"CONTRO HITLER" - Malacoda

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"CONTRO HITLER" - Malacoda
STORIA CULTURA SOCIETÀ

                                                                                                                                                                                                                                                             “CONTRO HITLER”

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
                          	
  

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Che nella Germania di Hitler sia completamente mancata una Resistenza antifascista
(antifaschistischer Widerstand) possono smentirlo le azioni di taluni soggetti e movimenti
clandestini, tra cui, soprattutto, l’organizzazione comunista Kommunistische Partei
Deutschlands, comunque non paragonabile alla Resistenza italiana o francese.
  Malgrado la politica terroristica del partito hitleriano che abolisce la libertà di stampa e
già dal 1933, stesso anno del Concordato del governo germanico con la Chiesa cattolica
(20 luglio), dà l’avvio ai lager di Breitenau, Neusustrum, Stettin-Bredow e Börgermoor,
cospirano contro il dittatore soggetti isolati, sindacalisti, deputati dei partiti operai con
diversi intellettuali, artisti, diffusori della stampa clandestina, ma, via via, anche ufficiali
dell’esercito tedesco e alcuni membri dello stesso governo: molti di loro perseguitati,
spediti nei lager o assassinati dagli agenti del ‘servizio di sicurezza’ (Sicherheitsdienst).
Tutto ciò sotto gli occhi della maggioranza dell’asservito popolo tedesco che, terrorizzato
dalla violenza nazista, fino alla sconfitta di Hitler sembra ottusamente condividere le mire
del “Reich Millenario” (Tausendjähriges Reich) per la dominazione del mondo… Né si
dimentichi che l’iniziale Resistenza tedesca al nazismo non riceve l’aiuto dei governi
occidentali. Questi, dopo il “Patto scellerato” per la spartizione della Polonia del 23 agosto
1939 tra Hitler e Stalin (mentori di due fascismi, uno ‘nero’ e l’altro ‘rosso’), vorrebbero
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sperare, allorché le truppe di Hitler iniziano l’invasione dell’Unione Sovietica con
“L’Operazione Barbarossa” iniziata il 22 giugno 1941, che il despota tedesco ponga
rimedio al pericolo stalinista... Scrive in un libro del 1940 l’ambasciatore inglese Nevile
Henderson: “Il regime nazista e le istituzioni sociali che ha instaurato presentano diversi
aspetti che dovremmo studiare e applicare nel nostro Paese” (Failure of a mission. Berlin
1937-1939). E il diplomatico statunitense Sumner Welles: “Per salvaguardare i loro
interessi economici, le democrazie occidentali e gli Stati Uniti d’America furono
particolarmente lieti di accettare l’hitlerismo come un valido bastione contro l’avanzata
comunista” (The time for decision, 1941).

In Germania, un’opposizione nonviolenta quanto ingenua e destinata al peggio è quella,
pure nobilissima, di due studenti di Monaco, i fratelli Hans e Sophie Scholl che, dopo
avere scritto, firmandosi “La Rosa Bianca”, delle lettere anonime a diversi intellettuali
tedeschi chiedendo loro di prendere la parola contro Hitler, il 19 febbraio 1943 lanciano dal
balcone dell’università dei volantini contro il regime (“[…] Hitler conduce il popolo alla
rovina, con certezza matematica. Hitler non può vincere la guerra, può solo protrarla…
Tedeschi, rompete col nazismo, che è indegno dell’uomo […].). Ma, individuati dalla
Gestapo, vengono tratti in arresto e, per ordine di Hitler, barbaramente torturati e
decapitati; presto seguiti dal loro professore di filosofia Kurt Huber, e da altri quattro
studenti: Alexander Schmorell, Christoph Probst, Willi Graf, Hans Leipelt.
  Un mese dopo, il 13 marzo, il tenente Schlabrendorff colloca una bomba all’interno
dell’aereo di Hitler, ma l’azione è talmente maldestra che il congegno predisposto non
funziona. Allo stesso modo, nel gennaio del 1944, l’anno in cui si profila il disastro del
Reich, non va a buon fine l’idea di tre giovani ufficiali decisi a farsi esplodere insieme a
Hitler durante una dimostrazione di nuove divise per la fanteria.
  Dal 1933, anno della presa del potere di Hitler, al 1945 che segna la caduta della
Germania, sono ventidue gli attentati dai quali il fürher riesce ogni volta a scampare; fino
alla sua uccisione, spacciata per suicidio: avvelenamento, un colpo di pistola alla tempia?
O non, piuttosto – eccepisce lo storico Henri Ludwigg nel libro del 1963 L’assassinat de
Hitler (tr. it. L’assassinio di Hitler. La leggenda del suicidio, 1967) – una caritatevole
pistolettata da parte di Goebbels, lo “zoppo ministro della Propaganda”?

