Aggiornamento del modello di previsione del sistema pensionistico della RGS: le previsioni '99
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MINISTERO DEL TESORO DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato Ispettorato Generale per la Spesa Sociale Aggiornamento del modello di previsione del sistema pensionistico della RGS: le previsioni ’99 Indice di dipendenza dgli anziani Spesa in % del Pil 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 Roma, Giugno 1999
Aggiornamento del modello di previsione del sistema pensionistico della RGS: le previsioni ‘99 Indice 1.Premessa ...........................................................................................................3 2.L’aggiornamento del modello ..........................................................................3 3.La definizione del nuovo scenario macroeconomico .......................................5 4.La previsione ’99 ..............................................................................................9 Bibliografia........................................................................................................18 Roma, giugno 1999
Aggiornamento del modello di previsione del sistema pensionistico della RGS: le previsioni ‘99 1.Premessa Nel presente lavoro verranno illustrate le nuove previsioni del sistema pensionistico obbligatorio ottenute con la versione aggiornata del modello demografico della RGS. Particolare attenzione verrà dedicata alla descrizione del processo di aggiornamento che è risultato abbastanza intenso ed ha coinvolto, in vario modo gli algoritmi di calcolo, i dati di base da cui prendono avvio le previsioni, le basi tecniche e le ipotesi dello scenario macroeconomico. Infine, verranno illustrate le differenze rispetto alle ultime previsioni pubblicate (Ministero del Tesoro, 1998; Ministero del Tesoro-RGS, 1998). L’analisi di dettaglio dei risultati e gli ulteriori approfondimenti concernenti lo studio di sensitività e la convergenza del sistema in stato stazionario, verranno forniti in documenti successivi. 2.L’aggiornamento del modello L’aggiornamento del modello ha riguardato innanzitutto l’implementazione di alcune importanti funzioni di calcolo finalizzate a migliorare la riproduzione delle caratteristiche peculiari del quadro normativo-istituzionale del sistema pensionistico Italiano. Rispetto alle versioni precedenti (Ministero del Tesoro- RGS, 1996, 1997, 1998), esso recepisce al suo interno l’algoritmo di calcolo sottostante i modelli normativo-istituzionali basato su processi markoviani, finiti, discreti e non omogenei. Tale implementazione, al momento, ha riguardato il FPLD e le tre gestioni dei lavoratori autonomi, nell’ambito del settore privato, gli Ex Istituti di Previdenza, la Scuola, i Ministeri e l’Università, nell’ambito del settore pubblico. Complessivamente, l’aggregato copre circa il 85% della spesa pensionistica dell’intero sistema obbligatorio ed oltre il 90% del numero di pensioni erogate. La parte restante del sistema (Gestioni Speciali presso l’INPS, l’INPGI, l’ENPALS, l’INPDAI, Difesa e Forze di Polizia, Ferrovie dello Stato, Poste e Telecomunicazioni, Casse dei Liberi Professionisti) è trattata in forma residuale con un maggiore livello di aggregazione. Relativamente a tale componente, sono in fase di elaborazione modelli normativo-istituzionali specifici da inserire nell’ambito del modello generale in occasione del prossimo aggiornamento. Le modifiche apportate consentono di ottenere, per la quasi totalità del sistema pensionistico, risultati molto più analitici rispetto alle precedenti versioni del 3
modello. Analogamente, le informazioni di base necessitano di un grado di disaggregazione decisamente più ampio. In particolare, il livello di disaggregazione previsto sia per la base dati del modello che per i risultati delle previsioni coincide con la definizione degli stati su cui opera il processo markoviano sottostante i modelli normativo-istituzionali. Tali modelli distinguono, per ciascuno comparto: l’età, il sesso, l’anzianità contributiva (classi annuali da 0 a 42 o 49 a seconda dei casi), il regime pensionistico (retributivo, contributivo e misto), lo stato assicurativo (contribuente, silente, pensionato contribuente, pensionato), la tipologia di prestazione (vecchiaia, anzianità, invalidità, inabilità, reversibilità). Inoltre, per la maggior parte delle variabili monetarie (importi di pensione, retribuzioni o redditi), anch’esse distribuite secondo la struttura degli stati considerati, il modello costruisce dinamicamente distribuzioni di probabilità specifiche che consentono una più fedele riproduzione di alcuni istituti del nostro sistema pensionistico. In particolare, la nuova impostazione consente di trattare adeguatamente il meccanismo dell’integrazione al trattamento minimo in vigore per il regime retributivo e misto, l’indicizzazione delle pensioni per fascia di importo, la selezione nell’accesso al pensionamento basato sul limite minimo di pensione pari a 1,2 volte l’assegno sociale nell’ambito del regime contributivo. Il maggiore livello di analiticità rende, inoltre, possibile o più precisa la quantificazione degli effetti derivanti da modificazione di ipotesi normative. I miglioramenti maggiori hanno riguardato la gestione dei requisiti di accesso al pensionamento nella fase di transizione dal regime retributivo a quello contributivo. Il maggior livello di analiticità raggiunto consente inoltre di gestire, nel pieno rispetto della coerenza demografica, sia la molteplicità delle posizioni pensionistiche dirette che fanno capo ad uno stesso soggetto (come ad es. le pensioni supplementari e quelle integrative obbligatorie) sia le prestazioni erogate a soggetti non residenti. Nella precedente versione, invece, il vincolo demografico rendeva necessario distribuire la spesa relativa alle suddette prestazioni sulla popolazione residente titolare di pensione diretta. L’effetto di tale operazione era quello di ridurre il numero iniziale delle pensioni dirette con la conseguente attribuzione di un importo più elevato. Fra i miglioramenti apportati, occorre infine segnalare l’ampliamento del periodo di previsione al 2050 così da coprire l’intero arco temporale per il quale sono disponibili le previsioni demografiche elaborate dall’Istat. In realtà la nuova impostazione metodologica non pone altro limite all’ampiezza del periodo di previsione che non sia la lunghezza delle proiezioni demografiche. Le posizioni assicurative e pensionistiche nonché i relativi redditi ed importi di pensione sono aggiornati al 31/12/97. Allo stesso anno sono aggiornati i dati di partenza relativi alle forze di lavoro e agli occupati. Le basi tecniche hanno subito una sostanziale revisione dovuta in parte alla maggiore informazione disponibile e in parte alle profonde trasformazioni metodologiche apportate al modello. In 4
particolare, riguardo a questo secondo aspetto, si è reso necessario specificare le probabilità di transizione per un insieme di stati estremamente più ampio di quello contemplato dal precedente modello. Una parte dei dati e delle basi tecniche è stata mutuata dall’INPS ed opportunamente adattata alla struttura del modello; la parte restante, che ha riguardato soprattutto il comparto dei dipendenti pubblici, è stata oggetto di autonome elaborazioni effettuate sulla base di un’indagine statistica della RGS sulle posizioni assicurative dei dipendenti dello Stato (Ministero del Tesoro-RGS, 1997a). Lo scenario demografico non presenta alcuna variazione. Come in passato, vengono recepite le previsioni della popolazione elaborate dall’Istat nell’ipotesi “centrale” (Ministero del Tesoro-RGS, 1997,1998). Il quadro macroeconomico, invece, pur confermando un tasso di crescita reale del PIL pari a circa l’1,5% medio annuo per tutto il periodo di previsione, adotta un profilo più contenuto del tasso di crescita della produttività accompagnato da più elevati livelli occupazionali. Tali modifiche tengono conto di alcuni rilievi critici mossi in merito alla scomposizione della dinamica reale del PIL adottata nella precedente definizione dello scenario macroeconomico. In particolare, da una parte è stato ritenuto troppo basso il livello del tasso di attività femminile e del tasso di occupazione e, dall’altra, eccessivo il tasso di crescita della produttività assunto nella seconda parte del periodo di previsione (2,6%). Relativamente al quadro normativo-istituzionale, il modello recepisce la normativa vigente, nella fase transitoria e a regime, così come delineata dalla legge di riforma n. 335 del 1995 e le successive integrazioni previste dalla L 449/97. Come previsto dalla normativa vigente, si assume l'indicizzazione delle pensioni ai soli prezzi e la revisione decennale dei coefficienti di trasformazione in funzione della speranza di vita implicita nelle previsioni demografiche. 