Breve storia dell'Open Education, per una riflessione sull'open in Italia - BRICKS | OPEN - Rivista Bricks

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BRICKS n.2 - 2022

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                                Education, per una
                                riflessione sull’open in
                                Italia

                               a cura di:

                               Fabio Nascimbeni

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      #       Open, Open education
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Didattica della musica con il digitale

In questo articolo presenteremo una breve storia del movimento internazionale dell’Open Education,
percorrendo le principali tappe della sua - relativamente breve - storia con l’obiettivo di trarre qualche
spunto su come l’Open Education potrebbe svilupparsi, come parte integrante dei nostri sistemi educativi
e formativi, in Italia.

Il movimento Open Education
Mentre tralasceremo qui la discussione sui molteplici significati e accezioni del concetto di open
education, così come la definizione di Open Educational Resources (per entrambe si veda Nascimbeni
2020), è necessario definire cosa intendiamo con “movimento Open Education”. Richard Barianuk,
attivista e fondatore dell’iniziativa Connections per la produzione e distribuzione di Open Textbooks,
sostiene che “Il movimento Open Education si basa su una serie di intuizioni condivise da una vasta
gamma di persone: che la conoscenza dovrebbe essere libera e aperta all’uso e al riutilizzo, che la
collaborazione dovrebbe essere facilitata e non ostacolata, che le persone dovrebbero ricevere
riconoscimenti per il loro contributo all’istruzione e alla ricerca, e che concetti e idee sono collegati in
modi insoliti e sorprendenti e non solo attraverso le semplici forme lineari dei libri di testo” (Barianuk
2018, pag. 1). Il movimento Open Education si pone quindi all'intersezione tra il tema della
democratizzazione dell’istruzione, al quale aggiunge una dimensione tecnologico/legale, e quello della
conoscenza aperta, del quale rappresenta la declinazione educativa (Blessinger e Bliss 2016). È proprio
questa doppia cittadinanza che rende il movimento interessante in quanto capace di accogliere diverse
istanze e posizioni, e di aggregare una serie di attori molto diversi tra loro: ricercatori, attivisti, educatori,
policymakers, ma anche imprese e sviluppatori di software. Parliamo per esempio di collettivi open in
alcune università, di reti di scuole o biblioteche che lavorano in modo open, di comunità di advocacy più o
meno strutturate presenti in diversi paesi, e di organizzazioni internazionali come l’UNESCO, la
Commissione Europea o CreativeCommons.

Preistoria
La storia del movimento Open Education inizia nell’era pre-digitale, e comprende tutti quei tentativi di
promuovere l’educazione come bene pubblico e come diritto umano, basicamente attraverso un
ampliamento della partecipazione all’istruzione oltre gli strati privilegiati della società. Già le prime
università fondate nel Medioevo, per quanto decisamente elitarie, relativamente al loro contesto erano in
un qualche modo aperte, in quanto basate sulla crescente consapevolezza che si potesse educare un
numero sempre maggiore di cittadini (Peter e Deimann 2013). È però solo nel novecento che l’idea di una
condivisione libera e aperta della conoscenza prende piede come volano per democratizzare l’istruzione
e in ultima analisi la società, quando intellettuali come Dewey (1916) e Montessori (1949), e più avanti
altri come Barth (1972) e Smith (1976) iniziano a lavorare per aprire l’educazione a diversi strati della
società attraverso pratiche nuove e inclusive (Santamaita 2013; Cambi 2014). Nella seconda metà del
novecento, vengono inoltre create le prime Open Universities (innanzitutto nel Regno Unito e poi in altri
paesi anglofoni), con l’obiettivo di aprire gli studi universitari alle emergenti fasce di popolazione borghesi
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e lavoratrici. È però con l’introduzione del digitale e della rete che il movimento Open Education di cui ci
occupiamo in questa sede inizia a prendere piede, ed è di questo che tratteremo nelle prossime pagine,
attraverso una breve carrellata degli avvenimenti più importanti che hanno segnato la storia del
movimento stesso.

Prodromi: i primi repository di risorse aperte
Anche se l’inizio del movimento Open Education si fa tradizionalmente coincidere con l’iniziativa
OpenCourseWare di cui parleremo in seguito, due iniziative precedenti hanno aperto la strada.
Innanzitutto il progetto MERLOT, lanciato nel 1997 alla California State University con una sovvenzione
della National Science Foundation, che ha creato un repository online di risorse educative gratuite per
l’istruzione universitaria. MERLOT è attivo ancora oggi, e conta su decine di migliaia di risorse, create o
condivise dalla comunità associata, e nella maggior parte dei casi validate per quanto riguarda la loro
qualità. Nel frattempo, alla Rice University, il professor Baraniuk, frustrato dall’incapacità del tradizionale
modello editoriale accademico di produrre libri di testo pertinenti e aggiornati, crea Connexions, una
piattaforma online per facilitare lo sviluppo e la condivisione di libri di testo aperti da parte dei professori
universitari di tutto il mondo. Connexions, che nel 2012 ha cambiato nome in OpenStax, conta ora libri di
testo in 29 materie, utilizzati nel 56% delle università statunitensi e in oltre 100 paesi. Per capire
l’impatto del progetto, basti pensare che si stima che negli anni questa iniziativa abbia fatto risparmiare
a 9 milioni di studenti 830 milioni di dollari (OpenStax 2020). Questo progetto, come molti di quelli che
vedremo in seguito, è stato finanziato dalla William and Flora Hewlett Foundation, una fondazione
statunitense che fin dall’inizio del movimento ha supportato molte iniziative nell’ambito Open Education,
appoggiando sia il lavoro di istituzioni private come il MIT, Harvard o la Open University UK, sia di attori
pubblici come l’OCSE e l’UNESCO (Bliss e Smith 2017).

2001-2006: le OER come fondamenta del movimento
Gli anni dal 2001 al 2006 rappresentano la prima fase del movimento Open Education, durante la quale
vengono creati i presupposti fondamentali per gli sviluppi successivi, primi fra tutti il concetto di Open
Educational Resources e le licenze Creative Commons. È questo il periodo in cui iniziano a prendere piede
una serie di iniziative, spesso in fase pilota, che tuttavia lasceranno il segno.

