23 novembre 2018 Adolescenza e web - Udine Nodi e snodi in psichiatria: l'universo del virtuale
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Udine Nodi e snodi in psichiatria: l'universo del virtuale - Come il web cambia il cervello, la mente e le relazioni - X Edizione 23 novembre 2018 Adolescenza e web
Con la concessione dell’autore.. Quando un adolescente, solo nella sua stanza, magari in piena notte, mentre tutti in casa stanno dormendo, accende lo schermo del suo P.C., prova un’emozione simile a quella di chi si pone alla guida di un’astronave e, seduto ai comandi, vede accendersi le luci della consolle avveniristica davanti a sé. L’infinita esteriorità dell’universo si è concentrata miracolosamente tutta dentro un piccolo interno, come lo spirito della lampada, al servizio del suo padrone e, contemporaneamente, l’interno si è tutto esteriorizzato dilatandosi fuori di sé senza più limiti.
Giuseppe Pellizzari La psicoanalisi all’epoca della rete , Aprile 18 Centro di Psicoanalisi milanese Psycoserver : nuove frontiere dell’immaginario
Ferrigno Sempre più frequentemente giungono con la richiesta di un intervento psicoterapeutico bambini, adolescenti e giovani adulti che, attraverso una immersione eccessiva nei mondi virtuali, hanno arrestato il loro sviluppo, si sono ritirati in uno stato di isolamento o hanno sviluppato vere e proprie patologie da addiction che interferiscono, anche gravemente, con la loro vita di relazione e con i loro rapporti sociali diventando vere e proprie prigioni.
Marzi , Saltamerenda https://www.spiweb.it/category/spipedia/ • Hikikomori • affermazione di libertà, possibilità illimitata di accesso ad infinite informazioni, esaltazione delle capacità conoscitive della mente… • ma altresì schiavitù,, una pseudo realtà. • Goldberg (1995) è stato il primo studioso ad inquadrare la presenza del disturbo di dipendenza da internet e a descriverne i criteri diagnostici (IAD: Internet Addiction Disorder) . • La psicologa Kimberly S. Young (1996) parla di Pathological Internet Use (PIU) e descrive un’ossessione maladattiva all’uso di internet accompagnata da stress e difficoltà a scuola, lavoro, vita relazionale, con alterazioni del comportamento, disturbi dell’umore, fastidi fisici. • Concettualmente è un disordine impulsivo compulsivo che coinvolge l’uso del pc e suoi derivati mobili, soprattutto in modalità on line ma anche off line.
• cyber sexual addiction (visitazione siti porno, pratica sesso virtuale) cyber relationship addiction: intrattenimento per larga parte del giorno attraverso email, social network, chat lines net compulsion: giochi d’azzardo (gambling) online, giochi di ruolo, shopping, trading information overload (di cui parla anche Kimberly S. Young): infosurfing computer addiction: giochi, gaming, solitari, play station •
Ma al contempo può rischiare di spingere ad una dissociazione dalla propria vita ed immaginazione in un rifugio autistico e un’arena incapsulata
Winnicott La dissociazione è un meccanismo di difesa estremamente diffuso che conduce a risultati sorprendenti. La vita urbana, per esempio, è una dissociazione molto seria per la civiltà.
Bromberg • La capacità della mente umana di limitare la sua autoriflessività è segno distintivo della dissociazione. • Sé decentrato e mente come configurazione di stati di consapevolezza mutevoli e non lineari in una continua dialettica con la necessaria illusione di un sé unitario
Dissociazione necessaria • Direi quindi per restituire al concetto una dimensione vicina alla quotidianità, che molte forme di mild dissociation sono parte costitutiva della nostra vita relazionale ed affettiva. Potremmo sostenere che sono anche parte essenziale di alcuni funzionamenti mentali. • Comincerei con la capacità di eseguire certi compiti in una sorta di attenzione ridotta, mentre siamo dislocati su altre attività mentali e su altre operazioni, come, appunto il guidare in autostrada in condizioni quasi automatiche, impegnati in altre attività di riflessione, calcolo, fantasticheria, progettazione, rievocazione, creazione, canto, ma con una vigilanza pronta per condizioni di emergenza.