3.La definizione del nuovo scenario macroeconomico Le nuove previsioni (da ora in avanti “previsioni ‘99”) adottano un quadro macroeconomico diverso rispetto a quello impiegato nelle precedenti elaborazioni (Ministero del Tesoro, 1998; Ministero del Tesoro-RGS, 1998). La diversità riguarda non tanto la dinamica endogena del PIL, la cui crescita reale risulta sostanzialmente confermata attorno all’1,5% medio annuo nell’intero periodo di previsione, quanto piuttosto la scomposizione nelle due componenti: tasso di variazione della produttività e tasso di variazione del numero di occupati. In teoria, esistono infinite combinazioni delle due variabili compatibili con un determinato tasso di sviluppo. Sotto questo vincolo, l’adozione di un quadro macroeconomico caratterizzato da produttività elevata e bassa occupazione costituisce uno scenario prudenziale ai fini dell’analisi della sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico rispetto ad altre combinazioni caratterizzate da livelli più bassi di produttività ed occupazione più elevata. Ciò dipende dal fatto che le variazioni nella dinamica della produttività si riflettono fin da subito 5
sulla spesa pensionistica in quanto condizionano i livelli retributivi o reddituali su cui è parametrato l’importo delle pensioni di nuova decorrenza. Al contrario, i differenziali nella dinamica occupazionale, essendo imputabili prevalentemente ai nuovi ingressi, si collocano in età relativamente giovani e, quindi, espletano il loro effetto sulla spesa pensionistica in media con molti anni di ritardo. Oltre a considerazioni di carattere economico, tale esigenza ha indubbiamente pesato nella definizione del quadro macroeconomico adottato in precedenza. Infatti, nonostante le tendenze demografiche producano un calo della popolazione attiva e del numero degli occupati molto consistente, specie nella seconda parte del periodo di previsione, si assumeva la costanza dei tassi di attività e di disoccupazione specifici per età e sesso. In particolare, tale ipotesi implicava un tasso medio di partecipazione femminile strutturalmente inferiore ai livelli già attualmente raggiunti nella maggior parte dei paesi economicamente evoluti ed un tasso di disoccupazione circa il doppio di quello attualmente rilevato negli Stati Uniti1. Inoltre, si rinunciava ad un’ipotesi di incremento del flusso netto di immigrati rispetto alle 50 mila unità l’anno impliciti nelle previsioni demografiche Istat. Allo stesso tempo però, in presenza di un calo del numero di occupati molto consistente (oltre il 25%), e particolarmente rapido nella seconda parte del periodo di previsione, si riteneva esistessero le condizioni economiche per una crescita della produttività per occupato più sostenuta (2,6%) di quella adottata nella prima parte del periodo di previsione (1,5% e 1,8%). Di fronte ad una forte contrazione del fattore lavoro, che non ha precedenti nella storia passata, è realistico attendersi un maggiore investimento in “capitale umano” tramite un potenziamento della formazione di base e dell’aggiornamento professionale. Contestualmente, le imprese dovrebbero optare per tecnologie di produzione a più alta intensità di capitale al fine di economizzare il fattore lavoro divenuto relativamente più scarso e costoso. Viceversa, ove si fossero adottate ipotesi più ottimistiche sulla dinamica occupazionale le argomentazioni sopra esposte avrebbero, almeno in parte, perso di peso. Infatti, in un contesto nel quale il calo dell’occupazione dovesse risultare meno intenso, probabilmente anche le potenzialità di crescita della produttività verrebbero ridimensionate. Le ipotesi del quadro mocroeconomico sopra descritto sono state oggetto di alcune osservazioni critiche che ne hanno consigliato una parziale revisione. Le critiche non hanno riguardato tanto il profilo di crescita del PIL reale, previsto attorno all’1,5% medio annuo, quanto piuttosto la sua scomposizione fra la componente occupazionale e la produttività media del lavoro. In particolare, si è ritenuto che la costanza dei tassi di attività specifici delle femmine nella fascia di età 30-50, per tutto il periodo di previsione, rappresentasse un’ipotesi 1 Alla fine del periodo di previsione (2045), il tasso di attività femminile, nella fascia di età 15- 65 anni, risultava del 45% mentre il tasso di disoccupazione si collocava, per entrambi i sessi, al 9% circa. 6
