Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali

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Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo
            sciopero nei servizi pubblici essenziali

                                                VERBALE

                                         del 23 febbraio 2017

       Il giorno 23 febbraio 2017, alle ore 12.30, si è riunita, nella sede della Commissione
di garanzia, in Roma, in Piazza del Gesù, 46, la Commissione giudicatrice della III
edizione del Premio Gino Giugni per la miglior tesi di laurea sui temi di diritto sindacale e
relazioni industriali.
       Sono presenti: la Prof.ssa Lauralba Bellardi, il Prof. Alessandro Bellavista, il Capo
di Gabinetto, Giovanni Pino, la Dott.ssa Silvia Lucrezio Monticelli, Componenti, la
Dott.ssa Daniela Galeone, Segretario.
       E’ assente giustificato il Segretario Generale, Stefano Glinianski.
       La Commissione, dopo aver discusso sulle tre tesi selezionate ai fini
dell’assegnazione del Premio, sulle quali ribadisce unanime apprezzamento per il livello di
qualità, serietà e rigore nella trattazione, sentito il componente assente, Dott. Stefano
Glinianski, ritiene, per la particolare pertinenza del tema trattato, il grado di
approfondimento e la chiarezza espositiva, di assegnare il Premio alla tesi della dott.ssa
Luana Balducci, dell’Università di Urbino, dal titolo: L’astensione collettiva dei lavoratori
autonomi nei servizi pubblici essenziali.
       La vincitrice del Premio sarà informata tramite comunicazione ufficiale della
Presidente o da un componente la Commissione giudicatrice.
       La Commissione termina i propri lavori alle ore 13:10.

       Si pubblicano di seguito, in ordine alfabetico, i giudizi formulati dalla Commissione
sugli elaborati partecipanti al Premio.

       LUANA BALDUCCI, L’astensione collettiva dei lavoratori autonomi nei servizi
pubblici essenziali
       La tesi di Luana Balducci si avvia con una ricostruzione (naturalmente sintetica)
dell'evoluzione storica del diritto di sciopero, nella quale sono riproposti i profili più
rilevanti, da quelli emersi nel dibattito in Assemblea Costituente fino a quelli – connessi al
fenomeno della terziarizzazione del conflitto collettivo - della c.d. istituzionalizzazione di
questo nei servizi pubblici essenziali.
       E in questa parte del lavoro l’autrice si sofferma sui profili definitori del servizio
pubblico essenziale, facendo opportunamente ricorso al concetto di fruizione del servizio (di
recente richiamato, peraltro, dalla normativa in materia di fruizione del patrimonio artistico
come servizio pubblico da garantire in caso di sciopero).
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        Sono poi affrontate, in linea generale, le tematiche più rilevanti emerse
nell’esperienza attuativa della legge 146/1990 e ss. mm.: dalle procedure di raffreddamento
all’apparato sanzionatorio, ai poteri della Commissione. E in questi argomenti la candidata
si muove con sicurezza, dimostrando anche la buona conoscenza e capacità di utilizzazione
della migliore dottrina di riferimento. Meno considerata, in questa parte del lavoro, è la
“giurisprudenza” dell’Autorità di garanzia, che pure sarebbe stata utile per trattare con
maggiore precisione alcuni istituti (ad es., le sanzioni disciplinari individuali.
        Nei capitoli III e IV viene sviluppato l’oggetto principale dell’indagine. In essi,
infatti, l’autrice si sofferma ampiamente sull’individuazione della figura del lavoratore
autonomo, del professionista e del piccolo imprenditore e sugli strumenti di autoregolazione
delle relative astensioni collettive dal servizio.
        A tal proposito viene affrontato in modo efficace il tema della libertà sindacale e
della valenza sindacale in senso stretto delle organizzazioni di tali categorie di lavoro e
professionali, con riferimento alla loro attitudine al conflitto, partendo dalla differenza tra
mera astensione collettiva e sciopero. L’autrice pone in evidenza la nozione ampia di
conflitto collettivo accolta nella legge 146, ben argomentando come, in realtà, con
riferimento ai lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, si sia in presenza di
un diritto di astensione sui generis, pur sempre riconosciuto dall'ordinamento giuridico,
proprio nella prospettiva di realizzare l’obiettivo principale della legge, che rimane il
contemperamento tra diritti costituzionali.
        L’astensione dal servizio di tali lavoratori viene configurata, così, come espressione
del potere di coalizione del gruppo professionale tutelato dall’art. 39 della Costituzione.
        In definitiva, e nonostante qualche imprecisione (quale quella relativa alla
composizione della Commissione di garanzia che, dal dicembre 2011, è stata ridotta da nove
a cinque componenti) la tesi di Balducci si segnala, oltre che per la pertinenza del tema
trattato, per il rigore del metodo, la completezza e l’approfondimento della ricerca e la
chiarezza dell’esposizione, oltre che per alcuni innovativi spunti di discussione, come quello
– particolarmente delicato in una fase storica di progressiva frammentazione, e di
indebolimento, dei sindacati – relativo alla irrisolta questione della valutazione della
rappresentatività sindacale ai fini dell’esercizio del diritto di sciopero nei s.p.e. e, in
particolare, della legittimazione a stipulare gli accordi collettivi che definiscono le
prestazioni indispensabili.

