CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
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Conferenze internazionali 1971 ‐ Stoccolma, convegno «Study of Man’s Impact on Climate» 1972 ‐ Conferenza ONU di Stoccolma, nasce l’UNEP, United Nations Environment Programme 1978 ‐ Vienna, primo International Workshop on Climate Issues (indetto da WMO e ICSU) 1979 – Ginevra, Prima Conferenza Mondiale sul clima Adozione di un Programma mondiale di ricerca sul clima (WCRP) 1985 – Gli scienziati del clima riuniti a Villach (Austria), sotto l’egida delle Nazioni Unite, sanciscono il ruolo delle attività antropiche sui cambiamenti climatici, e chiedono un maggiore impegno dei governi e della ricerca scientifica per una migliore comprensione del fenomeno e delle misure per contenerlo. 1992, 3‐14 giugno – Si tiene a Rio de Janeiro il «Summit della Terra» (UNCED ‐ United Nations Conference on Environment and Development). Stesura della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), base per il Protocollo di Kyoto. 1995, Berlino COP 1 1996, Ginevra COP 2 1997, Kyoto, COP3 11 dicembre – Viene siglato il Protocollo di Kyoto, che stabilisce la riduzione entro il periodo 2008‐ 12 del 5,2 % delle emissioni di 6 principali gas serra, rispetto ai livelli di emissione del 1990. Per l’Italia l’obiettivo sarebbe una riduzione del 6,5%, ma nel frattempo dal 1990 al 2007 le emissioni erano cresciute del 7%. 2000, L’Aja, COP6 – Uscita degli USA dal Protocollo di Kyoto
Conferenze internazionali 2001, Bonn COP 6 Bis – Applicazione dei Meccanismi flessibili, venne stabilito un credito per le attività che contribuiscono all’abbattimento del carbonio presente nell’atmosfera e fu definita una serie di finanziamenti per agevolare le nazioni in via di sviluppo a ridurre le emissioni di CO2. 2001, Marrakesh COP7 2002 – Johannesburg, Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile. Lo scopo del Vertice fu quello di verificare l’attuazione dei principi sottoscritti a Rio. Prima del Vertice ci sono stati 4 incontri preparatori a livello internazionale nei quali sono stati diffusi i principi guida relativi allo sviluppo sostenibile.Durante il Vertice furono sottoscritti: una Dichiarazione Politica e un Piano d’Azione attraverso i quali si rinnovava la volontà di raggiungere gli obbiettivi fissati a Rio e furono fissati obbiettivi e programmi che, nei successivi 15 anni, avrebbero guidato il pianeta verso lo sviluppo sostenibile. Il Vertice di Johannesburg è stato molto importante poiché per la prima volta si è messa la questione del sottosviluppo al centro della discussione. 2003 – Milano – COP‐9 2005 – Montreal – COP‐11 Il summit si chiuse con un accordo che puntava a ridefinire gli obiettivi vincolanti in vista della scadenza, nel 2012, del Protocollo di Kyoto. Le 157 delegazioni approvarono un piano di consolidamento del CDM, ovvero dei meccanismi di sviluppo pulito, che avrebbero consentito alle nazioni più sviluppate di eseguire progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi in via di Sviluppo. 2005, 16 febbraio – Entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, a seguito della ratifica da parte della Russia nel novembre 2004 (attualmente i Paesi che vi hanno aderito sono 180). 2006 – Nairobi – COP‐12
Conferenze internazionali 2007, 3‐14 dicembre ‐ XIII Conferenza delle Parti a Bali e stesura della Road Map per la riduzione delle emissioni dopo il 2012, termine del periodo del Protocollo di Kyoto, che prevedeva meccanismi per agevolare il trasferimento di tecnologie per lo sviluppo di energia pulita dai Paesi più ricchi a quelli emergenti 2008, gennaio ‐ La Commissione Europea ratifica la strategia 20‐20‐20: entro il 2020, ‐20% emissioni serra, 20% di energia da fonti rinnovabili, +20% efficienza energetica. 2008 – Poznan – COP‐14 La conferenza si è chiusa con un accordo per finanziare un fondo da destinare ai Paesi più poveri per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici. 2009, dicembre ‐ Conferenza ONU di Copenhagen: non sono stabiliti nuovi limiti vincolanti alle emissioni di gas serra, ma aiuti economici per l’adattamento dei paesi poveri ai cambiamenti climatici (30 miliardi di dollari/anno nel 2010‐ 12). 2010 – Conferenza delle Parti a Cancun 2011 ‐ Conferenza delle Parti a Durban 2012 – Conferenza delle Parti a Doha 2013 ‐ Conferenza delle Parti a Varsavia 2014 – Conferenza delle Parti a Lima
Conferenze Mondiali sul clima Tra gli anni 80 e gli anni 90 hanno luogo varie Conferenze intergovernative e viene formalizzato e ripreso, tra l’altro, il concetto di “Sviluppo Sostenibile” contenuto nel rapporto Bruntland (Our Common Future), presentato nella Conferenza di Stoccolma del 1987. “Sustainable development meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs.” Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri.