eccessivamente pessimistica in considerazione del fatto che il tasso di partecipazione delle donne è, in Italia, uno dei più bassi fra i paesi sviluppati. Di conseguenza, un graduale riallineamento verso i livelli già raggiunti in altri paesi industrializzati appare assolutamente realistico specie in considerazione dei futuri andamenti demografici. Analogamente, il tasso di disoccupazione dovrebbe convergere verso valori più contenuti. Il livello attualmente registrato nel nostro paese risulta di circa due, tre volte superiore al tasso cosiddetto “naturale” al quale si collocano attualmente paesi come gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Di segno opposto sono le osservazioni in merito alla produttività media del lavoro. In questo caso, è stata ritenuta eccessiva l’assunzione di un tasso di crescita pari al 2,6% nella seconda parte del periodo di previsione. Premesso che le ipotesi sulla dinamica della produttività nel medio-lungo periodo sono soggette ad ampi margini di discrezionalità, l’indicazione prevalente è per un tasso di crescita di circa il 2%. Tale valutazione, in realtà, emerge più dall’analisi delle dinamiche storiche che da considerazioni mirate ad indagare i riflessi sulle scelte di produzione derivanti dalle forti trasformazioni demografiche attese. Nella definizione del nuovo quadro macroeconomico le modifiche sono state apportate garantendo la massima prudenzialità nelle scelte. In particolare, si è ritenuto che i miglioramenti nei tassi di attività femminili e nei tassi di disoccupazione, in assenza di specifiche politiche rivolte a tale scopo, possano realizzarsi solo negli anni in cui si produrrà un forte calo occupazionale. Più in dettaglio, i tassi di attività specifici delle femmine sono stati incrementati gradualmente per coorte a partire dalla generazione delle 30-enni del 2016. Alla fine del periodo di previsione il tasso di partecipazione medio nella fascia di età 30-50 aumenta di circa 17 punti percentuali passando dal 57% dell’inizio del periodo di previsione al 74%. Come nelle precedenti previsioni, i tassi specifici maschili e femminili evolvono in funzione dei requisiti di accesso al pensionamento previsti dalla normativa vigente (cfr. fig. 1). I tassi specifici di disoccupazione sono stati ridotti gradualmente a partire dal 2021. La correzione è stata apportata in misura proporzionale all’entità del tasso specifico. Essa determina una riduzione del tasso medio al 5% nel 2045 e al 4% nel 2050 (cfr. fig. 2). Nel periodo 1998-2003 i tassi di disoccupazione specifici per età e sesso sono stati gradualmente ridotti in modo tale da portare il tasso di disoccupazione medio dal 12,3% all’10,3%2. Tale dinamica si giustifica in considerazione del fatto che il tasso di disoccupazione del 1997 ha risentito di fattori congiunturali negativi per quanto riguarda la crescita economica. In particolare, la forte decrescita degli occupati fra il 1993 e il 1995 è stata solo parzialmente recuperata nei due anni successivi. Si suppone che tale trend possa 2 Tale andamento è in linea con le indicazioni contenute nella bozza del DPEF 2000-2003 in fase di elaborazione. 7
ancora proseguire fino a portare il tasso di disoccupazione ai livelli mediamente registrati negli anni antecedenti il 1993. Per quanto riguarda la dinamica della produttività media per occupato, si è assunto un tasso di crescita del 2% a partire dal 2021. Le esigenze di prudenzialità sopra ricordate, hanno consigliato di confermare, nella sostanza, le ipotesi del precedente scenario relative alla prima parte del periodo di previsione in cui si assumevano tassi di variazione significativamente inferiori. In particolare, fra il 2004 ed il 2020, il tasso viene fatto crescere gradualmente con un incremento dello 0,1% ogni tre anni. Mentre nel triennio 2001-2003, la produttività per occupato è stata ipotizzata tale da garantire una dinamica del PIL reale pari al 2%, che corrisponde al tasso medio registrato