       DARIO CALDERARA, La contrattazione collettiva in deroga

       La tesi di Calderara propone, nella sua prima parte, una eccellente ricostruzione
storico-giuridica (con un rigoroso riferimento alle fonti e alla dottrina) dell’evoluzione del
sistema di contrattazione collettiva nel nostro Paese: dagli anni ’60, alla stagione della
concertazione, alla crisi della contrattazione unitaria, al T.U sulla rappresentanza del 2014,
che viene giustamente indicato non come un punto di conclusione del processo di
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regolazione delle relazioni industriali, ma di partenza, per le necessarie ulteriori intese
attuative (che, in verità, tardano ad arrivare, n.d.r.).
        Naturalmente, il principale oggetto di riflessione del candidato rimane il ben noto
art.8 del D.L.138/2011 che, introducendo forme di efficacia generale dei contratti collettivi
aziendali, apporta delle modifiche sostanziali nel diritto del lavoro, determinando, come
afferma l’autore, una vera rivoluzione nella materia.
        L’indagine si sviluppa, soprattutto, dall’Accordo del 28 giugno 2011 che, secondo
l’autore, più che una ritrovata unità sindacale, segna una sorta di “armistizio” tra le
confederazioni sindacali, rivolto ad una possibile ricerca del bene comune, attraverso intese
in deroga al ccnl. Un armistizio, influenzato, indubbiamente, dalla “scossa tellurica”
dell’allora recente accordo FIAT di Pomigliano.
        È molto puntuale e accurata, in tale sede, l’analisi delle regole in materia di verifica
della rappresentatività e la loro efficacia soggettiva, in contesto che vede la riscoperta delle
RSA, in luogo delle RSU.; nonché il loro successivo recepimento nel Accordo del maggio
2013 e la loro trasposizione nel T.U. del 2014.
        In questo contesto di unità, avviato con l’Accordo del 2011, l’intervento legislativo
operato con l’art. 8 del D.L.138/2011 segna un’alterazione dell’equilibrio ritrovato. La
norma viene, giustamente, indicata come l’intervento legislativo “più pesante”, in tema di
efficacia dei contratti collettivi, dal 1959 (cioè dalla “legge Vigorelli”), proprio per le sue
vaste possibilità di deroga al ccnl in fondamentali istituti del rapporto di lavoro (non ultimo
l’orario di lavoro che, peraltro, era già stato oggetto di intervento ad opera del
D.L.66/2003).
        Vengono, così, esaminati alcuni principali accordi in deroga (Golden lady, Banca
popolare di Bari).
        La trattazione prosegue con una disamina delle nuove espressioni di normativa in
deroga (qui, probabilmente, spingendosi anche oltre il preposto tema della tesi), in
particolare i dd.lgss.nn. 22 e 23 del 2015 (ammortizzatori sociali e contratto a tutele
crescenti); ed infine, il Jobs act, il quale, a giudizio dell’autore, va anche oltre, nel momento
in cui in esso possono rientrare tutte le materie già oggetto del suddetto art.8 (e anche più se
si pensa alla reintegrazione o al demansionamento).
        A questo punto, l’autore propone una rivalutazione dell’art. 8 in termini di un suo
possibile utilizzo come strumento di correzione in melius della normativa, una “derogabilità
buona”, a vantaggio dei lavoratori: “grimaldello per scardinare, con accordi aziendali
derogatori, proprio il piano del Governo delle riforme del lavoro”.
        La tesi, in questo senso, pone una prospettiva interessante, ma che però, forse,
dovrebbe anche tenere maggiormente conto della circostanza che, nei fatti, la valenza
dell’art.8 è stata ampiamente ridimensionata proprio dall’autonomia collettiva, con la
postilla del 21 settembre 2011 (alla quale l’autore accenna). Con tale postilla le parti sociali,
in pratica, si accordarono a non utilizzare quanto previsto dall’art.8 del D.L.138/2011 e fu