Conferenze Mondiali sul clima I primi incontri tra i vari Paesi per discutere dei cambiamenti climatici, della difesa dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile della società umana prendono le loro mosse negli anni 80. Si fa largo la strada di conciliare crescita economica ed equa distribuzione delle risorse in un nuovo modello di sviluppo che rispetti anche l’ambiente e l’uomo. La prima Conferenza Mondiale sul clima si tiene nel 1979 e si conclude con una serie di raccomandazioni sulla necessità di mettere in atto politiche “necessarie al benessere dell’umanità”; poco più che una dichiarazione di intenti. In tali occasioni, viene comunque dato vita al World Climate Program (WCP), sotto la responsabilità diretta dell’United Nations Environment Programme (Programma sull’ambiente delle Nazioni Unite UNEP) e di varie organizzazioni scientifiche.
Conferenza di Rio de Janeiro Il Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992, è stato la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull'ambiente. È stato un evento senza precedenti anche in termini di impatto mediatico e sulle scelte politiche e di sviluppo che l'hanno seguita. Vi parteciparono 172 governi e 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative e oltre 17.000 persone aderirono al NGO Forum. La Conferenza è stata chiamata anche Eco '92, Earth Summit ,ma il suo nome ufficiale è United Nations Conference on Environment and Development (UNCED; in italiano Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite). È comunque generalmente chiamata la Conferenza di Rio.
Conferenza di Rio de Janeiro Rio (1992) rappresenta forse la tappa più importante al processo comune per uno sviluppo sostenibile, con l’intento di condividere le responsabilità e l’impegno a promuovere un corpus di programmi per il rispetto dell’ambiente e della stessa dignità dell’uomo. A Rio venne esteso il concetto di negoziazione multilaterale, che già aveva portato con successo al Protocollo di Montreal per la protezione della fascia dell’ozono. A Rio il negoziato sull’ambiente, che tra l’altro portò alla Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici, fece riferimento ai 15 principi sullo sviluppo sostenibile, che per la prima volta ed in modo esplicito fissarono “il concetto di diritto umano” e come conseguenza quello di “diritto ad un ambiente sano”. Le proposte votate a Rio furono confermate dall’Assemblea Generale del 2000 delle Nazioni Unite del Millennio (Millenium Summit) alla quale parteciparono 147 Capi di Governo ed infine dal summit di Johannesburg nel 2002 anche se va detto che i documenti finali approvati dai governi hanno sempre riflesso il compromesso raggiunto faticosamente in via negoziale.
Conferenza di Rio de Janeiro • A Rio la Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici, firmata da 153 Paesi, mise alcuni punti fissi, sulla base del terzo rapporto scientifico dell’IPCC sui cambiamenti climatici, che portarono più tardi alla riunione di Kyoto. Si stabilì che la Convenzione trovava una sede negoziale permanente nella Conferenza delle Parti, e alla terza riunione di questo organismo a Kyoto nel dicembre del 97 venne sottoscritto, da oltre 160 partecipanti, un protocollo sulla riduzione dei gas serra, che da allora viene indicato con il nome di Protocollo di Kyoto.
UNFCCC Convenzione Quadro degli Stati Uniti sui Cambiamenti Climatici ‐ United Nation Framework Convention on Climate Chiange (UNFCCC) Trattato internazionale prodotto nel 1992 durante il Summit sulla Terra, che entrò in vigore nel 1994. Da allora le Parti si incontrano annualmente per la Conferenza delle Parti (COP) • Progressi per affrontare il cambiamento climatico • Negoziare il Protocollo di Kyoto • Stabilire azioni vincolanti per ridurre le emissioni di GHG
Protocollo di Kyoto: cos’è Il protocollo di Kyoto è un accordo internazionale per contrastare il riscaldamento climatico, sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l'11 dicembre 1997 da più di 180 Paesi in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia*. * Affinchè il trattato potesse entrare in vigore era necessario che venisse ratificato da non meno di 55 Nazioni, e che queste stesse Nazioni firmatarie complessivamente rappresentassero non meno del 55% delle emissioni serra globali di origine antropica: un obiettivo raggiunto proprio grazie alla sottoscrizione Russa.
