Alterazioni degenerative delle articolazioni sacro-iliache (ASI)

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CAPITOLO 24
Alterazioni degenerative
delle articolazioni sacro-iliache (ASI)
Maria Gloria Angeretti, Eugenio A. Genovese, Carlo Neri, Carlo Fugazzola

L’invecchiamento è il principale fattore responsabile delle artropatie degenerative che
interessano il 15% della popolazione degli ultrassessantenni e il 100% dei pazienti oltre
i 70 anni. Il fenomeno è enfatizzato dall’aumento dell’età media della popolazione [1].
   Le prime dimostrazioni del coinvolgimento delle articolazioni sacro-iliache (ASI) da
parte della patologia degenerativa risalgono al 1910 e si devono a Jones, anatomista bri-
tannico che partecipò a numerose spedizioni archeologiche in Egitto,dove ebbe la possibilità
di esaminare un largo numero di scheletri, rilevando le principali caratteristiche di quella
che conosciamo come patologia artrosica [2]. Oggi sappiamo che le ASI sono interessate
da fenomeni degenerativi osteoartrosici a partire dai 40 anni di età, più precocemente
rispetto ad altre articolazioni di carico, in relazione a caratteristiche anatomiche e fisiolo-
giche che facilitano l’insorgere di tali alterazioni [3-6]. La patologia degenerativa delle arti-
colazioni sacro-iliache costituisce una causa di dolore “posteriore” del bacino di difficile
diagnosi, in quanto lo studio semeiologico delle ASI mediante le tecniche radiologiche tra-
dizionali non è spesso agevole a causa delle caratteristiche anatomiche delle superfici arti-
colari sacro-iliache, le quali presentano grande variabilità di conformazione, con superfici
articolari irregolari,curve e in relazione alla posizione obliqua rispetto all’asse maggiore del
corpo. Oggi, grazie a tecniche topografiche e multiplanari di diagnostica per immagini
come la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (RM), è possibile acqui-
sire informazioni più precise sull’anatomia normale e patologica di tali articolazioni [6].

Cenni di anatomia e fisiologia

L’articolazione tra osso sacro e ileo è una artrodia, ovvero le superfici articolari sono
rivestite da cartilagine ialina e sono racchiuse in una cavità articolare delimitata da una
membrana sinoviale, contenente liquido sinoviale, rinforzata da una capsula brevissi-
ma e completa che si inserisce lungo tutto il margine delle superfici articolari. La capsula
è rinforzata dal legamento sacro-iliaco anteriore, che dalla faccia anteriore del sacro si
estende lateralmente a ventaglio e si inserisce a livello della fossa iliaca interna; dal lega-
mento sacro-iliaco interosseo, che dalla fossa cribrosa del sacro e dai tubercoli della cre-
sta sacrale si estende sino alla tuberosità ischiatica; dai legamenti sacro-iliaci posterio-
ri, breve e lungo, che si trovano posteriormente all’interosseo [6, 7]. L’articolazione sacro-
iliaca non possiede muscoli propri e si muove in modo sinergico con i muscoli della
colonna e delle anche; attraverso i legamenti permette un movimento limitato, definito
di nutazione, dovuto allo scorrimento delle superfici articolari, per cui la base dell’osso
sacro si sposta in basso e in avanti, mentre l’apice si solleva in alto e all’indietro; allo
stesso modo permette il movimento opposto, di contronutazione [7, 8].
210   M.G. Angeretti e coll.