Per molti il primo passo del movimento avviene quando, nel 2001, il Massachusetts Institute of
Technology (MIT) annuncia l’intenzione di mettere a disposizione sul web i contenuti dei propri corsi
attraverso il progetto MIT OpenCourseWare, con l’obiettivo di incrementare il prestigio dell’università e
di migliorare la qualità dei suoi contenuti didattici. Un anno dopo il MIT rende effettivamente disponibili i
contenuti di circa 50 corsi, che in sei anni diventano 1.800: si tratta di pacchetti composti da risorse
rilasciate con licenza aperta strutturate per argomenti e corredate spesso da strumenti di valutazione. Il
progetto, che nel 2004 adotterà le licenze Creative Commons per tutti i propri contenuti, dà il via all’idea,
promossa con il nome di OpenCourseWare, che rendendo liberamente disponibili online materiali
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didattici di alta qualità si possano raggiungere fasce di popolazione che normalmente non sarebbero in
grado di accedere a un’educazione di qualità (Menichetti 2014). L’impatto dell’iniziativa è profondo: già
alla fine del 2006 oltre 100 istituzioni avevano creato siti OpenCourseWare in 14 paesi e in almeno 6
lingue, ed allo stesso tempo erano nati diversi consorzi - tipicamente tra università - per la promozione
delle risorse educative aperte: in Cina il gruppo China Open Resources for Education con 22 università, in
Giappone il Japan OCW Consortium con 10 membri, in Francia Paris Tech con 11 membri, in Spagna e
Portogallo la rete Universia con 13 membri, e in Vietnam il Vietnam OpenCourseWare con 14 membri
(Matkin 2010).

Sempre nel 2001 nasce il concetto di Open Textbook, con il progetto California Open Source Textbook,
che ha l’obiettivo di ridurre il costo, spesso proibitivo, dei libri di testo nelle scuole californiane attraverso
la produzione di libri diffusi gratuitamente sul web. Da allora il progetto, che è stato probabilmente il
primo caso in cui un’amministrazione pubblica si è impegnata nel tema dell’Open Education, si è evoluto
in una impresa di consulenza educativa che promuove l’adozione di licenze aperte e la produzione di
Open Textbooks.

Il 2001 vede anche la creazione di quella che a tutt’oggi è senza dubbio la più grande risorsa educativa
aperta del pianeta: Wikipedia. Rimandiamo a Wikipedia stessa per una storia dettagliata di questo
progetto, che rappresenta uno dei maggiori successi del movimento globale per la democratizzazione
della conoscenza. Per capire la dinamica di crescita della piattaforma, basti pensare che alla fine del suo
primo anno di esistenza l’enciclopedia arrivò a contare quasi 20.000 voci in 18 lingue differenti, e che
oggi raccoglie oltre 55 milioni di pagine solo in inglese, posizionandosi come l’enciclopedia più estesa mai
scritta e tra i dieci siti web più visitati al mondo. Wikipedia, che nel 2009 ha deciso di adottare le licenze
Creative Commons per tutti i propri contenuti, rappresenta non solo una sconfinata raccolta di risorse
educative, ma una palestra attraverso cui realizzare pratiche educative aperte come la creazione di
nuove pagine o il miglioramento collaborativo di pagine esistenti. Sono infatti sempre di più gli
insegnanti, nelle scuole come nelle università, che propongono attività formative basate su Wikipedia o
su altri progetti della Fondazione Wikimedia .

Anche se il trofeo per la prima licenza aperta va alla Open Content License (OCL) del 1998, è con la
creazione delle licenze Creative Commons (CC) nel 2002 che il movimento Open Education, radunato
allora attorno al concetto di OpenCourseWare, si dota di uno strumento per poter condividere legalmente
le risorse di apprendimento. CC si è data fin da subito un obiettivo ambizioso: sviluppare e promuovere
licenze open capaci di semplificare le pratiche di uso e riutilizzo di risorse, non soltanto educative.
Rispetto alle licenze aperte nate nel mondo del software come la licenza GFDL (GNU Free Documentation
License), le licenze CC non devono infatti necessariamente includere una copia completa di tutte le
clausole della licenza, ma richiedono, grazie alla cosiddetta clausola “BY”, soltanto l’attribuzione
dell’autore della risorsa, che il più delle volte è un link alla risorsa stessa.

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  Figura 1 - Le licenze Creative Commons, tra copyright e pubblico dominio. Autore: Simone Aliprandi. Licenza: CC BY-SA 3.0

Il 2002 è un anno fondamentale anche perché, durante una conferenza organizzata dall’UNESCO per
discutere di contenuti educativi aperti sull’onda del già citato progetto OpenCourseWare, viene coniato il
termine Open Educational Resources, che diventa in qualche modo il nuovo brand del movimento,
rimpiazzando quello dell’OpenCourseWare. Da un punto di vista concettuale, con il termine OER il focus
del movimento passa dai corsi aperti, tipicamente poco flessibili e difficilmente trasferibili ad altri
contesti, alle singole risorse che possono essere combinate in esperienze di apprendimento sempre
diverse.

                                           Figura 2 - Open Educational Resources

Negli stessi anni, il movimento inizia a svilupparsi fuori dagli Stati Uniti. Nel Regno Unito, grazie a un
finanziamento dell’agenzia inglese per la promozione del digitale nell’educazione (JISC), viene lanciato
Jorum, un repository di risorse aperte che, nonostante sia stato chiuso nel 2016, ha dato l’avvio alla
comunità OER del Regno Unito. Un anno dopo, la Cina muove i primi passi nel movimento con il progetto
ministeriale National Quality Course (NQC), che mira a creare corsi e materiali aperti al pubblico senza
alcuna restrizione. Da allora, oltre 750 università cinesi hanno partecipato allo sviluppo di NQC,
producendo tra il 2003 e il 2010 oltre 3.700 corsi online, tra cui circa 2.500 corsi universitari e 1.200
corsi professionali non accademici. Contestualmente, viene lanciata China Open Resources for Education
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(CORE), un’organizzazione senza scopo di lucro con la missione di promuovere la condivisione aperta
delle risorse educative tra le università cinesi, introducendo in Cina corsi del MIT e di altre università
d’eccellenza (Tlili et al. 2019).

