CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF

Pagina creata da Diego Valentini
 
CONTINUA A LEGGERE
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Università degli Studi di Perugia

       Ing. Andrea Nicolini

  CONFERENZA DI RIO E
 PROTOCOLLO DI KYOTO
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenze internazionali
1971 ‐ Stoccolma, convegno «Study of Man’s Impact on Climate»

1972 ‐ Conferenza ONU di Stoccolma, nasce l’UNEP, United Nations Environment Programme

1978 ‐ Vienna, primo International Workshop on Climate Issues (indetto da WMO e ICSU)

1979 – Ginevra, Prima Conferenza Mondiale sul clima Adozione di un Programma mondiale di ricerca sul
clima (WCRP)

1985 – Gli scienziati del clima riuniti a Villach (Austria), sotto l’egida delle Nazioni Unite, sanciscono il ruolo delle
attività antropiche sui cambiamenti climatici, e chiedono un maggiore impegno dei governi e della ricerca scientifica
per una migliore comprensione del fenomeno e delle misure per contenerlo.

1992, 3‐14 giugno – Si tiene a Rio de Janeiro il «Summit della Terra» (UNCED ‐ United Nations Conference on
Environment and Development). Stesura della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici
(UNFCCC), base per il Protocollo di Kyoto.

1995, Berlino COP 1

1996, Ginevra COP 2

1997, Kyoto, COP3 11 dicembre – Viene siglato il Protocollo di Kyoto, che stabilisce la riduzione entro il periodo 2008‐
12 del 5,2 % delle emissioni di 6 principali gas serra, rispetto ai livelli di emissione del 1990. Per l’Italia l’obiettivo
sarebbe una riduzione del 6,5%, ma nel frattempo dal 1990 al 2007 le emissioni erano cresciute del 7%.

2000, L’Aja, COP6 – Uscita degli USA dal Protocollo di Kyoto
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenze internazionali
2001, Bonn COP 6 Bis – Applicazione dei Meccanismi flessibili, venne stabilito un credito per le attività che
contribuiscono all’abbattimento del carbonio presente nell’atmosfera e fu definita una serie di finanziamenti per
agevolare le nazioni in via di sviluppo a ridurre le emissioni di CO2.

2001, Marrakesh COP7

2002 – Johannesburg, Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile. Lo scopo del Vertice fu quello di verificare
l’attuazione dei principi sottoscritti a Rio. Prima del Vertice ci sono stati 4 incontri preparatori a livello internazionale
nei quali sono stati diffusi i principi guida relativi allo sviluppo sostenibile.Durante il Vertice furono sottoscritti: una
Dichiarazione Politica e un Piano d’Azione attraverso i quali si rinnovava la volontà di raggiungere gli obbiettivi fissati a
Rio e furono fissati obbiettivi e programmi che, nei successivi 15 anni, avrebbero guidato il pianeta verso lo sviluppo
sostenibile. Il Vertice di Johannesburg è stato molto importante poiché per la prima volta si è messa la questione del
sottosviluppo al centro della discussione.

2003 – Milano – COP‐9

2005 – Montreal – COP‐11 Il summit si chiuse con un accordo che puntava a ridefinire gli obiettivi vincolanti in vista
della scadenza, nel 2012, del Protocollo di Kyoto. Le 157 delegazioni approvarono un piano di consolidamento del CDM,
ovvero dei meccanismi di sviluppo pulito, che avrebbero consentito alle nazioni più sviluppate di eseguire progetti di
riduzione delle emissioni nei Paesi in via di Sviluppo.

2005, 16 febbraio – Entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, a seguito della ratifica da parte della Russia nel
novembre 2004 (attualmente i Paesi che vi hanno aderito sono 180).

2006 – Nairobi – COP‐12
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenze internazionali
2007, 3‐14 dicembre ‐ XIII Conferenza delle Parti a Bali e stesura della Road Map per la riduzione delle emissioni dopo
il 2012, termine del periodo del Protocollo di Kyoto, che prevedeva meccanismi per agevolare il trasferimento di
tecnologie per lo sviluppo di energia pulita dai Paesi più ricchi a quelli emergenti

2008, gennaio ‐ La Commissione Europea ratifica la strategia 20‐20‐20: entro il 2020, ‐20% emissioni serra, 20% di
energia da fonti rinnovabili, +20% efficienza energetica.

2008 – Poznan – COP‐14 La conferenza si è chiusa con un accordo per finanziare un fondo da destinare ai Paesi più
poveri per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici.

2009, dicembre ‐ Conferenza ONU di Copenhagen: non sono stabiliti nuovi limiti vincolanti alle emissioni di gas serra,
ma aiuti economici per l’adattamento dei paesi poveri ai cambiamenti climatici (30 miliardi di dollari/anno nel 2010‐
12).

