CLIMA 2: QUELLI CHE NON SE LA - BEVONO di Leonardo Mazzei

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CLIMA 2: QUELLI CHE NON SE LA
BEVONO di Leonardo Mazzei

[ 25 marzo 2019 ]

Nel nostro precedente articolo abbiamo cercato di mettere una
pulce nell’orecchio su uno dei diversi motivi – certo non
l’unico – che possono spiegare l’attuale narrazione
catastrofista sul clima: il nucleare. Che non si tratti
affatto di un’ipotesi strampalata, ce lo dimostra l’iniziativa
intrapresa da Bill Gates, segnalataci da un nostro lettore
(Filippo), e prontamente messa in luce da sollevAzione.
L’articolo, come altri precedenti interventi (leggi qui e qui)
ha suscitato un certo interesse e diverse critiche. E’ giusto
e naturale che sia così. Da parte nostra siamo partiti da
un’unica certezza: che non ce la stanno raccontando giusta.
In questo secondo articolo avrei voluto iniziare ad entrare
nel merito, spiegando le ragioni per cui penso che in materia
di “cambiamento climatico” le bufale interessate siano di gran
lunga superiori ai pur legittimi motivi di preoccupazione. Lo
farò invece nel prossimo intervento, perché prima bisogna fare
chiarezza su un luogo comune che va spazzato via: quello —
presente in molti commenti, e comunque diffusissimo nei media
e nell’opinione pubblica — secondo cui nella comunità
scientifica non vi sarebbero incertezze sulla teoria del
“Riscaldamento Globale Antropogenico” (AGW l’acronimo in
inglese).
Secondo questa tesi ad avanzare dubbi sarebbero soltanto
complottisti svitati ed incorreggibili, lobbisti del settore
petrolifero, od ignoranti perfetti semplicemente ignari
dell’imminente catastrofe. Ovviamente chi scrive non è un
climatologo, come non è tantissime altre cose. Ma, a parte il
fatto che anche la stragrande maggioranza di chi è certo del
“cambiamento climatico” non ha spesso competenza alcuna, è
forse un male provare a ragionarci su? Se la “Verità” ci viene
oggi da una sedicenne svedese, avremo anche noi almeno il
diritto di dire ciò che si pensa?

In ogni caso — e questo è l’oggetto dell’articolo — non è
affatto vero che sul “riscaldamento globale” il mondo della
scienza sia unanime. E’ vero, invece, che gli scienziati che
dissentono dalla narrazione ufficiale hanno subito un po’
tutti un graduale processo di marginalizzazione. Insomma, il
“pensiero unico” non scherza. Ed il potere economico e
politico che lo sostiene ancor meno. Ma tutto ciò è naturale,
basterebbe solo non negarne l’evidenza.

Un piccolo esempio
Voglio partire da un piccolo esempio su come vengono date
certe notizie. Scrive un nostro lettore — Pugacev — che: «il
dibattito sul contributo o meno delle forzanti antropogeniche
al cambiamento in atto è tale solo al di fuori della comunità
dei ricercatori in materia». Un’affermazione apodittica,
basata su un’analisi del consenso scientifico attorno alla
tesi dell’AGW, compiuta da un gruppo di ricercatori di
università nord-americane, inglesi ed australiane. Un metodo,
quello del “consenso”, peraltro assai discutibile, dato che la
verità scientifica non dovrebbe esser decisa a maggioranza. Ma
lasciamo perdere, che qui c’è una questione ancor più grossa.

Secondo Pugacev — ma la sua è l’esatta interpretazione
ufficiale dello studio in oggetto — proprio non vi sarebbero
dubbi su quel che pensano gli scienziati. Del resto
la conclusione dello studio, da lui citata, proprio non
lascerebbe scampo:

 «Il numero di articoli che negano l’RGA (acronimo in italiano
 dell’AGW, ndr) è una proporzione minuscola della ricerca
 pubblicata, la cui percentuale decresce leggermente nel
 tempo. Tra gli articoli che esprimono una posizione sull’RGA,
 una    percentuale      schiacciante      (97,2%,     basata
 sull’autovalutazione, il 97,1% basata sull’analisi degli
 abstract) supporta la posizione condivisa sull’RGA».