nel ventennio 1979-1998. Le ragioni che hanno spinto ad utilizzare una dinamica del PIL significativamente inferiore a quella indicata nella bozza del DPEF 2000-2003 risponde alla necessità di adottare ipotesi di scenario che colgano gli andamenti strutturali delle variabili macroeconomiche in tutto il periodo di previsione. Infatti, l’adozione di dinamiche congiunturali, seppure limitamente ai primi anni, comporta un duplice inconveniente. In primo luogo, il livello del rapporto fra spesa pensionistica e PIL risulterebbe, nell’intero arco di osservazione, dipendente da scelte di breve periodo3. E, quindi, si potrebbe determinare un miglioramento od un peggioramento della sostenibilità del sistema in assenza di qualsiasi modifica dei parametri strutturali del modello (parametri demografici, tassi di attività e di disoccupazione, produttività, quadro normativo istituzionale, propensioni al pensionamento ecc.). In secondo luogo, tale oscillazione si determinerebbe, in un senso o nell’altro, ad ogni aggiornamento del quadro macroeconomico di breve periodo qualora la dinamica congiunturale del PIL dovesse discostarsi significativamente dalla dinamica di lungo periodo. Del resto, l’analisi degli andamenti ciclici dell’economia esula totalmente dalle finalità conoscitive di una previsione di medio-lungo periodo degli equilibri finanziari del sistema pensionistico. In un tale contesto, la previsione del PIL deve essere effettuata tenendo conto dei soli fattori che sono in grado di condizionarne la dinamica in modo strutturale quali le trasformazioni demografiche, la modificazione della struttura dei tassi di attività e di occupazione, la dinamica di lungo periodo della produttività. Questa esigenza prescinde da qualsiasi giudizio in merito alla realisticità della previsione di breve periodo. Essa poggia sul fatto che la previsione del PIL di lungo periodo non consente di contemplare cicli negativi o positivi in grado di compensare una crescita economica superiore od inferiore a quella strutturale che dovesse essere adottata nei primi anni di previsione. 3 Occorre tener presente che la dinamica della spesa pensionistica prescinde quasi totalmente dal ciclo economico. Gli effetti congiunturali sono limitati alla dinamica dei prezzi la quale trova generalmente compensazione nella dinamica del deflatore del PIL. 8
Gli aspetti qualificanti del nuovo quadro macroeconomico sono illustrati nella fig. 3. Per una migliore comprensione delle dinamiche di lungo periodo delle variabili riportate, i valori relativi al periodo di previsione sono messi a confronto con i valori storici rilevati a partire dal 1961. La dinamica reale del PIL si attesta in media attorno all’1,5%. Si colloca al di sopra di tale valore nel primo decennio del periodo di previsione mentre si mantiene leggermente al di sotto nel periodo successivo. Il gap si annulla in prossimità del 2050. A partire dal 2020, il tasso di variazione reale del PIL scaturisce da un tasso di crescita della produttività media del lavoro pari al 2% ed un tasso di variazione degli occupati di circa -0,5%. 4.La previsione ’99 La fig. 4.1 illustra la previsione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL ottenuta con la nuova versione del modello e l’adozione del quadro macroeconomico descritto nel paragrafo precedente. Per favorire il confronto con le precedenti previsioni, la spesa del sistema pensionistico obbligatorio è stata incrementata della quota relativa alle pensioni sociali (o assegni sociali, dal 1995). La curva mostra l’andamento ormai noto. Essa presenta una crescita rapida nei primi 17 anni del periodo di previsione dove fa registrare un incremento di 1,4 punti percentuali di PIL passando dal 14,2% del 1998 al 15,6% del 2015. La crescita del rapporto fra spesa pensionistica e PIL prosegue nei 17 anni successivi ad un ritmo molto più contenuto (0,2 punti nell’intero periodo) fino a raggiungere il punto di massimo, pari a 15,8%, nel 2032 (1,6% in più rispetto al valore del 1998). Dopodiché la curva inizia a decrescere rapidamente fino a raggiungere il 13,2% nel 2050. La scomposizione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL nel prodotto fra la componente cosiddetta “demografica” (pensioni su occupati) e quella “normativo- istituzionale” (pensione media su produttività del