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questa, probabilmente, una delle condizioni per la ripresa del dialogo unitario, che ha poi
condotto al successivo accordo del 2013.
       Il lavoro di Calderara si presenta come una trattazione esaustiva del tema oggetto
dell’indagine, che il candidato dimostra di conoscere in modo approfondito, ben sapendo,
confrontarsi con la principale dottrina di riferimento. La trattazione si rivela valida dal punto
di vista teorico-ricostruttivo e lascia comprendere che essa sia frutto di una riflessione
maturata e non superficiale. Le argomentazioni sono, inoltre, esposte con una buona
chiarezza espositiva. Pertanto, la tesi è, nel complesso, meritevole di apprezzamento.

       GIULIA MARCHI, Il salario minimo legale: Italia e Regno Unito a confronto

        La tesi di Giulia Marchi affronta il tema del salario minimo legale mettendo a
confronto il dibattito nel nostro Paese sui possibili metodi di determinazione di tale salario e
l’esperienza legislativa del Regno Unito.
        La prima parte del lavoro è un’efficace ricostruzione storico-ideologica del dibattito
sul salario minimo in Italia, con un particolare approfondimento di quello svoltosi in
Assemblea costituente dal quale scaturì l’art. 36: norma che, tuttavia, non indica
direttamente il metodo di determinazione (del salario minimo o) della giusta retribuzione.
        Sull’interpretazione di questa norma (in termini programmatici o precettivi) si rivela
interessante l’esame della giurisprudenza post-costituzionale e del suo rapporto con
l’autonomia collettiva, che ha condotto all’estensione indiretta dell’efficacia soggettiva del
contratto collettivo (almeno nella sua parte retributiva). E su questi profili la candidata si
muove con rigore, utilizzando la dottrina più significativa.
        Nella parte relativa al ruolo dell’autonomia collettiva l’autrice esamina – sia pure con
differente intensità - le diverse esperienze e problematiche emerse nel corso del tempo in
materia di determinazione della retribuzione: dalle gabbie salariali all’esperienza della
concertazione sociale ed alle prospettive aperte dal Protocollo del 1992 con l’abolizione
della scala mobile; dai contratti di riallineamento a quelli di prossimità introdotti con il d.l.
n. 138/2011, per giungere a riflettere sull’attualità dell’art. 36 di fronte alla recessione
economica (con immancabili riferimenti al Jobs act) ed a sfiorare anche il tema della
verifica della maggior rappresentatività ai fini del governo di un possibile dumping salariale.
        Nella parte conclusiva l’autrice si sofferma sull’esperienza del Minimum wage nel
Regno Unito, indotta dalla maggiore debolezza del sindacato (pur con differenze tra
(governi di diverso orientamento), e sostiene la possibilità di una proficua coesistenza di
legge e contrattazione collettiva nella determinazione del salario minimo. In questa
direzione ritiene opportuno un intervento della U.E. finalizzato ad individuare, se non
proprio un salario minimo, almeno alcune norme comuni in materia. Al di là dell’analisi
sull’esistenza delle concrete condizioni (in termini di competenze legislative, di interessi
collettivi, ecc,) di realizzazione di un intervento di questa natura, manca nella tesi una
riflessione organica sugli effetti che un intervento legislativo in materia di salario minimo
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potrebbe avere sulle competenze e sui livelli – e, dunque, sull’incisività e sull’estensione -
della contrattazione collettiva.
       In definitiva, la tesi di Marchi ricostruisce accuratamente e approfondisce
scientificamente, anche con apprezzabile chiarezza espositiva, il tema che ne è oggetto.