Quella del tirannicidio, un’idea maturata tra le più avvedute coscienze di quei militari
tedeschi avversi alla criminale megalomania hitleriana, sembra potersi realizzare nei giorni
del 1944 durante l’avanzata delle truppe sovietiche allorché il giovane colonnello
prussiano della Wehrmacht Claus von Stauffenberg progetta con altri ufficiali di uccidere
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Hitler. Ci prova inutilmente due volte: prima l’11 luglio portando un bomba a
Berchtesgaden, poi il 16 recandosi direttamente nell’ufficio di Hitler che, però, non si fa
trovare o non lo riceve. Sempre più deciso a portare a termine la sua missione, il 20 luglio
1944 partecipa a un consiglio di guerra tenuto dal dittatore nel suo quartier generale a
Rastenburg in Prussia e depone due bombe, nascoste in una borsa, sotto il lungo tavolo
dei convenuti. Uscito dalla stanza con un pretesto, ode l’esplosione e subito dopo
raggiunge in aereo Berlino sicuro d’avere attuato il proprio piano che dovrebbe colpire la
cricca governativa nazista e porre termine alla guerra. Ma forse perché una delle due
bombe non viene attivata o perché la borsa non è messa abbastanza vicina, l’ordigno, che
uccide quattro ufficiali, provoca a Hitler, salvato dal supporto di legno del tavolo, solo
un’escoriazione al braccio destro, i timpani perforati e l’uniforme a brandelli.
   Non è comunque del tutto vana l’iniziativa di Stauffenderg che, all’epoca, mostra al
mondo libero come in Germania vi siano dei resistenti contro la tirannia nazionalsocialista.
Ciò, malgrado la passività degli Alleati (Inghilterra, Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina)
che, pure al corrente del complotto antinazista, non offrono nessuna collaborazione.
Degli episodi poco noti che anticipano l’attentato al führer si rilevano nel saggio-
conferenza 20. Juli 1944 – Personen und Aktionen (2001) del giornalista e scrittore Georg
Holmsten (Riga 1913 - Berlino 2010). Tale testo è ora tradotto, col titolo di Contro Hitler
(Mimesis, Milano, 2020, pp. 96, € 10,00), dalla filologa, poetessa e traduttrice di origine
tedesca Isabella Horn, altresì autrice di un’efficace prefazione (Stauffenderg. Dalla
congiura all’azione) e di un’informata Appendice con cenni biografici sugli oppositori.
   Accingendosi al racconto delle vicende da lui vissute tra il 1943 e il 1944, Holmsten si
ricorda giovane studente attivo nella Lega pacifista per i diritti umani un po’ prima del
1933, anno della presa del potere di Hitler. Più tardi, costretto a interrompere gli studi a
causa delle sue posizioni politiche, diviene giornalista fino a collaborare con l’agenzia
americana United Press e poi, scoppiata la guerra, entrando nell’agenzia d’informazione
del DNB (Deutsches Nachrichtenbüro, Ufficio tedesco di notizie). Passato all’Agenzia
esteri d’informazione e stampa diretta dell’ammiraglio Wilhelm Canaris, attende alle
traduzioni e rielaborazioni di notizie militari e politiche attraverso cui viene a conoscenza di
segreti militari, spionaggio e controspionaggio, fino alla svolta della guerra dopo la
sconfitta nella sanguinosa battaglia di Stalingrado (estate 1942 - 2 febbraio 1943),
avvisaglia della catastrofe prossima del Reich.
Claus von Stauffenberg

  Nell’inverno del 1943, Holmsten riceve una telefonata del non ancora colonnello, ma
“tenente colonnello dell’ufficio generale dell’esercito, il conte Stauffenberg”, che in tono
“anticonvenzionale, spiritoso”, lo invita a un colloquio informale davanti a un bicchiere di
vino. È un’occasione che Holmsten non manca; e durante la quale, apprezzando la
naturale simpatia e l’impulsiva cordialità del trentacinquenne ufficiale, ne coglie le
intenzioni di rivolta contro Hitler e i crimini nazifascisti. Nello stesso tempo è colpito dal
tratto scanzonato di Stauffenberg, al punto di pensare di trovarsi di fronte a un artista
piuttosto che a un ufficiale di stato maggiore… Holmsten non sa – considera la Horn – “del
forte legame di Claus von Stauffenberg e dei suoi fratelli Alexander e Berthold col poeta
Stefan George e di quella loro visione d’una “Germania segreta” che insegue il sogno “di
veder rinascere, dall’infamia e dall’orrore, un paese migliore” da identificare con la ‘vera’
Germania dei “poeti e pensatori” (Volk der Dichter und Denker): “un paese faro di cultura,
dai valori di cui andare fieri, ma senza prepotenza né sete di dominio”.