Whitmer Questo autore , dopo aver osservato che nella dissociazione (grave) vi è l’impossibilità di formare l’esperienza di sé, suggerisce che attraverso la dissociazione stessa vi è un modo diverso di conoscere: il paziente costruisce la conoscenza di sé solo nell'interazione con l'altro. Il soggetto percepisce le sensazioni e gli stati d'animo, ma relega ad un altro il compito di interpretare questa esperienza.
Brenner 1994, stati autoipnoidi Questi pazienti possono indurre questi stati autoipnotici da movimenti ritmici, suoni mantralici ripetitivi, ronzando, cantando, fissando sugli oggetti della stanza, utilizzando immagini, privazione del sonno o abuso di sostanze (Dickes, 1965) E …ora nel 2108 ?
Pensieri ossessivi e ritiro adolescenziale: una questione morale Rivista di Psicoanalisi 2016/3 autore Jones De Luca editore Raffaello Cortina Editore online da 112016 http://riviste.raffaellocortina.it/scheda articolo_digital/jonesdeluca/pensieriossessivieritiro adolescenzialeunaquestionemoraleRDPS2016_3_4 2502.html
indifferenti e lontani erano decisi a non dire niente di sé dormivano di giorno e la notte erano insonni, non andavano più a scuola, non uscivano più con i loro amici e rimanevano in contatto col mondo solo attraverso il loro pc o il loro tablet chiusi a riccio, non accettavano l’incontro con l’altro, chiunque fosse, il loro ritiro preoccupava i medici con cui venivano in contatto.
• L’unico legame col mondo era il loro tablet o il loro pc • La mia maggiore preoccupazione era che staccassero la spina ( del pc …) • Per nessuno di questi nove pazienti il ritirarsi era dovuto ad una dipendenza da internet
Ma… • Situazioni diverse tra loro, spesso ritiro dovuto ad autoricoveri preventivi • Vergogna per fallimenti sul piano della regolazione della rabbia • Vergogna per fallimenti rispetto alle aspettative • Non speranza di poter avere un futuro ..etc
web • Unico sollievo in una situazione di isolamento e disperazione • Unico legame rimasto con i coetanei • Unico legame rimasto col mondo
• Tra i processi dissociativi dobbiamo distinguere nel continuum e vedere il problema dell’incapsulamento rigido dato dalla dissociazione legata al processo traumatico, in quel caso vedremo il non ritorno, o comunque la difficoltà ad entrare e uscire ma si sarebbe verificato comunque internet o meno ?
Spostare Di fronte all’imminente depersonalizzazione e collasso del sé , la mente ricorre ad un’estrema misura di sicurezza : la sua capacità di fare ricorso, in caso di emergenza , al processo altrimenti normale di spostare in modo fluido e creativo la consapevolezza di alcuni aspetti dell’esperienza immediata verso altri aspetti, mi sto riferendo al processo di dissociazione ..
Vergogna e trauma • Quando il trauma fa sentire la sua presenza quello che è compromesso non sono semplicemente i contenuti mentali ma la coerenza degli stati del sé . • La continuità del sé è essa in gioco e la vergogna gli conferisce la sua orribile coloritura • La vergogna è il segnale che il sé è, o sta per essere, violato e richiede un intervento di emergenza.
Pellizzari “game” Credo sia importante notare che la parola “gioco” in lingua inglese può esser detta in due modi: “game” e “play”. Già Umberto Eco insisteva su questa distinzione. Game indica un gioco strutturato da regole precise che regolamentano una sfida. Ci sono degli avversari quindi che si scontrano misurando le loro abilità. I giochi olimpici per esempio. Sono giochi che comportano vincitori e sconfitti. Una sorta di sublimazione della guerra. Lo scopo del game sembra quindi quello di contenere, dare forma, regolamentare la distruttività istintiva. L’ “homo homini lupus” può scatenarsi all’interno di regole precise senza conseguenze troppo pericolose e diventare, a volte, abilità raffinata che suscita ammirazione. In questo senso può risultare utile per un ragazzino esprimere le proprie pulsioni sadiche all’interno di un videogioco. E il fatto che ovviamente il contesto dei videogiochi è spesso aggressivo, con morti e distruzioni, poco ecologico e politicamente scorretto, suscita diffidenza e preoccupazione nei genitori che pensano faccia male ai loro figli e li possa trasformare in bulli. D’altronde l’attrattiva dei videogiochi è proprio quella di dare espressione a quelle pulsioni che spesso i genitori non vorrebbero vedere nei loro bambini. Cosa sarebbero mai i film d’avventura senza l’apporto dei cattivi e il corredo di ammazzamenti e violenze varie?