Protocollo di Kyoto I gas serra disciplinati dal Protocollo di Kyoto sono i composti attivi nei confronti della radiazione terrestre per lunghezze d’onda superiori a 4 μm, ed in particolare CO2, CH4, N2O, SF6 ed alcuni idrofluorocarburi quali HFC‐23 e HFC‐32. Per valutare il contributo di ciascun gas all’effetto serra si calcola il cosiddetto potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential, GWP), che rappresenta il contributo cumulativo all’effetto serra in un prefissato intervallo temporale fornito dall’unità di massa di ciascun gas. Posto pari ad 1 il GWP dell’anidride carbonica a 100 anni, secondo l’International Panel on Climate Change (IPCC) il GWP del metano è pari a 21, quello di N2O è pari a 310 e quello di SF6 addirittura pari a 23900. Per poter comparare gas serra con proprietà così diverse, si è introdotto il concetto di CO2 equivalente, definita come la massa di CO2 che produce lo stesso effetto ai fini del riscaldamento globale della massa unitaria del gas serra in esame.
Protocollo di Kyoto: obiettivi Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi sottoscrittori ad una riduzione quantitativa delle proprie emissioni dei gas climalteranti che riscaldano il clima terrestre, rispetto ai propri livelli di emissione del 1990 (baseline), in percentuale diversa da Stato a Stato: Per fare questo le Parti sono tenute a realizzare un sistema nazionale di monitoraggio delle emissioni ed assorbimenti di gas ad effetto serra (l’“Inventario Nazionale delle emissioni e degli assorbimenti dei gas a effetto serra”) da aggiornare annualmente, insieme alla definizione delle misure per la riduzione delle emissioni stesse. Il protocollo di Kyoto si è concluso nella sua prima fase 2008‐2012 .
Protocollo di Kyoto: chi ha firmato?
Protocollo di Kyoto obiettivi per gli stati europei
Protocollo di Kyoto Va segnalata la faticosa ratifica del Protocollo da parte dei Paesi partecipanti: 39 alla Conferenza di Marrakech, 120 nel 2003, 125 nel 2004 ma senza la partecipazione di Stati Uniti e Australia, che piuttosto che limiti vincolanti proponevano progetti di collaborazione internazionale, su base volontaria, per lo sviluppo moderno di tecnologie “carbon free”, di energie rinnovabili, di energia nucleare di IV generazione.
Protocollo di Kyoto L’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto il 31 maggio 2002 (Decisione 2002/35/CE) e l’Italia nel giugno dello stesso anno (legge 120); tuttavia solo nel 2005 il trattato è entrato in vigore dopo la ratifica della Russia. Infatti, l’art. 24 del Protocollo ne prevede l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica di almeno 55 Paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di Paesi enumerati nell’Annex I (sostanzialmente i Paesi industrializzati) a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990.
Protocollo di Kyoto Oggetto del Protocollo è la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra, ritenuto responsabile di una delle cause di riscaldamento del pianeta. Furono oltre 160 i Paesi industrializzati, indicati nell’Annex I, che si impegnavano a ridurre le proprie emissioni entro il 2012. Nell’impegno erano previste riduzioni (entro il 2008‐2012 rispetto al 1990) dell’8% per gli Stati membri dell’UE, del 7% per gli USA (che poi si ritirarono; anche se per la verità gli USA, con il 5% della popolazione mondiale consumano il 20% dell’energia globale, mentre, giusto per fare un esempio, l’India con il 20% della popolazione consuma oggi il 5% dell’energia), del 6% per il Giappone ed il Canada.
Protocollo di Kyoto e UE Per quanto riguarda l’Unione Europea, il Protocollo di Kyoto le ha riconosciuto la facoltà di ridistribuire tra i suoi membri gli obiettivi ad essi imposti. Così, nel Consiglio del giugno 1998 sono state fissate le percentuali di riduzione (burden sharing), al fine di conseguire l’obiettivo globale di riduzione dell’8%.