È del 2004 l’esordio della conferenza OpenEd, convocata a Logan, nello Utah. La prima edizione della
conferenza raccoglie meno di 50 partecipanti, il ché dà un’idea di quanto all’epoca il movimento Open
Education fosse ancora un fenomeno di nicchia. La conferenza, che negli anni successivi si è svolta anche
in Canada e in Europa, si è affermata negli anni come il più importante evento globale, dedicato all’Open
Education, anche se con una forte prevalenza di partecipanti statunitensi, ed è arrivata a contare, nel
2019, oltre 800 partecipanti.

Due importanti avvenimenti chiudono questa prima fase del movimento, nel 2006. Innanzitutto, il lancio
della Khan Academy, probabilmente la piattaforma OER per la scuola più nota del pianeta. Nata da
un’idea dello statunitense Salman Khan, l’iniziativa raccoglie oggi oltre 10.000 video educativi, disponibili
in 65 lingue e utilizzate da oltre 2,5 milioni di utenti in tutto il mondo. Da segnalare anche il lavoro della
Foundation for Learning Equality (FLE), che ha sviluppato un metodo per la fruizione dei video della Khan
Academy e di altri materiali didattici in contesti senza connettività né energia elettrica, come campi
profughi e carceri. In secondo luogo, nel 2006 viene lanciato Wikieducator, un progetto portato avanti
dalla neozelandese OER Foundation, che mira ad aggregare risorse educative aperte da utilizzare in
scuole, università e contesti di educazione informale attraverso tecnologie wiki, promuovendo standard
tecnologici aperti che possano ridurre i costi associati all’istruzione. La comunità di Wikieducator è molto
attiva ancora oggi, e conta oltre 80.000 partecipanti.

2007-2010: il movimento sperimenta attorno a una visione sociale
Nel 2007, cinque anni dopo il conio del termine OER da parte dell’UNESCO, l’Open Society Institute e la
Shuttleworth Foundation organizzano a Cape Town in Sudafrica una riunione di esperti dal titolo “Open
Sourcing Education”, durante la quale viene redatta la Dichiarazione di Cape Town, un documento
importante per il movimento per almeno tre motivi. Primo, perché contiene un’autodefinizione del
movimento stesso: “L’educazione aperta è un’idea vivente. Man mano che il movimento cresce, questa idea
continuerà a evolversi. Ci saranno altre iniziative e dichiarazioni sulle visioni dopo Capetown. Questo è
esattamente il punto. I firmatari di Città del Capo si sono impegnati a sviluppare ulteriori strategie, in particolare
per quanto riguarda la tecnologia aperta e le pratiche di insegnamento” (Dichiarazione di Cape Town 2007).
Secondo, perché estende il concetto di Open Education oltre le risorse aperte verso le Open Educational
Practices: “L’Open Education non si limita alle risorse educative aperte. Si basa anche su tecnologie aperte che
facilitano l’apprendimento collaborativo e flessibile e la condivisione aperta di pratiche di insegnamento che
permettono agli educatori di beneficiare delle migliori idee dei loro colleghi. Il concetto può ampliarsi fino a
includere nuovi approcci alla valutazione, all’accreditamento e all’apprendimento collaborativo” (Dichiarazione
di Cape Town 2007). Terzo, perché la Dichiarazione è stata ripresa dieci anni dopo per una riflessione
sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi che il movimento si era dato nel 2007: al di là del contenuto

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di questa riflessione, questa analisi a ritroso dimostra una certa capacità di autoanalisi del movimento
così come una continuità delle persone chiave, che è stata importante per garantire coerenza e stabilità.

Il 2007 registra altri importanti sviluppi. In primo luogo, l’OCSE prende posizione in favore dell’Open
Education, pubblicando il rapporto Giving Knowledge for Free: The Emergence of Open Educational Resources
(OCSE 2007), che offre una panoramica dell’evoluzione del fenomeno OER e analizza le sfide che questo
pone per l’istruzione superiore, in termini di copyright, sostenibilità e modelli di business. È in questo
rapporto che, per la prima volta, viene notato come il rapido aumento dell’adozione delle OER da parte
delle università non fosse stato supportato a livello politico, e di come questo rischiasse di vanificare le
potenzialità delle OER stesse (Cinque 2015). In secondo luogo, viene coniato il termine Massive Open
Online Course (MOOC) per descrivere il corso Connectivism and Connective Knowledge progettato da George
Siemens e Stephen Downes dell’Università di Manitoba in Canada. Il corso, al quale si iscrivono soltanto
25 studenti dell’università, raggiunge 2.300 studenti online provenienti da tutto il mondo. Mancano
ancora cinque anni all’esplosione del fenomeno MOOC, ma il numero di studenti registrati fa notizia e il
concetto inizia a circolare. Infine, la creazione, da un’idea di due ex-dipendenti della multinazionale
dell’editoria educativa Pearson, di FlatWorld, un’impresa editoriale che si pone l’obiettivo di rendere libri
di testo di alta qualità alla portata di ogni studente. Pur non lavorando con licenze aperte e quindi non
producendo OER, FlatWorld introduce il concetto di prezzi equi per i libri di testo, con un approccio
attraverso cui gli studenti possano ricevere libri di testo in maniera gratuita in cambio del lavoro sugli
stessi libri dei loro docenti. Questa iniziativa, attiva ancora oggi, dimostra come il movimento stesse
iniziando ad esplorare possibilità legate non necessariamente all’adozione di licenze aperte bensì a nuovi
modelli di business in cui non siano gli studenti a dover pagare per l’accesso alle risorse.

Il 2008 registra molti avvenimenti importanti. Primo, l’Università di Oxford inizia a pubblicare OER,
rendendo disponibili migliaia di lezioni audio e video su iTunesU, la piattaforma per la raccolta di
contenuti didattici aperti di Apple. Anche questo è un passaggio epocale: vedere lezioni dell’Università di
Oxford, probabilmente l’ateneo più conservatore del pianeta, disponibili per il download gratuito con il
logo Creative Commons fa ancora oggi un certo effetto. Secondo, viene lanciato OER Africa, un progetto
dell’Istituto Sudafricano per l’Educazione a Distanza che mira a supportare le comunità OER locali in
tutto il continente africano, fornendo accesso a risorse aperte su temi come agricoltura, educazione
sanitaria e formazione degli insegnanti. Terzo: a dimostrazione di come il concetto di OpenCourseWare
fosse ancora importante per il movimento soprattutto negli Stati Uniti, viene creato l’OpenCourseWare
Consortium, che aggrega in pochi mesi 280 organizzazioni da 40 Paesi, con l’obiettivo di aumentare la
diffusione e l’impatto delle risorse open e di sviluppare modelli sostenibili per la loro pubblicazione e
fruizione. Oggi il consorzio, che nel frattempo ha cambiato nome in Open Education Consortium e poi in
Open Education Global, conta oltre 200 membri e organizza diverse attività tra cui spiccano la conferenza
OEGlobal, che nel 2019 ha avuto luogo a Milano, e la Open Education Week, una settimana dedicata a
promuovere l’Open Education attraverso eventi online e attività scientifiche e didattiche.