      MICHELE MURGO, Il diritto al lavoro nella globalizzazione: il caso degli accordi
transnazionali a livello di imprese

        La tesi di Murgo si propone di verificare quali nuovi istituti di livello sovranazionale
siano in grado di arginare gli effetti distorsivi della globalizzazione dell’economia - e della
conseguente progressiva transnazionalizzazione dei datori di lavoro - sul mercato del lavoro
e, in particolare, la crescente disparità dei poteri nel rapporto di lavoro.
        Vengono così esaminate, innanzitutto, le Istituzioni internazionali (in particolare
l’ILO) e i loro atti di produzione, nonché altri possibili strumenti finalizzati a disciplinare e
tutelare il lavoro subordinato. Tra questi, quelli di natura pubblica, i free trade agreements,
accordi internazionali di libero scambio conclusi tra due o più Stati per l’abbattimento delle
reciproche barriere tariffarie e doganali; e quelli di natura privata, come la corporate social
responsibility, per la quale una società si impegna a rispettare i diritti fondamentali del
lavoratore.
        L’autore analizza adeguatamente potenzialità e limiti di tali strumenti e giunge alla
conclusione che il mezzo più efficace, ai fini della tutela del lavoro, possa essere individuato
negli accordi quadro transnazionali (transnational company agreements).
        Nella tesi si esaminano accuratamente (talora anche con qualche eccesso) i principali
accordi stipulati in rilevanti imprese europee, la loro genesi e la loro natura giuridica,
nonché le clausole più significative e ricorrenti e la loro idoneità a perseguire gli scopi di
tutela preordinati.
        Senza tralasciare l’inquadramento storico sul movimento sindacale internazionale e i
soggetti sindacali nella negoziazione, il lavoro si concentra, poi, sugli aspetti relativi al
potere di rappresentanza delle parti stipulanti e, ampiamente, sul tema della possibile
validità e dell’efficacia giuridica soggettiva degli accordi quadro, tenendo conto delle
discipline legislative e dei sistemi di contrattazione collettiva europee e nazionali.
        Nella convinzione che gli AQI rappresentino un utile e (virtualmente) efficace mezzo
di cui il movimento sindacale internazionale può disporre per migliorare le condizioni di
vita e di lavoro e fermo restando la loro potenzialità a produrre anche risultati concreti, in
qualità di strumenti di soft law, la cui cogenza risiede più nell'etica che nel diritto, l’autore
conclude invocando un auspicabile intervento delle istituzioni sovranazionali per meglio
definire la natura giuridica degli stessi.
        Il lavoro di Murgo, frutto di una ricerca che incrocia vari rami del diritto (del lavoro,
commerciale, comunitario e internazionale) con le relazioni industriali, si segnala, dunque,
per la scelta del tema - strategico per la futura sopravvivenza, in particolare, del sistema di
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relazioni industriali - e per l’ampio sforzo ricostruttivo (a volte anche dispersivo). La tesi è,
comunque, ricca di spunti, esposta con chiarezza e dotata di un buon apparato bibliografico.

       ELENA ROSSELLA RASPANTI, Il nuovo assetto della contrattazione collettiva nel
settore privato: la progressiva rilevanza del contratto collettivo aziendale nelle relazioni
industriali italiane

