CONFERIMENTO DELLA CITTADINANZA ONORARIA AL SENATORE GIOVANNI BERSANI

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CONFERIMENTO DELLA CITTADINANZA ONORARIA AL SENATORE GIOVANNI BERSANI
Comune di Crevalcore
                                     (Provincia di Bologna)

   CONFERIMENTO DELLA CITTADINANZA
    ONORARIA AL SENATORE GIOVANNI
                               BERSANI
                        2 GIUGNO 2008
                FESTA DELLA REPUBBLICA

               Intervento dell’On. Giovanni Bersani

       Gentile Presidente, Signora Sindaco, Signori Consiglieri,

la decisione da voi assunta di conferirmi la cittadinanza onoraria mi commuove
profondamente:essa implica sempre un durevole e coinvolgente rapporto con il territorio,
la sua gente, la sua storia.
E’ quindi un evento che ti segna per la vita.
Avevo sperato che, con il passare del tempo, la notizia pervenutami si potesse perdere
per strada: in questa mia età, i pensieri sono sollecitati ad altri passi.
Poi tutto è proceduto come avevate deliberato ed io sono qui a dirvi anzitutto il mio
grazie più commosso per l’amicizia che avete inteso pubblicamente dimostrarmi e per le
considerazioni con cui - superando ogni distinzione - avete voluto accompagnarla.
Vorrei poi, in particolare, ringraziarvi per aver scelto l’occasione di un giorno così
significativo, emblematico delle speranze più alte della nostra Repubblica, occasione che
mi induce a ricordare il fondamentale articolo 2, là dove è detto: “La Repubblica

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riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali in cui si svolge la sua responsabilità”.
In tale contesto, vorrei tuttavia sottolineare tre motivi per cui la Vostra decisione ha
suscitato in me sentimenti e stimoli particolari:
   -   per avermi fatto ricordare e quasi rivivere vicende che hanno collegato a
       Crevalcore la famiglia da cui provengo e quella di tante persone amiche che qui
       ho conosciuto; per avermi fatto rivivere le diverse iniziative ed i tanti momenti, non
       sempre facili, nei quali si sono sviluppati nel territorio crevalcorese ed in mezzo alla
       sua gente le varie proposte culturali, sociali, economiche, amministrative e
       politiche, in cui ero impegnato;
   -   per aver avermi aiutato, anche con incontri recenti, a meglio conoscere i problemi
       di oggi, le prospettive possibili di nuovi sviluppi in una parte tanto significativa di
       questa “Terra d’Acque” e di confine, così ricca di storia, di potenzialità e di
       speranze ormai rivolte anche al servizio di altre aree e di altri Paesi.
   In una parola mi avete aiutato a recuperare “l’intimo senso” di molte cose, nelle quali
   in vario modo, siamo stati insieme coinvolti.
Ho ricordato lontane vicende della mia famiglia.
Mia madre, figlia di Partecipanti di San Giovanni in Persiceto, ha vissuto gran parte della
sua giovinezza alla “Bevilacqua”.
Spesso era solita andare in bicicletta, di sera, con le ragazze sue amiche, alla
“Madonnina della Valle” come mi raccontò tanti anni dopo, allorchè mi chiese
commossa di accompagnarla in quell’itinerario della sua lontana giovinezza.
Mio nonno materno era di Dodici Morelli, mentre quello paterno era nato a Sala
Bolognese, mentre diversi loro cugini abitavano tra Sant’Agata e San Pietro in Casale.
Gran parte di tali persone si trasferirono poi a Bologna, nel quartiere Santa Viola, ove io
sono nato nel 1914.
Alla fine delle scuole medie, divenuto Dirigente degli studenti cattolici, mi trovai indotto a
visitare i centri più importanti della provincia. Un anziano amico di Sant’Agostino mi ha
ricordato, poco tempo fa, una lontana serata del 1933, allorchè mi recai in bicicletta a
Crevalcore per un incontro studentesco, ritornando poi a Bologna con lo stesso mezzo.
Specialmente dopo il 1931, vivevamo momenti difficili, tra minacce ed angherie.
Poi vennero la guerra, la prigionia, la fuga, la resistenza sulle nostre montagne – ribelli per
amore della libertà – fino alla indimenticabile giornata del 21 Aprile 1945, quando anch’io
arrivai a Bologna su un camion di soldati polacchi.