“play” Diverso è invece il significato del gioco come “play”. Si tratta della scoperta della simbolizzazione, della possibilità di usare gli oggetti non secondo la loro funzione, ma sovvertendola, facendoli diventare “altro”. Ricordiamo il celebre abbassalingua del pediatra Winnicott che incuriosiva i bambini da lui visitati e che poteva diventare qualsiasi cosa. Play è il gioco d’invenzione, anzi potremmo dire di creazione. Non ci sono regole prestabilite, caso mai si inventano strada facendo. Si “fa finta”. E sappiamo che “fingere” indica l’arte dei vasaio che con le mani dà forma all’argilla. Giocando il bambino, l’adolescente e l’adulto danno forma alla loro realtà soggettiva, sovvertendo, all’interno di un’area precisa, che è il prototipo del setting, le regole funzionali delle cose.
Daniele Biondo Mondo digitale e dolore evolutivo, Rivista di Psicoanalisi 2017/1
osservare è l’uso che gli adolescenti fanno del medium La tecnologia può essere utilizzata dagli adolescenti per surrogare la costruzione dell’acquisizione dell’identità di genere (registro della fuga) o per bloccare l’acquisizione dell’identità generazionale (registro dell’onnipotenza). La sfida attuale a cui è chiamato lo psicoanalista di adolescenti è quella di riuscire ad utilizzare la tecnologia come una risorsa creativa per il processo di soggettivazione dei pazienti adolescenti, nonché come una risorsa terapeutica per fronteggiare il dolore intergenerazionale e il dolore evolutivo. Ciò che è importante osservare è l’uso che gli adolescenti fanno del medium: un uso che può essere teso a rappresentare il proprio dolore evolutivo, seppur con forme più o meno evolute che oscillano dall’allucinazione alla figurazione.
D’AMBROSIO, TARELLO • Tale esperienza rievoca il rifugio della mente descritto da John Steiner (1996), • in adolescenza, i nuovi media e le nuove tecnologie digitali possono rappresentare uno strumento utile per la creazione e la conquista di uno spazio psichico allargato, uno spazio che in quanto tale “offre un appiglio all’attività, permette il controllo, porta alla raffigurazione della realtà interna, a partire dalle percezioni che ne derivano e dalle modificazioni che subisce” Attraverso la padronanza del gioco e dei diversi stimoli percettivi e sensoriali ad esso connessi. • ……….hanno dapprima ricorso all’utilizzo della rete in modo solipsistico, come una cura autosomministrata che però anziché produrre nuova linfa vitale e creativa imprigionava i soggetti in una costante ripetizione: lo schermo e la realtà virtuale non permettevano da soli un’elaborazione ed una trasformazione creativa, ma è stato necessario un compagno vivo, un terapeuta capace di aiutarli a creare un ponte per spostarsi dalla fusionalità dello schermo alla tridimensionalità e (triangolazione) del pensiero.
Marzano Viaggio alle origini Il viaggio alla ricerca delle origini che Simone, un ragazzo tredicenne adottato, intraprende nella stanza di analisi attraverso il software google earth del computer offerto dalla terapeuta. Nel “viaggio” la terapeuta è accanto al paziente e gli consente l’illusione che esite una realtà esterna che corrisponde alla sua capacità di creare magicamente l’oggetto dei suoi bisogni, ma è nel contempo impegnata a fornirgli la graduale disillusione, preparando la strada alla frustrazione e favorendo lo stabilirsi dell’esame di realtà. Nel lavoro viene ipotizzato che l’uso di un dispositivo che da un lato sembra annullare le distanze, ma dall’altro fa in modo che la distanza sia sempre mantenuta, che consente il collegarsi e lo scollegarsi, l’esperire una realtà reale e virtuale, un tempo reale e atemporale, unitamente alla condivisione ed interpretazione della terapeuta, attenuavano i rischi del viaggio di ritorno alle origini, favorendo il processo di riappropriazione, per Simone, del proprio passato, altrimenti troppo angosciante.