Protocollo di Kyoto e UE Per raggiungere gli obiettivi concordati e garantire un’attuazione flessibile del Protocollo, la Commissione si è impegnata ad indicare una serie di mezzi di azioni locali che interessano tutti i settori produttivi e non dei vari Paesi, come la produzione di energia elettrica e quella industriale, la gestione dei rifiuti, l’agricoltura e alcuni meccanismi di flessibilità: – rafforzamento o istituzione di politiche nazionali di riduzione delle emissioni (sviluppo di energie rinnovabili, aumento dell’efficienza energetica, promozione di forme di agricoltura sostenibile, etc.); – contabilizzazione (a favore) delle emissioni sequestrate dei cosiddetti pozzi (sink) di assorbimento, come le foreste; – possibilità di commerciare i “diritti di emissione” (emission trading), in Paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni. Essi possono “vendere” tale surplus ad altri Paesi che, al contrario, non riescano a raggiungere gli adempimenti assegnati.
Protocollo di Kyoto e UE Ciascun paese può trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units” (ERU) attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni. Altra misura di flessibilità, questa volta diretta ad aiutare i Paesi in via di sviluppo è il meccanismo del “clean development mechanism” (meccanismi per lo sviluppo pulito CDM); che permette ai Paesi industriali di fornire assistenza ai Paesi meno progrediti, negli sforzi per la riduzione delle emissioni, ottenendo in cambio dei risultati raggiunti dai progetti di sviluppo, dei certificati “certified emission reductions” (CER), il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target assegnato.
Italia e Protocollo di Kyoto • I dati seguenti tracciano la storia delle emissioni di gas climalteranti in Italia (in Mt): – emissioni 1990 519,5 – emissioni 2000 554,6 – emissioni 2004 580,7 – scenario di riferimento al 2010 587,3 – obiettivo Kyoto (riduzione 6.5%): 485,7 – distanza da obiettivo (emissioni 2004‐obiettivo) 95,0 • Le 95 Mt di CO2 rappresentano il nostro “sforamento” al 2004. L’Italia anziché ridurre ha visto le proprie emissioni aumentare di un 8% circa e quindi (secondo il rapporto ENEA 2006 su Clima e Ambiente) ha dovuto ulteriormente diminuire le emissioni di qui al 2012, realizzando ad esempio una riduzione d’impiego dei combustibili fossili tra il 15 e il 20%. • Mancare tale riduzione significa per l’Italia 1,5 miliardi di euro l’anno per acquisto di diritti di emissione e/o progetti di cooperazione all’estero (meccanismi flessibili).
Italia e Protocollo di Kyoto Nella legge 2001 di ratifica del Protocollo di Kyoto è stato anche stabilito che ogni Governo dovesse predisporre un “Piano Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra: 2003‐ 2010”. Tale piano, predisposto in Italia dal Ministero dell’Ambiente, ha sottolineato come poiché le emissioni tendenziali al 2010 corrispondono a 580 Mt di CO2 eq, il “gap” da colmare a quella data sarà pari a 95 Mt (dato che il Protocollo di Kyoto impone l’obbligo di una riduzione del 6,5% rispetto al 1990 che implica appunto che le emissioni non potranno superare i 485Mt di CO2 equivalente).
Italia e Protocollo di Kyoto (ETS) Gli impianti che svolgono una delle attività previste dalla Direttiva ETS, a partire dal 1 gennaio 2005 possono esercitare la propria attività solo se muniti di apposita autorizzazione rilasciata con decreto congiunto dal Ministero per l’Ambiente e da quello per le Attività Produttive. Ogni anno ai gestori degli impianti vengono assegnate delle quote di emissione e tali quote dovranno essere restituite in numero pari alle emissioni reali prodotte dallo stesso impianto. La mancata restituzione verrà sanzionata. Le quote di emissione assegnate possono, come si è detto, essere scambiate attraverso contrattazione bilaterale (OTC), oppure attraverso piattaforme di scambio organizzate (le cosiddette “borse dei fumi”).