Insomma 97 a 3, ma di cosa volete discutere? Così vorrebbe
farci intendere tutto il circo mediatico, ricordandoci questo
punteggio da partita di rugby tra Nuova Zelanda e San Marino.
Ma stanno così le cose? Assolutamente no. Ed a dirlo non siamo
noi, ma lo stesso studio arrivato a quelle conclusioni. Il che
è vagamente surreale, ma forse anche istruttivo di come
procede talvolta la scienza.

Leggetevi   attentamente   lo   studio   (per   i   più   pigri   è
sufficiente l’abstract) e capirete il perché quella
conclusione è nella sostanza semplicemente falsa. Nella
sostanza, perché invece la forma l’hanno ovviamente salvata.
Ma proprio qui sta il trucco.

Vediamo di che si tratta. Lo studio ha analizzato il consenso
alla teoria dell’AGW nella letteratura scientifica sottoposta
a peer review (la cosiddetta “revisione paritaria”). Sono
stati esaminati 11.944 abstract relativi ai temi “cambiamento
climatico globale” e “riscaldamento globale”. Il risultato è
che il 66,4% degli abstract non ha espresso alcuna posizione
sull’AGW, il 32,6% si è espresso a favore, l’1% contro.
Dunque, solo il 32,6% si è detto esplicitamente convinto della
teoria, mentre nulla sappiamo di ciò che pensa la maggioranza
assoluta del 66,4% che ha preferito non esprimersi. Ora, qui
non può valere il principio del “chi tace acconsente”, che è
invece la “spiegazione” che gli autori dello studio forniscono
al punto 4, nel tentativo di nascondere un certo imbarazzo. Se
ricercatori che si sono applicati non al tema del clima in
generale, ma a quello più specifico dei “cambiamenti
climatici”, hanno ritenuto di non esprimersi neanche con una
parola sulla teoria dominante qualche ragione ci sarà. Certo,
come sostiene lo studio, qualcuno l’avrà fatto perché ritiene
la teoria scontata, ma qui stiamo parlando dei due terzi
esatti degli articoli scientifici esaminati! Ragionevole
pensare, dunque, che molti altri abbiano invece dei forti
dubbi sulla teoria dell’AGW, che altri ancora ritengano
comunque l’incidenza delle attività umane minima, che in tanti
(anche tra chi ha espresso il suo consenso) pesi la paura di
finire in qualche “black list” capace di interromperne la
carriera.

In ogni caso la conclusione dello studio, dunque anche la
notizia, avrebbe dovuto essere che la maggioranza dei
ricercatori non ha ritenuto di esprimersi sulla teoria
dell’AGW. Ed invece, conclusione e notizia, hanno sintetizzato
il tutto con l’azzittente 97 a 3 che ci ricorda anche l’esito
di certe elezioni in Bulgaria. Complimenti vivissimi a cotanta
obiettività!

Chi critica la teoria dell’AGW?
Passiamo ora dai numeri alle persone. Chi sono i pericolosi
soggetti che s’arrischiano a contestare la “Verità assoluta”
dell’AGW, quelli cioè che non se la bevono, quelli che vengono
etichettati come “negazionisti” dalla macchina del fango del
“politicamente corretto”? Magari molti si aspetteranno di
trovarvi i sostenitori delle scie chimiche, o (oggi è più di
moda) gli adepti di qualche setta terrapiattista. E, invece,
vi troveranno un numero insospettabile di autorevoli
scienziati, sia a livello mondiale che nazionale.

Scienziati che non negano i “cambiamenti climatici”, ma li
ritengono in larghissima misura come il frutto di fattori
naturali, non antropici. Scienziati che in ogni caso mettono
in guardia dal catastrofismo, che contestano le metodologie
dell’IPCC [Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico –
Intergovernmental Panel on Climate Change]. Scienziati che
denunciano il potere dei soldi, nonché l’influenza degli
interessi politici, in ambito scientifico. Scienziati dunque
pericolosi.

Naturalmente, chi scrive — pur condividendo tutte le messe in
guardia di cui sopra — non sottoscrive ogni affermazione di
costoro. Anche perché, pure nel campo dei critici del
“riscaldamento globale”, esistono, com’è giusto che sia,
approcci e posizioni diverse.

Tuttavia una cosa è certa: gli scienziati che si dissociano
dalla teoria dominante non sono certo un piccolo drappello. Vi
sono premi Nobel, fisici di primissimo livello ed autorevoli
climatologi.