2010 – Conferenza delle Parti a Cancun

2011 ‐ Conferenza delle Parti a Durban

2012 – Conferenza delle Parti a Doha

2013 ‐ Conferenza delle Parti a Varsavia

2014 – Conferenza delle Parti a Lima
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenze Mondiali sul clima

Tra gli anni 80 e gli anni 90 hanno luogo varie Conferenze
   intergovernative e viene formalizzato e ripreso, tra l’altro, il
   concetto di “Sviluppo Sostenibile” contenuto nel rapporto
   Bruntland (Our Common Future), presentato nella Conferenza di
   Stoccolma del 1987.
  “Sustainable development meets the needs of the present without
  compromising the ability of future generations to meet their own
  needs.”
Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che garantisce i bisogni delle
   generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le
   generazioni future riescano a soddisfare i propri.
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenze Mondiali sul clima

I primi incontri tra i vari Paesi per discutere dei cambiamenti climatici, della difesa
    dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile della società umana prendono le loro
    mosse negli anni 80. Si fa largo la strada di conciliare crescita economica ed equa
    distribuzione delle risorse in un nuovo modello di sviluppo che rispetti anche
    l’ambiente e l’uomo.

La prima Conferenza Mondiale sul clima si tiene nel 1979 e si conclude con una serie
    di raccomandazioni sulla necessità di mettere in atto politiche “necessarie al
    benessere dell’umanità”; poco più che una dichiarazione di intenti. In tali
    occasioni, viene comunque dato vita al World Climate Program (WCP), sotto la
    responsabilità diretta dell’United Nations Environment Programme (Programma
    sull’ambiente delle Nazioni Unite UNEP) e di varie organizzazioni scientifiche.
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenza di Rio de Janeiro

Il Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992, è
    stato la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull'ambiente. È stato
    un evento senza precedenti anche in termini di impatto mediatico e sulle
    scelte politiche e di sviluppo che l'hanno seguita. Vi parteciparono 172
    governi e 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti
    di organizzazioni non governative e oltre 17.000 persone aderirono al
    NGO Forum.

La Conferenza è stata chiamata anche Eco '92, Earth Summit ,ma il suo nome
   ufficiale è United Nations Conference on Environment and
   Development (UNCED; in italiano Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo
   delle Nazioni Unite). È comunque generalmente chiamata la Conferenza
   di Rio.
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenza di Rio de Janeiro

Rio (1992) rappresenta forse la tappa più importante al processo comune per uno sviluppo sostenibile, con
    l’intento di condividere le responsabilità e l’impegno a promuovere un corpus di programmi per il rispetto
    dell’ambiente e della stessa dignità dell’uomo. A Rio venne esteso il concetto di negoziazione
    multilaterale, che già aveva portato con successo al Protocollo di Montreal per la protezione della fascia
    dell’ozono. A Rio il negoziato sull’ambiente, che tra l’altro portò alla Convenzione Quadro sui cambiamenti
    climatici, fece riferimento ai 15 principi sullo sviluppo sostenibile, che per la prima volta ed in modo
    esplicito fissarono “il concetto di diritto umano” e come conseguenza quello di “diritto ad un ambiente
    sano”.

Le proposte votate a Rio furono confermate dall’Assemblea Generale del 2000 delle Nazioni Unite del
    Millennio (Millenium Summit) alla quale parteciparono 147 Capi di Governo ed infine dal summit di
    Johannesburg nel 2002 anche se va detto che i documenti finali approvati dai governi hanno sempre
    riflesso il compromesso raggiunto faticosamente in via negoziale.
CONFERENZA DI RIO E PROTOCOLLO DI KYOTO - Università degli Studi di Perugia Ing. Andrea Nicolini - CIRIAF
Conferenza di Rio de Janeiro

• A Rio la Convenzione Quadro sui cambiamenti
  climatici, firmata da 153 Paesi, mise alcuni punti fissi,
  sulla base del terzo rapporto scientifico dell’IPCC sui
  cambiamenti climatici, che portarono più tardi alla
  riunione di Kyoto. Si stabilì che la Convenzione
  trovava una sede negoziale permanente nella
  Conferenza delle Parti, e alla terza riunione di questo
  organismo a Kyoto nel dicembre del 97 venne
  sottoscritto, da oltre 160 partecipanti, un protocollo
  sulla riduzione dei gas serra, che da allora viene
  indicato con il nome di Protocollo di Kyoto.
UNFCCC

Convenzione Quadro degli Stati Uniti sui Cambiamenti Climatici ‐
  United Nation Framework Convention on Climate Chiange
  (UNFCCC)
Trattato internazionale prodotto nel 1992 durante il Summit sulla
  Terra, che entrò in vigore nel 1994. Da allora le Parti si
  incontrano annualmente per la Conferenza delle Parti (COP)
    • Progressi per affrontare il cambiamento climatico
    • Negoziare il Protocollo di Kyoto
    • Stabilire azioni vincolanti per ridurre le emissioni di GHG
Protocollo di Kyoto: cos’è

Il protocollo di Kyoto è un accordo internazionale per contrastare
    il riscaldamento climatico, sottoscritto nella città giapponese di
    Kyoto l'11 dicembre 1997 da più di 180 Paesi in occasione della
    Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite
    sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in
    vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della
    Russia*.