Il 2008 è anche l’anno dell’Edupunk. Nel maggio di quell’anno Jim Groom, allora instructional technologist
alla Mary Washington University negli Stati Uniti e figura centrale del movimento Open Education, usa

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per la prima volta il termine EduPunk nel suo blog per riferirsi a un’ideologia di insegnamento basata su
approcci fai da te (DIY – Do It Yourself in inglese), in opposizione all’atteggiamento prevalente di
impacchettare le tecnologie emergenti in prodotti standardizzati, primi tra tutti i Learning Management
Systems commerciali, che in quegli anni dominano il settore dell’eLearning universitario. Il concetto di
EduPunk, che crea immediatamente un dibattito sia nella blogsfera che si occupa di innovazioni
educative sia nei circoli scientifici, ha molti punti di contatto con l’Open Education, legati principalmente
al rifiuto dei libri di testo tradizionali e all’approccio dal basso nella co-creazione di contenuti partendo
dalle risorse disponibili sul web. Un esempio molto citato di Edupunk è il corso del 2008 della British
Columbia University “Murder, Madness and Mayhem: Latin American Literature in Translation”, che calza a
pennello anche come esempio di corso open, essendo infatti basato sulla creazione di articoli su
Wikipedia da parte degli studenti, revisionati e valutati da parte della stessa comunità di Wikipedia.

Questa fase si chiude, nel 2010, con il lancio della OER Universitas (OERu), che ad oggi rappresenta
probabilmente l’iniziativa di Open Education più avanzata in quanto a potenziale di cambiamento di
sistema. Nata dalla comunità Wikieducator e gestita dalla neozelandese OER Foundation capitanata da
Wayne Mackintosh, altro alfiere del movimento, l’OERu è un consorzio di università per la maggior parte
anglofone che offre corsi basati esclusivamente su OER strutturati attraverso percorsi accreditati dalle
università che fanno parte del consorzio. Grazie a un approccio che si basa tra l’altro sul lavoro volontario
di una comunità di tutor online, l’OERu è riuscita in pochi anni a offrire percorsi di laurea a costi
estremamente limitati rispetto alle università tradizionali, dimostrando che un modello di università
basata esclusivamente su risorse e su pratiche aperte è possibile (Mackintosh et al. 2014).

2011-2013: MOOC, MOOC, MOOC
Il primo decennio del duemila si chiude pieno di speranze per il movimento: i primi MOOCs di stampo
connettivista, il dibattito attorno all’EduPunk e l’esperimento dell’OERu fanno pensare che l’Open
Education possa mettere in discussione i sistemi educativi tradizionali attraverso approcci dal basso
capaci di scardinare i rapporti di potere tra università, industria dell’eLearning ed editori.
Sfortunatamente, la situazione è destinata a cambiare con l’arrivo dei primi xMOOC a partire dal 2011.
In quell’anno l’Università di Stanford lancia infatti tre corsi: uno su machine learning, uno sui database, che
gira su una piattaforma che rappresenterà le basi per Coursera, e uno dal titolo “Artificial Intelligence”,
sulla piattaforma che si sarebbe poi evoluta in Udacity (Ng e Widom 2014). Quest’ultimo corso,
comunemente citato come il primo xMOOC, raccoglie un totale di 160.000 registrazioni da parte di
studenti da tutto il mondo, corrispondente alla popolazione studentesca di una grande università
italiana. Oltre che per il grande successo di pubblico, questo corso è importante anche in quanto uno dei
docenti coinvolti, Sebastian Thrun, fonderà poco dopo Udacity, una startup che offre MOOC soprattutto
in area STEM (Science Technology Engineering and Mathematics) dedicati alle aziende, che dà inizio alla
commistione tra università prestigiose e imprese della Silicon Valley come Google e Amazon per la
produzione di corsi online con ambizione planetaria (Morozov 2013). Pochi mesi dopo viene lanciata
Coursera, impresa che gestisce quella che oggi è la piattaforma MOOC più usata del pianeta con 92
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milioni di utenti e 3.000 corsi tradotti in 30 lingue. Anch’essa fondata da due tra gli autori dei primi
MOOC, Andrew Ng and Daphne Koller, Coursera coinvolge università prestigiose come Princeton e Yale.
Su questa scia, nel 2011 il MIT annuncia la sua entrata nel mondo dei MOOC con il progetto MITX, che nel
2012 si trasformerà in edX, a cui si assoceranno le università di Harvard e di Berkeley, e che oggi è la
seconda più grande piattaforma MOOC del pianeta. A differenza di Udacity e Coursera, edX è un’impresa
no-profit basata su una piattaforma open-source, e per queste ragioni ha incontrato da subito l’interesse
di molte università a cui andavano stretti gli accordi proposti dalle piattaforme for profit, tanto che nel
2014 è stato creato l’xConsortium, attraverso cui università e altri stakeholder, da IBM a Amnesty
International alla Biblioteca di Alessandria, lavorano con una propria versione di edX.

                                   Figura 3 - MOOCs: ogni lettera è negoziabile

Tra il 2012 e il 2015 i MOOC appaiono sulle prime pagine dei giornali, con il New York Times che chiama il
2012 “The year of the MOOC” (Pappano 2012) e il rettore dell’Università di Stanford che parla di questi
corsi come di uno tsunami digitale che minaccia di spazzare via l’educazione universitaria così come la
conosciamo.