       La tesi di Raspanti si pone, innanzitutto e giustamente, l’esigenza di definire la
nozione di contrattazione collettiva, ancor prima di quella del contratto collettivo. A tal fine,
con un evidente riferimento alla teoria dell’ordinamento intersindacale di Gino Giugni,
viene posto in evidenza come l’attività di contrattazione collettiva, in quanto creatrice di
regole, possa essere studiata non solamente come fenomeno giuridico, ma anche come
fenomeno sociale, economico e comportamentale (di psicologia sociale).
       Immancabile (e abbastanza diligente) la ricostruzione dell’evoluzione storica della
contrattazione collettiva nel nostro Paese: dall’esperienza di diritto pubblico
dell’ordinamento corporativo, ai primordi della Costituzione e l’unica esperienza legislativa
di efficacia erga omnes del contratto collettivo (la legge Vigorelli del 1959), agli esordi
della contrattazione articolata, nei primi anni ’60 e nella sua forma non vincolata nella
seconda metà di quegli anni, fino alla sua più compiuta definizione nei vari protocolli: dal
Protocollo Scotti del 1983, al Protocollo Ciampi del 1993. La ricostruzione è trattata
parallelamente alle varie vicende evolutive in materia di rappresentanza sindacale in
azienda.
       Il lavoro prosegue con la riforma degli assetti contrattuali, nel 2001, nata, si può dire,
sulle ceneri della concertazione sociale, e rappresentata nel Libro bianco sul lavoro, poi
recepito nel d.lgs. 276/2003, che propone un nuovo metodo di confronto “preventivo” con le
parti sociali (il c.d. dialogo sociale) che, comunque, non impegna le scelte di governo. Il
decreto 276 introduce una serie di nuove regole che incidono profondamente sulla
contrattazione collettiva, come precedentemente disegnata nel Protocollo del ‘93, oltre che
sul rapporto stesso tra legge e contratto.
       Oggetto di indagine è, altresì, la nuova stagione dei protocolli, iniziata nel 2009, e
conclusa con l’accordo del 31 maggio 2013 e il T.U. sulla rappresentanza del gennaio 2014.
Naturalmente, una riflessione è dedicata all’intervento del Governo con il ben noto art. 8 del
D.L. 138 del 2011, che, introducendo una contrattazione collettiva “di prossimità”, finisce
per introdurre, per quest’ultima, efficacia erga omnes e poteri derogatori che,
tendenzialmente, la renderanno simile alla legge. Ridimensionati, da parte della stessa
autonomia collettiva, gli effetti dell’art.8 del D.L. 138, gli accordi più recenti riconducono il
contratto collettivo nazionale di lavoro a regolatore del sistema di relazioni industriali a
livello nazionale, territoriale e aziendale, ferma restando la possibilità di demandare alla
contrattazione aziendale e/o territoriale la trattazione di materie delegate, in tutto o in parte,

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dal contratto collettivo nazionale o dalla legge. La candidata si sofferma, infine, sull’assetto
della contrattazione come recepito nel Jobs act.
        La parte conclusiva della tesi è dedicata al caso FIAT di Pomigliano e Mirafiori,
individuato dall’autrice, per sua specificità e le sue ricadute sull’intero sistema di
contrattazione collettiva, come punto di svolta per il contratto aziendale. Si ricostruisce, in
chiave critica, tale particolare modello di contrattazione aziendale propiziato nell’industria
torinese, soffermandosi sulle questioni inerenti i modelli di rappresentanza sindacale in
azienda che dalla conclusione di quegli accordi ne sono derivati, e sui quali è, poi,
intervenuta la Corte Costituzionale con la ben nota sentenza n.231/2013. Per l’autrice, il
caso Fiat rivela tutte le criticità di un sistema di relazioni industriali più indirizzato verso la
dimensione aziendale, a detrimento del tradizionale ruolo di garanzia del contratto collettivo
nazionale. Un sistema, dunque, basato sull’anomia che consente, in concreto, al contratto
aziendale di realizzare più facilmente programmi manageriali imposti in via unilaterale,
oltre che incidere sul sistema di rappresentanza sindacale in azienda.
        Coerentemente con questa aziendalizzazione delle relazioni industriali, secondo
l’autrice, può ritenersi il Jobs Act che avrebbe favorito una esplosione di contratti collettivi,
nazionali e aziendali, in deroga.
        Anche se lo sviluppo del tema trattato non può ritenersi, oramai, del tutto originale, il
lavoro di Raspanti è apprezzabile per la sua pertinenza e la ricostruzione del tema. Piuttosto
essenziale è il richiamo alla dottrina e giurisprudenza sul tema e la trattazione, si può dire,
svolta con buona chiarezza espositiva.