Una breve rassegna a livello internazionale
Partiamo dal Nobel per la Fisica 1973, il norvegese Ivar
Giaever. Pur essendo stato tra i 70 Nobel che nel 2008 avevano
pubblicamente appoggiato l’elezione di Obama alla presidenza
degli Stati Uniti, egli così diceva nel 2015 all’inquilino
della Casa Bianca a proposito delle sue posizioni sul clima:
«Scusami mr President, ma hai torto, completamente torto».

Secondo il fisico «il global warming è diventato una nuova
religione, non se ne può discutere, è una verità
incontrovertibile, è come una Chiesa». E proprio a causa del
concetto di “incontrovertibilità”, espresso dall’American
Physical Society, Giaever si è dimesso nel 2011 da
quell’associazione.
Ma torniamo al suo discorso del 2015, tenuto al Lindau Nobel
Laureates Meeting. Dopo aver messo in discussione
l’adeguatezza dei sistemi di rilevamento delle temperature,
così si è rivolto all’allora presidente americano:

 «Obama ha recentemente dichiarato che nessuna sfida pone un
 pericolo maggiore per le generazioni future del riscaldamento
 globale. Questa è un’affermazione ridicola. Gli Stati Uniti
 probabilmente uccidono quotidianamente centinaia di persone,
 hanno probabilmente ucciso mezzo milione di persone nelle
 guerre degli ultimi dieci anni ed il problema maggiore che
 affronta Obama sono i cambiamenti climatici? Come può
 affermare una cosa del genere? Voglio dire questo ad Obama:
 mi scusi signor Presidente ma lei si sbaglia! Si sbaglia
 terribilmente!».

Prima di Giaever, un altro importante fisico – Harold Lewis —
si era dimesso dall’American Physical Society. Degni di nota i
motivi del suo attacco all’associazione. Segnalando
l’insabbiamento dello scandalo del “climategate” (ne
riparleremo), Lewis denuncia i condizionamenti economici alla
ricerca scientifica:

 «Come sono cambiate le cose, ora. I giganti non calcano più
 la terra, e i flussi di denaro sono diventati la raison
 d’être di molta della ricerca fisica, il sostentamento vitale
 di una sua porzione ancor maggiore, e forniscono il
 sostentamento ad un indicibile numero di occupazioni
 professionali. Per ragioni che diverranno presto chiare, quel
 mio orgoglio di essere stato per tutti questi anni un Membro
 dell’APS è stato trasformato in vergogna, e sono costretto,
 senza alcun piacere in questo, a rassegnare le mie dimissioni
 dalla Società. Naturalmente è stata la frode del
 riscaldamento globale, con le (letterali) migliaia di
 miliardi di dollari che la alimentano, che ha corrotto così
 tanti scienziati e ha governato l’APS come un’onda anomala.
 Si tratta della più grande e riuscita frode pseudoscientifica
che abbia mai visto nella mia lunga carriera di fisico.
 Chiunque abbia il minimo dubbio su questo, dovrebbe
 costringersi a leggere i documenti del ClimateGate, che
 parlano chiaro… Non credo che un vero fisico, un vero
 scienziato, possa leggere quella roba senza un senso di
 repulsione. Di quella repulsione farei quasi la definizione
 della parola ‘scienziato’».

Richard Lindzen è uno dei più autorevoli climatologi al mondo.
Dopo aver partecipato ai lavori dell’IPCC (è l’autore del
capitolo 7 del Terzo rapporto – 2001), è diventato un critico
severo della teoria del “global warming”. «Se la Terra scotta
non è colpa nostra», è il titolo di una sua intervista
rilasciata a Tuttoscienze, l’inserto scientifico de La Stampa,
il 26 settembre 2007.     Rispondendo a Gabriele Beccaria,
Lindzen polemizza col pensiero unico che si è imposto — «molti
scienziati che la pensano come me tacciono perché hanno paura
di perdere fondi e credibilità» —, denuncia che i modelli
utilizzati sono sbagliati, afferma che i rapporti dell’IPCC
nessuno li ha mai letti per intero.

