ATTIVITÀ ILLEGALI NELLA GESTIONE DELLE RISORSE FORESTALI IN ITALIA
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ATTIVITÀ ILLEGALI NELLA GESTIONE DELLE RISORSE FORESTALI IN ITALIA With support from the Prevention of and Fight against Crime Programme of the European Union European Commission - Directorate-General Home Affairs. This publication reflects the views only of the author, and the European Commission cannot be held responsible for any use which may be made of the information contained therein
ATTIVITÀ ILLEGALI NELLA GESTIONE DELLE RISORSE FORESTALI IN ITALIA • ATTIVITÀ ILLEGALI NELLA GESTIONE DELLE RISORSE FORESTALI IN ITALIA •AZIONI E STRUMENTI DI CONTRASTO ALLE ATTIVITÀ ILLEGALI NELLA GESTIONE DELLE RISORSE FORESTALI IN ITALIA: ESEMPI DI BEST PRACTICES E LINEE GUIDA A cura di D.Pettenella, D.Florian, M.Masiero, L.Secco (Dip. TeSAF Università di Padova)
PARTNER FCRE - Fondazione Culturale Responsabilità Etica fondazione@bancaetica.org - www.fcre.it BANCA POPOLARE ETICA www.bancaetica.it ARCI LOMBARDIA www.arcilombardia.it C.d.I.E - Centro di Iniziativa Europea Soc. Coop. www.cdiecoop.it ASSOCIAZIONE SAVERIA ANTIOCHIA OMICRON www.omicronweb.it Gruppo FSC-Italia c/o Dip. TeSAF Università di Padova www.fsc-italia.it FSC-ITA-0093 TESAF Dipartimento Territorio e Sistemi Agro - Forestali Università degli Studi di Padova www.tesaf.unipd.it VALORE SOCIALE www.valoresociale.it CON IL CONTRIBUTO DI FILCA CISL www.filca.cisl.it
ATTIVITÀ ILLEGALI NELLA GESTIONE DELLE RISORSE FORESTALI IN ITALIA
SOMMARIO o studio si concentra su due diversi campi di indagine: il settore foresta- L le, inteso come le attività direttamente legate alla gestione dei boschi, e la filiera foresta-legno. In crescita dalla fine degli anni ‘40, la superficie fore- stale italiana totale ammonta a 10.467.537 ettari (ha), pari a circa il 34,7% dell’intero territorio nazionale. Quasi due terzi (63,5%) della superficie delle foreste è di proprietà privata, il 32,4% appartiene allo Stato (enti locali in particolare). Nel comparto delle utilizzazioni boschive sono atti- ve 3.164 imprese, per un totale di 6.617 addetti. Le imprese italiane del settore legno-arredo sono 73.548, per un totale di 389.646 addetti e un fatturato com- plessivo di 32,8 miliardi di euro. La prima legge italiana a disciplina delle foreste risale al 1923 (Legge Serpieri), mentre il Titolo V della Costituzione assegna alle Regioni parte delle competenze in materia di agricoltura del settore forestale. La Legge Galasso (L. 431/1985), in seguito rivista e inclusa nel Testo Unico Ambientale (D.Lgs 231/2001), ha istituito poi il "vincolo paesaggistico". Il 7 luglio 2011, il Consiglio dei Ministri ha approvato un Decreto legislativo per l’attuazio- ne della Direttiva Comunitaria 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente. La normativa internazionale regolamenta infine il commercio delle specie selvatiche e si propone di contrastare quello di legno illegale. L’organo istituzionale cui spetta la prevenzione e il controllo in campo forestale in Italia è il Corpo Forestale dello Stato (CFS), fondato nel 1948 e composto oggi di circa 8.500 unità. Importante, inoltre, l’azione di numerosi soggetti della società civile come le organizzazioni ambientaliste e non solo.La ricerca si basa sia su fonti primarie, ovvero interviste dirette a cinque funzionari del CFS, che su fonti secondarie, come banche dati, testi normativi, materiale del CFS e varie altre pubblicazioni. Nell’indagine si distinguono tre macrocategorie di illeciti. L’illegalità storica (1) fa riferimento a tutte quelle forme di illegalità maggiormente note e da tempo con- solidate nel paese: tra queste, soprattutto gli incendi boschivi. Nell’ultimo decennio in Italia se ne sono osservati, in media, più di 7.200 all’anno, su una superficie di oltre 80.000 ha con un aumento dell’incidenza di quelli dolosi: dal 49% del totale registrato nel 1999 al 60% evidenziato dagli ultimi dati rilevati. Diffusi poi gli illeciti amministrativi rispetto ai tagli boschivi, mentre non mancano fenomeni illegali nei prelievi di legna da ardere, attività quest’ultima caratterizza- ta da scarsa trasparenza e da una incongruenza dei dati tra cifre ufficiali e stime avanzate da altri studi. A completare il quadro, anche l’abusivismo edilizio, la presenza di discariche illegali di rifiuti, il pascolo illecito, i reati di bracconaggio e traffico di specie di fauna e flora protette e le frodi nel campo della gestione degli incentivi pubblici. Quanto all’illegalità dimenticata (2), si segnalano il lavo- ro irregolare (in termini di contratti e rispetto della sicurezza dei lavoratori stessi, in particolare nei cantieri forestali) e l’importazione/commercializzazione di legname di provenienza illegale. Tra i fenomeni emergenti delle nuove illegalità (3) si segnalano il riciclaggio di denaro “sporco”, ad esempio tramite la vendita di lotti boschivi, e il commercio “in nero” degli imballaggi in legno (pallet). Al di fuori del comparto del legno, fenomeni di illegalità nel settore forestale interes- sano anche la raccolta e commercializzazione di funghi e tartufi, la coltivazione di cannabis indica e i rischi di frodi commerciali nella vendita di investimenti forestali per la compensazione dei crediti di Carbonio nel cosiddetto mercato volontario. In base ai risultati della ricerca, e pur nei limiti della disponibilità di dati parziali, possiamo stimare un valore complessivo delle attività illegali nel set- tore forestale italiano compreso tra 1.379,9 e 3.450,3 milioni di euro. In prima fila l’importazione illegale di legno, che rappresenta il 66,7-77,7% del valore del fenomeno illegale nel suo complesso; al secondo posto gli incendi, che incido- no mediamente fino al 15,6%; al terzo posto, l’evasione fiscale collegata al com- mercio irregolare di pallet (fino al 11,5% del valore totale). Alla luce del quadro tracciato, che descrive un sistema con evidenti e ampie zone grigie o manifestamente illegali, è auspicabile l’adozione di buone prassi a cominciare da una maggiore attenzione e trasparenza nella spesa pubblica. Fondamentale, inoltre, il rispetto delle norme sulla salute e sicurezza del lavoro e una più rapida implementazione delle disposizioni comunitarie.