       SILVIA SCOCCA, La contrattazione collettiva aziendale in Italia e in Francia

        La tesi di Scocca si propone, innanzitutto, una breve analisi dell’istituto della
contrattazione collettiva nell’ambito del diritto europeo, partendo proprio dai Trattati sul
Funzionamento dell’Unione Europea: da Roma 1957, a Lisbona 2007, che riconoscono la
funzione negoziale delle parti sociali per la conclusione di accordi collettivi, fino ad una più
completa previsione negli artt.12 e 28 della Carta di Nizza del 2000.
        La disamina della normativa europea, con particolare riferimento agli aspetti relativi
al c.d. dialogo sociale, termine all’interno del quale si fa, generalmente, rientrare la
contrattazione collettiva, non trascura i riferimenti giurisprudenziali dell’Alta Corte di
Giustizia (in particolare le sentenze Viking e Laval) che hanno contribuito al bilanciamento
tra diritti di azione e contrattazione collettiva. Una configurazione che, tuttavia, secondo
l’autrice, pur realizzando riconoscimenti importanti sotto il profilo del diritto sociale, lascia
intendere come, anche nella visione della Corte di Giustizia, i diritti sociali collettivi non
ricevano adeguata tutela di fronte alle libertà delle imprese e ad una competizione
concorrenziale sostenuta da forme di dumping sociale.
        Il lavoro si sofferma sul sistema di contrattazione collettiva nel nostro Ordinamento
Costituzionale: dai primi anni’50, ai Protocolli dell’’83 e del ’93, alla c.d. stagione degli
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accordi separati, fino all’accordo del 2009 e la ritrovata unità sindacale, nel 2011, fino agli
accordi sulla rappresentatività sindacale del biennio 2014- 2015; nonché ad alcune proposte,
in materia, provenienti da gruppi di studiosi (Freccia rossa e Diritti, lavori, mercati).
        Immancabile un ampio riferimento alle vicende degli accordi FIAT di Pomigliano e
Mirafiori, i quali, a giudizio della candidata rappresentano l’aspetto più evidente dello
spostamento della contrattazione collettiva verso l’azienda, determinando anche un
allontanamento dalle tradizionali organizzazioni di rappresentanza datoriale, al fine di
sottrarsi a vincoli troppo stringenti e poco attenti alle specificità delle singole imprese.
Insomma, alle sfide della globalizzazione dei mercati, i singoli ordinamenti rispondono con
forme di flexicurity e decentramento contrattuale.
        Un richiamo d’obbligo all’art.8 del D.L. 138/2011 che, con la sua vasta portata
derogatrice, dei cc.dd. contratti di prossimità rischia di introdurre forme di flexibility senza
security. Tale intervento viene esaminato sotto il profilo dei dubbi costituzionalità che esso
suscita e nella cornice della normativa comunitaria, pur riconoscendo l’autrice, una certa
positività, non alla sua formulazione, ma, quantomeno alle intenzione che lo animavano. Da
questo punto di vista l’esperienza viene collegata con il più recente Jobs act il quale, in
fondo, pur rivalutando il ruolo della legge e del contratto collettivo nazionale, per la
garanzia di standard di tutela, non rinuncia al modello di derogabilità in peius sul modello
dell’art. 8 sopracitato.
        Nella parte conclusiva del lavoro vi è la comparazione con un altro sistema di
relazioni industriali, pur evoluto, ma ben diverso da quello italiano: quello francese. In
quest’ultimo, con l’espressione diritto sindacale, si intende l’insieme delle varie leggi
succedutesi nelle repubbliche francesi e non anche la contrattazione collettiva, né la
rappresentanza dei lavoratori nell’impresa o i conflitti collettivi. Dunque, mentre il sistema
italiano si consolida, come noto, attorno alla mancata attuazione del commi 2 e ss. dell’art.
39 della Costituzione, per cui le parti sociali gestiscono la materia in qualità di associazioni
non riconosciute; in Francia, invece, trova attuazione un alto tasso di formalizzazione
legislativa, alla quale corrisponde una percentuale di sindacalizzazione tra le più basse dei
Paesi della “vecchia Europa” e mentre il contratto collettivo ha efficacia erga omnes (attesa
la rappresentatività sindacale accertata per legge).
        La disamina comparata è condotta tenendo conto dei recenti interventi
dell’amministrazione Hollande: dall’Accord National Interprofessionnel de1 gennaio 2013
(considerato la flexsécurité alla francese e non firmato dalla CGT), da cui projet de loi
relatif à la sécurisation de l’emploi,e la successiva Loi Rebsamen dell’agosto 2015 e i
Rapporti Combrexelle del 2015 e Badinter del 2016. Da questi recenti interventi è evidente,
secondo la candidata, l’obiettivo di una revisione totale dell’intero droit du travail,
finalizzata principalmente ad una sua semplificazione. La conclusione dell’autrice è che
mentre in Francia si tende ad un’attenuazione del ruolo dello Stato nella definizione delle
regole del sistema di relazioni industriali, in Italia, invece, con un’inversione di tendenza, si

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fa strada la prospettiva di un intervento eteronomo, vale a dire, fuori dall’ordinamento
intersindacale.
       Il lavoro di Scocca si segnala, indubbiamente, per la pertinente scelta di un tema,
ormai “classico”, delle relazioni industriali, qui affrontato, nella sua chiave comparata, in
modo approfondito. Pur non approdando a soluzioni particolarmente originali, può definirsi
originale il metodo di trattazione nel raffronto dei due ordinamenti. È, altresì, apprezzabile
l’uso della dottrina di riferimento e la chiarezza espositiva.