          Dal punto di vista funzionale l’articolazione sacro-iliaca, insieme alla sinfisi pubica,
      costituisce una struttura fondamentale nella biomeccanica dell’anello pelvico, in quan-
      to porta circa la metà del peso corporeo, distribuendolo agli arti inferiori. L’articolazione
      presenta delle caratteristiche anatomiche sfavorevoli che la rendono suscettibile di
      degenerazione precoce, con gravi conseguenze sulla stabilità del bacino. In particolare
      l’articolazione giace su un piano che non è perpendicolare all’asse maggiore corporeo,
      rispetto al quale presenta un andamento obliquo, descrivendo, rispetto a un piano ver-
      ticale, un angolo aperto posteriormente di 50° e anteriormente di 20°. In virtù dell’a-
      natomia articolare il carico non è distribuito in modo razionale sulle superfici artico-
      lari [5, 9]. Esistono infine differenze tra le superfici articolari sacrale e iliaca, sia dal
      punto di vista anatomico che dal punto di vista funzionale. Studi biomeccanici indica-
      no che le due superfici articolari sono soggette a forze diverse: la superficie iliaca viene
      sottoposta a maggiore tensione da parte dell’apparato legamentoso [5]. Inoltre lo spes-
      sore del rivestimento condrale delle due superfici è diverso: 3 mm a livello sacrale e 1
      mm a livello iliaco [6]. Queste considerazioni spiegano sia il coinvolgimento dell’arti-
      colazione sacro-iliaca da parte della patologia degenerativa in una fase più precoce
      rispetto ad altre articolazioni di carico [5], sia l’interessamento prevalente della super-
      ficie articolare iliaca [2-6, 9].

      Clinica

      La degenerazione osteoartrosica dell’ASI interessa la popolazione dopo i 40 anni, senza
      significative differenze tra i due sessi, tuttavia con manifestazione più precoce nel sesso
      femmile, verosimilmente in rapporto alle influenze ormonali durante la gravidanza che
      provocano l’accentuazione dei movimenti articolari per rilasciamento dei legamenti
      sacro-iliaci. Le alterazioni degenerative possono interessare entrambe le articolazioni,
      ma in presenza di uno stress abnorme possono manifestarsi in modo monolaterale
      (scoliosi, patologia d’anca) [1, 3].
         Dal punto di vista clinico, la patologia degenerativa dell’articolazione sacro-liaca
      non presenta caratteristiche tipiche: si manifesta con una sindrome dolorosa in cui il dolo-
      re spontaneo, di intensità e sede variabile, può presentare irradiazione lombare, ischia-
      tica o inguino-crurale; il dolore può essere provocato alla pressione e alla mobilizzazione;
      può associarsi limitazione funzionale [1, 3, 4]. È importante sottolineare che non esiste
      un rapporto diretto tra gravità del quadro radiografico e manifestazioni cliniche [1]. Tutto
      ciò rende questa sindrome dolorosa di difficile interpretazione e diagnosi.

      Alterazioni elementari

      Le alterazioni degenerative colpiscono prima la cartilagine e solo successivamente l’os-
      so subcondrale. La manifestazione più precoce consiste nella fissurazione ed erosione
      della cartilagine che si manifesta con riduzione dello spazio articolare. Lo spessore
      medio dello spazio articolare è di 3 mm e la riduzione può essere focale o diffusa. Si
      assiste successivamente a ipervascolarizzazione dell’osso subcondrale che si traduce, in
      un secondo momento, nella sclerosi dell’osso subcondrale. Anche la sclerosi può mani-
      festarsi in modo diffuso o, più spesso, focale. L’infiltrazione di liquido sinoviale nel-
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l’osso subcondrale provoca la formazione di cisti e geodi subcondrali, peraltro rari nel-
l’articolazione sacro-iliaca. Nella fase più avanzata compaiono gli osteofiti e la loro for-
mazione, indotta dalla trazione capsulare con stimolazione del periostio e della sino-
via, avviene tipicamente a livello della porzione antero-superiore e antero-inferiore del-
l’articolazione. Gli osteofiti, che costituiscono la manifestazione più tipica della dege-
nerazione osteoartrosica dell’articolazione sacro-iliaca, possono estendersi lungo tutta
la faccia anteriore articolare tanto da creare un’anchilosi periarticolare, che entra in
diagnosi differenziale con l’anchilosi intra-articolare tipica della spondilite anchilo-
sante [1-6, 10]. Raramente si possono riscontrare calcificazioni focali e ossificazioni a
livello dei legamenti.
    Dal punto di vista istologico la degenerazione della cartilagine avviene a partire
dalla III decade di vita; la formazione di osteofiti e la degenerazione della parte più
profonda della cartilagine, nella IV; la degenerazione dell’osso subcondrale, nella V;
solo successivamente si ha l’anchilosi articolare [10].
    L’osteoartrosi dell’ASI va differenziata dalla spondilite anchilosante e dall’osteite
condensante dell’ileo, tuttavia esistono sostanziali differenze tra queste patologie: la
spondilite anchilosante colpisce principalmente giovani donne, con manifestazioni bila-
terali e simmetriche e interessamento diffuso dell’ileo. Sono comuni le erosioni, l’ anchi-
losi intra-articolare e le ossificazioni legamentose, mentre sono rari gli osteofiti para-
articolari. L’osteite condensante dell’ileo colpisce giovani donne, in modo bilaterale e sim-
metrico con la sclerosi iliaca tipicamente a morfologia triangolare; non sono tipiche le
erosioni, l’anchilosi, gli osteofiti e le ossificazioni legamentose [1, 4, 6].