INDICE 1. LA RICERCA 1 1.1 IL CAMPO DI STUDIO 1 1.1.1 IL SETTORE FORESTALE ITALIANO 1 1.1.1 IL SETTORE FORESTALE ITALIANO 2 1.1.2 FILIERA FORESTA-LEGNO 4 1.2 REATI E ILLECITI: NORMATIVA DI RIFERIMENTO 7 1.2.1 NORMATIVA NAZIONALE E REGIONALE 7 1.2.2 NORMATIVA INTERNAZIONALE 7 1.3 ISTITUZIONI DI CONTROLLO 8 1.3.1 IL RUOLO DELLA SOCIETÀ CIVILE 9 2 METODOLOGIA DI RICERCA E FONTI INFORMATIVE 9 3 RISULTATI 9 3.1 NATURA E DINAMICHE DEI FENOMENI DI ILLEGALITÀ INDAGATI 9 3.1.1 ILLEGALITÀ STORICA 9 3.1.2 ILLEGALITÀ DIMENTICATA 12 3.1.3 NUOVA ILLEGALITÀ 13 3.2 LE DIMENSIONI DEI FENOMENI DI ILLEGALITÀ INDAGATI 14 3.3 ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE 15 BIBLIOGRAFIA 16 ALLEGATI 19 NOTE 21
1 LA RICERCA 1.1 IL CAMPO DI STUDIO Lo studio si concentra su due insiemi, il settore forestale, inteso come le attività direttamente legate alla gestione dei boschi, e la filiera foresta-legno, ovvero la “catena di valore” che colle- ga le attività economiche in bosco con quelle di lavorazione dei prodotti forestali (in primis il legname) fino al consumatore finale. 1.1.1 IL SETTORE FORESTALE ITALIANO La superficie forestale italiana è andata soggetta, a partire dalla fine degli anni ’40, a processi di gra- duale e continua espansione. Secondo le stime dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio (INFC)1 (2007) la superficie forestale nazionale totale ammonta a 10.467.537 di ettari (ha)2, pari a circa il 34,7% dell’intera superficie nazionale. Tale valore deriva dalla somma dei dati relativi a due distinte macrocategorie: “Bosco” e “Altre terre boscate”3 . La macrocategoria “Bosco”, con un’estensione stimata pari a 8.759.200 ha, costituisce l’84% della superficie complessiva, coprendo il 29% dell’intero territorio nazionale. All’interno di questa macrocategoria, oltre il 98% della superficie e_ rappresentato da Boschi (cedui e fustaie), mentre gli impianti artificiali di Arboricoltura da legno ammontano a 122.252 ha, corrispondenti allo 0,4% della superficie territoriale nazionale. Infine la superficie delle “Aree temporaneamente prive di soprassuolo” e_ stata stimata pari a 53.981 ha (0,2 % del territorio italiano). La distribuzione della superficie forestale sul territorio italiano è riportata nella seguente tabella. TABELLA 1.1 – SUPERFICIE FORESTALE ITALIANA (HA) PER REGIONI E PER MACROCATEGORIE Altre terre Regione Bosco (1) Totale (1) + (2) % boscate (2) Abruzzo 391.492 47.099 438.591 4,2 Alto Adige 336.689 35.485 372.174 3,6 Basilicata 263.098 93.329 356.427 3,4 Calabria 468.151 144.781 612.932 5,9 Campania 384.395 60.879 445.274 4,3 Emilia Romagna 563.263 45.555 608.818 5,8 Friuli Venezia Giulia 323.832 33.392 357.224 3,4 Lazio 543.884 61.974 605.858 5,8 Liguria 339.107 36.027 375.134 3,6 Lombardia 606.045 59.657 665.702 6,4 Marche 291.394 16.682 308.076 2,9 Molise 132.562 16.079 148.641 1,4 Piemonte 870.594 69.522 940.116 9,0 Puglia 145.889 33.151 179.040 1,7 Sardegna 583.472 629.778 1.213.250 11,6 Sicilia 256.303 81.868 338.171 3,2 Toscana 1.015.728 135.811 1.151.539 11,0 Trentino 375.402 32.129 407.531 3,9 Umbria 371.574 18.681 390.255 3,7 Valle d'Aosta 98.439 7.489 105.928 1,0 Veneto 397.889 48.967 446.856 4,3 Totale 8.759.202 1.708.335 10.467.537 100,0 Fonte: INFC, 2007. Ns. elaborazione. 1
1.1.1 IL SETTORE FORESTALE ITALIANO La proprietà privata (63,5%) prevale su quella pubblica (32,4%)4. Tra le forme di proprietà priva- ta prevale in maniera netta (79%) quella individuale, mentre i restanti boschi privati appartengono per il 6,2% a società e imprese e per il 4,5% ad altri enti privati. Riguardo alla proprietà pubblica, prevale il ruolo di Comuni e Province (65,5%), seguiti dal Demanio statale e regionale (23,7%), mentre solo l’8,3% delle superfici appartiene ad altri enti pubblici. I dati medi di superficie sono fortemente influenzati dalla diffusione delle piccole aziende: quelle con ampiezza inferiore ai cinque ettari costituiscono quasi il 60% del totale, anche se arrivano a coprire solo il 6,4% della superficie boscata complessiva. La superficie media delle aziende con superficie inferiore a cin- que ettari è pari a 0,76 ettari. E’ lecito supporre che molte di esse non siano gestite oppure lo siano in modo del tutto saltuario (APAT, 2003; Pettenella e Masiero, 2007). Le difficili condizioni oro- grafiche costituiscono una delle principali ragioni del processo di abbandono gestionale. Poco meno del 60% della superficie boscata si trova in zone montane (ISTAT, 2005; INFC, 2007) men- tre solo il 5% ricade in aree di pianura5 (ISTAT, 2005) dove prevalgono pioppeti specializzati e altri impianti da arboricoltura da legno. La forma di gestione più diffusa è il ceduo (42% dei Boschi ita- liani) (boschi di latifoglie tagliati per la produzione di paleria e legna da ardere); i boschi di alto fusto (conifere o latifoglie tagliate soprattutto per la produzione di legname da industria) rappre- sentano il 36% del totale. In entrambe i casi, prevalgono soprassuoli invecchiati proprio a causa dei fenomeni di abbandono. Gli habitat forestali caratterizzano la maggior parte delle aree natu- rali protette istituite ai sensi della L. 394/19991, e buona parte dei siti NATURA 2000 individuati ai sensi delle Direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE (MIPAAF-MATTM, 2008). Oltre a ciò, il 27,5% della superficie forestale nazionale (2.876.451 ha), per lo più rientrante nella macrocategoria Bosco, risulta tutelato da un vincolo naturalistico. In termini strettamente finanziari6, il valore del settore forestale italiano risulta piuttosto limitato, equivalendo allo 0,05% del Prodotto Interno Lordo (PIL) nazionale (Merlo e Croitoru, 2005). La produzione forestale primaria nazionale (materie prime legnose) assomma, come valore medio nell’ultimo ventennio, a poco più dell’1% della produ- zione totale del settore primario7, raggiungendo un valore di 1,45% se la si valuta in termini di valo- re aggiunto (MIPAAF-MATTM, 2008). Sebbene l’INFC classifichi l’81% della superficie forestale nazionale (8.510.104 ha) come potenzialmente utilizzabile per prelievi di legname, solo una parte di tale superficie e della massa legnosa8 presente è effettivamente oggetto di prelievi. Le attività di utilizzazione boschiva, in base ai dati registrati dall’ISTAT e pubblicati da Eurostat, sono molto contenute e, dai primi anni ‘80, sono caratterizzate da un trend negativo per la componente dei prelievi di legname da industria, compensato da un trend positivo per quella relativa alla legna ad uso energetico (Figura 1.1). Si stima che nel 2009 siano stati prelevati 4,9 M m3 di legna da arde- re (65,7% dei prelievi totali) (Pettenella e Andrighetto, 2011) e che tali prelievi siano in aumento in questi ultimi anni, portando così il settore verso una despecializzazione produttiva (produzio- ne di legname di minor valore). In prospettiva futura, i prelievi di biomassa a fini energetici sem- brano destinati a rappresentare ancora il mercato di riferimento sia in termini relativi, che assoluti. FIGURA 1.1 – PRELIEVI FORESTALI IN ITALIA (M3), 1950-2008 Fonte: Istat, anni vari. Ns. elaborazione. 2