Che la Terra si scaldi è vero, egli ci dice. E le emissioni
prodotte dalle attività umane hanno dato un contributo, ma le
paure diffuse    sul   “cambiamento   climatico”    non   sono
giustificate:

 «Ciò che in tanti, e anche molti scienziati, non capiscono è
 che l’unica certezza che abbiamo sul clima è che sta
 cambiando. La Terra, però, si è sempre scaldata e raffreddata
 di qualche decimo di grado ogni anno. E, se si studia la
 storia del Pianeta, si nota che non c’è mai stata una
 temperatura “perfetta”. Gli allarmi si basano su un falso
 assunto… Che viviamo in un mondo perfettamente stabile. Così
 si elaborano previsioni sul 2040 o sul 2100, costruendole su
 lunghissime catene di eventi, che diventano sempre più
 imprevedibili via via che i tempi si allungano. E alla fine
 l’attendibilità è pari a zero».
Naturalmente, i nomi citati sono solo alcuni dei più
importanti. In realtà, il numero degli scienziati critici, pur
rimanendo una minoranza rispetto ai sostenitori del
“riscaldamento globale”, è piuttosto elevato. Un’opposizione
che ha dato vita a diversi appelli. Tra questi ricordiamo
l’Heidelberg Appeal (1992), firmato da oltre 4mila scienziati,
tra   i   quali    72  premi   Nobel,    seguito   nel   1995
dalla Dichiarazione di Lipsia. Ma l’appello più noto è quello
conosciuto col nome di Oregon Petition, sottoscritto da oltre
31mila scienziati.

L’autorevolezza scientifica dei promotori e dei firmatari di
questi appelli è stata sempre messa violentemente in
discussione dai sostenitori del “riscaldamento globale”, i
quali denunciano la natura lobbistica — a favore delle fonti
fossili — di quelle iniziative.

Personalmente mi sento di dire tre cose in merito a tutte
queste polemiche. La prima, è che se certo non si può giurare
sull’autorevolezza (e sull'”innocenza”) di tutti i firmatari,
è assai evidente la presenza tra di essi di scienziati di
primissimo piano. La seconda, è che se tra di loro vi sono
certamente dei lobbisti, la stessa cosa può dirsi anche di
esponenti del fronte avverso. La terza — per me assai
importante — è che il contenuto di quegli appelli è
effettivamente improntato ad una visione produttivista e
sviluppista che non fa i conti con la devastazione ambientale
che il pianeta sta subendo.

Dunque, per quanto mi riguarda, quegli appelli dicono cose
giuste, laddove mettono in guardia dal catastrofismo,
ricordandoci i cambiamenti climatici da sempre avvenuti, ma
propongono una critica alla teoria del “global warming” che
rischia di essere controproducente. Una critica probabilmente
giusta sul piano scientifico, ma motivata con un apparato
concettuale di tipo “progressista” che rischia di portarci
completamente fuori strada.
Questa almeno è la mia opinione. Quel che qui ci interessa
dimostrare è però un’altra cosa, e cioè che nel mondo
scientifico il consenso alla teoria dell’AGW è tutt’altro che
unanime. Un quadro che troverà conferma spostandosi dal
livello internazionale a quello italiano.

La “sorpresa” italiana
Venendo all’Italia “scopriremo” essenzialmente tre cose, tutte
assai significative. La prima, la più nota, è la netta
opposizione alla teoria dell’AGW di due fisici molto
conosciuti anche dal grande pubblico (Carlo Rubbia ed Antonino
Zichichi). La seconda sta nel giudizio tagliente di uno dei
più famosi divulgatori scientifici (Roberto Vacca). La terza,
la più importante, risiede nella forte critica alla teoria
dominante di due illustri scienziati (Guido Visconti e Franco
Prodi), sicuramente due tra i migliori climatologi del nostro
Paese. Insomma, in Italia il fronte critico è piuttosto forte,
ma tutto ciò può risultare del tutto sorprendente ad
un’opinione pubblica quotidianamente        bombardata   h24   dal
partito unico del “global warming”.

Su Rubbia e Zichichi la facciamo breve. Ovviamente, anche nel
loro caso, non tutto ciò che dicono è condivisibile. Ma stiamo
pur sempre parlando di un premio Nobel per la Fisica (1984) e
dell’ex presidente della Società Europea di Fisica. Liquidarli
perché non sono dei climatologi, o peggio, in virtù della loro
non più tenera età (come pure ci è capitato di leggere ed
ascoltare), pare davvero troppo. Anche perché il peso
dell’esperienza andrebbe sempre considerato.