Ostacoli nell’attuazione di Kyoto • Mancavano alcuni paesi inquinatori • Mancavano i paesi in via di sviluppo • Il mercato delle emissioni è ancora non pienamente sviluppato (ETS da riformare) • Gli investimenti di molti governi sono ancora ridotti • Atteggiamento di protezionismo di molti paesi • Mancanza di coordinamento a livello internazionale
Kyoto. L’Italia lo ha rispettato? Nel Dossier Kyoto 2013 la Fondazione per lo sviluppo sostenibile, presieduta dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, ha stimato un livello di emissioni medie annue di gas serra nel quinquennio 2008‐2012 pari a 480 milioni di tonnellate di CO2 equivalente ‐ a fronte del target fissato dal protocollo per l’Italia di 483,3 ‐ quindi oltre il 7% in meno rispetto al 1990 (superando così il target sottoscritto, cioè il 6,5% di riduzione dei gas serra). (in contrasto con i dati dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, causa metodo di calcolo)
Kyoto. E gli altri? Al momento non è chiaro se l’obiettivo sia stato mantenuto: l’ONU terminerà le proprie valutazioni entro la fine dell’anno o entro i primi mesi del 2016. I dati preliminari sono però incoraggianti e si parla del 22.6 per cento di riduzione di emissioni. A questa fase non hanno però partecipato alcuni dei più grandi produttori di gas serra come gli Stati Uniti e la Cina. Secondo gli analisti la riduzione non è comunque solo dovuta ai sistemi per inquinare meno.
Il post‐Kyoto_COP 15 Copenhagen Dal 7 al 18 dicembre 2009 si è svolta a Copenhagen la COP15, cui hanno partecipato oltre 12.000 persone; nell’ambito dei negoziati sul clima che hanno preso il via a Bali nel 2007, la COP15 ha rappresentato il punto di arrivo, nel quale è stato discusso e definito il testo del nuovo accordo internazionale sul clima che sostituisce dal 2012 in poi il Protocollo di Kyoto (Accordo di Copenaghen). Il testo conferma l’obiettivo dell’UE di limitare l’aumento del surriscaldamento del pianeta a +2°C rispetto ai livelli preindustriali. Secondo quanto previsto dall’accordo, il 31 gennaio 2010 i paesi industrializzati hanno presentato i rispettivi obiettivi di riduzione delle emissioni e i paesi in via di sviluppo le azioni che intendono adottare.
Il post‐Kyoto_COP 15 Copenhagen Si conclude senza un vero trattato (accordo vincolante), in contrasto con il “Bali Action Plan” che aveva indicato nel 18 dicembre 2009 la data conclusiva per la definizione del nuovo regime di lotta ai cambiamenti climatici (fast post‐2012). Una tale decisione è rinviata alla COP16 di Cancun ‐ Messico (2010). In sostanza prende atto” di un’intesa politica stabilita da una Convenzione promossa da alcuni Stati (tra cui Stati Uniti, Brasile, India, Cina e Sudafrica). Per raggiungere l’obiettivo della Convenzione, l’aumento della temperatura media mondiale non dovrebbe superare i 2°C rispetto ai valori pre‐industriali, e che il picco delle emissioni di gas serra mondiali e nazionali dovrebbe verificarsi al più presto. Non si prevedono misure specifiche in tal senso se non un rafforzamento dell’azione congiunta nel lungo termine. Viene istituito il Green Climate Found, indicando uno stanziamento di 30 miliardi di $ (periodo 2010‐2012), da estendere a 100 miliardi di $ all’anno (entro il 2020), per interventi a favore dei Paesi in via di Sviluppo (PVS).
Il post‐Kyoto_COP 16 Cancun Tuttavia l’adozione di strumenti legali per definire un accordo vincolante è stata rimandata alla Conferenza di Cancun (Messico, COP 16). • Nella COP16, che si è tenuta a dicembre 2010 a Cancun, i rappresentanti di 193 Paesi si sono riuniti per due settimane per negoziare sulla lotta contro il riscaldamento globale; il pacchetto di misure decise per limitare il riscaldamento medio di 2 °C sul pianeta tramite l’istituzione di un fondo verde climatico globale e la creazione di un nuovo sistema per il trasferimento di tecnologie rispettose del clima in tutto il mondo e per ridurre le emissioni causate dalla deforestazione hanno scongiurato la reale minaccia di un crollo definitivo della trattativa dei partner internazionali, rimasta in sospeso dal vertice sul clima di Copenaghen nel 2009.