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Le sfide che ci stavano davanti erano enormi: la ricostruzione di un Paese semidistrutto,
con straordinari ed urgenti problemi sociali e politici, profondamente diviso al suo interno
in un contesto internazionale percorso da nuove tentazioni di violenze e di guerra,
malgrado i cumuli di tombe e di macerie che segnavano le regioni un tempo prospere
dell’Europa e del mondo.
Anche in questa terra alcune croci restano a ricordare i drammi e le tensioni di quegli
anni: quella di Zavattaro ad Anzola, di Giuseppe Fanin a San Giovanni in Persiceto, e le
tante vittime degli scontri in molte parti del paese.
Le stagioni difficili ritornarono di tanto in tanto, mettendo a dura prova la giovane
democrazia italiana. Si sono ricordati proprio in questi mesi le centinaia di morti e di feriti
dei lunghi “anni di piombo” tra gli anni 60 e la fine degli anni 70 oltre alla morte di Aldo
Moro, riflessi in Europa e nel mondo di una lunga stagione in bilico tra la guerra e la pace.
Le solidarietà maturate negli anni attraverso tante vicende aiutarono tuttavia a superare,
nelle varie stagioni, le tentazioni ed i rischi più gravi ed a tenere comunque fedeltà, al di
là di tutto, al retaggio dei sacrifici compiuti, al grande voto popolare del 2 giugno 1946, ai
valori fondanti della Costituzione Repubblicana, alle comuni responsabilità democratiche.
Tutto ciò non poteva non avere riflessi anche sul piano locale.
Crevalcore e le sue frazioni- Caselle, Ronchi, Bevilacqua, Palata Pepoli, Bolognina,
Galeazza Pepoli, Sammartini – vengono da una storia particolarmente ricca di vicende
che hanno profondamente segnato la struttura del territorio. Esso conserva, in modo
straordinario, l’ordinamento delle “centuriazioni” rurali di epoca romana, con i suoi lotti
quadrati di 710 metri di lato, con le sue strade dritte, gli incroci “consacrati”, le tuttora
esistenti “isole” umide o alberate sapientemente rispettate.
Visto dall’alto, tutto il territorio,- compresa la pianta stessa della città – appare come una
grande mappa geometrica uscita quasi indenne dai secoli bui dell’Alto Medio Evo, in cui
l’abbandono delle città e il dominio dei grandi feudatari avevano, in terre vicine, portato
alla “grande palude”.
La preservazione delle “centuriazioni” ha così salvaguardato la struttura del territorio
crevalcorese, mentre le “Partecipanze” hanno positivamente contrassegnato i rapporti
sociali delle popolazioni, in minima parte a Crevalcore, ma in modo più incisivo nelle aree
confinanti di San Giovanni, Nonantola, Sant’Agata, Pieve di Cento e Cento.
La nascita di un nuovo rapporto tra la terra e i lavoratori che vi abitavano - in cui
coesistevano diritti individuali e interessi comunitari – ha così generato progressivamente
un nuovo sistema di organizzazione sociale mantenutosi attraverso i secoli.

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Il territorio di Crevalcore – dopo la breve vita di una modesta Partecipanza, condizionata
dalla decisioni dei feudatari vicini – conobbe invece un’altra storia.
I poteri feudali dell’epoca concessero infatti il dominio enfiteutico su gran parte del
territorio crevalcorese ai potenti signori dell’epoca: in una prima fase ai Pepoli, già
presenti a Crevalcore nel 1353, ai principi Torlonia in una seconda fase.
A questi ultimi pervennero, nel 1800, tre successive aree rurali già state di proprietà della
figlia di Gioacchino Murat.
Tale situazione è arrivata fino al primo dopoguerra, allorchè nella prevalente popolazione
agricola sorsero straordinarie domande di pieno riscatto, dopo tanti secoli, dei mezzadri,
dei braccianti, delle mondariso e le esigenze di un diverso ordinamento complessivo
dell’economia agricola.
Fu a questo punto che – dopo aver promosso varie iniziative a Crevalcore, tra cui una
cooperativa di consumo presieduta dall’amico Cavulli – mi trovai direttamente coinvolto
nelle vicende agricole e sociali del crevalcorese, così come di altre aree della nostra
Provincia e delle aree vicine di Ferrara e di Modena; (fu in questo contesto che ebbero
luogo i miei diversi incontri con Don Zeno, soprattutto allorquando egli studiava gli statuti
della “Nuova Nomadelfia” da realizzare a Grosseto, le prime iniziative industriali fra Cento
e Sant’Agata ed anche i sorprendenti contatti con una piccola comunità crevalcorese
guidata da un Malaguti di Palata Pepoli e da un Dott. Rossini di Galeazza, divenuti leader
nella emblematica città americana di Plymouth, onore della tradizione anglosassone).
Gli orientamenti delle forze politiche più importanti erano al riguardo profondamente
diversi, in una situazione in cui i problemi del mondo agricolo coinvolgevano gran parte
della società (in Provincia di Bologna le persone coinvolte nei problemi dell’agricoltura e
delle sue varie categorie, erano il 37% della popolazione; oggi se ne interessano poco più
di un quinto di allora.
Da parte mia e dei miei amici, la prospettiva era abbastanza definita, sia a livello locale
che nazionale: con una legge detta “Per la Proprietà Coltivatrice” portare finalmente i
braccianti e i coltivatori alla proprietà della terra; temperare alcuni aspetti della
mezzadria in vista del suo superamento; facilitare l’ampliamento delle piccole aziende;
promuovere cooperative tra i nuovi e vecchi coltivatori; rilanciare le partecipanze agrarie
con concrete specifiche misure; facilitare la costruzione di nuove case per i coltivatori e
per i braccianti; predisporre un programma di industrializzazione dell’agricoltura,
liberandola da una totale sudditanza a mondi finanziari ad essa estranei.