Kirss Con l’espressione “paziente giocatore” si indica abitualmente, nella pratica clinica, il soggetto giovane, socialmente isolato e spesso considerato ‘strano’, che gioca ai videogiochi per molte ore ogni giorno. Tale comportamento è frequentemente visto come sintomatico di un ritiro dalla realtà e segnale di competenze interpersonali immature, senza che ne vengano esplorati altri significati.
esplorazione peculiarità dei videogiochi consentano l’esplorazione di alcuni meccanismi psicologici che prendono vita durante la sessione di gioco. I mondi proposti dai videogiochi funzionano come un tipo particolare di spazio potenziale (Winnicott, 1971), che non appartiene interamente né alla realtà intrapsichica né a quella oggettiva, ma è in contatto con entrambe. Forse, soprattutto, mi preme mostrare come i videogiochi non siano, necessariamente, il sintomo di una rigida chiusura ma una forma di espressione artistica varia e complessa
insieme ad altri . Nel caso di giochi di ruolo da tavolo, come Dungeons & Dragons, per esempio, è un essere umano, invece di un computer, a gestire lo scenario e a dettare le regole. Ciò consente un livello significativo di cocreazione tra giocatori e “game master” e promuove una maggiore consapevolezza del fatto che qualunque cosa possa essere tentata da parte dei giocatori rispetto a quanto avvenga comunemente nei videogiochi o nella vita reale (Peterson, 2012). Il giocatore abita il mondo del videogioco insieme ad altri giocatori, anche a milioni di altri giocatori, tutti i partecipanti sono focalizzati sullo stesso ambiente, personaggio e sistema.
violenza L’ipotesi più diffusa è che i giochi violenti ispirino i giovani ad agire con azioni da videogioco anche nella vita reale, ossia che l’esposizione al gioco istighi alla violenza attraverso una sorta di contagio sociale. Anche se questa ipotesi è stata presente sin dall’avvento dei giochi da tavolo negli anni Settanta, che prevedevano che i giocatori assumessero il ruolo di un personaggio (Peterson, 2012), la sua applicazione ai videogiochi è stata ampiamente proposta nel tentativo … di dare una spiegazione alle terribili sparatorie avvenute nelle scuole, come quella della Columbine High School nel 1999 (Kutner & Olson, 2008). Oggi, alcuni studi suggeriscono che la relazione tra giochi violenti e aggressività sia in realtà più simile a una relazione di spostamento che di imitazione: Cunningham, Engelstatter e Ward (2011) riferiscono dati che dimostrano che, anche se giocare a videogiochi violenti e provare sentimenti aggressivi sono aspetti correlati ‘positivamente’ tra di loro, c’è una corrispondente correlazione ‘negativa’ tra giochi violenti e agiti violenti. Questi risultati suggeriscono che, per alcuni soggetti, i giochi violenti fungano da sfogo per sentimenti aggressivi, cosa che può, in realtà, attenuare l’impulso ad agire violentemente nel mondo reale.
Elaborare il trauma Certamente non si può negare il fatto che giocare a un videogioco per dieci ore al giorno sia problematico. Ma qual è esattamente il problema? Gli studi contemporanei ci portano a rifiutare la nozione che il giocatore sia “infettato” dal gioco e ritengoo invece che egli faccia uso di videogiochi per agire fantasie e impulsi nel solo modo che gli sembra possibile. La teoria psicoanalitica classica ha considerato il gioco ripetitivo come un modo per rivivere il trauma, con la motivazione inconscia di poterlo infine elaborare (Freud, 1920; Waelder, 1933). Psicologi dell’Io, come Arlow (1987), hanno successivamente sostenuto che al di là del rivivere un vissuto doloroso, il gioco serve a trasformare il trauma iniziale in qualcosa di più irreale.
La sola maniera possibile Io trattavo i resoconti di gioco di Jack come avrei trattato qualsiasi altro tipo di materiale di fantasia, adatto ad essere esplorato. Invece di liquidare la sua esperienza di gioco come un ritiro dalla realtà, riconoscevo il fatto che Jack stava esplorando nuovi modi di essere nella sola maniera che gli era possibile trovare in quel momento. Facendo entrare apertamente la sua vita di giocatore all’interno della terapia, cosa che includeva la mia modesta ammissione, la mia “self-disclosure”, di avere io stesso una certa familiarità con quel gioco, speravo di consolidare e progredire in un percorso di maggiore conoscenza.
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