Se è vero che tradizionalmente si riconosce al bosco una funzione primaria di tipo produttivo, associandola in particolare alla produzione di prodotti legnosi, è tuttavia innegabile che, su scala locale e nelle politiche di svi- luppo rurale, un ruolo economico crescente e_ ricoperto dai servizi e dai prodotti forestali non legnosi9. Tra que- sti vanno ricordati ad esempio la caccia e la raccolta di funghi spontanei, attività che avvengono in Italia attraver- so il rilascio e la vendita di licenze, permessi di raccolta e patentini d’idoneità, raggiungendo un valore econo- mico consistente10. Con riferimento alla dimensione occupazionale, a fronte di una generale mancanza di stati- stiche ufficiali di dettaglio, l’Ottavo Censimento Generale dell’Industria (ISTAT, 2001) indica in 3.164, per un tota- le di 6.617 addetti, il numero delle imprese attive nel comparto delle utilizzazioni boschive. Si tratta di imprese di piccolissime dimensioni (2 addetti/impresa in media), prevalentemente a conduzione famigliare e scarsa- mente dotate di macchinari. Rispetto al Censimento precedente (1990) gli addetti sono quasi dimezzati, a fron- te di un numero di imprese leggermente inferiore. L’attività delle imprese di utilizzazione a fini commerciali di legname (ditte boschive) non è tuttavia l’unica nel settore; oltre a questa, gli operatori forestali possono collocarsi in altre due categorie di attività (tabella 1.2). TABELLA 1.2 – PRINCIPALI CATEGORIE DI ATTIVITÀ PER GLI OPERATORI FORESTALI ITALIANI Dimensioni Attività Professionalità Sicurezza Regolarità Altro settore prevalente e produttività Operai forestali alle dipendenze dirette di enti pubblici Diverse decine di Manutenzione e Impieghi non ad alto Problematiche Inquadramento Prevalenza nelle amministrazioni, miglioramento dei grado di limitate in ragione contrattuale regolare regioni del Sud 65-70.000 operai soprassuoli, professionalità e del preciso quadro (85-92% del totale), rimboschimenti, rischio: produttività di responsabilità dei in particolare Sicilia antincendio spesso limitata datori di lavoro (30.000 operai) e Calabria (11.200). Forte presenza manodopera stagionale, anche di età media superiore. Presenza femminile più accentuata rispetto agli altri ambiti. Cooperative forestali 500 imprese, Manutenzione e Condizioni molto Condizioni simili a Inquadramento Presenza significativa 4-6.000 addetti miglioramento dei eterogenee i quelle della contrattuale di di giovani lavoratori. soprassuoli, relazione ai settori categoria norma regolare, ma Prevalenza di rimboschimenti, taglio di lavoro. In genere precedente, ma i influenzato dai impiegati a tempo ed esbosco più elevate ritmi di lavoro più volumi di lavoro e determinato rispetto alla categoria elevati implicano dalle condizioni (stagionali) precedente maggiori livelli di operative delle rischio singole imprese Ditte boschive 8-9.000 unità locali, Taglio ed esbosco Condizioni variabili Lavoro spesso con- Ampie e crescenti Assenza di lavoratrici. 6-7.000 delle quali in relazione al datore dotto non nel rispet- dimensioni de Senilizzazione degli specializzate; di lavoro to delle norme, in lavoro irregolare, operatori italiani. 24-28.000 operai (pubblico/privato) e condizioni di alta anche mediante Scarsi o nulli livelli di professionali ai contesti di lavoro incidenza ricorso controllo pubblici affiancati da un (fustaia/ceduo) degli infortuni. (sfruttamento) a delle condizioni di numero imprecisato manodopera lavoro di addetti non extracomunitara professionali Fonte: Ns. elaborazione da Pettenella e Secco, 2004 e Manzato, 2004. Tra le altre figure professionali presenti si segnalano liberi professionisti, terzisti e vivaisti. Ad oggi operano in Italia circa 200 vivai forestali pubblici, quasi sempre inadeguati per dimensioni (2 ha in media), dotazione infrastrutturale, ed altro ancora, mentre si rileva lo sviluppo di vivaistica forestale privata. Va comunque detto che la capacità produttiva del comparto italiano resta, per qualità e prezzi, incapace di competere con la con- correnza straniera. Nel settore forestale italiano si evidenzia una concentrazione dell’offerta sui prodotti a basso valore (legna da ardere) legati a forme di autoconsumo o di consumo locale, in mercati per loro natura meno trasparenti, più facilmente caratterizzati da lavoro irregolare e da transazioni informali, in violazione delle norme fiscali e sulla tutela del lavoro. 3
1.1.2 FILIERA FORESTA-LEGNO La filiera foresta-legno è intesa come l’insieme di tutte le attività che vanno dalla produzione (impianti arborei e foreste) e utilizzazione del legname, alla sua trasformazione in prodotti semi- lavorati, per giungere infine alla produzione del prodotto finito e alla sua commercializzazione al pubblico (Brun e Magnani, 2003). Secondo i dati consuntivi riferiti al 2010 diffusi dall’Ufficio Studi Cosmit/FederlegnoArredo, le imprese italiane del settore legno-arredo sono 73.548, per un totale di 389.646 addetti. Il settore legno-arredo costituisce uno degli assi portanti del Made in Italy, con un fatturato complessivo di 32,8 miliardi di Euro (nel 2010) ed un volume della pro- duzione che incide per il 6% sul totale dell’industria manifatturiera italiana (tabella 1.3). TABELLA 1.3 – DATI CONSUNTIVI DEL SETTORE LEGNO-ARREDO ITALIANO, DICEMBRE 2009 E 2010, VARIAZIONI ANNI PRECEDENTI (MILIONI DI EURO, PREZZI CORRENTI) 2009 2010 Variazione Variazione Variazione Variazione % % % % 2009-10 2009-08 2009-07 2009-06 Fatturato alla produzione (a) 32.856 33.496 1,9% -18,2% -5,6% 4,5% Esportazioni (b) 10.925 11.628 6,4% -21,9% -2,0% 8,4% Importazioni (c) 4.244 5.059 19,2% -19,1% -8,6% 9,6% Saldo (b - c) 6.681 6.568 -1,7% -24,0% 5,9% 6,9% Consumo interno apparente 25.944 26.712 3,0% -16,8% -7,8% 4,0% Export/fatturato (% b/a) 33,2% 34,7% 4,4% - - - Addetti 396.964 389.646 -1,8% -3,1% -0,6% 0,3% Imprese 73.618 73.548 -0,1% -2,4% -2,8% -2,4% Fonte: Ns. elaborazione da Pettenella e Secco, 2004 e Manzato, 2004. Il settore è principalmente basato su piccole e medie imprese (PMI), prevalentemente artigiane (88% quelle del legno, 80% circa quelle dei mobili), con cultura orientata alla produzione e per lo più bassi investimenti in ricerca e sviluppo. I maggiori vantaggi competitivi sono legati alla qualità del design e alla flessibilità offerta dai distretti industriali specializzati. Il consumo di legname di alta qualità - soprattutto di latifoglie (temperate e tropicali) da fonti non nazionali - ha un ruolo cruciale nello sviluppo del settore. Infatti, il mercato italiano rappresenta il primo mercato per l’export di tronchi e altri prodotti legnosi da Camerun, Costa d’Avorio, Romania, Bosnia Erzegovina, Albania e Serbia, tutti Paesi riconosciuti a livello internazionale per gli alti livelli di illegalità nei settori del taglio e commercio dei prodotti forestali, con impatti negativi a livello ambientale (deforestazione e degrado delle foreste) e sociale (ISPRA, 2009). Escludendo le imprese di utilizzazione boschiva, già prese in considerazione nel paragrafo 1.1.1, le impre- se che fanno parte della filiera del legno possono essere classificate secondo quanto riportato in tabella 1.4. 4
