14 AGOSTO 2018 - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa

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UFFICIO STAMPA

14 AGOSTO 2018
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA

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POLITICA                                                                                                     14/8/2018

Il retroscena
Le grandi manovre nel centrodestra

Sindaci, assessori, professionisti la carica dei
salviniani dell’ultima ora
Oggi il leader della Lega e ministro dell’Interno sarà in Sicilia orientale Da Bramanti a
Leanza, l’obiettivo è togliere consensi a Forza Italia

ANTONIO FRASCHILLA

«Non portatemi deputati e pezzi di establishment di altri partiti, voglio amministratori locali, gente che è davvero a
contatto con le persone. Non portatemi vecchi arnesi della politica, ma semmai tecnici e professionisti della società
civile». Il leader della Lega e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha lanciato nei mesi scorsi un messaggio chiaro ai
suoi riferimenti verdi nell’Isola, il sottosegretario Stefano Candiani e l’assessore etneo Fabio Cantarella, in vista di una
lunga campagna acquisti per le Europee e, chissà, anche per possibili elezioni nazionali. Oggi Salvini sarà in Sicilia per
iniziare a raccogliere i primi frutti del suo messaggio, con una transumanza di assessori e sindaci, ma anche di
professionisti, che dalle file del centrodestra, Forza Italia soprattutto, sta passando armi e bagagli sotto la bandiera della
Lega.
Il ministro dell’Interno oggi alle 15,30 visiterà l’azienda confiscata alla mafia Geotrans, nella zona industriale di Catania.
Poi andrà a Palazzo degli Elefanti per partecipare ad una giunta dell’amministrazione guidata da Salvo Pogliese, nel
corso della quale annuncerà lo stop la dissesto deliberato dalla Corte dei conti grazie a una norma approvata, inseme ai
5 stelle, nella conversione del decreto Milleproroghe. Il dissesto avrebbe bloccato le spese del Comune e della giunta
Pogliese, che vede tra i suoi componenti anche Cantarella. Così se una volta da Milano i leghisti lanciavano strali contro
i Comuni spendaccioni del Sud, adesso è il leader della Lega in persona ad annunciarne il salvataggio. I tempi che
cambiano, con una Lega che diventa sempre più partito di destra nazionale.
Non a caso, dopo una visita alla base navale di San Raineri a Messina per ringraziare i finanziari che hanno appena
sequestrato un mega carico di droga, Salvini andrà poi a Furci Siculo per una cena insieme ai volti nuovi della Lega.
Alla cena organizzata dai colonnelli verdi del ministro Sicilia insieme al sindaco di Furci, il leghista Matteo Francilia, è
atteso il professore universitario e direttore del Centro Neurolesi di Messina, Dino Bramanti: candidato sindaco alle
scorse amministrative, sostenuto da Forza Italia e voluto in campo dal governatore Nello Musumeci, Bramanti è pronto
ad entrare nella Lega. «Non è un politico ed è un professionista molto noto», ci tengono a precisare i leghisti di Sicilia.
Alla cena sono attesi poi molti amministratori locali che Salvini vuole perché, a suo dire, «più a contato con le
persone»: ci sarà Alfio Allegra, presidente della sesta circoscrizione di Catania, la più grande, che proviene da un
passato nel Pdl; ci sarà Giancarlo Turco, consigliere comunale di Giardini Naxos anche lui vicino a Forza Italia; la
consigliera comunale di Agrigento Nuccia Palermo, il presidente del consiglio comunale di Castelmola Massimiliano
Pizzolo, anche lui con un passato forzista alle spalle. E, ancora, stanno passando nelle file leghiste Santi Sarai,
consigliere comunale di Milazzo e, nel Palermitano, dopo Igor Gelarda, consigliere comunale eletto con i 5 stelle, alla
Lega stanno aderendo il consigliere di Sala delle Lapidi Elio Ficarra, Anna Maniscalco,
assessore del comune di Campofiorito, Vito Chiara, presidente del consiglio comunale sempre a Campofiorito, e Pietro
Giammalva, consigliere comunale di Chiusa Sclafani: «Registriamo un grande entusiasmo per il nostro progetto», dice
Gelarda, che Candiani ha nominato responsabile enti locali.
Amministratori, professionisti, ma in realtà anche qualche ex deputato sta passando al fronte della Lega: come Edoardo
Leanza, a Enna, ex forzista anche lui. La transumanza verso il verde, il colore che oggi governa a Palazzo Chigi, è
iniziata e prosegue inesorabile: e nel mirino soprattutto c’è l’area di Forza Italia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il bilancio