Il post‐Kyoto‐ COP 16 Cancun Non c’è ancora un accordo vincolante, tuttavia il processo negoziale prosegue verso “risultati concreti”, ovvero la definizione di “obiettivi vincolanti ed efficaci”. concordato un pacchetto di decisioni che forniranno la base teorica per il sostegno di ulteriori negoziati nel corso del prossimo anno. L'obiettivo è quello di raggiungere un accordo vincolante in occasione della Conferenza delle Parti (Cop17) di Durban (Sudafrica): approvare e ratificare entro un anno un piano globale per il clima. Riconosciuto il divario tra i deboli attuali impegni e quelli necessari per mantenere l’incremento della temperatura globale sotto i 2 °C gradi centigradi, stabilendo che bisognerà tagliare le emissioni di gas serra, rispetto al 1990, nella misura compresa tra il 25 e il 40% entro il 2020. Istituito un Fondo per il Clima al fine di erogare finanziamenti per 10 miliardi di dollari l'anno, che arriveranno a 100 miliardi l'anno nel 2020, ai paesi in via di sviluppo per il trasferimento di tecnologie pulite e per fermare la deforestazione. Discussione sui meccanismi per la protezione delle foreste tropicali, con la conseguente tutela delle popolazioni indigene e della biodiversità. L'accordo REDD (Reducing Emissions from Degradation and Deforestation) ha evitato di definire alcuni parti critiche che dovranno essere definite e rafforzate nei mesi a venire, ma ha creato una solida base per far avanzare il processo decisionale.
Il post‐Kyoto_COP 16 Cancun Il nuovo Green Climate Fund, in via di quantificazione, sosterrà i Paesi poveri e in via di sviluppo dopo che un Comitato Esecutivo individuerà le necessità e le politiche per il trasferimento di tecnologie energetiche pulite e per l’adattamento ai cambiamenti climatici potenzialmente dannosi in corso, mentre un Centro per la Tecnologia collegherà richiedenti e fornitori in una rete globale. Le nazioni più ricche intendono mobilitarsi (erano previsti 30 miliardi di dollari per il biennio 2010‐2012, proseguendo con 100 miliardi all’anno fino al 2020), ma queste specifiche fonti di finanziamento non sono state individuate a Cancun, mentre si è deciso che la gestione del fondo verde spetterà a un comitato composto da un totale di 40 membri (15 dei Paesi industrializzati e 25 di quelli in via di sviluppo).
Come continuare? Alla fine della prima fase, nel 2012 si decise di avviarne una seconda con una nuova serie di impegni per i paesi partecipanti fino al 2020 (‐18% globalmente rispetto al 1990). Si chiama “emendamento Doha”, dal nome della capitale del Qatar, dove è stato discusso ed entrerà in vigore solo quando sarà stato ratificato dai tre quarti dei partecipanti al Protocollo di Kyoto. Il problema è che la ratifica della seconda fase è ancora in alto mare, nonostante gli inviti ricorrenti delle Nazioni Unite per incentivare i paesi partecipanti a discutere e ad aderire all’iniziativa.
Il Post‐Kyoto_COP 18 Doha Emendamenti al Protocollo di Kyoto. L'emendamento adottato prolunga e mira a facilitare l'attuazione del Protocollo dopo il primo periodo di impegno e include limitazioni quantificate o impegni di riduzione per il secondo periodo (Kyoto 2, o “Doha Climate Gateway”) per un certo numero di paesi. Il nuovo Protocollo consente a gruppi di paesi di raggiungere i propri obiettivi congiuntamente, aiutando le quindi le azioni riduzione per i paesi che hanno fallito l'obiettivo di Kyoto 1. Riguarda solo Unione Europea, Australia, Svizzera, Norvegia, cioè il 15% delle emissioni mondiali. Non partecipano, rispetto ai sottoscrittori del Protocollo di Kyoto, Russia, Giappone e Canada; continua il non coinvolgimento dei due giganti: Cina, che contribuisce per il 29% alle emissioni totali e che ormai ha raggiunto l'Europa in termini di emissioni pro capite (oltre 7 tonnellate) e Stati Uniti che da soli pesano per il 16% e vantano il record di 17 tonnellate pro capite. Agreed outcome pursuant to the Bali Action Plan. Termina la realizzazione del Piano di Azione di Bali. Avrebbe dovuto concludere i lavori a Copenhagen ma è stato prorogato ripetutamente. L'obiettivo strategico del gruppo di lavoro era di stabilire una visione condivisa per un'azione a lungo termine di cooperazione, comprendente un obiettivo a lungo termine per la riduzione globale delle emissioni. Advancing the Durban Platform. Documento che contiene pochi avanzamenti del lavoro del Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for Enhanced Action, ADP, varato a Durban per dare soluzione al problema della definizione entro il 2015 di uno schema a valore legale di accordo per la mitigazione che coinvolga tutti i paesi. Non contiene altro che un calendario per le riunioni del 2013. Impegno di EU e Croazia per ottenere congiuntamente gli obiettivi di riduzione del nuovo Protocollo.