Di Zichichi va segnalato in ogni caso un concetto. «Si
facciano leggi che puniscano severamente    l’inquinamento senza
confondere i veleni con le problematiche    climatologiche, come
sono CO2 ed effetto serra», risponde a      Nicola Porro che lo
intervista nel 2015. Ecco, questo è il      concetto chiave che
condividiamo: una cosa è l’ambiente (e la   necessaria lotta per
preservarlo e migliorarlo), altra cosa       è il clima, spesso
chiamato in causa del tutto a sproposito.

Veniamo adesso a Roberto Vacca. Affrontando con prudenza il
tema già nel 2005, così scriveva:

 «E’ strano che queste teorie siano state accettate così
 largamente, dato che solo il 15% dell’effetto serra dipende
 dal CO2 (predomina nettamente l’effetto del vapore acqueo e
 anche il metano ha un effetto sensibile). L’argomento è
 critico: esiste davvero un rischio grave? I pareri sono
 divisi».

Questa prudenza viene decisamente abbandonata nel 2013, quando
affermerà che:

 «Quando parliamo del clima tutte le storie che raccontano sul
 riscaldamento climatico causato dall’azione degli uomini sono
 profondamente sbagliate. Non c’hanno capito niente».

Ora qualcuno obietterà che Vacca è “solo” un divulgatore
scientifico, sicuramente bravo e simpatico ma nulla più. Ci
permettiamo di dissentire profondamente, dato che il suo
approccio scientifico — nel tentativo «di capire chi abbia
ragione tra tanti esperti in disaccordo», egli dice» — ci pare
decisamente serio.

Dopo Rubbia, Zichichi e Vacca, arriviamo adesso ai
climatologi. Guido Visconti, intervistato nel 2011 sulle cause
delle alluvioni di quell’anno, così si esprimeva
su Rai Televideo:
  «Quella dei “cambiamenti climatici” è ormai una questione
  politica, perché evidenze scientifiche non esistono. Per
  stabilire se sta cambiando o meno il clima in una certa
  regione dobbiamo fare delle medie su 50 anni. L’unico dato
  certo, solido, è che la temperatura è aumentata di frazioni
  di grado in 50 anni. Il resto sono tutte illazioni: chi la
  gira in un modo, chi in un altro, ma di fatto non esiste
  nessuna prova scientifica che ci siano variazioni nel regime
delle piogge o delle nevi».

Alla giornalista che insiste, chiedendo se è dunque il
surriscaldamento del pianeta la causa dell’abbondanza di
quelle piogge, Visconti così risponde:

 «Questo non si può dire. Anche se la temperatura è cambiata
 in 50 anni di tre decimi, quattro decimi di grado, non
 significa che poi questo si ripercuota sul regime delle
 piogge e su tutto il resto. Questo è opinabile. Oggi, ripeto,
 i dati certi sono: a) la variazione di temperatura; b) la
 riferibilità delle modificazioni termiche agli ultimi 50
 anni. Il resto ribadisco sono illazioni. Tenga conto che
 quello che muove gli scienziati è l’ambizione personale e
 sono i soldi. Aggiunga questo aspetto ed ha un quadro
 perfetto della situazione».

Parole chiare e pesanti quelle di Guido Visconti, pronunciate
da uno scienziato sulla cui autorevolezza ci pare assai
difficile discutere. Le stesse caratteristiche di un altro
climatologo, Franco Prodi.
Prodi, allora direttore dell’Istituto di Scienze
dell’Atmosfera e del Clima del CNR         ebbe una discreta
notorietà nel 2007, quando criticò duramente l’allora ministro
dell’Ambiente Pecoraro Scanio per aver organizzato in maniera
cialtronesca una conferenza sui “cambiamenti climatici”. «La
Conferenza sui cambiamenti climatici? Non ha avuto nulla di
scientifico. Non hanno invitato nessuno scienziato e hanno
sbagliato a leggere i dati», disse allora Prodi. E la cosa
fece scalpore, perché si trattava in fondo del fratello di
quel Romano Prodi che, essendo a quel tempo presidente del
consiglio, di Pecoraro Scanio era pur sempre il diretto
superiore…
Dopo questo gustoso aneddoto andiamo adesso al succo di quel
che pensa Prodi (Franco). Di lui scrive Il Foglio che:
  «Non è facile trovare chi lo critichi apertamente, la sua
  posizione non allineata al vangelo del global warming mette
  in difficoltà chi ne stima le capacità lavorative. I suoi
detrattori al limite lo liquidano con un “è bravo, ma
 minoritario”».

