#2 RUBRICA: GLI IMPIANTI NEGLI EDIFICI NZEB - 27 SETTEMBRE 2021 DALLA TEORIA ALLA PRATICA
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27 SETTEMBRE 2021 #2 RUBRICA: GLI IMPIANTI NEGLI EDIFICI NZEB DALLA TEORIA ALLA PRATICA Dott. Ing. Michele Vio
Rubrica: Gli impianti negli edifici NZEB: dalla teoria alla pratica L'utopia degli accumulatori elettrici Nel primo numero di questa nuova rubrica dedicata agli edifici NZEB si è discusso dell'importanza degli spazi disponibili, necessari per qualunque fonte di energia rinnovabile, tanto da definirli l'oro nero dell'era NZEB. Sarà la disponibilità di spazio, prima ancora della tecnologia, a sostituire il petrolio. Se si parla di energia solare, l'unica sorgente rinnovabile disponibile ovunque, il modo migliore per utilizzarla è produrre energia elettrica mediante campi fotovoltaici oppure produrre acqua calda sanitaria attraverso pannelli termici: nel prossimo numero si confronteranno tra loro le due tecnologie. Purtroppo l'energia solare non è sempre disponibile: di sicuro non lo è mai di notte, come lo è poco nei mesi invernali. Se si volesse costruire un edificio alimentato solamente dall'energia solare autoprodotta da un impianto fotovoltaico non basterebbe disporre di spazio sufficiente per installare l'intera superficie necessaria, ma bisognerebbe anche usare dei sistemi di accumulo elettrico per far fronte agli inevitabili sfasamenti. L'evoluzione tecnologica delle batterie elettriche negli ultimi anni, per i telefonini e per le auto, potrebbe illudere un osservatore disattento e farle ritenere ormai mature per rendere gli edifici quasi completamente autonomi rispetto alla rete elettrica. Ciò sarebbe importante, perché si riuscirebbe così a costruire edifici a emissioni quasi nulle, non solamente a bilancio energetico prossimo a 0. L'edificio ZEB non è un edificio a emissioni 0 C'è una differenza sostanziale tra edificio completamente autonomo e edificio collegato alle rete elettrica, con uguale bilancio energetico. Si supponga di riuscire a realizzare un edificio ZEB (Zero Energy Building), cioè un edificio in grado di autoprodurre tutta l'energia utilizzata, magari mediante un campo fotovoltaico. E' tutt'altro che impossibile, disponendo degli spazi necessari: il palazzo per uffici utilizzato di seguito come esempio, tratto dallo studio condotto con il Politecnico di Torino (Corgnati e altri, 2017), richiede una superficie complessiva di 2.786 m2 per portare il bilancio annuo a zero, sommando i consumi degli impianti e del resto dell'edificio. Per come è conformato l'edificio oggetto della ricerca, 1.000 m2 sono disponibili sul tetto, mentre gli altri potrebbero essere disponibili se vi fosse un posteggio per circa 150 auto, all'aperto e sufficientemente soleggiato, da ricoprire completamente. Si conferma ancora una volta l'importanza degli spazi: se il posteggio all'aperto c'è, rendere l'edificio ZEB è tecnicamente banale, altrimenti diventa impossibile. Si realizza così un edificio ZEB, a bilancio zero, ma l'interscambio con la rete non lo rende un edificio a emissioni 0: quando si deve prelevare energia, perché la produzione da fotovoltaico è insufficiente o nulla, quell'energia deve necessariamente essere prodotta da fonti fossili. E' notte contemporaneamente in due continenti e mezzo (Europa, Africa e Medio Oriente), così come è inverno in un intero emisfero. Certo: nel bilancio annuale il consumo da fonti fossili è ridotto, perché nel bilancio della rete si deve considerare il surplus di energia dell'edificio ZEB, ma non è annullato completamente. Per farlo, bisognerebbe rendere autonomo l'edificio, grazie ad accumuli elettrici posti al suo interno o nell'intera rete. Qui iniziano i veri problemi, quasi insormontabili almeno nel medio termine. 1