Diagnostica per immagini

Lo studio radiografico dell’ASI non è agevole in relazione alle sue caratteristiche ana-
tomiche estremamente complesse e all’inclinazione del piano articolare rispetto all’as-
se maggiore del tronco. Nessuna proiezione consente lo studio accurato del comparti-
mento sinoviale dell’articolazione, che costituisce quello di maggiore interesse; inoltre
non è semplice definire con precisione il grado e la sede delle alterazioni degenerative
unicamente sulla base dei rilievi radiografici. L’unica proiezione fondamentale nello
studio radiografico è quella frontale con tubo angolato di 25-30° in caudo-craniale.
Altre proiezioni sono complementari nello studio delle ASI: proiezioni oblique a pazien-
te supino o prono, con lato da esaminare sollevato di 25° e fascio perpendicolare alla pel-
licola o inclinato in caudo-craniale o cranio-caudale; proiezione assiale cranio-cauda-
le, utile per meglio evidenziare la faccia anteriore dell’articolazione, eseguita a pazien-
te seduto con leggera flessione del tronco in avanti e tubo angolato di circa 10-20° in cra-
nio-caudale. Il compartimento sinoviale non viene comunque studiato correttamente,
con un’alta percentuale di falsi negativi [6, 11, 12].
    Con la radiologia tradizionale (Rx) si possono rilevare la riduzione della rima articolare;
la sclerosi subcondrale, che si manifesta più spesso come una rima di incremento della
densità ossea (Fig. 1a) o in alternativa come incremento focale o diffuso della radiopa-
cità (Fig. 1b); le apposizioni osteofitosiche (Fig. 2). Tuttavia, proprio queste ultime alte-
razioni sono fonte di errore diagnostico, in quanto nella proiezione frontale gli osteofi-
ti si sovrappongono allo spazio interosseo simulando un’anchilosi ossea intrarticolare,
comune nella spondilite anchilosante, ma rara nell’artropatia degenerativa [1, 4, 6].
212   M.G. Angeretti e coll.

       a                                    b

      Fig. 1. Radiologia tradizionale (Rx); a Sclerosi subcondrale di aspetto lineare (frecce). b Sclerosi
      subcondrale focale (frecce)

                                                          Fig. 2. Rx. Grossolana apposizione osteofitosi-
                                                          ca (freccia)

          La TC offre una maggiore risoluzione spaziale e sensibilità rispetto alla Rx, con la pos-
      sibilità di mettere in evidenza alterazioni degenerative in uno stadio precoce. Le imma-
      gini vengono ottenute con piani di scansione perpendicolari all’asse maggiore del sacro:
      il paziente è supino con ginocchia flesse e il gantry viene inclinato in modo tale da ren-
      derlo parallelo all’asse maggiore del sacro; si eseguono scansioni contigue a strato sot-
      tile con successive ricostruzioni MPR (multiplanar reformats) sul piano coronale. Con
      la TC sono d’immediata identificazione le apposizioni osteofitosiche (Fig. 3) e solo con
      questa metodica è possibile identificare erosioni anche minime e la precoce riduzione
      di spessore della rima articolare con spessore anche inferiore a 2 mm. Le aree di scle-
      rosi subcondrale si manifestano come zone irregolari di aumento della densità del-
      l’osso subcondrale. Lo svantaggio di questa metodica è la possibilità di studiare la car-
      tilagine solo indirettamente [5, 6, 12-14].
          Il rivestimento condrale, sede delle più precoci alterazioni degenerative, può essere
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                                                   Fig.3. Tomografia computerizzata.Apposizione
                                                   osteofitosica anteriore che determina la for-
                                                   mazione di vero e proprio ponte osseo (freccia)