* Affinchè il trattato potesse entrare in vigore era necessario che venisse ratificato da non meno di 55 Nazioni,
    e che queste stesse Nazioni firmatarie complessivamente rappresentassero non meno del 55% delle
    emissioni serra globali di origine antropica: un obiettivo raggiunto proprio grazie alla sottoscrizione Russa.
Protocollo di Kyoto
I gas serra disciplinati dal Protocollo di Kyoto sono i composti attivi nei
   confronti della radiazione terrestre per lunghezze d’onda superiori a 4 μm,
   ed in particolare CO2, CH4, N2O, SF6 ed alcuni idrofluorocarburi quali
   HFC‐23 e HFC‐32.

Per valutare il contributo di ciascun gas all’effetto serra si calcola il cosiddetto
   potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential, GWP), che
   rappresenta il contributo cumulativo all’effetto serra in un prefissato
   intervallo temporale fornito dall’unità di massa di ciascun gas. Posto pari
   ad 1 il GWP dell’anidride carbonica a 100 anni, secondo l’International
   Panel on Climate Change (IPCC) il GWP del metano è pari a 21, quello di
   N2O è pari a 310 e quello di SF6 addirittura pari a 23900.

Per poter comparare gas serra con proprietà così diverse, si è introdotto il
   concetto di CO2 equivalente, definita come la massa di CO2 che produce
   lo stesso effetto ai fini del riscaldamento globale della massa unitaria del
   gas serra in esame.
Protocollo di Kyoto: obiettivi

    Il Protocollo di Kyoto impegna i Paesi sottoscrittori ad una riduzione
       quantitativa delle proprie emissioni dei gas climalteranti che riscaldano il
       clima terrestre, rispetto ai propri livelli di emissione del 1990 (baseline), in
       percentuale diversa da Stato a Stato:
    Per fare questo le Parti sono tenute a realizzare un sistema nazionale di
       monitoraggio delle emissioni ed assorbimenti di gas ad effetto serra
       (l’“Inventario Nazionale delle emissioni e degli assorbimenti dei gas a
       effetto serra”) da aggiornare annualmente, insieme alla definizione delle
       misure per la riduzione delle emissioni stesse.
    Il protocollo di Kyoto si è concluso nella sua prima fase 2008‐2012
.
Protocollo di Kyoto: chi ha firmato?
Protocollo di Kyoto
obiettivi per gli stati europei
Protocollo di Kyoto

Va segnalata la faticosa ratifica del Protocollo da parte
  dei Paesi partecipanti: 39 alla Conferenza di
  Marrakech, 120 nel 2003, 125 nel 2004 ma senza la
  partecipazione di Stati Uniti e Australia, che
  piuttosto che limiti vincolanti proponevano progetti
  di collaborazione internazionale, su base volontaria,
  per lo sviluppo moderno di tecnologie “carbon free”,
  di energie rinnovabili, di energia nucleare di IV
  generazione.
Protocollo di Kyoto

L’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto il
31 maggio 2002 (Decisione 2002/35/CE) e l’Italia nel
giugno dello stesso anno (legge 120); tuttavia solo nel
2005 il trattato è entrato in vigore dopo la ratifica della
Russia. Infatti, l’art. 24 del Protocollo ne prevede
l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica di almeno
55 Paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un
numero       di    Paesi    enumerati     nell’Annex      I
(sostanzialmente i Paesi industrializzati) a cui sia
riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al
1990.
Protocollo di Kyoto
Oggetto del Protocollo è la riduzione, attraverso un’azione
  concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas
  serra, ritenuto responsabile di una delle cause di
  riscaldamento del pianeta. Furono oltre 160 i Paesi
  industrializzati, indicati nell’Annex I, che si impegnavano a
  ridurre le proprie emissioni entro il 2012.
Nell’impegno erano previste riduzioni (entro il 2008‐2012
  rispetto al 1990) dell’8% per gli Stati membri dell’UE, del 7%
  per gli USA (che poi si ritirarono; anche se per la verità gli
  USA, con il 5% della popolazione mondiale consumano il 20%
  dell’energia globale, mentre, giusto per fare un esempio,
  l’India con il 20% della popolazione consuma oggi il 5%
  dell’energia), del 6% per il Giappone ed il Canada.
Protocollo di Kyoto e UE