In poche ore 4 morti lunedì di sangue sulle
strade siciliane
Stavano viaggiando in autostrada, in un caldo lunedì d’estate come ce ne sarebbero dovuti essere tanti altri. La sorte,
però, ha voluto che la Peugeot 306 sulla quale stavano raggiungendo il mare avesse un guasto nei pressi di Centuripe,
sulla Palermo- Catania: così Emanuele Bellia e Roberta Cucchiara, entrambi 23enni catanesi, si sono fermati in corsia
d’emergenza, sono scesi dall’auto e sono stati falciati da una Fiat Doblò, perdendo la vita in una giornata segnata dal
sangue sulle strade di tutta la Sicilia con quattro vittime fra Centuripe, Cammarata e la frazione di Purgatorio, sulla
strada per San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani.
Un bilancio aggravato anche dai feriti, complessivamente sei nei tre incidenti. Con Bellia e Cucchiara sono rimasti feriti
anche la sorella di Bellia, Sofia, 22 anni, un coetaneo, Giacomo Olea e Marco Tumminelli, il più grave. I feriti sono stati
trasportati in elisoccorso all’ospedale Cannizzaro di Catania e all’ospedale Civico di Palermo. Per una porzione della
mattinata, a ridosso dell’incidente, l’autostrada è rimasta chiusa tra gli svincoli di Gerbini Sferro e Catenanuova per i
rilievi.
Giovanissima anche la vittima dell’incidente avvenuto a San Vito Lo Capo. Nella frazione di Purgatorio Michelangelo
Giano, che vendeva il cocco in spiaggia, si sarebbe scontrato frontalmente con la sua Fiat Stilo contro un’automobile
Bmw con a bordo un uomo e una donna. Il giovane è morto poco dopo l’impatto, mentre le due persone a bordo della
Bmw sono state ricoverate all’ospedale Sant’Antonio Abate, ma non sono in pericolo di vita.
Un morto e un ferito sono infine il bilancio dello sconto scontro avvenuto sulla statale Palermo-Agrigento, nel territorio
di Cammarata: un furgone frigorifero che trasportava pollame si è schiantato contro una Fiat Bravo, a bordo della quale
viaggiava Nicolò Russotto, 59 anni, di Casteltermini, che è morto sul colpo. I rottami della Fiat di Russotto,
letteralmente distrutta dallo schianto, sono rimasti a lungo sulla statale. Ferito lievemente l’uomo che guidava il Ford
Transit frigorifero, ma non è in pericolo di vita.
La giornata ha visto anche il decesso di un diciannovenne, Ivan Pellegrino di Belpasso, rimasto ferito in uno scontro
sull’Etna nella notte fra sabato e domenica. Pellegrino è morto ieri mattina all’ospedale Garibaldi di Catania.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Sulla Palermo-Catania perdono la vita due giovani. Andavano al mare: un guasto la
sosta, un’auto li falcia
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   14 AGOSTO 2018

                               LA SICILIA
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Saviano

Ministro Salvini ecco perché la sua Lega non ha
capito la ’ ndrangheta
ROBERTO SAVIANO

