttamente l’epidemiologia della malattia.

Infatti, parallelamente alla disponibilità dei test diagnostici sempre più sensibili, la

stima della prevalenza della celiachia è andata aumentando nel tempo.

Ad oggi, l’incidenza in Italia è 1/150 persone. Colpisce più spesso il sesso

femminile con un rapporto di 2 femmine/1 maschio.

                                                                                      24
La mancata o tardiva diagnosi o la non aderenza alla dieta espone i pazienti al

rischio di sviluppare malattie di vario tipo, in primo luogo altre patologie

autoimmuni, ed insorgenza di neoplasie dell’apparato gastroenterico quali il linfoma

non Hodgkin e varie forme di neoplasia epiteliale.

Una prevalenza più elevata di quella della popolazione generale è stata riscontrata in

numerosi gruppi a rischio che comprendono familiari di celiaci, in particolare di

primo grado, soggetti con sindrome di Down, Turner, Williams e pazienti con altre

malattie autoimmuni quali diabete mellito insulino-dipendente, epatite autoimmune

e sindrome di Sjogren. L’associazione tra la malattia celiaca ed altre patologie

autoimmuni è considerata almeno in parte dovuta ad un comune background

genetico. L’importanza di diagnosticare queste forme di celiachia associate a

patologia autoimmune è duplice, dal momento che la dieta aglutinata non è in grado

di prevenire le manifestazioni cliniche dell’enteropatia da glutine, ma anche di

determinare un miglioramento del quadro clinico almeno per alcune delle patologie

associate.

Numerosi studi riportano che la malattia celiaca si associa frequentemente alla

presenza di specifici geni del sistema HLA, codificanti gli eterodimeri DQ2 e DQ8,

identificabili      tramite        gli        alleli       DQA1*05:01/DQB1*02:01        o

DQA1*05:01/DQB1*02:02 e DQB1*03:02 rispettivamente.

Poiché gli alleli DQB1*02:01 e DQB1*02:02 sono identici eccetto che per

l’aminoacido 135 localizzato nel dominio più prossimo alla membrana della catena

DQβ che non influenza la sequenza delle tasche di presentazione della molecola,

appare       evidente   che   la         presenza      sulla   membrana   di   eterodimeri

DQA1*05:01/DQB1*02:01 o DQA1*05:01/DQB1*02:02 attribuisce alle cellule

                                                                                       25
che li espone sulla membrana la stessa efficacia nel presentare i peptidi della

gliadina ai linfociti T. Quest’ultimi, isolati dalle biopsie dell’intestino tenue di

pazienti celiaci, riconoscono preferenzialmente peptidi deaminati, che sono prodotti

tramite l’azione dell’enzima transglutaminasi (tTG), che catalizza la trasformazione

della glutammina in acido glutammico, carico negativamente; l’acquisizione di

cariche negative da parte dei peptidi della gliadina consente una maggiore affinità

con le molecole HLA-DQ2 e DQ-8 sulle cellule presentanti l’antigene (APC).

Si ha l’attivazione dei linfociti T-helper, che producono sia un gran numero di

citochine inducenti una notevole risposta infiammatoria nella mucosa e nella lamina

sottomucosa del digiuno, che l’attivazione di linfociti B in grado di produrre

anticorpi specifici anti-gliadina, anti-endomisio e anti-tTG. Quest’ultimi attivano

una risposta immunitaria distruttiva verso i tessuti che la contengono: il più colpito

è la mucosa intestinale, ma il danno riguarda organi diversi (sistema nervoso, cute,

pancreas, fegato).

L’aplotipo DQ2 è stato osservato nel 90-95% dei pazienti, mentre l’aplotipo DQ8 è

presente in circa il 5%. Esiste altresì una quota di pazienti celiaci (meno del 2%)

che non possiede né il DQ2 né il DQ8, così come è necessario considerare che circa

il 25-30% della popolazione presenta i suddetti aplotipi predisponesti senza mai

sviluppare la malattia.

Si deduce pertanto che la ricerca degli aplotipi DQ2 e DQ8 presenta un valore

predittivo negativo molto forte ed un debole significato predittivo positivo per la

diagnosi di malattia celiaca. La presenza di questi alleli, pur essendo un importante

fattore di predisposizione genetica, ovviamente non può essere considerato l’unica

                                                                                   26
causa della malattia, ma altri fattori ambientali e genetici influiscono sulla

patogenesi.