Per quanto riguarda l’Unione Europea, il
  Protocollo di Kyoto le ha riconosciuto la
  facoltà di ridistribuire tra i suoi membri gli
  obiettivi ad essi imposti. Così, nel
  Consiglio del giugno 1998 sono state
  fissate le percentuali di riduzione (burden
  sharing), al fine di conseguire l’obiettivo
  globale di riduzione dell’8%.
Protocollo di Kyoto e UE

Per raggiungere gli obiettivi concordati e garantire un’attuazione flessibile del
Protocollo, la Commissione si è impegnata ad indicare una serie di mezzi di
azioni locali che interessano tutti i settori produttivi e non dei vari Paesi,
come la produzione di energia elettrica e quella industriale, la gestione dei
rifiuti, l’agricoltura e alcuni meccanismi di flessibilità:
    – rafforzamento o istituzione di politiche nazionali di riduzione delle emissioni
      (sviluppo di energie rinnovabili, aumento dell’efficienza energetica,
      promozione di forme di agricoltura sostenibile, etc.);
    – contabilizzazione (a favore) delle emissioni sequestrate dei cosiddetti pozzi
      (sink) di assorbimento, come le foreste;
    – possibilità di commerciare i “diritti di emissione” (emission trading), in Paesi
      soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle
      emissioni. Essi possono “vendere” tale surplus ad altri Paesi che, al contrario,
      non riescano a raggiungere gli adempimenti assegnati.
Protocollo di Kyoto e UE

Ciascun paese può trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese
   “emission reduction units” (ERU) attraverso specifici progetti
   di riduzione delle emissioni. Altra misura di flessibilità, questa
   volta diretta ad aiutare i Paesi in via di sviluppo è il
   meccanismo del “clean development mechanism”
   (meccanismi per lo sviluppo pulito CDM); che permette ai
   Paesi industriali di fornire assistenza ai Paesi meno progrediti,
   negli sforzi per la riduzione delle emissioni, ottenendo in
   cambio dei risultati raggiunti dai progetti di sviluppo, dei
   certificati “certified emission reductions” (CER), il cui
   ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del
   target assegnato.
Italia e Protocollo di Kyoto
• I dati seguenti tracciano la storia delle emissioni di gas climalteranti in
  Italia (in Mt):
    –   emissioni 1990           519,5
    –   emissioni 2000           554,6
    –   emissioni 2004           580,7
    –   scenario di riferimento al 2010     587,3
    –   obiettivo Kyoto (riduzione 6.5%): 485,7
    –   distanza da obiettivo (emissioni 2004‐obiettivo)   95,0
• Le 95 Mt di CO2 rappresentano il nostro “sforamento” al 2004. L’Italia
  anziché ridurre ha visto le proprie emissioni aumentare di un 8% circa e
  quindi (secondo il rapporto ENEA 2006 su Clima e Ambiente) ha dovuto
  ulteriormente diminuire le emissioni di qui al 2012, realizzando ad
  esempio una riduzione d’impiego dei combustibili fossili tra il 15 e il 20%.
• Mancare tale riduzione significa per l’Italia 1,5 miliardi di euro l’anno per
  acquisto di diritti di emissione e/o progetti di cooperazione all’estero
  (meccanismi flessibili).
Italia e Protocollo di Kyoto

Nella legge 2001 di ratifica del Protocollo di Kyoto è stato anche
  stabilito che ogni Governo dovesse predisporre un “Piano
  Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra: 2003‐
  2010”. Tale piano, predisposto in Italia dal Ministero
  dell’Ambiente, ha sottolineato come poiché le emissioni
  tendenziali al 2010 corrispondono a 580 Mt di CO2 eq, il
  “gap” da colmare a quella data sarà pari a 95 Mt (dato che il
  Protocollo di Kyoto impone l’obbligo di una riduzione del 6,5%
  rispetto al 1990 che implica appunto che le emissioni non
  potranno superare i 485Mt di CO2 equivalente).
Italia e Protocollo di Kyoto (ETS)

Gli impianti che svolgono una delle attività previste dalla
   Direttiva ETS, a partire dal 1 gennaio 2005 possono esercitare
   la propria attività solo se muniti di apposita autorizzazione
   rilasciata con decreto congiunto dal Ministero per l’Ambiente
   e da quello per le Attività Produttive. Ogni anno ai gestori
   degli impianti vengono assegnate delle quote di emissione e
   tali quote dovranno essere restituite in numero pari alle
   emissioni reali prodotte dallo stesso impianto. La mancata
   restituzione verrà sanzionata. Le quote di emissione
   assegnate possono, come si è detto, essere scambiate
   attraverso contrattazione bilaterale (OTC), oppure attraverso
   piattaforme di scambio organizzate (le cosiddette “borse dei
   fumi”).
Ostacoli nell’attuazione di Kyoto

• Mancavano alcuni paesi inquinatori
• Mancavano i paesi in via di sviluppo
• Il mercato delle emissioni è ancora non pienamente
  sviluppato (ETS da riformare)
• Gli investimenti di molti governi sono ancora ridotti
• Atteggiamento di protezionismo di molti paesi
• Mancanza di coordinamento a livello internazionale
Kyoto. L’Italia lo ha rispettato?