Il prost‐Kyoto_COP 17 Durban La Conferenza di Durban approva 36 decisioni. Le principali sono: 1. Approvazione della piattaforma di Durban: un processo negoziale per la definizione di un nuovo trattato globale legalmente vincolante (protocollo o un altro strumento attuativo ma con valore legale per tutti i 194 paesi UNFCCC. Sono previste 2 fasi. Entro il 2015 sarà redatta e messa a punto la bozza del trattato, che sarà “adottato” nell’assemblea plenaria della ventunesima Conferenza delle Parti (COP‐21) alla fine del 2015. Entro il 2020 il trattato “adottato” sarà aperto alla sottoscrizione e alle ratifiche nazionali secondo le procedure ONU in modo che possa entrare in vigore nel 2020. 2. Il prolungamento del Protocollo di Kyoto oltre il 2012 fino al 2017 o al 2020, in relazione sia all’entità e alla natura degli impegni volontari dei singoli Paesi e sia alle necessità di coordinamento e di integrazione con il processo della piattaforma di Durban. 3. L’avvio operativo del “Green Climate Fund” come Istituzione Finanziaria della UNFCCC con personalità giuridica e capacità legali, la cui sede e i cui successivi programmi di dettaglio per il suo funzionamento operativo dovranno essere decisi alla prossima Conferenza delle Parti (Cop‐18) alla fine del 2012 a Quatar. 4. La definizione degli strumenti e dei meccanismi necessari a rendere operativa sia la fase di transizione (2013‐2020) in cui sarà operante il solo protocollo di Kyoto emendato e prorogato, sia il futuro funzionamento del trattato globale quando entrerà in vigore nel 2020. Tra questi strumenti sono di particolare rilevanza: il REDD+ (regole e meccanismi per la lotta contro la deforestazione e il degrado del suolo), le modalità di preparazione e di attuazione dei “piani di adattamento” nei Paesi in via di sviluppo, il meccanismo di Trasferimento Tecnologico e di “capacity building”, le relative norme di “governance” e di gestione, i meccanismi finanziari e le loro modalità di amministrazione e gestione, ecc.
Il post‐Kyoto_ COP 19 Warsaw Almeno due insegnamenti escono dalla conferenza Onu sul clima che si è chiusa il 23 novembre a Varsavia (dopo 27 ore di negoziati extra perché gli oltre 190 Paesi non trovavano un accordo). Uno racconta che di questi tempi l'economia prevale sull'ambiente, l'altro che l'Occidente non ha più la forza di imporre la sua legge, deve scendere a patti. Stati Uniti e Unione Europea, che di solito sul clima sono lontanissimi, a Varsavia hanno fatto fronte comune per cercare di costringere i Paesi emergenti più forti ‐ Cina, India e Brasile in testa ‐ a prendere impegni precisi in termini di taglio delle emissioni dei gas serra, da scrivere in un protocollo che dovrebbe essere firmato nel dicembre 2015 a Parigi e diventare vincolante dal 2020. Dopo uno scontro durissimo, non ci sono riusciti. Invece di «impegni», nel documento finale della Conferenza ‐ la diciannovesima sul tema ‐ appare il termine più debole «contributi» che gli emergenti offriranno su basi volontarie: in quanto considerano l'Occidente sviluppato il responsabile primo delle emissioni, quindi quello che deve impegnarsi di più per ridurle.