La diagnosi viene effettuata avvalendosi dell’utilizzo di linee-guida approvate dal

Comitato Nazionale per la sicurezza Alimentare (pubblicato in G.U.n°.32 S.O. del 7

febbraio 2008), che consentono di disporre di protocolli semplici, applicabili su tutto

il territorio nazionale ed in grado di identificare il maggior numero di celiaci e di

assicurarne il monitoraggio. Vengono utilizzati tre diversi percorsi diagnostici in

base alla presenza di pazienti con forte sospetto clinico di celiachia

(malassorbimento franco, caratterizzato da significativo calo ponderale, diarrea ed

astenia severa), o con bassa probabilità di celiachia (casi mono o paucisintomatici)

oppure a genitori e fratelli di celiaci.

Come si può osservare dalle tabelle sottostanti i saggi di primo livello sono

rappresentati dalla biopsia duodenale e da markers anticorpali (IgA sieriche e anti-

tTG), mentre l’HLA, come test di secondo livello, deve essere eseguito quando i

primi non hanno portato ad una diagnosi certa.

Per la tipizzazione HLA in prima istanza viene effettuata la ricerca dell’eventuale

presenza dell’aplotipo HLA-DQ2, HLA-DQ8 o entrambi in biologia molecolare in

basso livello di risoluzione ed, in caso di positività, l’espressione degli alleli sia

DQB che DQA in alta risoluzione. Con l’alta risoluzione, a seconda dell’allele

espresso si identifica il “gruppo di rischio”, questo è rilevante, ad esempio, per i

familiari di primo grado dell’affetto, in quanto consente di stabilire la frequenza

degli esami sierologici da effettuare nel tempo per seguire con massima attenzione

la possibile insorgenza della malattia.

                                                                                    27
Fig.5 Percorso diagnostico per pazienti con elevato sospetto di celiachia

Fig.6 Percorso diagnostico per pazienti con basso sospetto di celiachia

                                                                            28
Fig. 7 Percorso diagnostico per familiari di I grado

   •   MALATTIA BEHCET

La malattia di Behçet è una patologia sistemica di tipo infiammatorio ad

eziopatogenesi sconosciuta. E’ caratterizzata dalla triade clinica: aftosi orale, aftosi

genitale (recidivanti) ed infiammazione oculare. Può tuttavia frequentemente

coinvolgere anche articolazioni, cute, sistema nervoso centrale, apparato

gastroenterico e vasi sanguigni. Classificata tra le vasculiti sistemiche, può

coinvolgere sia i vasi venosi che arteriosi di qualsiasi calibro e distretto corporeo,

determinando quindi differenti presentazioni cliniche.

La malattia ha un decorso cronico recidevante, la cui espressione clinica e gravità

sono estremamente variabili da paziente a paziente, anche in base alla provenienza

geografica; il coinvolgimento d’organo risulta infatti più severo nelle aree asiatiche

rispetto a quelle occidentali. In particolare risulta endemica in aree quali Turchia,

                                                                                     29
Iraq, Iran, Corea e Giappone, è meno comune nell’Europa settentrionale e nel Nord

America e rara nelle popolazioni africane.

Colpisce prevalentemente giovani adulti soprattutto di sesso maschile tra la seconda

e quarta decade di vita, anche se possono essere presenti casi nelle fasce sia senili

che infantili.

L’eziologia della malattia di Behçet non è nota; da diversi studi emerge che la causa

potrebbe essere un evento infettivo che, tramite meccanismi di mimesi antigenica

con antigeni-self, induce attivazione e cronicizzazione di un abnorme risposta

immunitaria contro un autoantigene.

Gli autoantigeni candidati sono l’antigene S retinico, le proteine HSP e l’α-enolasi

riconosciute dagli anticorpi frequentemente riscontrati in corso di malattia, seppur

non specifici.

Altri studi hanno inoltre documentato un ruolo significativo di una aberrante

generalizzata risposta T cellulare. Infatti rispetto ai controlli sani, i pazienti affetti

presentano un aumentato numero di linfociti T CD4+ circolanti, il cui target

antigenico non è noto, ma esprimono markers precoci di attivazione e producono

citochine infiammatorie, tra INF- gamma e TNF-α.