segue dalla prima pagina
Mentre tutto questo accadeva lei e i suoi parlavate di secessionismo attaccando i meridionali che studiavano nelle
università settentrionali, che lavoravano nelle fabbriche lombarde, piemontesi, che costruivano condomini in Emilia
Romagna. Chieda scusa. A Polsi si rechi dinanzi all’Albero della scienza, lì dove gli ’ndranghetisti si riunivano per
celebrare riti e giuramenti durante i quali venivano concesse le nuove cariche ai membri dell’organizzazione, le “doti”.
Negli ultimi anni le doti sono state concesse anche in Lombardia, diventata ormai a tutti gli effetti terra di ’ndrangheta.
Sono ambiziosi questi ’ndranghetisti del Nord, tanto che nel 2009 il boss Carmelo Novella, capo della ’ndrangheta in
Lombardia, venne ucciso per le sue mire secessioniste (eh sì, anche la ’ndrangheta ha avuto il suo periodo
secessionista): compare Nuzzo voleva che l’organizzazione lombarda, potentissima sul piano economico, divenisse
indipendente rispetto alla casa madre di San Luca e si era messo a distribuire cariche senza il consenso della base
calabrese.
Tutto questo lo ignora, come ignora la maggior parte di ciò di cui parla apprendendolo per sentito dire, lo stesso
metodo approssimativo lo usa sulle mafie.
Si ricorderà le fiaccolate leghiste contro il soggiorno obbligato dei boss al Nord, considerato l’origine di tutti i mali, il
vettore dell’esportazione del virus criminale, ignorando completamente che la potenza mafiosa al Nord risiedeva
nell’interlocuzione politica e imprenditoriale, terreno fertile indispensabile per l’attecchimento delle mafie. Per anni
l’antimafia leghista è stata questo, una lotta contro il soggiorno obbligato, già allora considerata da molti giudici solo
una battaglia ideologica. La Lega faceva affari con quelli che considerava “invasori” e dietro al grido di “Roma ladrona”
faceva sparire 49 milioni di rimborsi elettorali. 49 milioni di soldi pubblici. Come sono stati spesi?
Segua le condanne e le inchieste giudiziarie, la Lega quei soldi li ha riciclati grazie alla mediazione di Romolo Girardelli,
uomo della cosca De Stefano di Reggio Calabria, i soldi sono finiti in paradisi fiscali a Cipro e in Tanzania. Ma proprio
in quel frangente lei, ministro, ha capito che la caduta giudiziaria dei vecchi dirigenti della Lega poteva favorirla, ma
aveva bisogno di allargare il consenso.
D’improvviso, quei meridionali ladri e mafiosi che insultavate sono tornati utili perché con i voti del solo Nord non si
può governare tutto il Paese. Pecunia non olet, e neanche i voti puzzano.
Nemmeno quelli dei meridionali.
Non deve aver causato poco disorientamento nella base questo cambio di rotta, che però è stato colmato prontamente
sostituendo il vecchio nemico con uno nuovo: fuori i meridionali, dentro gli immigrati.
Ora deve sapere che le mafie non hanno paura dei suoi tweet, l’unica cosa che temono è la luce.
Luce sui loro affari, luce sul loro potere. E lei o non conosce o mente sapendo di mentire. A San Luca, ministro, si
faccia accompagnare nel palazzo sequestrato ad Antonio Pelle “Gambazza”, lì vedrà tutta la forza del potere
’ndranghetista: un enorme palazzo di cemento armato, sequestrato e abbandonato ormai da un decennio, sulle cui pareti
non troverà alcun alone di umido, perché sono state costruite in modo impeccabile. Impermeabili, come impermeabili
sono le mafie alla fuffa propagandistica. No, Salvini, la retorica de “la mafia mi fa schifo” urlata sui social e a ogni
visita al Sud non serve proprio a nulla, se non è accompagnata da competenza e azioni concrete.
Persino Michele Greco detto “il Papa”, storico boss della commissione di cosa nostra, lanciava anatemi contro le mafie
dichiarando «la violenza non fa parte della mia dignità» e poi approvava ordini di esecuzioni. Le mafie sanno bene che
una cosa sono i proclami da regalare all’opinione pubblica per avere consenso, altra cosa è l’operatività. La ’ndrangheta
non ha colore né partito, segue e interloquisce con tutti coloro che sono utili per ottenere favori, soldi, maggiore
potere. Come ha svelato l’inchiesta “Infinito” della Dda di Milano e di Reggio Calabria, l’allora assessore provinciale