documentato direttamente con la RM. La RM costituisce la metodica ottimale per lo
studio dell’anatomia articolare e delle anomalie a carico della capsula, della cartilagi-
ne, dell’osso subcondrale e dei legamenti, che non vengono identificati con altre tecni-
che. Le immagini vengono acquisite sul piano assiale e coronale dell’articolazione, aven-
do come riferimento l’asse longitudinale maggiore del sacro: i piani assiali sono per-
pendicolari all’asse maggiore del sacro, quelli coronali sono paralleli. Per una miglio-
re risoluzione spaziale viene comunemente utilizzata una bobina di superficie (phased
array). Le sequenze utilizzate sono spin-echo (SE) T1, per un accurato studio morfolo-
gico; fast spin-echo (FSE) T2 con soppressione del tessuto adiposo, per identificare even-
tuali aree di sofferenza della spongiosa ossea subcondrale che si manifestano con iper-
intensità di segnale (Fig. 4), comunemente associate a lesioni degenerative della carti-
lagine articolare e all’alterato carico che ne deriva. La cartilagine articolare viene visua-
lizzata in modo diretto con le sequenze a elevato contrasto T2* che permettono di dif-
ferenziare lo spessore condrale dalla corticale ossea e dal liquido sinoviale (Fig. 5), met-
tendo in rilievo anche minime erosioni, le quali si manifestano come immagini di mar-
cata iperintensità di segnale nel contesto dello spessore cartilagineo (Fig. 6) [6, 15]. La
RM offre quindi, da una parte, la risoluzione di contrasto ottimale per lo studio dello
spessore condrale; dall’altra, grazie alla soppressione selettiva del segnale del tessuto adi-
poso della spongiosa ossea, offre informazioni sullo stato dell’osso subcondrale in quan-
to rileva la sede e l’estensione dell’eventuale sofferenza da alterato carico. Grazie a que-
ste caratteristiche la RM, pur non essendo a oggi utilizzata di routine, è la metodica
d’elezione nello studio dell’ASI [15]. Questa metodica presenta, in particolare, un’in-
dicazione elettiva nello studio delle patologie infiammatorie dell’ASI [15, 16].

                                                         Fig. 4. Risonanza magnetica. Area di sof-
                                                         ferenza della spongiosa ossea subcon-
                                                         drale,iperintensa nelle immagini coronali
                                                         obliquate T2 pesate con soppressione del
                                                         grasso (frecce)
214   M.G. Angeretti e coll.

                                                   Fig. 5. Risonanza magnetica, particolare di ASI
                                                   destra. Nelle immagini T2 pesate con sop-
                                                   pressione del grasso la cartilagine articolare
                                                   (freccia bianca grande) risulta iperintensa rispet-
                                                   to alla corticale dell’osso (frecce bianche pic-
                                                   cole) e ipointensa rispetto al liquido sinoviale
                                                   (freccia nera)

                                                   Fig. 6. Risonanza magnetica, particolare di ASI
                                                   sinistra. Nelle immagini T2 pesate con sop-
                                                   pressione del grasso le erosioni cartilaginee
                                                   appaiono come piccole immagini iperintense
                                                   nel contesto dello spessore cartilagineo (frecce)

         Infine è doveroso citare, tra le metodiche di imaging, la scintigrafia con 99 mtech-
      netium metilene difosfonato (99mTc-MDP). Oggi questa metodica non riveste un ruolo
      di primo piano nello studio della patologia degenerativa dell’ASI: presenta infatti una
      grande sensibilità per interessamento flogistico, minore per la patologia degenerativa,
      ma scarsa specificità, che nella maggior parte dei casi rende indispensabile un ulterio-
      re approfondimento diagnostico [6, 15, 17].
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