TABELLA 1.4 – DATI CONSUNTIVI DEL SETTORE LEGNO-ARREDO ITALIANO, DICEMBRE 2009 E 2010, VARIAZIONI ANNI PRECEDENTI (MILIONI DI EURO, PREZZI CORRENTI) Categoria Codice N. N. addetti Localizzazione Note Ateco imprese (% su geografica (% su totale) prevalente totale) Imprese di prima [DD201] 2.141 18.000 Italia Diffusa la piccola lavorazione (2,7%) (4,7%) nord-occidentale, dimensione aziendale (segagione) Appennino (8,4 addetti in media), tosco-romagnolo e con le imprese artigiane Calabria. che costituiscono circa il 67% del totale (con 6,1 addetti in media). Forte dipendenza dall’import di materie prime Imprese di [DD202] 856 13.000 Pianura Padana e Imprese con dimensio- prodotti (1,1% (3,4%) Friuli Venezia Giulia ni in media superiori semifiniti in rispetto agli altri settori legno produttivi (14,9 addetti (compensati, in media). In aggiunta a tranciati, ciò il reddito di questo pannelli) comparto è il più alto fra le industrie del sistema legno Imprese di [DN361] 32.000 204.000 Settore particolar- Si possono distinguere seconda lavora- (39,9%) (53,1%) mente interessato tre tipologie industriali: zione (mobilifici) dall’organizzazione (i) imprese di piccole in Distretti Industriali dimensioni, a (da 10 a 20, conduzione famigliare, secondo il metodo che operano in ambito identificativo usato) locale e producono collocati per lo più mobili di pregio; (ii) al centro-nord Italia grandi imprese, con un (Lombardia, numero di addetti Veneto, Friuli VG, medio-alto e forti Trentino A.A., Emilia capitali impiegati. Romagna, Marche, Si distingue un Toscana, ecc). sotto-gruppo più ricercato, che usa mate- riali e accessori di pre- gio e produce mobili di design, e un sotto- gruppo con produzioni “di massa”; (iii) conto- terzisti per altre imprese di maggiori dimensioni 5
Imprese di [DD204] 1.800 13.000 Tutto il territorio imballaggi in (2,2%) (3,4%) nazionale, legno con maggiore concentrazione sulle coste adriatiche, il Nord- Italia, la Campania e la Sicilia Falegnamerie [DD203] 32.500 96.000 Tutto il Produzioni tipiche delle industriali (40,5%) (25%) territorio nazionale falegnamerie industriali sono gli infissi, i parquet e le scale in legno. Si tratta di assortimenti che hanno come destinazione il comparto dell’edilizia. Imprese che [DD205] 11.000 40.000 Tutto il Comprendono differen- producono (13,7%) (10,4%) territorio nazionale ti tipologie produttive, prodotti in ivi comprese legno, sughero, la produzione artistica, paglia e materiali artigianale e industriale da intreccio di oggettistica in legno, la realizzazione di parti di mobili (gambe, pomelli, maniglie di legno, ecc.) nonché la produzione di articoli di paglia, vimini, giunco e sughero, come in Sardegna. Fonte: Istat, 2001; Brun e Magnani, 2003; Bernetti e Romano, 2007; Federlegno, 2011. Ns. elaborazione. Nell’ultimo decennio, per conservare una posizione di leadership nel mercato rispetto a Paesi con forti vantaggi competitivi in termini di costo della manodopera e di approvvigionamento della materia prima legnosa, in Italia si è privilegiato dapprima il decentramento delle attività produttive a livello locale e, in seguito, internazionale (delocalizzazione all’estero). Ciò è stato reso possibile dalla flessibilità tecnologica dei processi di lavorazione del legno e dall’introdu- zione di innovazioni di prodotto. Un’ulteriore conseguenza di tali processi è rappresentata dallo sviluppo di imprese specializzate nella subfornitura, piuttosto che dall’accorpamento di cicli produttivi in grandi strutture aziendali (Bernetti e Romano, 2007). A completare il quadro, vi sono infine le industrie del settore carto-tecnica e dell’editoria [DD21] che nel 2001 contavano circa 4.570 imprese, occupando circa 83.600 addetti (ISTAT, 2001). Concentrandosi sul comparto che produce carta, cartoni e paste per carta, i dati di set- tore più aggiornati diffusi da Assocarta attraverso il proprio sito web12 indicano che in Italia ope- rano 139 aziende, che gestiscono 180 stabilimenti e impiegano circa 21.800 addetti con una produzione annua pari a circa 9,5 M tonnellate, un terzo delle quali destinate all’export. Tale livello della produzione segna un recupero del 6,9% rispetto ai livelli del 2009, ma restano ancora lontani i valori record fatti registrare nel 2007 (oltre 10,1 M tonnellate) (Assocarta, 2011). 6
Se si escludono i possibili rischi di import di materie prime illegali, il settore della carta e del- l’editoria non riveste un ruolo significativo nelle problematiche di illegalità. 1.2 REATI E ILLECITI: NORMATIVA DI RIFERIMENTO 1.2.1 NORMATIVA NAZIONALE E REGIONALE La prima legge forestale nazionale è coincisa con il R.D. 3967/1877, che istituiva un sistema di vincoli per la protezione del territorio. Nel 1923 tale norma è stata sostituita dalla Legge Serpieri13 che disciplina ancora oggi il settore forestale a livello nazionale per gli aspetti non trattati dalle modifiche al titolo V della Costituzione che hanno assegnato alle Regioni le competenze in materia di agricoltura e foreste. Con il R.D. 1126/1926 di applicazione, sono state disciplinate anche le procedure amministrative funzionali all’utilizzazione e alla gestione delle risorse fore- stali (con l’aggiunta dell’obbligo alla predisposizione di Piani economici per la gestione dei boschi pubblici) e definite le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale (PMPF) che regolano gli interventi ai fini del vincolo idrogeologico per prevenire dissesti ed erosioni del suolo. Oggi, oltre il 76% della superficie forestale nazionale è soggetto all’attuazione delle PMPF, mentre le diverse forme di Pianificazione riguardano circa il 16,2% della superficie forestale totale (IFNC, 2007). Con il D.P.R. 11/1972, le funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste sono state trasferite alle Regioni14, avviando il lungo processo di attribuzione delle competenze in questo settore agli enti locali, completato poi con il D.Lgs 143/97 e con la Legge Costituzionale 3/2001. IN questo contesto, l’assenza di un coordinamento tra normativa ambientale e foresta- le, assieme alla mancanza per molti anni di un documento programmatico nazionale di settore che fornisse un quadro di riferimento comune alle 21 Leggi Forestali (formulate dalle varie Regioni e Province Autonome), ha spesso determinato interpretazioni non univoche delle norme. L’Allegato 1 presenta una sintesi della principale normativa e degli strumenti di pro- grammazione regionale in ambito forestale, ma il primo vero documento programmatico e nor- mativo rilevante per il settore forestale e_ rappresentato dalla Legge Pluriennale di spesa per il settore agricolo (L.752/1986), che ha permesso la redazione del primo Piano e programma fore- stale nazionale15. Con l’approvazione del D.Lgs. 227/2001 e le successive Linee guida nazionali per il settore forestale, l’Italia si e_ impegnata a formulare e/o implementare programmi foresta- li o strumenti equivalenti (nazionali e regionali). Solo nel 2008 il Programma Quadro per il Settore Forestale (MIPAAF-MATTM, 2008) ha definito una cornice programmatica di riferimento per l’intervento pubblico nel settore. Si tratta comunque di strumenti esortativi, di scarso impat- to operativo e privi di misure finanziarie o di regolamentazione. Con la Legge Galasso (L. 431/1985), poi rivista e inclusa nel Testo Unico Ambientale (D.Lgs 231/2001), è stato istituito il “vincolo paesaggistico” che, riconoscendo i boschi come “bellez- ze naturali”, impone la loro tutela. Il D.Lgs. 42/2004 ha introdotto uno specifico iter autorizzati- vo per quegli interventi che possono modificare in modo permanente l’aspetto esteriore dei boschi. Il 7 luglio 2011, il Consiglio dei Ministri (n. 145) ha approvato con un decreto legislativo16 l’at- tuazione della Direttiva Comunitaria 2008/99/CE17. Tra le fattispecie specifiche di reato ai danni del patrimonio forestale un ruolo di primo piano è indubbiamente giocato dagli incendi. L'incendio boschivo, sia doloso che colposo, costituisce un delitto contro la pubblica incolu- mità e, come tale, è perseguito con la reclusione da 4 a 10 anni che sono aumentate della metà se l'incendio induce un danno grave, esteso e persistente all'ambiente (CFS, 2011). Altre nuove fattispecie di reato penale introdotte riguardano l’uccisione/distruzione/possesso in forme non consentiti di specie animali o vegetali selvatiche protette e la distruzione/deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto. La raccolta e commercializzazione funghi, infine, è regolamentata in termini generali dalla L. 352/1993 e dal D.P.R. 376/1995, anche se resta di competenza regionale18. Per i tartufi, le attività di raccolta, coltivazione e commercio sono disciplinate dalla L. 752/198519. 1.2.2 NORMATIVA INTERNAZIONALE La Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora (CITES) è stata approvata a Washington nel 1973 ed è attualmente ratificata da 175 Paesi tra i quali l’Italia (L. 874/1975 entrata in vigore il 31 dicembre 1979). Con i Regolamenti comunitari 338/1997, 7