leghista Angelo Ciocca incontrava l’avvocato e boss Pino Neri, membro della locale di ’ndrangheta di Pavia,
condannato tre anni fa in Cassazione a 18 anni di carcere. Un video dei carabinieri li immortalò nel 2009, prima delle
elezioni comunali a Pavia, e secondo gli inquirenti l’argomento della conversazione erano i pacchetti di voti da destinare
a un candidato prescelto dalla ’ndrangheta, Francesco Rocco Del Prete. La sento già ribattere che Angelo Ciocca per
questo non è stato indagato. Certo, è così, ma l’inchiesta mostrava come il boss Neri cercasse l’interlocuzione con un
politico leghista affinché lo aiutasse a piazzare in Comune un nome gradito, offrendogli in cambio un appartamento a
un prezzo agevolato. «Questa è storia che non mi riguarda», immagino stia per dire. Non è così, la riguarda eccome. I
fili che legano ’ndrangheta e Lega sono molteplici e non si identificano solo nelle sentenze di condanna.
Giacinto Mariani, il suo “ambasciatore” in Brianza — come l’ha definito Fabrizio Gatti che si è occupato di lui
sull’Espresso — è stato sindaco di Seregno per due mandati. Lei l’ha sostenuto nella sua corsa alle amministrative e
Mariani ha fatto campagna elettorale nelle sue zone per lei alle politiche. È diventato poi vice del suo successore,
Edoardo Mazza (in quota Pdl), il sindaco che scriveva su Facebook «la mafia si combatte con i fatti».
Entrambi, sia il sindaco Mazza sia il vicesindaco Mariani (e altri dirigenti comunali), sono stati coinvolti in un’indagine
della Procura di Monza del settembre 2017 per abuso d’ufficio. L’accusa è di aver elargito favori urbanistici a un
costruttore in contatto con la ’ndrangheta, Antonino Lugarà (un uomo che, come è stato svelato dalle intercettazioni,
chiedeva favori anche al nipote del boss Giuseppe Morabito “U Tiradrittu”, capo della potente ’ndrina di Africo).
Saranno i giudici a stabilire eventuali responsabilità delle persone indagate, ma seguendo i rapporti societari di alcuni
personaggi coinvolti in questa inchiesta si scoprono coincidenze curiose. Coincidenze che voglio ricordarle proprio
mentre lei sta andando a San Luca. L’ormai ex vicesindaco Giacinto Mariani risulta, infatti, tra i soci della discoteca
“Molto Club” e del ristorante “Mucho Mas”, entrambi in Brianza. Ebbene, otto dei soci di Mariani nel “Molto Club” e
sette nel “Mucho Mas” risultano anche proprietari di un altro locale, il “Noir” di Lissone (Mb), dove — come emerge
dall’inchiesta “Infinito” — gli ’ndranghetisti della zona trascorrevano spesso le loro serate, perché per loro le serate
erano gratis. Come si legge nella sentenza, infatti, «i titolari dei locali da loro frequentati li conoscevano e nessuno
pretendeva che pagassero (…) Peraltro, i gestori di questi locali (ad esempio quelli del “Noir” e del “Dejà vu”) da ciò
traevano anche beneficio, perché potevano contare sulla loro protezione: quando avevano problemi con gli avventori o
con malavitosi non contattavano certamente le forze dell’ordine, ma gli affiliati, che intervenivano immediatamente in
loro ausilio».
Qui arriva, ministro, un’altra coincidenza, proprio al “Noir”, locale in cui gli ’ndranghetisti di Seregno trascorrevano le
loro serate gratis in cambio di protezione, il 2 marzo 2018 ha chiuso la campagna elettorale della Lega in Lombardia
l’on.
Paolo Grimoldi, deputato e segretario nazionale della Lega Lombarda, un tempo suo compagno di stanza a Roma.
Nessun reato a chiudere in quella discoteca la campagna elettorale, ovviamente, ma rilegga quanto ho scritto: non vede
una vicinanza di luoghi e persone che spaventa e che fa capire quanto la mafia sia presente in Brianza, uno dei territori
che per anni ha millantato di essere immune dal fenomeno mafioso e da decenni è gestito dalla Lega? È la Brianza che
negli ultimi 23 anni è stata interessata da 16 inchieste antimafia e la Lega non ha — se non con proclami — fatto da
scudo al capitalismo criminale, anzi, in molti casi è stata complice. Sotto la gestione politica della Lega la Brianza è
diventata una contea mafiosa. Chieda scusa anche di questo a Polsi. Non le lasceremo sporcare con la propaganda
l’impegno antimafia di magistrati, forze dell’ordine, giornalisti e associazioni. Ha fatto bene ad andare a San Luca. Ma