Anche se tra il 2011 e il 2012 i MOOC si prendono gran parte dell’attenzione della stampa e degli
specialisti, due altri sviluppi in questi anni meritano attenzione. Nel 2011 la Mozilla Foundation lancia il
progetto Open Badges, con l’obiettivo di creare uno standard per riconoscere l’apprendimento ovunque
avvenga, in contesti formali o informali. Grazie agli sforzi di una comunità che si è rapidamente creata
attorno al progetto, gli open badge hanno raccolto ampio interesse e una crescente adozione, e sono visti
da alcuni come un’innovazione capace di reinventare radicalmente il modo di riconoscere
l’apprendimento al di là dei sistemi di credenziali formali (Raffaghelli 2014). Nel caso dei badge,
l’aggettivo open si riferisce al fatto che questi strumenti consentono di verificare in modo trasparente le
competenze collegate ad ogni badge di una persona, favorendo la definizione delle competenze stesse e
quindi la fluidità del mercato del lavoro (Ahn et al. 2014). L’anno 2012 segna inoltre un passo importante

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per il movimento della conoscenza aperta, in quanto YouTube adotta le licenze Creative Commons,
dando la possibilità ai suoi utenti di scegliere, nel momento in cui caricano un video, di rilasciarlo oltre che
con la licenza YouTube standard con una licenza Creative Commons CC BY. Ecco come YouTube, il secondo
sito web più visitato al mondo dopo Google, che non per nulla lo ha acquistato nel 2006, presenta questa
possibilità nel suo blog: “Puoi trasmettere il tuo spirito creativo quando pubblichi il tuo video, scegliendo
l’opzione di rilasciarlo con una licenza CC-BY in modo che altri possano riutilizzare e remixare il tuo filmato con
l’Editor video di YouTube. È qui che inizia davvero il divertimento. Immagina di vedere i tuoi filmati usati da uno
studente a Mumbai, un regista a Città del Messico o un produttore di video musicali a Detroit. Consentendo ad
altre persone di giocare con i tuoi video, li lasci entrare in una sandbox globale, dando il via a una collaborazione
mondiale” (Casserly 2012).

Tra il 2012 e il 2013, sull’onda delle grandi piattaforme statunitensi, altri paesi iniziano ad equipaggiarsi
con le proprie piattaforme MOOC. Nel Regno Unito il consorzio FutureLearn viene lanciato come una rete
di undici università sotto il coordinamento della Open University e promuove un modello simile a quello
di edX, in cui le università producono i contenuti dei corsi e Futurelearn si occupa dell’aspetto tecnologico
e della promozione dei corsi attraverso il brand della piattaforma (Lester 2016). Nel tempo, Futurelearn si
è trasformato in un’impresa no-profit e ha siglato accordi con centinaia di università britanniche e
internazionali, compresa l’Università per Stranieri di Siena, nonché con altre istituzioni come il British
Council, il British Museum e la BBC. Anche in questo caso i numeri sono impressionanti, con un totale di
2.400 corsi e oltre diciassette milioni di studenti raggiunti. In Spagna, la piattaforma MiríadaX nasce da
una collaborazione tra l’impresa di telecomunicazioni Telefónica e la rete Universia della banca
Santander, con l’ambizione di coprire il mercato iberoamericano dell’educazione a distanza. Questa
iniziativa, dalla quale nel frattempo si è staccata la rete Universia, è ora promossa da Telefónica
Educación Digital ed è la più usata piattaforma di corsi MOOC in lingua spagnola con 105 università
partner, 690 corsi e oltre 4 milioni di studenti registrati. Nel 2013 viene lanciata in Francia la piattaforma
France Université Numérique (FUN), gestita inizialmente dal Ministero dell’Educazione con un
finanziamento di 8 milioni di Euro, ed ora trasformatasi in impresa pubblico-privata. La piattaforma, che
aspira a competere sul mercato globale specialmente nei paesi di lingua francofona, conta oggi 108
università partner e 500 corsi attivi. Nel 2018, FUN ha contribuito assieme al governo Marocchino alla
creazione della piattaforma MUN, Maroc Université Numérique, nata sia per favorire l’utilizzo dei corsi
FUN in Marocco sia per facilitare la creazione di corsi da parte delle stesse università marocchine.
Sempre nel 2013 nasce iversity, piattaforma di MOOC tedesca, che a differenza delle piattaforme
spagnola e francese ha sempre avuto un approccio relativamente globale, dimostrato dal fatto che offre
corsi in tedesco, inglese e francese e che ha diversi partner non tedeschi, tra cui la LUISS.

Il 2013 è anche l’anno dell’entrata dei paesi asiatici nel mondo MOOC. In India viene lanciato il National
Repository of Open Educational Resources (NROER), basato su una vasta raccolta di risorse educative,
MOOC inclusi, rilasciate con licenze CC-BY e promosso dal governo indiano. Uno degli aspetti più
interessanti del progetto è il multilinguismo: l’India ha infatti circa 30 lingue principali e il progetto mira a
creare una raccolta completa di materiali educativi in tutte queste lingue. Sempre nel 2013 entra in
campo la Cina, con la piattaforma XuetangX. La breve storia di questa piattaforma, promossa dalla
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BRICKS n.2 - 2022

Tsinghua University, dà un’idea di quanto dinamico e sia il settore dei MOOC nel paese: tra il 2016 e il
2018, la piattaforma ha messo in piedi collaborazioni con la SDG Academy delle Nazioni Unite per la
promozione di contenuti legati allo sviluppo sostenibile, con MiriadaX per la certificazione delle
competenze linguistiche in spagnolo, con l’Università di Lagos in Nigeria per consentire agli studenti
Nigeriani di accedere ai propri corsi, e con la piattaforma francese FUN per lo scambio di risorse. Nel
2020, è stata inoltre lanciata la versione internazionale della piattaforma in lingua inglese, con il piano di
aggiungere versioni in russo, spagnolo, francese e giapponese. In Giappone, sempre nel 2013, nasce
JMOOC, un’associazione senza scopo di lucro volta a promuovere i MOOC attraverso un processo di
certificazione di qualità dei MOOC, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei MOOC offerti dalle
piattaforme giapponesi.