Questo potrebbe essere dovuto ad un difetto di trasduzione del segnale da parte dei

linfociti T, i quali presenterebbero una più bassa soglia di attivazione da parte di

multipli stimoli antigenici.

La diagnosi si basa esclusivamente su elementi clinici, anche se l’associazione con

l’HLA fornisce un supporto allo specialista. Infatti, dal 1973 è stata evidenziato che

l’eterodimero HLA-B51 ha un ruolo primario nella suscettibilità alla malattia, in

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particolare il 20% degli individui sani appartenenti a diverse origini etniche sono

HLA-B1 positivi, mentre la percentuale di positività passa dal 50 all’80% nei malati.

Non è tuttavia conosciuto il meccanismo molecolare mediante il quale la molecola

HLA-B51 conferisce un’alta predisposizione alla malattia.

Da studi di eluizione dei peptidi ancorati a molecole B51 è emerso che la tasca del

sito di legame della molecola HLA-B51 alloggia con scarsa affinità i peptidi

determinando un difetto di presentazione all’azione citotossica dei linfociti con

possibilità di riattivazione dopo una nuova infezione non nota.

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, di fronte ad un sospetto di malattia

di Behçet, viene effettuata la tipizzazione del locus HLA-B in sierologia o in

biologia molecolare a basso livello di risoluzione.

1.2.2. Principali malattie infettive associate al sistema HLA

Le malattie infettive strettamente associate con il sistema HLA sono poche.

Questo dato è causato sia dalla molteplicità dei determinati antigenici microbici che

dalla risposta immune di ogni individuo nella quale sono coinvolti loci HLA e non-

HLA che possono mascherare l’effetto dei primi.

Inoltre il numero dei soggetti studiati è spesso insufficiente per raggiungere una

significatività statistica e a questo consegue che l’ampiezza dei campioni in studio

non consente di individuare associazioni alleliche più forti di un Odd Ratio compreso

tra 0,5 e 2.

Per lo studio delle malattie infettive, infatti, si preferisce analizzare degli alberi

genealogici più semplici, ovvero solo due o più fratelli affetti con i genitori in modo

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da evitare il problema di classificare membri della famiglia che potrebbero non

essere stati esposti all’agente infettivo.

Mentre gli studi di associazione vengono effettuati sulle popolazioni in cui la

malattia studiata è endemica.

Da numerose ricerche sono stati individuati alcuni fattori di suscettibilità o resistenza

genetica sia a parassitosi, che infezioni batteriche che virali.

Ad esempio, da studi di associazione, sono stati identificati i geni di resistenza alla

forme gravi di malaria in popolazioni dell’Africa Sub-Sahariana. E’ stato dimostrato

che l’allele HLA-B53 riduce il rischio di morte per malaria grave indotta dal

Plasmodio Falciparum di circa il 40%. Questo allele ha una frequenza molto bassa

nelle popolazioni non africane, è presente invece nel 25% dei soggetti sani e nei

bambini affetti da forme lievi di malaria nella popolazione africana. Questo dato è

presumibilmente correlato all’efficienza da parte dell’allele HLA-B53 a presentare i

peptidi derivati dagli sporozoiti e questo induce la formazione di cloni di linfociti T

CD8+ molto efficienti nell’eliminazione del parassita nello stadio di infezione

epatica. In effetti, tali CD8 sono stati riscontrati nei pazienti affetti da malaria e

peptidi sporozoitici sono stati eluiti dalle molecole HLA-B53 di questi pazienti.

L’incremento della frequenza dell’allele HLA-B53 in queste popolazioni rispetto alla

frequenza riscontrabile in altre popolazioni non selezionate dalla malaria, suggerisce

che questo incremento sia il risultato di un’elevata pressione selettiva esercitata dal

patogeno.

Sono state evidenziate associazioni con il sistema HLA anche per infezioni

batteriche, ad esempio in Asia il fenotipo HLA-DR2 è correlato con la suscettibilità

sia alla lebbra che alla tubercolosi.

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Per ciò che concerne l’infezione da HIV, invece, nonostante l’enorme mole di studi

condotti sull’argomento, non è emersa nessuna associazione consistente con

particolari alleli di classe I e II. L’inconsistenza di queste associazioni potrebbe

essere legata sia alla presenza di estensivi polimorfismi nel virus che dall’alto tasso

di diversificazione dell’ospite. Sono state trovate, però, diverse associazioni,

confermate in più di uno studio, con l’andamento della malattia. E’ stato dimostrato

che l’allele HLA-B53 è associato con una progressione più rapida della malattia,

mentre il fenotipo HLA-B27 con una progressione più lenta.