865/2006 e 100/2008, l’Unione Europea (UE) ha voluto applicare in modo più rigoroso, unifor- me e su un numero maggiore di specie (36.000) la Convenzione nei 27 Paesi membri. L’autorità pubblica responsabile in via principale dell’implementazione di questa Convenzione è il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) (Direzione Conservazione Natura), presso il quale è anche costituita la Commissione Scientifica CITES, alla quale competono valutazioni di carattere tecnico-scientifico relative all’applicazione della Convenzione in ambito nazionale. Spetta invece al Ministero delle Attività Produttive il rilascio delle licenze di importazione ed esportazione previste dai Regolamenti Comunitari, mentre l'au- torità competente per l'assegnazione dei certificati di (ri)export è il Corpo Forestale dello Stato (CFS), che è anche responsabile dei controlli CITES alle dogane italiane. In Italia sono presenti, oltre al Servizio CITES Centrale, ospitato presso l’Ispettorato Generale del CFS a Roma, 23 unità di controllo (Nuclei Operativi CITES, NOC) nei porti marittimi e negli aeroporti internazionali, per verificare i permessi d’importazione-esportazione per animali e piante. Sono inoltre presenti 28 uffici di certificazione (Servizi CITES Territoriali, SCT) nelle maggiori città italiane e in ogni capo- luogo di regione, al fine di completare il lavoro di investigazione. Nella UE opera il Piano d’Azione per il Forest Law Enforcement, Governance and Trade (FLEGT Action Plan) del novembre 2003, seguito poi dai Regolamenti 2173/2005 e 1024/2008. Tra le varie misure (in 7 diverse aree d’intervento) e strumenti previsti, il principale è l’approvazione di accordi bilaterali volontari (Voluntary Partnership Agreement, VPA) tra Paesi produttori e UE relativamente all’introduzione di un sistema di licenze in grado di garantire la legalità dei pro- dotti legnosi esportati verso i mercati europei. Ad oggi sono 6 i VPA già siglati (Camerun, Ghana, Indonesia, Liberia, Repubblica Centroafricana e Repubblica del Congo), mentre altri 4 sono in corso di negoziazione (Gabon, Malesia, Vietnam e Repubblica Democratica del Congo) 22. Infine, la EU Timber Regulation (EUTR), disciplinata dal Regolamento 995/2010, proibisce la com- mercializzazione sul mercato europeo di legno di provenienza illegale. Più in dettaglio, gli ope- ratori sono tenuti all’esercizio della c.d. “Dovuta Diligenza” (Due Diligence), che prevede la rac- colta d’informazioni adeguate circa l’origine del legno, l’attuazione di procedure di verifica del rischio e, se del caso, l’implementazione di procedure di mitigazione del rischio stesso, con l’eventuale supporto di Organismi di controllo (Monitoring organisation) riconosciuti dalla CE e sotto la sorveglianza delle Autorità Competenti (responsabili in ogni Paese membro del con- trollo periodico sia degli operatori/commercianti che degli Organismi di controllo). 1.3 ISTITUZIONI DI CONTROLLO L’organo istituzionale cui spettano le principali responsabilità di prevenzione e controllo in campo forestale è il Corpo Forestale dello Stato21 (CFS), fondato nel 1948 e composto oggi di circa 8.500 unità. L’Ispettorato Generale coordina 15 Comandi Regionali, 83 Comandi Provinciali e 1.061 Comandi Stazione a livello comunale. Tra i reparti specializzati vi sono 76 Nuclei Investigativi Provinciali di Polizia Ambientale e Forestale (NIPAF) coordinati a livello centrale; il Nucleo Investigativo Antincendio Boschivo (NIAB), che opera in collaborazione con i Comandi Stazione e 491 strutture d’identificazione dei reati d’incendio boschivo sul territorio; il Nucleo Agroalimentare e Forestale (NAF), per le frodi, contraffazioni e sofisticazioni nel settore; il Nucleo Operativo Antibracconaggio (NOA); il Nucleo Investigativo Reati in Danno degli Animali (NIRDA) e la Sezione Investigativa del Servizio CITES (vedi 1.2.2). Nelle Province e nelle Regioni a statuto speciale, infine, operano Corpi di polizia forestale provinciali o regionali, prevalente- mente con funzioni tecnico-gestionali. Accanto al CFS operano (in sinergia e talvolta in sovrapposizione) altri organi di polizia: in par- ticolare, il Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari ed il Comando Carabinieri Tutela Ambientale. Il primo, posto alle dipendenze funzionali del MIPAAF e articolato in 3 Nuclei Antifrodi (NAC) ed un Nucleo di Coordinamento Operativo (NCO), si impegna nel controllo sull’erogazione e la ricezione di aiuti comunitari nel settore agroalimentare, della pesca e del- l’acquacoltura, nonché sulle operazioni di ritiro e vendita di prodotti agroalimentari. Il secondo, alle dipendenze funzionali del MATTM e articolato in una struttura centrale e 29 Nuclei Operativi Ecologici (NOE), assolve funzioni di polizia giudiziaria in materia ambientale 22. Rilevante è anche il contributo del Comando per la per la Tutela della Salute Pubblica, che si avvale del supporto di 37 Nuclei Antisofisticazioni e Sanità (NAS). Funzioni di polizia locale nel campo della tutela ambientale e dell’attività venatoria sono eser- 8
citate da organismi operanti su scala provinciale e locale. Può essere utile rilevare che nessun altro Paese europeo ha un numero così ampio di corpi di polizia che si occupano di reati ambientali e forestali. 1.3.1 IL RUOLO DELLA SOCIETÀ CIVILE Accanto agli organismi istituzionali deputati allo svolgimento di azioni di controllo, è da segna- lare l’azione di numerosi soggetti della società civile. Si tratta soprattutto (ma non solo) di orga- nizzazioni ambientaliste – tra cui Legambiente, la Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU), il World Wildlife Fund Italia (WWF) e Greenpeace Italia - che svolgono un’azione importante in termini di denuncia e monitoraggio, assicurando un presidio capillare del territorio, ma anche di propo- sta, fornendo visibilità a buone pratiche e iniziative virtuose. La buona gestione forestale pro- mossa attraverso la certificazione delle foreste e della c.d. chain-of-custody (tracciabilità) dal Gruppo FSC Italia e dal PEFC 23 Italia è un altro strumento di contrasto all’illegalità forestale utiliz- zato da imprese, commercianti, consumatori e organizzazioni varie della società civile. 