“Lei per esempio correrebbe dei rischi per una buona causa?” chiede senza infingimenti
Stauffenberg a Holmsten. Aggiungendo che, di fronte alla condizione ormai disperata della
nazione sconfitta sul fronte orientale, bisogna prepararsi a un deciso cambio degli apparati
militari e politici. Poi, nella prospettiva d’un nuovo Governo, gli prospetta la gestione
dell’Agenzia di stampa del DNB. “Rifletta con calma sulla mia offerta!” gli dice; e
insistendo: “Gliela fanno uomini desiderosi di salvare quanto, vista la situazione, è ancora
salvabile per la Germania”… Così, a un secondo incontro, Holmsten, dapprima indeciso,
alla domanda secca dell’ufficiale che perentoriamente gli chiede “Allora?”, risponde
“D’accordo, ci proverò”. Si tratta, allora, nella sua sezione dell’agenzia giornalistica, di
coinvolgere i soggetti sicuramente contrari a Hitler. Fra questi – scrive Holmsten – “voglio
ricordare qui solo due colleghi della redazione: Dieter von der Schulenburg e il Dott.
Sigfried Horn […], una figura nota nell’ambiente delle agenzie di stampa e del ministero
degli Affari Esteri”. In quanto “corrispondente diplomatico del DNB”, Sigfried Horn (1896-
1958) – padre della curatrice di Contro Hitler – ha “accesso a parecchie informazioni
confidenziali del ministero degli Affari Esteri e di altri dicasteri, informazioni che volentieri
mi comunicava per la trasmissione agli ufficiali della Bendlerblock”, il settore al servizio del
Ministero della Reichswehr (“Difesa del Reich”).
   L’ultimo incontro di Holmsten con Stauffenberg avviene qualche settimana prima del 20
luglio in un rifugio antiaereo del Bendlerblock, quando l’ufficiale prende a elencare
rabbiosamente, mentre fuori imperversa l’ennesimo bombardamento, le dozzine di
“località riconquistate dalla controffensiva dei russi”.
   “Per quanto tempo ancora dovremo andare avanti in questo modo, sul fronte e a casa
nostra?!” dice l’ufficiale a Holmsten. “Che cosa stiamo aspettando, qui?! Che cosa?! Glielo
dico io: stiamo aspettando la morte. Il soldato aspetta sempre la morte…”. Parole come un
presagio perché, poco dopo la mezzanotte del 20 luglio, Stauffenberg viene fucilato nel
cortile del Bendlerblock. Se la sua esecuzione somiglia a un ‘onore delle armi’, lo stesso
non accade ad altri responsabili della rivolta, alcuni uccisi quella stessa notte, altri
processati nel mese d’agosto e condannati senz’altro a morte dopo che i loro stessi
avvocati chiedono di dichiararli colpevoli…

Dopo il fallito attentato, la vendetta di Hitler, che coinvolge anche molti civili, causa in
Germania circa cinquemila vittime; ed è noto che nei dodici anni del dominio hitleriano
sono, coi milioni di morti ebrei, più di ventimila i cittadini tedeschi soppressi dai tribunali
speciali (Hermann Kindler-Verner Hilgemann, DVT. Atlas zur Weltgeschichte, 1964. Tr. it.
Atlante storico Garzanti. Cronologia della storia universale, 1967). Nei sotterranei della
prigione berlinese di Plötzensee, denudati, torturati, umiliati, derisi, insultati come traditori
e messi nelle mani del boia, vengono impiccati a un gancio di macelleria mentre Hitler, che
vieta per quei martiri anche i conforti spirituali, insieme alla sua corte si rallegra della loro
fine… “Le esecuzioni” scrive H. Ludwigg (cit.) “dovevano essere filmate nei minimi
particolari e [Hitler] se le lascia proiettare più volte e con la massima soddisfazione. I film,
inoltre, dovevano essere sonori. Non soltanto vuole vedere come sono morte le sue
vittime, ma vuole udire anche i loro lamenti”.
Ma presto, il 27 gennaio 1945 l’Armata sovietica guidata dal generale Žukov passa il
fiume Oder giungendo il 16 aprile a Berlino, dove il 2 maggio, dopo una battaglia di pochi
giorni, si vede sventolare sul Reichstag una bandiera rossa.
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