Il post‐Kyoto_COP 20 Lima Approvazione del “Lima Call for Climate Action” , che tuttavia entrerà in vigore solo a partire dal 2020. Incluso nel testo il principio secondo il quale sia i Paesi sviluppati che i Paesi in via di sviluppo hanno la responsabilità comune di agire per ridurre le emissioni dei gas serra, ma considerando le rispettive diverse capacità finanziarie e infrastrutturali. Piani per la riduzione delle emissioni di gas serra volontari per i singoli Paesi, per poi considerarli tutti insieme e capire a livello mondiale quale gap rimanga da colmare per centrare l’obiettivo globale. Il documento di Lima ribadisce pertanto l’invito a tutte le Parti a comunicare i rispettivi obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni (Intended Nationally Determined Contributions INDCs, al fine di favorire “la chiarezza, la trasparenza e la comprensione”. Nel documento è stato inserito come allegato un testo che contiene gli elementi considerati di riferimento per la formulazione di una prima bozza del trattato da negoziare alla COP21 di Parigi. È stato menzionato nel paragrafo preliminare il meccanismo stabilito a Varsavia nel 2013 del “Loss and Damage”, fondamentale per proteggere i paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici al fine di ricevere compensazioni Il documento esorta i paesi sviluppati a fornire e mobilitare maggiore sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo per ambiziose azioni di mitigazione e di adattamento. Le risorse raccolte nel cosiddetto Fondo verde per il clima (“Green Climate Fund”), stabilito a Copenhagen nel 2009, per aiutare i paesi poveri a tagliare le loro emissioni di gas serra e ad adattarsi al cambiamento climatico, hanno già superato i 10 miliardi di dollari. La discussione è sembrata tuttavia focalizzata più sul problema dell’entità delle risorse da impegnare che sulle modalità di un loro utilizzo efficace.
… per riepilogare 1979 Prima Conferenza Mondiale sul Clima 1988 Istituito l’IPCC 1990 Seconda Conferenza Mondiale sul Clima, primo rapporto IPCC 1992 Conferenza di Rio, Convenzione Quadro, COP, UNFCC 1993 COP3, Kyoto Protocollo di Kyoto 1998 Burden Sharing 2005 Entrata in vigore del Protocollo di Kyoto 2009 COP15, Copenhagen Accordo di Copenhagen 2010 COP 16, Cancun Green Climate Fund 2011 COP 17, Doha, Doha Climate Gateway 2012 COP 18, Durban, Avvio operativo Green Climate Fund 2013 COP 19, Warsaw, Warsaw Framework for REDD+ 2014 COP 20, Lima, Lima Call for Climate Action
La strategia 20‐20‐20 Il cosiddetto "pacchetto clima‐energia 20‐20‐20" costituisce il portfolio di provvedimenti operativi con cui l'UE conferma la volontà degli Stati Membri di continuare ad impegnarsi nel processo negoziale per la lotta ai cambiamenti climatici per il post‐Kyoto, ovvero dopo il 2012. La strategia “20‐20‐20” ha stabilito per l’Unione Europea tre ambiziosi obiettivi da raggiungere entro il 2020: I. ridurre i gas ad effetto serra del 20% ; II. ridurre i consumi energetici del 20% aumentando l'efficienza energetica; III. soddisfare il 20% del fabbisogno energetico europeo con le energie rinnovabili. www.gse.it
La strategia 20‐20‐20 Entrato in vigore nel giugno del 2009 il Pacchetto Clima ed Energia istituisce sei nuovi strumenti legislativi europei volti a tradurre in pratica gli obiettivi al 2020: • Direttiva Fonti Energetiche Rinnovabili (Direttiva 2009/28/EC) • Direttiva Emission Trading (Direttiva 2009/29/EC) • Direttiva sulla qualità dei carburanti (Direttiva 2009/30/EC) • Direttiva Carbon Capture and Storage ‐ CCS (Direttiva 2009/31/EC) • Decisione Effort Sharing (Decisione 2009/406/EC) • Regolamento CO2 Auto (Regolamento 2009/443/EC) www.gse.it http://www.camera.it/
Pacchetto Clima‐Energia Obiettivi 2030 È recente l’accordo (24 ottobre 2014), al vertice di Bruxelles tra i 18 paesi dell'Unione europea sugli obiettivi di lungo termine del pacchetto clima‐energia: il 40% in meno di emissioni inquinanti (rispetto al riferimento fissato al 1990), il 27% di energia proveniente da fonti rinnovabili, il 27% di efficienza energetica, anche attraverso l’uso di tecnologie a risparmio energetico, il 15% di interconnessioni e un mercato interno dell'energia efficace, per la riduzione della dipendenza europea dalle importazioni di elettricità e gas, il tutto entro il 2030. www.gse.it http://www.camera.it/
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