Nel Dossier Kyoto 2013 la Fondazione per lo sviluppo sostenibile,
  presieduta dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, ha
  stimato un livello di emissioni medie annue di gas serra nel
  quinquennio 2008‐2012 pari a 480 milioni di tonnellate di CO2
  equivalente ‐ a fronte del target fissato dal protocollo per
  l’Italia di 483,3 ‐ quindi oltre il 7% in meno rispetto al 1990
  (superando così il target sottoscritto, cioè il 6,5% di riduzione
  dei gas serra). (in contrasto con i dati dell’Agenzia Europea
  per l’Ambiente, causa metodo di calcolo)
Kyoto. E gli altri?

Al momento non è chiaro se l’obiettivo sia stato mantenuto:
 l’ONU terminerà le proprie valutazioni entro la fine dell’anno o
 entro i primi mesi del 2016. I dati preliminari sono però
 incoraggianti e si parla del 22.6 per cento di riduzione di
 emissioni. A questa fase non hanno però partecipato alcuni dei
 più grandi produttori di gas serra come gli Stati Uniti e la Cina.
 Secondo gli analisti la riduzione non è comunque solo dovuta ai
 sistemi per inquinare meno.
Il post‐Kyoto_COP 15 Copenhagen

Dal 7 al 18 dicembre 2009 si è svolta a Copenhagen la COP15, cui hanno
   partecipato oltre 12.000 persone; nell’ambito dei negoziati sul clima che
   hanno preso il via a Bali nel 2007, la COP15 ha rappresentato il punto di
   arrivo, nel quale è stato discusso e definito il testo del nuovo accordo
   internazionale sul clima che sostituisce dal 2012 in poi il Protocollo di
   Kyoto (Accordo di Copenaghen).
Il testo conferma l’obiettivo dell’UE di limitare l’aumento del
   surriscaldamento del pianeta a +2°C rispetto ai livelli preindustriali.
   Secondo quanto previsto dall’accordo, il 31 gennaio 2010 i paesi
   industrializzati hanno presentato i rispettivi obiettivi di riduzione delle
   emissioni e i paesi in via di sviluppo le azioni che intendono adottare.
Il post‐Kyoto_COP 15 Copenhagen
Si conclude senza un vero trattato (accordo vincolante), in contrasto con il “Bali Action Plan” che
aveva indicato nel 18 dicembre 2009 la data conclusiva per la definizione del nuovo regime di
lotta ai cambiamenti climatici (fast post‐2012).

Una tale decisione è rinviata alla COP16 di Cancun ‐ Messico (2010).

In sostanza prende atto” di un’intesa politica stabilita da una Convenzione promossa da alcuni
    Stati (tra cui Stati Uniti, Brasile, India, Cina e Sudafrica).

 Per raggiungere l’obiettivo della Convenzione, l’aumento della temperatura media mondiale
  non dovrebbe superare i 2°C rispetto ai valori pre‐industriali, e che il picco delle emissioni
  di gas serra mondiali e nazionali dovrebbe verificarsi al più presto.
 Non si prevedono misure specifiche in tal senso se non un rafforzamento dell’azione
  congiunta nel lungo termine.
 Viene istituito il Green Climate Found, indicando uno stanziamento di 30 miliardi di $
  (periodo 2010‐2012), da estendere a 100 miliardi di $ all’anno (entro il 2020), per interventi a
  favore dei Paesi in via di Sviluppo (PVS).
Il post‐Kyoto_COP 16 Cancun

Tuttavia l’adozione di strumenti legali per definire un accordo
  vincolante è stata rimandata alla Conferenza di Cancun
  (Messico, COP 16).