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Molti anni son passati da allora. Ritengo possa onestamente constatarsi che la gran parte
delle forze politiche e sociali si sono gradualmente orientate verso tali traguardi,
superando i contrasti anche molto gravi di quegli anni, e che molti obiettivi che
apparivano improbabili si sono potuti realizzare anche grazie al determinante aiuto
dell’Unione Europea, da me sostenuta senza alcuna esitazione, allorchè era fortemente
contrastata sia in Italia che a Bruxelles e a Strasburgo.
La cooperativa agricola di Palata Pepoli, inizialmente al centro di un progetto di frazione
(associazione artigiana, Cassa Rurale, case per i braccianti, centro culturale, polisportiva),
l’espansione sempre più rilevante dei coltivatori diretti, la nascita delle prime cooperative
agro-industriali, il rafforzamento delle partecipanze (suscitato da un’azione legislativa da
me sollecitata tra molte opposizioni) e, in epoca più recente, la nascita di
quell’eccezionale iniziativa rappresentata dal Centro           “Agricoltura e Ambiente” al
Castello dei Ronchi, l’impegno sempre più diffuso a favore delle aree del mondo in
difficoltà, per costruire nuove prospettive di solidarietà e di pace, costituiscono alcune
premesse che ci esortano a guardare più lontano, non dimenticando mai- per noi e per il
mondo- l’immanente importanza dell’agricoltura, dell’agro-industria, della ricerca
scientifica (così cara al concittadino prof. Segrè) nei loro nessi internazionali.

Dinanzi a noi si profilano certamente obiettivi sempre più complessi e difficili, resi
problematici da una accelerazione di una globalizzazione tuttora mal governata. Ci
confortano tuttavia le nuove e concrete sollecitazioni, sia delle Istituzioni- Comune,
Provincia, Regione, Unione Europea – che delle comunità spirituali e culturali. Voglio
ricordare quella ispirata nei secoli dalla storia complessa di San Silvestro cui resse pure
come parroco la straordinaria figura di Don Enelio Franzoni, medaglia d’oro della
Repubblica originario di queste terre;       e quella fondata da Don Giovanni Nicolini a
Sammartini i cui monaci e monache ho incontrato più volte sui lontani monti della amata
Tanzania, e quelle di tante associazioni e gruppi di cittadini sempre più sensibili alle
dolorose “attese della povera gente” sia tra noi che in tanti Paesi fratelli.
Le une e le altre ci ricordano che, senza certi apporti, le risposte ai veri problemi degli
uomini risultano alla fine inasprite e tardive.

Alcuni anni fa un ex Sindaco di Crevalcore – con il quale probabilmente, dati i tempi,
potevo anche aver avuto qualche differenza di vedute,- mi fece sapere che era
disponibile a lavorare in un progetto agricolo del CEFA in Africa.

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Fu un segno esemplare di una nuova e più ampia volontà di “guardare lontano”
disponibili a lavorare “insieme” per ciò “che è bene o riconducibile al bene”.
In questo senso è ammirevole, oltre alla diffusa azione del volontariato in tanti settori della
nostra Società, l’impegno dei giovani amici di “Agricoltura e Ambiente” che, oltre a
importanti ricerche a tutela di importanti produzioni locali, come le pere di Dodici Morelli
o i castagni dell’Appennino e della difesa preziosa delle api – sono strenuamente
impegnati nella ricerca di una efficace lotta “biologica” alla zanzara-tigre che, dopo i
50.000 morti provocati alla Reunion, in Africa, ed alla prima presenza di un caso nella
nostra Regione – si pone ormai come obiettivo di grande significato sul piano della
solidarietà internazionale.

Gentile Presidente, Signora Sindaco, amici Consiglieri, ho già approfittato abbastanza
delle Vostra cortesia.
Al termine di queste parole vorrei nuovamente ringraziare, oltre ai rappresentanti della
istituzione municipale, i cittadini, gli amici intervenuti, nella viva speranza che- ispirati dalle
esperienze antiche e nuove della realtà crevalcorese – una nuova convergenza di idee,
di impegni, e di speranze possa accompagnare i significativi sviluppi spirituali, economici
e sociali della nostra Comunità.

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