2 METODOLOGIA DI RICERCA E FONTI INFORMATIVE La raccolta delle informazioni ha richiesto l’utilizzo tanto di fonti primarie, quanto di fonti secondarie. Per quanto riguarda le fonti primarie, sono state compiute interviste dirette a cinque funzionari del CFS, con un focus principale sul Centro-Sud Italia (il questionario è in Allegato 2), e a quindici imprese del settore legno-arredo in Puglia, Basilicata e Lazio. Infine, sono state rac- colte indicazioni e testimonianze da circa altri dieci operatori ed esperti del settore. Piuttosto lungo l’elenco delle fonti secondarie: banche dati di ambito giuridico (Banca dati della Cassazione e altre Banche dati di sentenze), testi normativi, i Dossier Attività annuali e i comu- nicati stampa del CFS, le pubblicazioni consultabili all’interno del sito web dell’Osservatorio sul Lavoro in Bosco (OLAB24), report di Associazioni di categoria (ad esempio Federlegno), bollet- tini mensili Istat, documenti di analisi e approfondimento tematici predisposti da organismi isti- tuzionali (ad esempio l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale - ISPRA, del MATTM), report e comunicazioni di organizzazioni non governative e altre pubblicazioni. Vanno sottolineate le notevoli difficoltà incontrate nel reperimento di dati e informazioni relati- ve a reati e illeciti nel settore forestale. In assenza (o carenza) di riferimenti certi e solidi in let- teratura, molti dei dati raccolti si basano su deduzioni e assunzioni sviluppate sulla scorta del- l’esperienza empirica, nonché su testimonianze e segnalazioni fatte da operatori ed esperti del settore. Nonostante la discrepanza di dati tra fonti diverse (ad esempio nella stima dei tassi di taglio illegale in vari paesi del mondo), vi è una sostanziale convergenza sulla rilevanza dei feno- meni di illegalità più diffusi e ricorrenti, che possono quindi essere tratteggiati con sufficiente precisione. 3 RISULTATI 3.1 NATURA E DINAMICHE DEI FENOMENI DI ILLEGALITÀ INDAGATI I fenomeni di illegalità riscontrati nel corso dell’indagine sono stati raggruppati in tre ampie cate- gorie: l’illegalità “storica”, l’illegalità “dimenticata” e le nuove forme di illegalità. Ciascuna delle tre categorie sopra citate viene presentata in dettaglio nei prossimi paragrafi. 3.1.1 ILLEGALITÀ STORICA Con la denominazione “illegalità storica” ci si riferisce a forme d’illegalità da tempo riscontrabi- li sul territorio e contro le quali si esplica buona parte dell’azione di indagine, prevenzione e contrasto da parte delle istituzioni competenti, in primis il CFS. In tale gruppo rientrano feno- meni illegali quali incendi dolosi e colposi, tagli boschivi irregolari, pascolo abusivo in bosco, 9
discariche di rifiuti in bosco, abusivismo edilizio, bracconaggio e frodi nell’utilizzo di contributi pubblici. Solo il 2% degli incendi boschivi è dovuto a cause naturali, mentre il rimanente 98% è dovuto all’uomo (spesso in situazioni di natura dolosa o colposa). Nell’ultimo decennio in Italia si sono osservati, in media, più di 7.200 incendi/anno, con una superficie interessata di oltre 80.000 ha, di cui più del 45% (40.000 ha) rappresentato da superfici boscate. Va detto che rispetto ai decenni precedenti risultano comunque in calo sia il numero degli incendi sia la superficie incendiata (ISTAT, 2010)25. Di contro, l’incidenza relativa della componente dolosa è andata aumentando: di poco inferiore al 49% nel 1999, sfiora ora il 60% (CFS, 2002; CFS e Legambiente, 2007; CFS, 2010). Oltre a ciò si assiste a una crescente incidenza degli incendi dolosi sulle for- mazioni boscate di pianura, piuttosto che di collina o montagna con effetti evidenti sulla per- cezione del fenomeno. Nonostante il numero crescente degli eventi, infatti, la visibilità degli incendi in pianura e in collina rischia di essere inferiore, poiché l’estinzione dei focolai risulta più facile e veloce di quanto accade in aree impervie e più difficilmente accessibili. Ne conse- gue una tendenza a sottostimare la portata dei fenomeni e dei danni correlati (che non sono solo ambientali ma di ordine e sicurezza pubblica). Nel periodo 2000-2009 il CFS ha segnalato all’Autorita_ Giudiziaria sul territorio nazionale 3.875 persone, di cui 131 tratte in arresto o sottoposte a custodia cautelare (CFS, 2010). Le ragioni individuabili alla base dei fenomeni di dolo sono molteplici e possono includere sia azioni fina- lizzate alla ricerca del profitto, sia manifestazioni di protesta o più semplicemente incuria verso il bosco (CFS, 2002). Si possono ricordare, tra le altre, l’azione di pastori finalizzata a favorire il ricambio della vegetazione erbacea per la produzione di foraggio, incendi appiccati dagli stes- si addetti allo spegnimento, motivazioni correlate all’attività di bracconaggio, estorsione o spe- culazione con la possibilità di beneficiare dell’eventuale cambio di destinazione d’uso del suolo o di effettuare interventi di riforestazione nelle zone percorse dal fuoco (Vadalà, 2009; CFS, 2010). Rispetto ai tagli boschivi, si riscontrano problemi soprattutto in termini di illeciti amministrativi (sul numero di matricine effettivamente rilasciate e sugli eventuali danni derivanti dalle opera- zioni di utilizzazione) piuttosto che di reati penalmente rilevanti. Nel 2005 (ultimo anno di dis- ponibilità dei dati ISTAT) sono stati registrati solo 84 illeciti penali su un totale di circa 7.000 ille- citi in questo campo, con ruolo preponderante del Centro (40%) e del Sud (37%) Italia. Il mag- gior numero di illeciti (in termini assoluti) si riscontra, nell’ordine, in Lazio, Toscana, Sicilia, Umbria e Lombardia (ISTAT, 2005a). Secondo i dati più recenti distribuiti dal CFS (2010), nel 2009 non sono stati riscontrati reati legati alle utilizzazioni e ai tagli boschivi, mentre gli illeciti amministrativi sono stati 4.276. Negli ultimi anni si è tuttavia osservato un aumento nel numero dei reati e degli illeciti connessi al disboscamento, furto e danneggiamento di piante (oltre 500 casi nel corso del 2009). Va ricordato come all’interno di questa categoria di illeciti vi siano spesso casi che, se un tempo potevano provocare danni ambientali anche gravi, oggi – con le mutate condizioni socio-economiche e ambientali – potrebbero non avere conseguenze rile- vanti. Purtroppo, le leggi in materia non si sono del tutto adeguate 26. In relazione al problema del controllo dei tagli un’area “grigia” nel panorama forestale italiano è rappresentata dai prelievi di legna da ardere. Sebbene in questo caso non si possa parlare di illegalità tout-court, è innegabile che vi siano elementi di scarsa trasparenza sufficienti a solle- vare legittimi dubbi sulla piena regolarità dei flussi di utilizzazione e commercio. In particolare uno dei problemi osservati si riferisce all’incongruenza tra i dati ufficiali sui prelievi forestali pubblicati (sino a due anni fa) dall’ISTAT e le stime derivabili sulla base di diversi studi e model- li basati sui consumi. Si ritiene che i dati sulle superfici tagliate, e quindi sui relativi volumi di legna prelevati siano sottostimati (APAT, 2003; Magnani, 2005). Ad esempio, il rapporto tra una valutazione realizzata sulle superfici di boschi cedui tagliati a raso rilevate con immagini satelli- tari ad alta definizione (Corona et al. 2007) e quelle rilevate dal CFS (che costituiscono la base dei dati ISTAT) è stato di 1,45 a 1. In effetti, mentre i dati ISTAT parlano di prelievi oscillanti, secondo l’anno, tra 3 e 5 M m3, diversi studi basati sui consumi di legna da ardere a uso dome- stico suggeriscono valori nettamente più elevati. Hellrigl (2002), citando le indagini campiona- rie sui consumi ad uso residenziale effettuate dall’ENEA nella seconda metà degli anni ’90 (Gerardi et al., 1998; Gerardi e Parrella, 2001) ha ipotizzato un livello di consumi nel periodo 1997-1999 tra i 16 e i 20 M t/anno. Tali dati, se assunti nelle stime nazionali, consentirebbero di 10