• Nella COP16, che si è tenuta a dicembre 2010 a Cancun, i
  rappresentanti di 193 Paesi si sono riuniti per due settimane per
  negoziare sulla lotta contro il riscaldamento globale; il pacchetto
  di misure decise per limitare il riscaldamento medio di 2 °C sul
  pianeta tramite l’istituzione di un fondo verde climatico globale
  e la creazione di un nuovo sistema per il trasferimento di
  tecnologie rispettose del clima in tutto il mondo e per ridurre le
  emissioni causate dalla deforestazione hanno scongiurato la
  reale minaccia di un crollo definitivo della trattativa dei partner
  internazionali, rimasta in sospeso dal vertice sul clima di
  Copenaghen nel 2009.
Il post‐Kyoto‐ COP 16 Cancun
                              Non c’è ancora un accordo vincolante, tuttavia il processo
                              negoziale prosegue verso “risultati concreti”, ovvero la definizione
                              di “obiettivi vincolanti ed efficaci”.
                              concordato un pacchetto di decisioni che forniranno la base
                              teorica per il sostegno di ulteriori negoziati nel corso del prossimo
                              anno.
                              L'obiettivo è quello di raggiungere un accordo vincolante in
                              occasione della Conferenza delle Parti (Cop17) di Durban
                              (Sudafrica): approvare e ratificare entro un anno un piano globale
                              per il clima.
 Riconosciuto il divario tra i deboli attuali impegni e quelli necessari per mantenere
  l’incremento della temperatura globale sotto i 2 °C gradi centigradi, stabilendo che
  bisognerà tagliare le emissioni di gas serra, rispetto al 1990, nella misura compresa tra il
  25 e il 40% entro il 2020.
 Istituito un Fondo per il Clima al fine di erogare finanziamenti per 10 miliardi di dollari
  l'anno, che arriveranno a 100 miliardi l'anno nel 2020, ai paesi in via di sviluppo per il
  trasferimento di tecnologie pulite e per fermare la deforestazione.
 Discussione sui meccanismi per la protezione delle foreste tropicali, con la conseguente
  tutela delle popolazioni indigene e della biodiversità. L'accordo REDD (Reducing Emissions
  from Degradation and Deforestation) ha evitato di definire alcuni parti critiche che
  dovranno essere definite e rafforzate nei mesi a venire, ma ha creato una solida base per
  far avanzare il processo decisionale.
Il post‐Kyoto_COP 16 Cancun

Il nuovo Green Climate Fund, in via di quantificazione, sosterrà i
    Paesi poveri e in via di sviluppo dopo che un Comitato Esecutivo
    individuerà le necessità e le politiche per il trasferimento di
    tecnologie energetiche pulite e per l’adattamento ai
    cambiamenti climatici potenzialmente dannosi in corso, mentre
    un Centro per la Tecnologia collegherà richiedenti e fornitori in
    una rete globale. Le nazioni più ricche intendono mobilitarsi
    (erano previsti 30 miliardi di dollari per il biennio 2010‐2012,
    proseguendo con 100 miliardi all’anno fino al 2020), ma queste
    specifiche fonti di finanziamento non sono state individuate a
    Cancun, mentre si è deciso che la gestione del fondo verde
    spetterà a un comitato composto da un totale di 40 membri (15
    dei Paesi industrializzati e 25 di quelli in via di sviluppo).
Come continuare?

Alla fine della prima fase, nel 2012 si decise di avviarne una
   seconda con una nuova serie di impegni per i paesi
   partecipanti fino al 2020 (‐18% globalmente rispetto al 1990).
   Si chiama “emendamento Doha”, dal nome della capitale del
   Qatar, dove è stato discusso ed entrerà in vigore solo quando
   sarà stato ratificato dai tre quarti dei partecipanti al
   Protocollo di Kyoto. Il problema è che la ratifica della seconda
   fase è ancora in alto mare, nonostante gli inviti ricorrenti
   delle Nazioni Unite per incentivare i paesi partecipanti a
   discutere e ad aderire all’iniziativa.
Il Post‐Kyoto_COP 18 Doha
Emendamenti al Protocollo di Kyoto.
L'emendamento adottato prolunga e mira a facilitare l'attuazione del Protocollo dopo il primo periodo di impegno
     e include limitazioni quantificate o impegni di riduzione per il secondo periodo (Kyoto 2, o “Doha Climate
     Gateway”) per un certo numero di paesi.
Il nuovo Protocollo consente a gruppi di paesi di raggiungere i propri obiettivi congiuntamente, aiutando le quindi
     le azioni riduzione per i paesi che hanno fallito l'obiettivo di Kyoto 1. Riguarda solo Unione Europea, Australia,
     Svizzera, Norvegia, cioè il 15% delle emissioni mondiali. Non partecipano, rispetto ai sottoscrittori del
     Protocollo di Kyoto, Russia, Giappone e Canada; continua il non coinvolgimento dei due giganti: Cina, che
     contribuisce per il 29% alle emissioni totali e che ormai ha raggiunto l'Europa in termini di emissioni pro capite
     (oltre 7 tonnellate) e Stati Uniti che da soli pesano per il 16% e vantano il record di 17 tonnellate pro capite.