lavoro) consente di analizzare meglio le ragioni di tale andamento (figg. 4.2 e 4.3). In merito alla prima delle due componenti, occorre precisare che il numeratore del rapporto si riferisce al numero di pensioni e non già al numero di pensionati che, come noto, risulta molto più contenuto (circa il 18% in meno nel 1997). La forte crescita registrata nel primo terzo del periodo di previsione è dovuta, quasi esclusivamente, ad un aumento del numero di pensioni (solo parzialmente compensato dall’aumento del numero di occupati) in presenza di una sostanziale invarianza del rapporto fra pensione media e produttività. Poiché le pensioni in essere sono rivalutate ai soli prezzi, ciò significa che l’effetto rinnovo dovuto ai differenziali di importo fra le pensioni di nuova liquidazione e le pensioni cessate produce sull’importo medio dello stock di pensioni, un effetto all’incirca pari alla crescita reale della produttività media del lavoro. Ciò dipende prevalentemente dagli alti rendimenti del sistema retributivo che trova applicazione integrale a 9
favore dei soggetti che accedono al pensionamento nel periodo considerato4. Nella stessa direzione operano il calo dimensionale delle pensioni di invalidità, di importo relativamente basso, e l’aumento della contribuzione media conseguente all’inasprimento dei requisiti minimi per l’accesso al pensionamento. Entrambi i fenomeni producono un effetto importante nel contrastare l’aumento del numero di prestazioni ma, indirettamente, contribuiscono ad una espansione dell’importo medio di pensione. Il rallentamento della crescita del rapporto fra spesa pensionistica e PIL nella parte centrale del periodo di previsione, è dovuto esclusivamente ad una riduzione del rapporto fra pensione media e produttività. Tale risultato scaturisce da una forte contrazione del tasso di crescita della pensione media in conseguenza dell’introduzione graduale del sistema contributivo. In questi anni, infatti, trovano accesso al pensionamento, in misura prevalente, gli assicurati assoggettati al regime misto. L’effetto risulta così pronunciato da più che controbilanciare il forte aumento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. In particolare, tale aumento presenta una significativa accelerazione rispetto al periodo precedente dovuta sia ad una maggiore dinamica del numero delle pensioni che alla decrescita del numero di occupati. Oltre ai noti fattori demografici, tale andamento è favorito dalla cessazione dell’effetto di contenimento prodotto dal calo delle pensioni di invalidità e dall’inasprimento dei requisiti di accesso al pensionamento che operavano nel periodo precedente. Infine, l’ultima fase del periodo di previsione vede un forte e rapido calo del rapporto fra spesa pensionistica e PIL dovuto al passaggio graduale dal regime misto al regime contributivo in presenza di un rallentamento, prima, e di una inversione di tendenza, poi, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale rapporto raggiunge il suo livello massimo di oltre il 130% nel 2044, allorquando inizia a decrescere in conseguenza della progressiva eliminazione per morte delle generazioni del baby boom. Escludendo le pensioni sociali (fig. 5), il profilo del rapporto fra spesa pensionistica e PIL risulta sostanzialmente invariato rispetto a quello illustrato in precedenza. Il livello, ovviamente, risulta più contenuto in misura corrispondente all’incidenza che la spesa per pensioni sociali assume rispetto al PIL5 Al netto di tale componente, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL scende dal 15,8% al 15,5%, nel punto di massimo, e da 13,2% al 12,9%, alla fine del periodo di previsione. Poiché i trattamenti in questione hanno importi molto bassi, tale riduzione si traduce una significativa contrazione del rapporto fra numero di 4 Si tratta dei soggetti con almeno 18 anni di contributi al 31/12/95. 5 Tale componente è prevista in crescita coerentemente con l’aumento dimensionale della popolazione anziana. 10