per favore, questa volta non faccia come a Rosarno, dove su quasi 27 minuti di comizio ha dedicato solo 40 secondi
alla ’ndrangheta (di cui alcuni impiegati a urlare il solito — cito testualmente — «a me la ‘ndrangheta fa schifo») e ha
invece dichiarato pubblicamente che il vero problema del paese è la baraccopoli (che tra l’altro esiste non perché ci
sono braccianti africani, ma perché le mafie indisturbate continuano a gestire il loro lavoro di schiavi). Come hanno
denunciato Giovanni Tizian e Stefano Vergine, il responsabile della sezione locale leghista di Rosarno, Vincenzo
Gioffrè, che è stato tra gli organizzatori del suo comizio post-elettorale nel liceo del paese, ha fondato una cooperativa
agricola (chiusa nel 2013 per mano del ministero dello Sviluppo economico) con Giuseppe Artuso, il quale secondo la
Procura antimafia di Reggio Calabria sarebbe molto vicino alla potente cosca dei Pesce. Gioffrè, l’uomo della Lega in
Calabria, ha creato anche un consorzio di cooperative agricole che ha avuto come presidente del cda Antonio
Francesco Rao, un personaggio che, come risulta dagli atti giudiziari, sarebbe vicino al clan Bellocco, ’ndrina alleata dei
Pesce. Non solo: il segretario regionale della Lega in Calabria, Domenico Furgiuele, che ora siede come deputato in
Parlamento, è stato amministratore unico di una delle società del suocero, Salvatore Mazzei, che è stato condannato per
estorsione aggravata dal metodo mafioso. Solito gioco, ministro, per propaganda proclamare che la ’ndrangheta fa
schifo ma poi il partito per necessità agisce in tutt’altro senso. Ministro, rispondere «io non c’entro… io non so…» è
solo semenza per i suoi squadristi da web, ma non convincerà nessun altro. Mi raccomando, Salvini, questa volta non
dica che il problema di San Luca sono le ormai caratteristiche abitazioni che non vengono mai portate a termine
lasciando spuntare piloni di ferro dal cemento (anche se, studiando la questione, potrà scoprire che anche
quell’“architettura del non-finito” ha un significato e un senso tutt’altro che estetico). Smetta di fare propaganda,
ministro. È questo il suo impegno antimafia?
Sappiamo già cosa aspettarci per il futuro: arresti del segmento militare, qualche sequestro di villa, mentre imperi
economici e alleanze imprenditoriali e politiche rimarranno intatte. Ma su questo avremo modo di giudicare il suo lavoro
nel prossimo futuro. Dopo San Luca, vada anche a Platì, ad Africo, a Natile di Careri: capirà chi comanda a casa sua.
Vedrà come un territorio abbandonato da investimenti, lasciato immerso nella disoccupazione, dissanguato
dall’emorragia dell’emigrazione sia divenuto uno dei territori più ricchi d’Europa ma di una ricchezza di rapina, che non
crea scuole, che non crea palestre, che non crea piazze, che non genera musica, ricchezza che le cosche nascondono
nei paradisi fiscali, gli stessi dove finirono i soldi della Lega. Si fermi dinanzi la casa di Corrado Alvaro, scrittore in
grado come nessuno di mappare, capirà dalle sue pagine ciò che hanno dovuto subire le genti delle Calabrie e come
l’emigrazione, spesso clandestina, disperata, sia stata l’unica possibilità di salvezza per migliaia e migliaia di calabresi
emigrati ovunque ci fosse una costa da raggiungere.
Vada Salvini e chieda scusa per tutto quello che la Lega continua a non fare.
Poi visto che si trova da quelle parti vada a Riace e veda come un sindaco coraggioso sia riuscito accogliendo migranti
a rilanciare un territorio in ginocchio a cui nei fatti erano stati tolti diritti civili, veda come un territorio ai margini della
democrazia da sempre sotto la dittatura mafiosa sia riuscito a rinascere contando sul talento dei calabresi e dei nuovi
calabresi migranti.
Vada e apprenda.
Forse, per chi ci crede, la Madonna della Montagna potrà fare il miracolo e farle cambiare passo conoscendo de visu
queste realtà.
Da parte nostra può stare sereno, le promettiamo che non le daremo pace. Smonteremo ogni sua propaganda,
menzogna dopo menzogna, fake news dopo fake news. Ci saremo, sempre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LIVIO MANCINI/ REDUX/ CONTRASTO
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Emergenza nel Mediterraneo