Infine diversi studi hanno dimostrato che la negatività per l’allele HLA-B*57:01 è

correlata con la mancata insorgenza della reazione di ipersensibilità al trattamento

terapeutico con abacavir. Quest’ultimo è un farmaco che, nel 5-8 % dei pazienti

causa una reazione clinica indesiderata che consiste nell’insorgenza di una sindrome

clinica multiorgano caratterizzata da febbre, rash cutaneo, cefalea e disturbi

gastrointestinali che si osservano generalmente entro sei settimane dall’inizio del

trattamento. Il risultato del test genetico, quindi, è di notevole importanza, però non

deve sostituire un accurato counselling sulle possibili reazioni avverse e un’attenta

osservazione clinica, dal momento che un risultato negativo non esclude in assoluto

la possibilità che l’evento avverso si manifesti.

Interessante per i risvolti clinici è poi l’associazione dell’allele HLA-DR7 con

l’infezione da citomegalovirus nei pazienti sottoposti a trapianto renale e nei pazienti

affetti da AIDS; inoltre questo allele è un fattore di suscettibilità alla cronicizzazione

delle infezioni virali di epatite B e C. Quindi questo allele presenta un’incapacità a

presentare efficacemente gli antigeni virali.

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In conclusione, questi studi presentano un profondo significato biologico ma un

indubbio risvolto clinico. L’eventuale individuazione di alleli con un elevato rischio

di suscettibilità ha infatti un valore sia nel delucidare i meccanismi patogenetici della

malattia che nel sottoporre gli individui a rischio a un’adeguata profilassi.

1.3 SCOPO DELLA TESI

Nel corso del presente lavoro di tesi, svolto presso il laboratorio di tipizzazione

tissutale HLA dell’AUSL 6 di Livorno, sono stati esaminati, nell’anno 2013, i

pazienti richiedenti un’eventuale predisposizione genetica per patologie associate al

sistema HLA, in particolare per la spondilite anchilosante, per la malattia celiaca, per

il diabete mellito di tipo I, per la malattia di Behçet e per valutare nei pazienti hiv

positivi l’eventuale insorgenza della reazione di ipersensibilità al trattamento con

abacavir.

La presenza dell’antigene HLA-B27 per la spondilite anchilosante e dell’antigene

HLA-B51 per la malattia di Behçet è stata evidenziata con il test di

microlinfocitotossicità complemento dipendente (tecnica sierologica), che valuta la

percentuale di cellule positive ottenute tramite la citotossicità mediata dal

complemento che danneggia le cellule riconosciute dall’anticorpo specifico, secondo

score internazionali standardadizzati

La tipizzazione HLA per la malattia celiaca, per il diabete mellito di tipo I e per la

ricerca dell’allele HLA- B*57.01 nei pazienti HIV positivi è stato effettuata con la

PCR-SSP (test di biologia molecolare), metodica che consente di riconoscere un

allele o un gruppo di alleli con l’impiego di primer sequenza specifica.

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Come possiamo osservare dalla tabella sottostante i pazienti analizzati, suddivisi in

richieste esterne e dai reparti ospedalieri, sono risultati 376, di cui:

    •   119 per la spondilite anchilosante (16 interni/103 esterni),

    •   27 per la malattia di Behçet (7 interni/20 esterni),

    •   145 per la malattia celiaca (3 interni/142 esterni),

    •   30 per il diabete di tipo I (12 interni/18 esterni),

    •   55 per i pazienti HIV positivi (27 interni/28 esterni).

 Patologie associate sistema HLA          Allele/Aplotipo            Interni   Esterni

 SPONDILITE ANCHILOSANTE                  B27                        16        103

 MALATTIA BEHCET                          B51                        7         20

 MALATTIA CELIACA                         DQ2/DQ8                    3         142

 DIABETE TIPO I                           DR3/DR4                    12        18

 HIV: TERAPIA ABACAVIR                    B*57:01                    27        28

Tab. 3 Pazienti analizzati anno 2013 AUSL 6 di Livorno

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