La storica incapacità di accumulare energia elettrica L'uomo non ha mai saputo accumulare energia elettrica: sta imparando adesso. La storia dell'automobile ne è la conferma. A differenza di quanto affermano le leggende metropolitane, l'auto elettrica non è stata bloccata dalle lobby dei petrolieri, bensì dalla incapacità di accumulare energia elettrica. I primi record di velocità delle auto furono tutti ad appannaggio di vetture elettriche grazie a due piloti: il francese Gaston de Chasseloup - Laubat e il belga Camille Jenatzy. Tra il dicembre del 1898 l'aprile del 1899 i due si sfidarono rubandosi il record a vicenda, sempre con auto elettriche. Il francese passò dai 65,15 km/h fino a 92,78 km/h, sempre con la stessa auto, una Jeantaund Duc, profilata aerodinamicamente nella versione dell'ultimo record. Il belga continuò a inseguirlo e batterlo, prima con una CTA Dogcart, con la quale arrivò fino a 80,35 km/h, poi con una CITA 25, denominata La Jamais Contente, superò l'impensabile soglia dei 100 km/h. Passeranno 3 anni, un'eternità per l'allora neonata storia dell'auto, prima che questo record venga battuto: nel 1902 il francese Leonard Serpollet superò i 120 km/h con un motore a vapore, e pochi mesi dopo lo statunitense William Vanderbilt raggiunse i 122 km/h con un'auto a motore endotermico, una Mors. La storia dell'auto aveva scelto il proprio motore d'eccellenza. Figura 1: La Jamais Contente, prima auto a superare i 100 km/h, guidata dal belga Camille Jenatzy (1899) Alla fine del '800 gli accumulatori elettrici avevano energie specifiche dell'ordine della decina di Wh/kg. Le cose sono cambiate, ma non migliorate così tanto: a metà del '900 l'energia specifica sale a qualche decina di Wh/kg ed ora, con le nuove coppie elettrolitiche e l'uso del litio si hanno batterie in grado di accumulare oltre 100 Wh/kg mentre alcuni prototipi raggiungono valori da 400 Wh/kg. Tanto per fare dei confronti, un serbatoio per un'auto diesel ha una capacità di accumulo tra i 5 e 6 kWh per kg, considerando anche il rendimento del motore. Se il peso è importante nella trazione, lo è meno per le istallazioni fisse. Tuttavia, gli accumulatori elettrici sono carenti anche dal punto di vista dei volumi: in futuro si spera di arrivare a dai 400 W/litro fino a 600 W/litro (Tironi e altri), valori di almeno un ordine di grandezza inferiori rispetto all'accumulo di combustibili fossili. Costi degli accumuli e tempi di ritorno dell'investimento Il litio in natura è presente in quantità più che sufficienti agli attuali utilizzi e anche a quelli stimati in futuro. Ha il vantaggio di essere presente in paesi politicamente stabili come Australia, Cina, Nord America, Argentina, Cile ecc. Si trova in specifiche rocce sotto forma di ossidi, le stesse che sono utilizzate per produzione di carbonati. Si trova anche sotto forma sali, praticamente non ancora utilizzati nella produzione industriale. In un accumulatore da 1 kWh la quantità di litio metallico 2
presente è dell'ordine di qualche grammo e i perfezionamenti tecnologici tenderanno a farlo scendere ulteriormente. Tuttavia sono necessarie materie prime costose come il cobalto e il grafene. Gli accumulatori al litio hanno attualmente un costo variabile tra 600 e 1.000 €/kWh: si può pensare di abbassarlo in futuro, ma è difficile quantificare ora il risultato finale. Per le grandi dimensioni si sta lavorando su accumulatori meno costosi, come quelli a flusso, con vanadio pentavalente e vanadio trivalente, o sistemi ad aria compressa oppure i vecchi sistemi idraulici, soprattutto se si ragiona a livello di rete. I tempi di ritorno dell'investimento dipendono sia dal prezzo dell'accumulo, sia dalla differenza di costo dell'energia comperata e venduta alla rete: se fosse accumulata, l'energia elettrica sarebbe direttamente utilizzata in loco, senza bisogno appunto di venderla, quando c'è un surplus di energia, e ricomperarla, quando c'è un deficit. La differenza di costo può variare tra 0,08 €/kWh e 0,15 €/kWh. Questo è anche il risparmio ottenibile con l'utilizzo delle batterie di accumulo elettrico. Il tempo di ritorno dell'investimento è pari al numero di ricariche necessarie per portare il risparmio ad eguagliare il costo dell'accumulo. Per comprendere meglio, con un costo per accumulo di 300 €/kWh e una differenza di costo tra energia comperata e energia venduta pari a 0,15 €/kWh, porta ad un pareggio dopo 2.000 cicli di ricarica. La figura 2 mostra il numero di cicli di ricarica di pareggio per vari costi unitari dell'accumulo elettrico e per diversi valori di risparmio (differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita dell'energia elettrica). 14.000 12.000 NUMERO DI RICARICHE 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1.000 COSTO ACCUMULO [€/kWh] 0,08 € 0,10 € 0,15 € Figura 2: numeri di ricariche complete necessarie per pareggiare il costo di acquisto dell'accumulo, al variare del risparmio ottenibile (differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita dell'energia elettrica). 3