Migranti, flop delle espulsioni in due mesi solo
866 rimpatri
A Lampedusa boom di microsbarchi. La Tunisia: fermato un barcone con 9 jihadisti a bordo

Alessandra Ziniti,

Roma
Continuano ad arrivare a ondate, solo la notte scorsa 109 su nove barchini a Lampedusa, ma rimandarli indietro è
tutt’altro che scontato. Al di là delle roboanti promesse elettorali e dei proclami di Salvini, la macchina dei rimpatri dei
migranti che non hanno diritto a rimanere in Italia segna il passo. Lo testimonia la storia dei tre tunisini sbarcati
nell’isola il 6 agosto e riusciti ad attraversare l’Italia e ad arrivare a Parigi in meno di una settimana di cui ha scritto ieri
Repubblica. E lo dicono gli stessi numeri del Viminale: dal primo giugno al 31 luglio, dunque nei primi due mesi di
Salvini ministro, l’Italia è riuscita a rimpatriare 866 persone, una cifra persino leggermente inferiore a quella dello
stesso periodo del 2017, a cui devono aggiungersi 163 rimpatri volontari, poco più di 80 al mese, anche qui in calo.
Mettiamo a confronto giugno: 445 i rimpatri con Salvini ministro, 502 con Minniti che riuscì ad incrementare del 15
per cento le persone rimandate a casa arrivando a quota 6.514, viaggiando ad una media di 540 al mese. Se questi
continueranno ad essere i numeri ( e d’altronde non si vede come potrebbero essere diversi visto che il nuovo governo
non ha stretto altri patti bilaterali con i paesi d’origine dei migranti) per rimandare a casa i 500.000 irregolari, come
Salvini ha promesso in campagna elettorale, ci vorranno più di 95 anni.
Anche perché, dagli uffici di polizia delle zone di frontiera, si scopre che neanche i rimpatri dei tunisini filano poi così
scorrevoli come l’accordo vigente ( che prevede due voli charter a settimana per complessive 80 persone) lascerebbe
pensare. Negli ultimi dieci mesi, da quando gli sbarchi di tunisini sono quasi raddoppiati, capita spesso che i sei Centri
per il rimpatrio al momento aperti siano al completo. E allora ai questori non resta scelta che lasciarli andare firmando
ordini di allontanamento. E a centinaia, pur sapendo che la loro istanza verrà respinta, chiedono l’asilo politico e
vengono smistati in centri per richiedenti asilo dai quali scappano nel giro di pochi giorni.
Ed ecco, dunque, che nel 2018 esattamente come prima, la forbice tra espulsioni e rimpatri reali resta molto ampia. Dei
migranti di cui viene quasi quotidianamente annunciata l’espulsione, si calcola che meno della metà viene effettivamente
rimpatriata.
L’intensificarsi del flusso migratorio dalla Tunisia preoccupa non poco anche per la " qualità" delle persone che
riescono quasi sempre a raggiungere Lampedusa e le coste dell’agrigentino su piccoli barchini in legno, esattamente
come avveniva 15 anni fa. Ieri le autorità tunisine hanno annunciato di aver fermato nove estremisti islamici che
tentavano di imbarcarsi su un gommone per raggiungere l’Italia attraverso il Mediterraneo. Facevano parte di un
gruppo di 15 persone intercettato dalla Guardia costiera e dalla squadra dell’antiterrorismo di Biserta, nel nord del
Paese. Dieci giorni fa la polizia tunisina aveva smantellato una rete criminale internazionale dedita al trasferimento di
presunti terroristi in Europa, attraverso l’utilizzo di passaporti stranieri contraffatti.
Preoccupato anche il sindaco di Lampedusa Totò Martello, alle prese ormai da settimane con decine di microsbarchi in
un’isola in cui l’hotspot ( danneggiato da un incendio nei mesi scorsi) era stato formalmente chiuso dal Viminale. «È
rimasto sempre aperto, può ospitare un centinaio di persone ma nel centro ora lavorano solo 5 persone. A noi nessuno
dice niente. Ho scritto due lettere a Salvini, non ho mai ottenuto alcuna risposta ».
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Il governo diviso