Agreed outcome pursuant to the Bali Action Plan.
Termina la realizzazione del Piano di Azione di Bali. Avrebbe dovuto concludere i lavori a Copenhagen ma è stato
    prorogato ripetutamente. L'obiettivo strategico del gruppo di lavoro era di stabilire una visione condivisa per
    un'azione a lungo termine di cooperazione, comprendente un obiettivo a lungo termine per la riduzione
    globale delle emissioni.

Advancing the Durban Platform.
Documento che contiene pochi avanzamenti del lavoro del Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for
    Enhanced Action, ADP, varato a Durban per dare soluzione al problema della definizione entro il 2015 di uno
    schema a valore legale di accordo per la mitigazione che coinvolga tutti i paesi. Non contiene altro che un
    calendario per le riunioni del 2013.

Impegno di EU e Croazia per ottenere congiuntamente gli obiettivi di riduzione del nuovo Protocollo.
Il prost‐Kyoto_COP 17 Durban
 La Conferenza di Durban approva 36 decisioni. Le principali sono:
1. Approvazione della piattaforma di Durban: un processo negoziale per la definizione di un
nuovo trattato globale legalmente vincolante (protocollo o un altro strumento attuativo ma con
valore legale per tutti i 194 paesi UNFCCC. Sono previste 2 fasi.
  Entro il 2015 sarà redatta e messa a punto la bozza del trattato, che sarà “adottato” nell’assemblea plenaria
   della ventunesima Conferenza delle Parti (COP‐21) alla fine del 2015.
  Entro il 2020 il trattato “adottato” sarà aperto alla sottoscrizione e alle ratifiche nazionali secondo le
   procedure ONU in modo che possa entrare in vigore nel 2020.
2. Il prolungamento del Protocollo di Kyoto oltre il 2012 fino al 2017 o al 2020, in relazione sia
    all’entità e alla natura degli impegni volontari dei singoli Paesi e sia alle necessità di
    coordinamento e di integrazione con il processo della piattaforma di Durban.
3. L’avvio operativo del “Green Climate Fund” come Istituzione Finanziaria della UNFCCC con
     personalità giuridica e capacità legali, la cui sede e i cui successivi programmi di dettaglio per
     il suo funzionamento operativo dovranno essere decisi alla prossima Conferenza delle Parti
     (Cop‐18) alla fine del 2012 a Quatar.
4. La definizione degli strumenti e dei meccanismi necessari a rendere operativa sia la fase di
     transizione (2013‐2020) in cui sarà operante il solo protocollo di Kyoto emendato e
     prorogato, sia il futuro funzionamento del trattato globale quando entrerà in vigore nel
     2020. Tra questi strumenti sono di particolare rilevanza: il REDD+ (regole e meccanismi per la lotta contro
    la deforestazione e il degrado del suolo), le modalità di preparazione e di attuazione dei “piani di
    adattamento” nei Paesi in via di sviluppo, il meccanismo di Trasferimento Tecnologico e di “capacity
    building”, le relative norme di “governance” e di gestione, i meccanismi finanziari e le loro modalità di
    amministrazione e gestione, ecc.
Il post‐Kyoto_ COP 19 Warsaw
Almeno due insegnamenti escono dalla conferenza Onu sul clima
   che si è chiusa il 23 novembre a Varsavia (dopo 27 ore di
   negoziati extra perché gli oltre 190 Paesi non trovavano un
   accordo). Uno racconta che di questi tempi l'economia
   prevale sull'ambiente, l'altro che l'Occidente non ha più la
   forza di imporre la sua legge, deve scendere a patti.
Stati Uniti e Unione Europea, che di solito sul clima sono
   lontanissimi, a Varsavia hanno fatto fronte comune per
   cercare di costringere i Paesi emergenti più forti ‐ Cina, India
   e Brasile in testa ‐ a prendere impegni precisi in termini di
   taglio delle emissioni dei gas serra, da scrivere in un
   protocollo che dovrebbe essere firmato nel dicembre 2015 a
   Parigi e diventare vincolante dal 2020. Dopo uno scontro
   durissimo, non ci sono riusciti. Invece di «impegni», nel
   documento finale della Conferenza ‐ la diciannovesima sul
   tema ‐ appare il termine più debole «contributi» che gli
   emergenti offriranno su basi volontarie: in quanto
   considerano l'Occidente sviluppato il responsabile primo
   delle emissioni, quindi quello che deve impegnarsi di più per
   ridurle.
Il post‐Kyoto_COP 20 Lima
                            Approvazione del “Lima Call for Climate Action” , che tuttavia entrerà in vigore solo
                             a partire dal 2020.
                            Incluso nel testo il principio secondo il quale sia i Paesi sviluppati che i Paesi in via di
                             sviluppo hanno la responsabilità comune di agire per ridurre le emissioni dei gas
                             serra, ma considerando le rispettive diverse capacità finanziarie e infrastrutturali.
                            Piani per la riduzione delle emissioni di gas serra volontari per i singoli Paesi, per
                             poi considerarli tutti insieme e capire a livello mondiale quale gap rimanga da
                             colmare per centrare l’obiettivo globale. Il documento di Lima ribadisce pertanto
                             l’invito a tutte le Parti a comunicare i rispettivi obiettivi nazionali di riduzione delle
                             emissioni (Intended Nationally Determined Contributions INDCs, al fine di favorire
                             “la chiarezza, la trasparenza e la comprensione”.
 Nel documento è stato inserito come allegato un testo che contiene gli elementi considerati di riferimento per la
  formulazione di una prima bozza del trattato da negoziare alla COP21 di Parigi.
 È stato menzionato nel paragrafo preliminare il meccanismo stabilito a Varsavia nel 2013 del “Loss and Damage”,
  fondamentale per proteggere i paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei
  cambiamenti climatici al fine di ricevere compensazioni
 Il documento esorta i paesi sviluppati a fornire e mobilitare maggiore sostegno finanziario ai paesi in via di
  sviluppo per ambiziose azioni di mitigazione e di adattamento. Le risorse raccolte nel cosiddetto Fondo verde per
  il clima (“Green Climate Fund”), stabilito a Copenhagen nel 2009, per aiutare i paesi poveri a tagliare le loro
  emissioni di gas serra e ad adattarsi al cambiamento climatico, hanno già superato i 10 miliardi di dollari. La
  discussione è sembrata tuttavia focalizzata più sul problema dell’entità delle risorse da impegnare che sulle
  modalità di un loro utilizzo efficace.
… per riepilogare
1979   Prima Conferenza Mondiale sul Clima
1988   Istituito l’IPCC
1990   Seconda Conferenza Mondiale sul Clima, primo rapporto IPCC
1992   Conferenza di Rio, Convenzione Quadro, COP, UNFCC
1993   COP3, Kyoto Protocollo di Kyoto
1998   Burden Sharing
2005   Entrata in vigore del Protocollo di Kyoto
2009   COP15, Copenhagen Accordo di Copenhagen
2010   COP 16, Cancun Green Climate Fund
2011   COP 17, Doha, Doha Climate Gateway
2012   COP 18, Durban, Avvio operativo Green Climate Fund
2013   COP 19, Warsaw, Warsaw Framework for REDD+
2014   COP 20, Lima, Lima Call for Climate Action
La strategia 20‐20‐20