Limiti dell'utilizzo degli accumuli negli impianti fotovoltaici Il problema degli accumuli elettrici sta proprio nel numero delle ricariche complete effettuate. Se si ragionasse basandosi sull'utilizzo dei telefoni cellulari, le batterie avrebbero una funzione di accumulo poco più che orario: da una a tre ricariche al giorno. Questo comporterebbe un tempo di ritorno dell'investimento abbastanza limitato, dell'ordine di qualche anno. Purtroppo non è così: gli accumuli per gli impianti fotovoltaici debbono essere necessariamente stagionali. Il diagramma riportata in figura 3 mostra il confronto tra l'energia richiesta per ogni settimana dell'anno da un palazzo per uffici di 7 pian situato a Roma (Corgnati e altri, 2017) e la produzione di un campo fotovoltaico della dimensione di 2.786 m2, corrispondente a una potenza di 470 kW di picco, sufficiente a produrre tutti i 469.622 kWh richiesti dall'edificio. Se non ci fosse alcun accumulo, 283.201 kWh, pari al 60,3%, sarebbero autoconsumati istantaneamente durante la produzione, mentre gli altri 186.242 kWh sarebbero ceduti alla rete, per poi essere riacquistati. 16.000 14.000 ENERGIA ELETTRICA [kWh] 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 SETTIMANE Consumata Autoprodotta Figura 3: energia elettrica consumata e autoprodotta in un edificio per uffici Come si può notare dalla figura 3, c'è sostanzialmente un deficit di autoproduzione nelle prime 8 settimane dell'anno e nelle ultime 14, mentre c'è un surplus di produzione nelle rimanenti 30 settimane. Di conseguenza l'accumulo deve essere dimensionato sulla richiesta dell'intera stagione, se si vuole rendere autonomo e staccato dalla rete l'edificio. La figura 4 mostra il trend dello sfasamento tra energia elettrica prodotta e energia elettrica consumata, per ogni singola ora dell'anno. 35.000 30.000 TREND SFASAMENTO [kWh] 25.000 20.000 15.000 10.000 5.000 0 -5.000 -10.000 -15.000 O RE Figura 4: trend dello sfasamento per ogni singola ora dell'anno 4
Il deficit di energia è massimo circa -12.000 kWh) dopo 1.400 ore (8 settimane) e si annulla dopo circa 2.400 ore dell'anno (14 settimane). Il surplus massimo raggiunge 30.000 kWh. Di conseguenza, se si volesse rendere indipendente l'edificio dalla rete, l'accumulo dovrebbe avere la capacità di 42.000 kWh, cosa assolutamente impensabile, non solo ai costi attuali, ma anche nella migliore ipotesi di proiezione futura. Se si riuscisse a costruire accumuli del valore di 100 €/kWh, il costo di un accumulo simile sarebbe di 4,2 milioni di euro, per ottenere un risparmio annuo di circa 22.000 €. Conclusioni Alla luce delle precedenti considerazioni, gli accumulatori elettrici non potranno mai avere un ruolo determinante, tale da riuscire a rendere completamente autonomo un edificio dalla rete. Forse potranno avere un ruolo maggiore se installati nella rete di distribuzione: da questo punto di vista potrebbero tornare in auge i vecchi impianti idroelettrici con turbine reversibili, molto in voga negli anni 50 e 60. Il loro utilizzo dovrebbe avvenire al contrario rispetto a come furono pensati: di notte l'acqua veniva pompata nel bacino superiore, sfruttando il surplus di energia elettrica prodotta nelle centrali, così da mantenere elevato il loro rendimento. Il bacino veniva poi svuotato di giorno, alimentando le turbine, quando la rete richiedeva più energia di quella prodotta. Adesso il pompaggio dovrebbe avvenire di giorno, nelle ore più assolate, per poi essere scaricate in assenza di sole. Tuttavia, anche per questi accumuli ci sarebbe il vincolo non indifferente dell'utilizzo giornaliero, poco adatto alla stagionalità richiesta dallo sfruttamento del sole. E. Tironi, L. Piegari, V. Musolino. S. Grillo 2011: Studio di sistemi avanzati di accumulo di energia quali supercondensatori e sistemi di accumulo misti (batterie + supercondensatori) www.enea.it/it/Ricerca_sviluppo/documenti/ricerca-di-sistema...di.../rds-34.pd S. Corgnati, C. Becchio, M.Vio, M. Babuin, M. Ranieri 2017 Confronto tra impianti a tutt'aria VAV e ad aria primaria: l'importanza del consumo degli ausiliari, Aicarr Journal N.41 5
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