Sui tagli alle pensioni più alte Lega irritata con i
Cinque Stelle
Dirigenti e militari tra i colpiti. Anche i professionisti nel mirino. Salvini teme l’effetto
boomerang Di Maio contro Repubblica: più equità. Ma in molti casi penalizzazioni o
esenzioni inspiegabili

valentina conte,

roma
In casa Lega l’imbarazzo si tocca con mano. Nessuno osa commentare le anticipazioni di Repubblica — nel frattempo
definite dal ministro Di Maio «bufale» e «falsità » — sul taglio delle pensioni d’oro, quelle sopra i 3.700-3.900 euro al
mese, 80 mila euro lordi l’anno. Ma dietro le quinte il leader Salvini ha chiesto di fare verifiche. E i primi calcoli dei suoi
tecnici confermano quanto da noi anticipato. Taglio lineare permanente, non ricalcolo contributivo, tra il 10 e il 20%.
Salva la maggior parte di magistrati, professori universitari, notai. Le donne tra le più penalizzate, oltre ai militari.
Grossi profili di incostituzionalità per le molte iniquità. E un indicatore nuovo: il 7% di professionisti colpiti. Dagli
avvocati agli ingegneri.
Il progetto di legge però porta anche la firma del capogruppo alla Camera della Lega, Riccardo Molinari. Accanto a
quella del collega M5S Francesco D’Uva. E non si tratta certo di una bozza, visto che il testo è depositato a
Montecitorio ( AC 1071). Di qui la grana politica. Pare infatti che la Lega, come già capitato col decreto dignità, abbia
letto il testo finale solo dopo il suo arrivo in Parlamento. E forse in modo superficiale. Ora che il ministro Di Maio lo
difende, il partito di Salvini è in difficoltà. Non solo perché un bel pezzo del suo elettorato ci finisce dentro — gente del
Nord, dirigenti, militari — ma perché così la discussa legge Fornero, anziché smontata, viene rafforzata, penalizzando
le pensioni solo sulla base dell’età d’uscita e non dei contributi.
Perché questo è il nodo. Di Maio, nel suo post su Facebook, insiste sul ricalcolo contributivo: « Quelli che prendono
più di quanto hanno versato, una volta individuati, avranno un taglio pari a quello che prendono di più». Il vecchio
slogan: le regole dei nipoti applicate ai nonni. Ma non è quello che prevede il progetto di legge 1071. Il ministro del
Lavoro parla forse di un provvedimento nuovo? Il testo firmato anche dal capogruppo del suo Movimento in realtà
mette in pista quella che il presidente dell’Inps Tito Boeri — ispiratore della norma — chiama una "correzione
attuariale". In sintesi, penalizza le pensioni superiori ai 3.700- 3.900 euro netti al mese (4 mila euro incluse le tasse
locali) solo ed esclusivamente in base all’età d’uscita. Nel ricalcolo non si prendono mai in considerazione i contributi
versati, come invece sostiene Di Maio.
Tutto ruota attorno al coefficiente di trasformazione, quella percentuale che trasforma i contributi versati in pensione:
ne esiste uno diverso per ciascuna età, dai 57 ai 70 anni. Ebbene, in base al progetto M5S-Lega, si fa prima una
divisione tra il coefficiente di trasformazione dell’età in cui vai in pensione e il coefficiente dell’età di vecchiaia. Il
risultato si moltiplica per la pensione percepita e si ha l’assegno finale decurtato. Ma attenzione: il coefficiente dell’età
di vecchiaia non è quello vigente, fissato dalla legge. Ma quello ricalcolato ora dal governo anche per il passato, in base
a nuove e più alte età d’uscita.
Facciamo un esempio sul futuro. Nel 2019 Anna va in pensione e prende 5.500 euro netti di pensione: 500 euro sono
maturati dal 2012 in poi, quindi con il metodo contributivo e non vengono toccati. Gli altri 5 mila in che modo sono
tagliati? Anna ha 60 anni, ma 42 anni e 3 mesi di contributi accumulati: può andare in pensione anticipata. Il
coefficiente di trasformazione per i 60 anni è: 4,5%. Quello dei 67 anni, il traguardo di legge per la pensione di
vecchiaia nel 2019, è 5,6%. Dividiamo 4,5 per 5,6. Il risultato è 0,80. A questo punto basta moltiplicare 0,80 per i 5
mila di pensione e otteniamo 4.000. Anna perde 1.000 euro netti al mese. Ha avuto un taglio del 20%. Ma ha rispettato
la legge. Ha lavorato più di 43 anni. E con buona probabilità il ricalcolo contributivo dell’intera sua pensione — tanto
caro a Di Maio — non l’avrebbe penalizzata così.
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Il presidente dell’Inps Tito Boeri
FABIO CIMAGLIA/ LAPRESSE
ECONOMIA                                                                                                           14/8/2018