       ELODIA ZITO, L’opposizione al conflitto: il procedimento di repressione della
condotta antisindacale
       La tesi di Zito ha, indubbiamente, il merito di riproporre all’attenzione un tema che,
ultimamente, si può dire, è stato un po’ trascurato negli studi di diritto sindacale: la
repressione della condotta antisindacale come garanzia del corretto svolgimento del
conflitto.
       Dopo un inquadramento storico che va dall’ordinamento corporativo a quello
Costituzionale, soffermandosi sull’affermazione del nostro modello sindacale pluralista,
edificato sulla mancata attuazione dei commi 2 e ss. dell’art. 39 della Costituzione, il lavoro
si concentra sullo Statuto del lavoratori (legge n.300/1970) che, in recepimento della norma
costituzionale, introduce, concretamente, la libertà e la democrazia sindacale nei luoghi di
lavoro. L’art. 28, in particolare, è concepito proprio a presidio della libertà sindacale in
azienda e si pone come uno speciale strumento di tutela giudiziaria rivolto a tutelare
situazioni giuridiche che, per quanto garantite dalla Costituzione, sarebbero rimaste
enunciazioni generali, qualora sfornite di strumenti di protezione concreta.
       Essendo l’art. 28 dello Statuto una norma che presuppone la naturale
contrapposizione tra lavoratori e datori di lavoro, essa si propone di equilibrare, sotto il
profilo processuale, le prerogative dell’azione collettiva. Da questo punto di vista, la tesi si
propone una riflessione relativamente a cosa possa oggi intendersi per legittima opposizione
nel (o al) conflitto da parte del datore.
       È apprezzabile l’intento dell’autrice di attualizzarne il contenuto sostanziale della
norma e il suo significato, alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza. La candidata offre
una lettura della norma anche alla luce delle vicende FIAT (inizialmente la vicenda dei
licenziamenti nello stabilimento di Melfi) e gli accordi di Pomigliano e Mirafiori,
esaminando il contenuto dell’art. 28, in relazione al diritto a costituire rappresentanze
sindacali e dell’esclusione dalle trattative per la stipula o il rinnovo del contratto collettivo
(è questa, probabilmente, la parte più originale del lavoro). Si tratta di vicende che hanno
posto in essere nuovi scenari di misurazione dei rapporti di forza tra azienda e sindacato e
che, come afferma l’autrice nelle conclusioni, hanno comportato una tendenza di
quest’ultimo a rivolgersi al giudice per rivendicare, innanzitutto, il diritto “ad essere”
nell’impresa, ancor prima di poter esercitare la propria attività sindacale.

                          00186 ROMA PIAZZA DEL GESU’, 46   TEL. 06/94539600 FAX 06/94539680
Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo
            sciopero nei servizi pubblici essenziali
        Naturalmente la trattazione si sofferma sulla sentenza della Corte Costituzionale
n.231 del 2013 e sui criteri da questa adottati, in termini di rappresentatività e
partecipazione alle trattative, ai fini della possibilità di costituire RSA.
        Segue una ricostruzione diligente dei tradizionali profili processuali collegati alla
fattispecie in questione: dalla legittimazione ad agire, alle esigenze di celerità, al
provvedimento del giudice, all’opposizione; nonché, a conclusione del lavoro, una disamina
delle tematiche attuative della norma nel pubblico impiego, alla luce del processo di
privatizzazione.
        La tesi di Zito, indubbiamente, risponde al requisito della pertinenza, per la scelta di
un tema classico, di confine tra relazioni industriali e diritto processuale. Pur senza
approdare a soluzioni di particolare originalità, la trattazione si sviluppa con un buon grado
di completezza e di richiamo (pur essenziale) della dottrina di riferimento, oltre che con una
buona chiarezza espositiva.

F.to Il Presidente                                                                F.to Il Segretario

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