pensioni e numero di occupati e in un leggero aumento del rapporto fra pensione media e produttività. Nella fig. 6.1 le nuove previsioni (a lordo delle pensioni sociali) vengono messe a confronto con le ultime pubblicate (Ministero del Tesoro, 1998; Ministero del Tesoro-RGS 1998). Come si evince dal grafico le due curve presentano scostamenti assai contenuti. Le differenze più rilevanti si collocano nei primi 20 anni del periodo di previsione e sono imputabili esclusivamente ad una dinamica del PIL più contenuta nelle previsioni ‘99 rispetto a quelle ‘98. Al contrario, i valori di spesa, risultano sostanzialmente allineati nella prima parte del periodo di previsione. Nella parte centrale e finale, invece, la diversa combinazione fra produttività ed occupazione adottata nel nuovo scenario, produce un leggero contenimento della spesa che compensa una dinamica del PIL lievemente più bassa. La scomposizione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL nella componente demografica e normativo-istituzionale evidenzia scostamenti compensativi nella parte iniziale e centrale del periodo di previsione dovute sia alle innovazioni metodologiche del modello che all’aggiornamento dei dati di base discussi nel §. 1 (cfr. figg. 6.2 e 6.3). 11
Fig. 1: tassi di attività - confronto tra anni Fig. 1.1: maschi 100% 80% 60% 2000 2050 40% 20% 0% 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 età Fig. 1.2: femmine 100% 80% 60% 2000 2050 40% 20% 0% 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 età 12
Fig. 2: tassi di disoccupazione - confronto tra anni Fig. 2.1: maschi 50% 45% 40% 35% 30% 2000 25% 2050 20% 15% 10% 5% 0% 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 età Fig. 2.2: femmine 50% 45% 40% 35% 2000 30% 2050 25% 20% 15% 10% 5% 0% 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 età 13
Fig 3: dinamica reale del PIL in Italia - dati storici e scenari di previsione Fig. 3.1: Tasso di variazione reale del Pil 8,0% 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% -2,0% -4,0% 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050 valori previsivi valori storici (*) tasso dell' 1,5% Fig. 3.2: Tasso di variazione reale della produttività 8,0% 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% -2,0% -4,0% 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050 valori previsivi (per occupato) valori storici (per ULA) (*) tasso del 2% Fig. 3.3: Tasso di variazione dell'occupazione 8,0% 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% -2,0% -4,0% 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050 valori previsivi (per occupato) valori storici (per ULA) (*) tasso del -0,5% (*) Fonte: dal 1961 al 1969 R. Golinelli (1992); dal 1970 al 1998 Istat. 14
Fig. 4: Spesa pensionistica, al lordo delle pensioni sociali, in % del PIL e sua scomposizione - previsione '99 Fig. 4.1: spesa in rapporto al PIL 18% 17% 16% 15,6% 15,8% 15% 14,2% 14% 13,2% 13% 12% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 Fig. 4.2: rapporto tra pensione media e produttività del lavoro 18% 16% 15,5% 15,6% 14% 13,0% 12% 10% 10,1% 8% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 Fig. 4.3: rapporto tra pensioni ed occupati 160% 140% 130% 122% 120% 100% 100% 92% 80% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 15
Fig. 5: Spesa pensionistica, al netto delle pensioni sociali, in % del PIL e sua scomposizione - previsione '99 Fig. 5.1: spesa in rapporto al PIL 18% 17% 16% 15,4% 15,5% 15% 14,1% 14% 13% 12,9% 12% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 Fig. 5.2: rapporto tra pensione media e produttività del lavoro 18% 15,8% 15,9% 16% 14% 13,2% 12% 10,4% 10% 8% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 Fig. 5.3: rapporto tra pensioni ed occupati 160% 140% 125% 120% 117% 100% 96% 89% 80% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050 16
Fig. 6: Spesa pensionistica in % del PIL e sua scomposizione confronto tra previsioni Fig. 6.1: spesa in rapporto al PIL 18% 17% 16% Previsione '99 15% Previsione '98 (*) 14% 13% 12% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 Fig. 6.2: rapporto tra pensione media e produttività del lavoro 18% 16% Previsione '99 14% Previsione '98 (*) 12% 10% 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 Fig. 6.3: rapporto tra pensioni ed occupati 1,6 1,4 Previsione '99 1,2 Previsione '98 (*) 1,0 0,8 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 (*) Contenuta in: "Italy's convergence towards EMU", Ministero del Tesoro, 1998. Per una descrizione delle ipotesi sottostanti la previsione Ministero del Tesoro-RGS, 1998. 17
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