L’entusiasmo per i MOOC fa nascere nel 2013 due iniziative che, nonostante la loro vita breve, hanno
fatto discutere. L’Open Education Alliance, lanciata da Udacity con l’idea di utilizzare i MOOC per migliorare
l’occupabilità degli studenti, aggrega attori del calibro di Google, AT&T, Khan Academy e Georgia Tech.
Nonostante i grandi nomi, il progetto non è riuscito nell’intento di collegare attraverso i MOOC il mondo
universitario con quello delle imprese, ed è stato chiuso un paio di anni dopo il lancio. Inoltre il progetto è
stato accusato da vari osservatori di essere un esempio di openwashing, in quanto, nonostante il nome,
non offriva realmente accesso a OER: “È tempo di chiamare queste false iniziative aperte per quello che sono
veramente. È tempo per noi di difendere e proteggere l’idea e il concetto di Open Education che sono così
importanti per migliorare l’accessibilità, la qualità e l’equità dell’istruzione nel mondo” (Wiley 2013). Sempre
nel 2013, Google ed edX lanciano il progetto mooc.org, una piattaforma di apprendimento con l’obiettivo
ambizioso di raggiungere persone e istituzioni in tutto il mondo grazie alla capillarità dei servizi Google. Il
progetto viene accolto favorevolmente all’interno del movimento Open Education, non soltanto per il
profilo delle organizzazioni coinvolte, ma per il potenziale, legato alla natura non-profit di edX, di
riportare i MOOC sulla strada giusta dopo la loro deriva commerciale (Weller 2013). Anche questa
iniziativa ha avuto vita breve, dimostrando come l’interesse dei giganti della Silicon Valley nei confronti
dei MOOC, legato anche alle grandi quantità di dati personali che questi possono offrire (Morozov 2016),
non sia ancora riuscito a concretizzarsi.

Abbiamo visto come negli anni 2012-2013 i MOOC siano il tema dominante del movimento Open
Education, e quante iniziative nazionali e internazionali siano nate attorno al concetto di MOOC in un
tempo relativamente breve. Proprio quando sembrava che questi corsi avrebbero definitivamente
spodestato le OER diventando il fulcro del movimento Open Education, le risorse aperte tornano al
centro del dibattito con il Primo Congresso Mondiale UNESCO sulle OER. Questo ha luogo a Parigi nel
2012, dieci anni dopo il conio del termine OER, e rappresenta un momento di raccolta delle forze di
quella parte del movimento Open Education che crede che i MOOC non possano né debbano
rappresentare il futuro del movimento, incluso qualcuno che sostiene che i MOOC non dovrebbero avere
cittadinanza nel movimento in quanto normalmente non rilasciano le risorse con licenze aperte. Il
Congresso si conclude con la Dichiarazione di Parigi sulle OER, che definisce le OER come “Materiali per
l’insegnamento, l’apprendimento e la ricerca su qualsiasi supporto, digitale o di altro tipo, che risiedono nel
pubblico dominio o sono stati rilasciati con una licenza aperta che ne consente l’accesso, l’uso, l’adattamento e
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Didattica della musica con il digitale

la ridistribuzione gratuiti senza restrizioni o restrizioni limitate” (UNESCO 2012). La dichiarazione è molto
importante in quanto contiene tutte le componenti che con più o meno enfasi saranno riprese dalle
successive promulgazioni e raccomandazioni UNESCO, mettendo sul tavolo quella che in ultima analisi è
oggi l’agenda politica delle OER: promuoverne la consapevolezza e l’uso, facilitare gli ambienti per l’uso
delle TIC, rafforzare lo sviluppo di strategie e politiche sulle OER, supportare lo sviluppo di capacità per lo
sviluppo sostenibile di materiali di apprendimento di qualità, promuovere alleanze strategiche,
incoraggiare lo sviluppo e l’uso di OER in diversi contesti linguistici e culturali, e incoraggiare la ricerca
sulle OER..

Nel 2013 si registra un importante sviluppo sul versante della ricerca sull’Open Education, con la nascita
del Global OER Graduate Network (GO-GN), una rete di dottorandi in tutto il mondo i cui progetti di ricerca
si occupano di Open Education, finanziata dalla Hewlett Foundation e gestita dall’OER Research Hub.
Attraverso questa rete, la comunità di giovani ricercatori è supportata da oltre duecento esperti e
supervisori in una comunità di pratica molto attiva.

2013-2019: cresce l’attenzione politica verso l’Open Education
Dal 2013 al 2019, mentre le piattaforme MOOC continuano a raccogliere un numero crescente di
studenti e ulteriori finanziamenti privati, il movimento torna a discutere di strategie di Open Education e
di OER. Sono questi gli anni in cui, grazie soprattutto alla spinta di organizzazioni come la Commissione
Europea e la stessa UNESCO, l’importanza dell’Open Education inizia a crescere sia a livello di politiche
pubbliche che di iniziative istituzionali.

Alla fine del 2013, dopo UNESCO e OCSE, anche la Commissione Europea sposa l’Open Education,
lanciando la Raccomandazione “Opening-up Education”, dove viene richiesto ai paesi membri dell’UE di
dedicare risorse e attenzione all’uso delle tecnologie digitali per sviluppare pratiche educative aperte e
inclusive (Commissione Europea 2013). La raccomandazione dà il via a una serie di politiche più o meno
strutturate in diversi paesi Europei, la più nota delle quali è Opening up Slovenia, un piano che coinvolge
tutte le università del paese così come altri stakeholder per iniziare un percorso di apertura del sistema
universitario nazionale. Da allora la Slovenia è stata spesso indicata come uno dei paesi leader del
movimento Open Education, tanto che come vedremo in seguito ha ospitato il Secondo Congresso
Mondiale sulle OER. L’afflato della Commissione Europea verso l’Open Education si riflette anche nella
creazione della piattaforma OpenUpEd, gestita dall’European Association of Distance Teaching Universities
(EADTU). Nata per raccogliere i MOOC prodotti autonomamente dalle università che fanno parte della
rete EADTU, tra cui l’Italiana UniNettuno, OpenUpEd si basa su un accordo secondo cui i MOOC che
promuove, per quanto ospitati dalle singole università, devono rispettare una serie di caratteristiche
comuni: approccio centrato sullo studente, apprendimento indipendente, supporto all’interazione,
possibilità di riconoscimento dei crediti, attenzione alla qualità e alla diversità degli studenti (Mulder e
Jansen 2015). OpenUpEd è nata per rappresentare una sorta di via europea ai MOOC, ma non ha
ottenuto il successo sperato, forse perché non si è mai veramente aperta al di là della rete EADTU, e a

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tutt’oggi consiste di 16 partner e 200 corsi, numeri molto minori rispetto a piattaforme come FUN o
MiriadaX.