raggiungere livelli di produzione e consumo coerenti con quelli di altri paesi europei (Hellrigl, 2002a). Altri studi confermano queste ipotesi, stimando consumi di legna da ardere ad uso residenziale in Italia variabili tra 16,5 e 23,0 M m3 (Pettenella e Andrighetto, 2011) o pari addi- rittura a 19 M t (nel 2006) (APAT-ARPA Lombardia, 2007). Anche tenendo conto del contributo dell’import 27 dunque, i dati Istat risultano assolutamente insufficienti nel dare ragione dei pos- sibili consumi interni di legna da ardere. Naturalmente ciò non significa che i valori in difetto comportino automaticamente la presenza di fenomeni di illegalità. Nondimeno, quanto sopra riportato, da un lato conferma le difficoltà nel recuperare dati attendibili e certi relativi al setto- re forestale, con conseguenti limiti anche per l’azione di monitoraggio e contrasto di eventuali irregolarità; dall’altro, autorizza a parlare, anche sulla scorta dell’esperienza empirica, di ampie zone “opache” associate alla raccolta e vendita di legna da ardere, che potrebbero essere lega- te tanto a prelievi in eccesso rispetto a quelli dichiarati quanto alla commercializzazione “in nero” della legna (con correlati fenomeni di evasione fiscale). L’abusivismo edilizio e la presenza di discariche illegali di rifiuti in bosco restano fenomeni dif- fusi - pur su scale diverse - in tutto il Paese, spesso concentrati in territori di pregio naturalisti- co e/o paesaggistico. Pur sulla base di informazioni riferite soprattutto a singoli episodi, la casi- stica degli illeciti è ampia. In ogni caso, come ha osservato da uno dei funzionari del CFS inter- vistati, il diffondersi degli incendi e delle conseguenti misure e azioni di contrasto, ha avuto anche un’azione deterrente nei confronti dell’abusivismo. La ex L. 353/2000 (Catasto incendi boschivi) proibisce, per almeno 15 anni, il cambio di destinazione d’uso per le zone boschi- ve e i pascoli che siano stati percorsi dal fuoco. Tra le forme storiche di illegalità sicuramente si può annoverare il pascolo in bosco di tipo abu- sivo (condotto su terreni altrui senza alcuna autorizzazione, e con il rischio di provocare danni al bosco – ad esempio alle giovani piantine in boschi degradati – e/o al suolo – per l’erosione e il calpestamento dovuto ad un carico eccesivo di bestiame) o non legittimato (presenza di animali non segnalati alle autorità locali attraverso il c.d. Fido Pascolo). Anche i reati contro la tutela della fauna selvatica autoctona (bracconaggio) rappresentano una delle forme storiche di irregolarità riscontrabile nei boschi italiani. Nel corso del 2009 sono stati registrati 938 reati, con l’aggiunta di quasi 2.300 illeciti amministrativi e sanzioni pecuniarie per 2,4 M di euro (CFS, 2010). In generale, laddove sussistono interessi economici 28 e operano organizzazioni criminali con fortissimo controllo del territorio, come avviene in Sicilia, Calabria e Campania, c’è spesso connessione tra la criminalità organizzata e l’attività di cattura illegale della fauna selvatica, assumendo anche un carattere simbolico 29. In generale, il mercato del bracconaggio appare florido, tanto che nel corso dell’anno i bracconieri si spostano da una regione all'altra, soprattutto nel Centro-Sud Italia, seguendo i flussi e le disponibilità della fauna. Tali dinamiche contribuiscono a spiegare perché in alcune regioni (Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria, Lazio, Puglia, Toscana e Sicilia) si registrano maggiori reati rispetto ad altre: molti bracconieri agiscono “in trasferta” contribuendo a mantenere i dati degli illeciti elevati con riferimento a regioni diverse rispetto a quella di residenza. Benché non vi sia un dato omoge- neo e completo sul fenomeno, Legambiente (2005) ha stimato che in almeno il 50% dei casi il bracconaggio è esercitato per ragioni di lucro, essendo parchi e aree protette le zone più inte- ressate dai fenomeni di illegalità. Nel bresciano e nel bergamasco la vendita di piccoli uccelli può arrivare a fruttare a un singolo cacciatore di frodo fino a 20.000 Euro/anno (Furlan, 2009). In provincia di Reggio Calabria, si stima che almeno il 70% dei cacciatori che fanno la posta ai tordi utilizzino richiami elettronici illegali (Malara, 2010). Il Friuli Venezia Giulia, pur non rien- trando tra le Regioni italiane con il maggior numero di cacciatori, si caratterizza per la colloca- zione lungo importanti rotte migratorie e per una tradizione venatoria che risale all’epoca dell’Impero romano; antica è pure la pratica del bracconaggio 30, tant’è che attualmente essa rientra tra le aree a maggior rischio di caccia illegale (hot-spots). Una breve considerazione a parte deve essere fatta per i richiami e le sanzioni comminati dalla Commissione Europea all’Italia per il non corretto recepimento della Direttiva 70/409/CEE, disci- plinante la tutela dell’avifauna 31. Il riferimento è in particolare alla c.d. “caccia in deroga”, per la quale 13 Regioni italiane sono state fatte oggetto di procedura e la Regione Veneto è già stata riconosciuta responsabile dell'infrazione comminata all'Italia dalla Corte di Giustizia in data 11 novembre 2010, con conseguente sanzione amministrativa 32. 11
Al tema del bracconaggio “in casa” si collega senz’altro anche quello relativo al traffico di spe- cie di fauna e flora protette, nell’ambito di quanto previsto dalla CITES. Complessivamente nel 2010 il Servizio CITES del CFS ha accertato 202 reati penali nel contrasto al commercio illegale delle piante e degli animali e ha contestato 277 illeciti amministrativi per un totale di quasi 370.000 Euro. Il valore complessivo delle specie sequestrate nel corso del 2010 risulta di poco inferiore ai 3 M Euro. E’ utile ricordare che l’Italia rappresenta uno dei più grandi mercati di arti- coli e prodotti derivanti da specie animali e vegetali protette, un mercato che genera un giro di affari, a livello internazionale, superiore ai 100 Mld di Euro/anno (CFS, 2011a). Un ultimo ambito di illegalità storico è quello relativo alle frodi nel campo della gestione degli incentivi pubblici e in particolare dei contributi comunitari nell’ambito delle politiche di svi- luppo rurale. Tale settore riveste un ruolo di rilievo nel panorama nazionale, come testimoniato dai numeri dell’attività operativa del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari (2011): il valore totale dei contributi illeciti accertati nel 2010 ammonta ad oltre 17,6 M di Euro. 3.1.2 ILLEGALITÀ DIMENTICATA Sotto la categoria “illegalità dimenticata” si annoverano forme d’illegalità spesso sottovalutate o scarsamente fatte oggetto di attenzione da parte degli addetti ai lavori e dal pubblico in gene- re. Tra queste, soprattutto gli aspetti di salute e sicurezza - e, in termini più ampi, di regolarità del lavoro - rappresentano un cono d’ombra nell’ambito del sistema forestale italiano. I dati e le informazioni disponibili su questo argomento sono purtroppo scarsi e di cattiva qualità, per di più la stagionalità del lavoro e l’attività svolta generalmente in aree remote ed economica- mente marginali non facilitano la raccolta di informazioni. Come segnalato già qualche anno fa dal Consiglio Editoriale della Rivista Sherwood (2002) “[…] esiste però la diffusa percezione, da parte degli operatori del settore, che in Italia il lavoro in foresta, soprattutto nelle aree appenni- niche, stia cambiando […] verso l’impiego di manodopera dequalificata, non adeguatamente equipaggiata, ingaggiata senza un regolare contratto, esposta a gravi rischi di incidenti sul lavo- ro e sottopagata”. I dati Istat evidenziano come, nel periodo 1992-2001, a fronte di un calo complessivo dell’oc- cupazione agricola, il peso relativo degli occupati non regolari sia aumentato di circa 10 punti percentuali. In termini di unita_ di lavoro, il tasso di irregolarita_ nel settore