La denuncia di Franco Prodi

Un condensato delle sue opinioni lo troviamo
in un’intervista a La Repubblica del 2011, della quale
è utile riportare di seguito alcune decisive
affermazioni.
 «Mi vuole chiedere se esistono ancora le mezze stagioni?
 Spero di non deluderla affermando che in questi cinquant’anni
 il clima in Italia è cambiato davvero poco. Chi studia queste
 cose rileva un leggero aumento della pioggia che proviene
 dalle nubi temporalesche, i cosiddetti rovesci, mentre
 complessivamente è diminuita l’intensità               della
 precipitazione». «Si tratta di leggere variazioni che la
 memoria individuale è portata a ingigantire». E ancora:
 «Fatico a condividere i toni apocalittici». «Troppo spesso si
 dà per scontata l’entità dei cambiamenti climatici e si fa
 credere che si debba ragionare solo sulla mitigazione o
 sull’adattamento».

Interessante poi il passaggio alla politica:

 «Mi limito a rilevare che dalla fine degli anni Settanta,
 sotto l’egida delle Nazioni Unite, sono nati organismi che
 hanno finito per svolgere un ruolo che non è di loro
 competenza. Da questi organismi si ha notizia di che cosa
 succederà    nell’ambito del clima. Ma in realtà        sono
 organismi politici, non scientifici. Le nomine sono di
 carattere politico. La scienza procede secondo altre strade:
 non a maggioranza».

Di più:

 «Il livello di conoscenza è basso per molti aspetti. Sappiamo
molto sull’anidride carbonica e sui suoi effetti di
 riscaldamento: si sa che è un gas serra e che è in forte e
 misurabile aumento. Ma sappiamo meno sul ruolo dell’aerosol,
 della deforestazione, dell’interfaccia clima-oceano, del
 calore che ci viene dall’interno della Terra. Non siamo in
 condizione di prevedere il cambiamento climatico futuro. È la
 politica internazionale o non so quali altri interessi
 nascosti che accreditano una conoscenza già acquisita. Ma
 questo fa molto male alla scienza».

Che dire? Noi saremo anche diventati dei “complottisti”, ma —
visto quel che dice Franco Prodi — evidentemente il cosiddetto
“complottismo” ha un posto a tavola anche nella più numerosa
famiglia del centrosinistra italiano!

Chiudiamo con un’altra divertente annotazione. Avrete notato
come l’intervistatrice abbia chiesto a Visconti, nel 2011, un
pronunciamento (che non c’è stato) sulla relazione tra
“riscaldamento globale” e aumento delle piogge. La cosa
dovrebbe far riflettere, perché in queste settimane la
narrazione è opposta, quella secondo cui l’attuale siccità nel
nord Italia deriverebbe anch’essa dal “global warming”. Sulla
questione, Franco Prodi, intervistato da Libero lo scorso 13
marzo, è stato lapidario. La siccità usata come prova del
cambiamento climatico? «E’ una bestialità».

Conclusioni
A questo punto ci possiamo fermare. Tutto si potrà dire, ma
non che il dibattito sui “cambiamenti climatici” sia da
considerarsi ormai chiuso. La cosa interessante, che emerge da
questa breve carrellata, è che gli scienziati che non se la
bevono non si limitano a puntute osservazioni di natura
scientifica. Ad esse aggiungono in maniera decisa la denuncia
degli interessi politici ed economici in gioco. Che forse non
dovremmo tener conto di questa critica radicale al mondo della
scienza, proveniente proprio da chi in quel mondo è da sempre
vissuto?
Sarebbe un atteggiamento da struzzi. Se tanti scienziati vanno
dritti al nodo politico, abbiamo ragione, oppure no, a farci
delle domande sugli scopi della campagna catastrofista in
corso? O dovremmo forse berci anche noi l’attuale narrazione,
trangugiando con essa pure il cervello?

2 (continua)

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