In questi stessi anni, la Commissione Europea incarica uno dei suoi centri di ricerca, nello specifico il Joint
Research Centre (JRC) di Siviglia, di svolgere una serie di studi sul tema dell’Open Education. Da allora il
JRC ha prodotto rapporti importanti per capire come i diversi paesi europei stanno affrontando temi
come la promozione delle OER o l’accreditamento di competenze ottenute attraverso percorsi educativi
aperti non formali. Un importante contributo del JRC è l’OpenEd Framework del 2014, che presentiamo
nella figura 4. Questo quadro concettuale propone dieci dimensioni suggerendo che tutte queste
dovrebbero essere prese in considerazione dagli interventi di Open Education, mettendo in chiaro che le
OER, per quanto siano una condizione spesso necessaria alle pratiche open e per questo siano
trasversali rispetto a tutte le dimensioni, sono in ultima analisi una delle molteplici leve dell’Open
Education, a fianco ad altre spesso sottovalutate come strategia e leadership.

                        Figura 4 - Il Framework OpenUpEd. Autore: Joint Research Centre 2014

In questo periodo, anche fuori dall’Europa diversi governi lanciano iniziative legate all’Open Education.
Nell’autunno 2015 il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti annuncia una serie di iniziative a
sostegno dello sviluppo di OER, incluso un regolamento che obbliga a rilasciare qualsiasi contenuto
prodotto con una sovvenzione del Dipartimento del Lavoro con una licenza Creative Commons. Gli Stati
Uniti non sono soli: secondo un sondaggio svolto dall’OCSE nel 2015, sono ben 25 i paesi che dichiarano
di avere una politica a supporto della produzione e dell’uso OER, tra cui Brasile, Cina e Indonesia.

Nel 2016 viene lanciato negli Stati Uniti un progetto, in qualche modo simile alla OERu, per creare ed
offrire corsi universitari basati interamente su OER: Achieving the Dream. Finanziato tra gli altri dalla
multinazionale dell’eLearning Blackboard, il progetto aggrega trentotto community colleges di tredici stati
americani, con l’obiettivo di dotare ogni college degli Stati Uniti di un proprio corso di studio basato su
188
Didattica della musica con il digitale

OER. L’iniziativa, pur avendo perso il suo focus sulle OER e occupandosi oggi di inclusione educativa in
generale, è riuscito ad aggregare 277 community colleges in 45 stati americani raggiungendo oltre 4
milioni di studenti svantaggiati.

Il 2016 è anche l’anno in cui l’Italia, con un po’ di ritardo rispetto agli altri grandi paesi europei, si dota di
una piattaforma MOOC nazionale, EduOpen. Nonostante l’assenza di molti grandi atenei italiani, che
hanno fatto scelte diverse per quanto riguarda i MOOC, EduOpen rappresenta certamente un importante
sviluppo, soprattutto in quanto, diversamente da piattaforme MOOC più grandi come FutureLearn o
MiriadaX, adotta un approccio realmente aperto ai MOOC, rilasciando tutti i propri contenuti come OER e
favorendo la creazione di percorsi formativi composti da MOOC delle diverse università partner.

Sempre nel 2016, le principali piattaforme europee (OpenUpEd, FutureLearn, MiriadaX, FUN e EduOpen)
si associano nell’European MOOCs Consortium (EMC), che raggruppa circa 250 università e oltre 1000
corsi (Fontanin e Pantò 2019). Questo gruppo mira a influire sulla politica Europea verso i MOOC, e nel
2008 ha pubblicato un position paper per spingere l’integrazione dei MOOC nei processi educativi formali
(European MOOCs Consortium 2018).

Arriviamo al 2017, anno in cui si svolge il Secondo Congresso Mondiale UNESCO sulle OER organizzato
assieme al governo della Slovenia. Il congresso crea molta attesa e in effetti riunisce 500 rappresentanti
da oltre 100 paesi tra cui trenta rappresentanti governativi, ma non riesce a coinvolgere i governi di paesi
chiave come per esempio gli Stati Uniti. Il principale risultato del Congresso è il Piano d’azione OER di
Lubiana, che mette lo sviluppo di risorse e pratiche aperte al centro del cambiamento necessario verso
sistemi educativi più inclusivi e innovativi, riconoscendo apertamente il ruolo delle OER per il
raggiungimento del quarto obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite
“Garantire un’istruzione inclusiva e di qualità per tutti e promuovere l’apprendimento
permanente” (Nazioni Unite 2015).

                          Figura 5 - Il Secondo Congresso Mondiale per le OER. Fonte: UNESCO

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BRICKS n.2 - 2022

A parte questa dichiarazione, il merito del Congresso è stato quello di iniziare un processo che ha
portato, nei due anni seguenti, l’UNESCO a lavorare assieme a un gruppo di stakeholder come
CreativeCommons e il Commonwealth of Learning, alla preparazione di una Raccomandazione UNESCO
sulle OER. Questa Raccomandazione, che è stata approvata all’unanimità durante la quarantesima
Conferenza Generale dell’UNESCO nel novembre 2019, conferma gli obiettivi del movimento Open
Education: sviluppare la capacità di tutti gli attori coinvolti nell’uso e la distribuzione di OER, appoggiare
politiche a supporto delle OER, incoraggiare lo sviluppo di OER inclusive e di qualità, favorire la creazione
di modelli sostenibili per la produzione di OER e infine facilitare la cooperazione internazionale nel tema
OER. La Raccomandazione si inserisce nel filone iniziato con la Dichiarazione di Cape Town del 2007 e
proseguito con la Dichiarazione di Parigi del 2012, e non apporta grandi novità per quanto riguarda il
concetto di OER, che definisce come “Materiali didattici, di apprendimento e di ricerca su qualsiasi
supporto che possono essere composti da materiali protetti da copyright rilasciati con una licenza
aperta, materiali non protetti da copyright, materiali per i quali è scaduta la protezione del copyright o
una combinazione di queste condizioni” (UNESCO 2019). La rilevanza della Raccomandazione è da
cercare piuttosto nel fatto che ha rappresentato il punto di partenza per una discussione strutturata sul
tema OER, durante la quale diversi stakeholder si stanno confrontando su temi come il miglioramento
delle licenze aperte, la necessità di sostenere la traduzione delle OER in lingue minoritarie o l’adozione di
standard di privacy nelle piattaforme OER. La punta dell’iceberg di questa discussione è la cosiddetta
Dynamic Coalition, un gruppo di organizzazioni che si è riunito attorno all’UNESCO per supportare
l’attuazione della raccomandazione e per vigilare sulla sua effettiva adozione nei paesi membri. I partner
della coalizione sono il Commonwealth of Learning, Creative Commons, il Consiglio internazionale per
l’educazione aperta e a Distanza (ICDE), il consorzio Open Education Global, la Commissione nazionale
slovena per l’UNESCO e SPARC, una ONG che si occupa di Open Knowledge. È ancora presto per dire se
questa coalizione riuscirà a sfruttare l’impulso dato dalla Raccomandazione OER dell’UNESCO, aiutando i
governi ad adottare la raccomandazione nel miglior modo possibile, ma i presupposti fanno ben sperare.