Agricoltura, selvi- coltura e pesca (unita_ di lavoro non regolari rispetto a quelle totali) va da un massimo di 50% in Calabria a un minimo del 18,6% in Toscana. Una stima di grande massima dell’incidenza del lavoro irregolare in selvicoltura è stata realizzata da Pettenella e Secco (2004). Assumendo la presenza in Italia di 24-28.000 addetti stabili professionali, nello “scenario massimo” (stima dei prelievi legata ai consumi effettivi di legna da ardere, probabilmente quello piu_ vicino alla real- tà rispetto ai dati ufficiali Istat) su un addetto professionale sono stimati 2-3 addetti occasiona- li, presumibilmente operanti al di fuori di un contesto di regolarità rispetto alla normativa sulla salute e sicurezza e dei rapporti contrattuali di lavoro 33. Questa ipotesi collocherebbe l’attività delle ditte boschive al primo posto in una graduatoria nazionale della mancata tutela del lavo- ro nei diversi settori economici (Pettenella, 2009). In generale, come è stato ricordato da un Funzionario del CFS in un Congresso sul Lavoro irre- golare in bosco tenutosi ad Arezzo nel 200434, il mancato rispetto delle norme più elementari (l’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale, per esempio) è talmente diffuso che le condi- zioni di irregolarità nelle attività di utilizzazione boschiva sono l’assoluta norma e quelle del rispetto della legge un’eccezione 35. Ciò nel lavoro (assieme a quello in miniera) a più alta inci- denza di infortuni. Rispetto all’importazione di legname di provenienza illegale 36, va ricordato che l’Italia occupa il sesto posto mondiale e secondo posto europeo per volumi d’import di legno e derivati, intrattenendo stretti rapporti commerciali con Paesi nei quali i fenomeni di illegalità nel settore forestale risultano piuttosto noti e di fatto conclamati (ISPRA, 2009). In particolare il nostro Paese è il primo partner commerciale per l’export di legname e derivati da parte di Camerun, Costa d’Avorio, Romania, Bosnia Erzegovina, Albania e Serbia. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’Italia non importa solamente prodotti di elevato valore unitario: dall’analisi delle sta- tistiche internazionali di fonte FAO risulta che il nostro Paese è il primo importatore mondiale di legna da ardere e il quarto di cippato e scarti in legno. Una stima conservativa (ISPRA, 2009) quantifica la percentuale di legno illegale importato dall’Italia variabile tra il 7 e il 10% dell’im- 12
port totale, per un valore complessivo di 1,3-2,8 Mld di Euro. Con riferimento ai fenomeni di illegal logging si guarda con attenzione all’attuazione del Regolamento Comunitario 995/2010 (EUTR) che entrerà in vigore nel marzo del 2013 proibendo in sostanza la commercializzazione sul mercato europeo di legno di provenienza illegale (vedi par. 1.2.2.). Come già accaduto con il Regolamento FLEGT, l’Italia non sembra dimostrarsi particolarmente reattiva nel prepararsi all’at- tuazione di simili misure, a differenza di quanto fatto da altri paesi, quali Regno Unito 37 e Spagna38 3.1.3 NUOVA ILLEGALITÀ Con questa terza e ultima categoria ci si riferisce a nuovi ed emergenti fenomeni di illegalità che si sono affacciati sulla scena nazionale (e, talvolta, internazionale) solamente negli ultimi tempi o, quanto meno, solo di recente hanno cominciato a essere oggetto di attenzioni da parte degli addetti ai lavori. In questi ambiti rientrano i fenomeni di riciclaggio di denaro “sporco” tramite acquisto di lotti boschivi a prezzi artatamente gonfiati nel corso di aste pubbliche di acquisto, soprattutto nel Centro-Sud Italia, come ricordato dal Rapporto sulle Ecomafie di Legambiente 2010 39. L’aumento dei prezzi ha normalmente un effetto di spiazzamento delle imprese rego- lari che non sono in grado di competere con imprese sostenute da ingenti capitali di prove- nienza dubbia o notoriamente illecita. Tuttavia, informazioni emerse nel corso delle interviste con funzionari del CFS evidenziano come questi fenomeni siano in espansione e quindi non più limitati al Meridione ma riscontrabili ormai anche nel Centro Italia. Accanto al riciclaggio per mezzo dell’acquisto di lotti boschivi, inoltre, sta prendendo piede anche il riciclaggio connes- so all’acquisto di terreni forestali, la cui domanda è aumentata negli ultimi anni, ad esempio al fine di costituire riserve di caccia. Situazioni di illegalità si registrano anche nel settore degli imballaggi in legno (pallet) attraverso (Assoimballaggi, 2006): 1) circolazione di pallet non conformi agli standard tecnici eppure mar- chiati come tali; 2) importazione di imballaggi in legno da paesi dell’Est Europa, con rischi di minore qualità tecnica del prodotto e di uso di legno di provenienza illegale, 3) sviluppo di un mercato nero degli imballaggi in legno con conseguente evasione fiscale 40, aumento dei costi per l’industria e la distribuzione, mancato riutilizzo della risorsa e 4) riduzione dei prezzi sino al 25% rispetto alla quotazione media. Tra gli altri esempi di “nuova illegalità” si evidenzia la pro- duzione e commercializzazione di pellet realizzati con legno e scarti di legno trattato (di deri- vazione industriale con residui di colle e vernici) e non conforme ai requisiti di legge. Al di fuori del comparto del legno, fenomeni di illegalità nel settore forestale interessano anche la raccolta e commercializzazione di funghi e tartufi, con differenti fattispecie. La prima si con- figura come evasione fiscale e sfrutta il cosiddetto regime di esonero che solleva i raccoglitori dagli obblighi documentali e contabili normalmente previsti (fatturazione, registrazione, liqui- dazione periodica, versamento e dichiarazione annuale) purché abbiano volume d’affari costi- tuito per almeno i due terzi da cessioni di prodotti inclusi nella Parte I della Tabella A riportata come Allegato 1 al DPR 633/1972 e comunque non superiore a 2.582,28 Euro a prescindere dal luogo in cui sia esercitata l’attività. Coloro che acquistino da produttori agricoli esonerati devo- no autofatturare gli acquisti con diritto alla detrazione dell’IVA senza, comunque, alcun obbli- go di versare l’imposta. All’interno di questo quadro, l’esperienza empirica segnala numerosi casi di sovrafatturazione, con le imprese acquirenti (commercianti e trasformatori di funghi) che emettono autofatture maggiorate al fine di ridurre i pagamenti dell’IVA a proprio carico 42. Una seconda fattispecie segnalata da funzionari del CFS nonché da esperti e operatori del settore, ma rispetto alla quale non esistono al momento vere e proprie evidenze documentali di riscon- tro, si riferisce a processi di riciclaggio di denaro operati da aziende italiane che acquistano fun- ghi a prezzi superiori alla media in paesi dei Balcani, dell’Europa Centro-Orientale e in Svezia e Finlandia, per poi rivenderli su altri mercati, ivi compreso quello italiano, spesso facendo prima transitare i prodotti per paesi terzi (ad esempio, Romania) al fine di renderne meno agevole la tracciabilità. Lo stesso meccanismo può essere adottato per l’evasione dell’IVA. Una terza fattispecie di illecito è costituita dalla commercializzazione del Tuber indicum, il noto surrogato del tartufo nero, importato illegalmente dalla Cina all’Italia nonostante il divieto di immissione sul mercato, ma non mancano altri esempi 43. Da segnalare infine il fenomeno della coltivazione di cannabis indica all’interno di aree bosca- te (soprattutto in Calabria, Campania e Sicilia, ma anche in Emilia Romagna, Liguria, Toscana e 13
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