  Il cosiddetto "pacchetto clima‐energia 20‐20‐20" costituisce il portfolio di
        provvedimenti operativi con cui l'UE conferma la volontà degli Stati
        Membri di continuare ad impegnarsi nel processo negoziale per la lotta ai
        cambiamenti climatici per il post‐Kyoto, ovvero dopo il 2012.
  La strategia “20‐20‐20” ha stabilito per l’Unione Europea tre ambiziosi
        obiettivi da raggiungere entro il 2020:
  I.     ridurre i gas ad effetto serra del 20% ;
  II.    ridurre i consumi energetici del 20% aumentando l'efficienza
         energetica;
  III. soddisfare il 20% del fabbisogno energetico europeo con le energie
         rinnovabili.
www.gse.it
La strategia 20‐20‐20

   Entrato in vigore nel giugno del 2009 il Pacchetto Clima ed Energia
   istituisce sei nuovi strumenti legislativi europei volti a tradurre in pratica gli
   obiettivi al 2020:
   • Direttiva Fonti Energetiche Rinnovabili (Direttiva 2009/28/EC)
   • Direttiva Emission Trading (Direttiva 2009/29/EC)
   • Direttiva sulla qualità dei carburanti (Direttiva 2009/30/EC)
   • Direttiva Carbon Capture and Storage ‐ CCS (Direttiva 2009/31/EC)
   • Decisione Effort Sharing (Decisione 2009/406/EC)
   • Regolamento CO2 Auto (Regolamento 2009/443/EC)

www.gse.it
http://www.camera.it/
Pacchetto Clima‐Energia
                            Obiettivi 2030
   È recente l’accordo (24 ottobre 2014), al vertice di Bruxelles tra i
   18 paesi dell'Unione europea sugli obiettivi di lungo termine del
   pacchetto clima‐energia: il 40% in meno di emissioni
   inquinanti (rispetto al riferimento fissato al 1990), il 27% di
   energia proveniente da fonti rinnovabili, il 27% di efficienza
   energetica, anche attraverso l’uso di tecnologie a risparmio
   energetico, il 15% di interconnessioni e un mercato interno
   dell'energia efficace, per la riduzione della dipendenza europea
   dalle importazioni di elettricità e gas, il tutto entro il 2030.

www.gse.it
http://www.camera.it/
Puoi anche leggere