2020-2022: la tempesta COVID
L’emergenza COVID-19 e il relativo blocco della didattica presenziale hanno avuto due principali effetti
sul movimento Open Education. In primo luogo, hanno portato a un aumento senza precedenti
dell’attenzione verso l’educazione a distanza sia in ambito formale che informale (Trentin 2020), a
beneficio anche delle piattaforme MOOCs e OER. Un dato su tutti: durante il mese di Marzo 2020,
Coursera ha registrato oltre dieci milioni di iscrizioni ai propri corsi, con un aumento del 650% rispetto allo
stesso mese dell’anno precedente. In secondo luogo, soprattutto a causa delle disuguaglianze educative
che l’emergenza ha messo in evidenza (Murphy 2020), le OER e gli approcci open, così come ogni pratica
che possa favorire l’accesso degli studenti, sono state spesso chiamate in causa. In questo senso,
possiamo citare alcune iniziative internazionali che dimostrano come il movimento Open Education si sia
effettivamente mobilitato in questo periodo. L’UNESCO ha lanciato una chiamata alle armi dal titolo
“Support learning and knowledge sharing through OER worldwide”, per coinvolgere governi e imprese nella

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Didattica della musica con il digitale

promozione dell’uso delle OER, la OERu ha lanciato l’iniziativa OER4Covid, che ha messo in campo corsi
di formazione gratuiti per insegnanti su come utilizzare licenze e risorse aperte, e l’International Council
for Open and Distance Education ha lanciato l’iniziativa Learning together, promuovendo approcci aperti e
inclusivi basati su OER. Attorno a queste iniziative internazionali, un gran numero di università e altri
istituti educativi hanno promosso l’uso e il riuso di risorse educative aperte per facilitare il passaggio a
modalità di educazione a distanza. E’ difficile dire se queste iniziative avranno l’effetto di posizionare le
OER al centro - o comunque non in una posizione periferica - nel “new normal” che i sistemi educativi in
tutto il mondo stanno disegnando. Certo è che nel momento in cui approcci ibridi all'insegnamento
diventeranno in qualche modo la norma, la domanda su come co-produrre e co-aggiornare le proprie
risorse didattiche potrebbe trovare risposte basate sulla collaborazione attorno a risorse aperte, con un
beneficio non solo in termini di risparmio di tempo e denaro ma anche - come ampliamente dimostrato
da anni di ricerca - di innovazione pedagogica.

Conclusioni: alcune lezioni per il sistema italiano dell’Open Education
Nonostante in Italia manchi, a differenza di paesi vicini come la Francia o la Germania, una visione politica
sull’Open Education supportata da investimenti adeguati, l’ecosistema italiano dell’open education è
piuttosto attivo e composto da diversi attori dei sistemi scolastico, universitario e dell’apprendimento
informale (si vedano Fini 2012, Lepore e Vellani 2017, Nascimbeni 2020, Fontanin e Pantò 2019, Uggeri
2014). L’assenza di una visione politica assieme a questa eterogeneità ha portato a sviluppi molto
diversi: da un lato per esempio la piattaforma MOOC italiana, EduOpen, è decisamente più open rispetto
alle piattaforme di altri paesi europei (Goglio e Nascimbeni 2021); dall’altro il governo non è stato in
grado, durante l’emergenza COVID, di dare indicazioni alle scuole per l’adozione di piattaforme open
source per la didattica a distanza, nonostante le raccomandazioni di molte realtà legate all’open
knowledge come la rete Open Education Italia (Open Education Italia 2021).

In questo momento in cui la gran parte dei sistemi educativi stanno lavorando per disegnare il new
normal post-pandemia, è utile riflettere su cosa la storia del movimento Open Education presentata in
questo articolo possa insegnare ad un paese come l’Italia. Se l’esperienza della DAD durante il periodo di
isolamento ha mostrato chiaramente, in Italia così come altrove, come un sistema di insegnamento
ibrido debba prestare attenzione alle disuguaglianze sociali ed educative di una parte della popolazione,
la storia dell’Open Education, soprattutto se guardiamo a sistemi di digital education più maturi di quello
italiano come per esempio quello degli Stati Uniti, mostra come l’Open Education possa contribuire a
chiudere questo divario, principalmente se vengono privilegiati approcci dal basso. Inoltre, ricordiamo
come il sistema MOOC italiano rappresenti, per quanto riguarda sia la piattaforma multi-università
EduOpen che altre università come il Politecnico di Milano, un esempio di corsi massivi basati su licenze
aperte che andrebbe valorizzato a livello internazionale. La sfida rimane quella di passare dalle molte
iniziative esistenti, che vanno dalle iniziative individuali di docenti volenterosi fino ai tavoli di discussione
della CRUI (Nascimbeni 2020), a un vero sistema dell’Open Education in Italia, dotato di una visione

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BRICKS n.2 - 2022

comune e di una serie di obiettivi a medio termine. Per fare questo passo decisivo, un’occasione molto
importante è rappresentata dai fondi del PNRR per la transizione digitale, che in ambito scolastico ed
universitario potrebbero diventare un volano,               senza necessariamente dover lanciare un politica
nazionale sull’Open Education, per rendere l’open parte integrante dei sistemi educativi e formativi del
nostro paese, con un beneficio sistemico sia in termini di inclusione che di innovazione.

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