Il caso

Lo spread sale a quota 278 e sui mercati il
rischio Italia si scarica sui titoli bancari
Ad alzare la tensione anche il no-euro Borghi della Lega "O interviene la Bce o si smantella
tutto"

ANDREA GRECO,

MILANO
La crisi della lira turca ci riporterà ai fasti della lira italiana? La seduta di ieri ha offerto spunti e analogie, nell’inquietante
leggerezza del mercato d’agosto. Complice il mancato rimbalzo a Istanbul, dove in poche sedute la valuta locale ha
perso un quarto del valore e mentre il premier Erdogan parla di « una continuazione del colpo di Stato » , i segnali di
contagio sui mercati più fragili si intensificano, come visto ieri in Argentina, Brasile, Sudafrica, Russia, Spagna,
Portogallo.
E come sempre avviene quando si annuncia una qualche " tempesta perfetta", l’Italia c’è dentro in pieno. Pesa, in
premessa, il fardello dei 2.300 miliardi di euro di debito pubblico, che fa delle emissioni del Tesoro un grosso vaso di
coccio nelle crisi. Ma a sentire gli operatori, tra chi segue i prezzi dalla spiaggia e chi pena in città, ci sono due fattori
soggettivi che non rappresentano un buon viatico per le fatiche d’autunno: le esternazioni con toni di sfida dei membri
del governo e la debolezza delle banche a Piazza Affari. Nel primo caso, ci mette del suo la nuova classe di governo,
che spaventa gli operatori con troppi " moniti" contro la speculazione. Dal Giancarlo Giorgetti ( Lega) della vigilia al
leader M5S Luigi Di Maio, che alla stampa ha detto: « Se qualcuno vuole usare i mercati contro il governo, sappia che
non siamo ricattabili » . Fino al crescendo pomeridiano del presidente della commissione Bilancio della Camera Claudio
Borghi ( Lega), su Twitter: « Vediamo se oggi cominciano ad accorgersi che salgono anche gli spread di Spagna & C.
e che solo un fesso poteva pensare che con Bce inattiva potesse salire solo lo spread di un paese » . E alle critiche: «
Ormai credo che il meccanismo sia innescato. O arriverà la garanzia Bce o si smantellerà tutto... Non vedo terze vie».
In attesa di capire quali " garanzie" possa inventarsi la Bce, che grazie al Qe da mesi è quasi il solo compratore di Btp,
chi partecipa al mercato lascia il rischio Italia. Ieri lo scarto sui Btp a 10 anni con il bund tedesco è salito da 268 a 278
punti base, ai massimi di maggio e per un rendimento del 10 anni al 3,1% (2,4% il cinque anni). Per Intesa Sanpaolo
ciò è « coerente con il clima generale di accresciuta avversione al rischio, ma anche per fattori domestici legati
all’incertezza sulla strategia di bilancio » , tanto che la curva Btp ha subito « un netto spostamento verso l’alto, più
marcato sulle scadenze corte».
L’altro fattore di debolezza, evidente in Borsa, riguarda le banche italiane, che in tre mesi hanno perso quasi un quarto
della capitalizzazione e anche ieri hanno fatto del listino milanese il peggiore d’Europa ( indice Ftse Mib meno 0,58%). I
bancari in questa fase patiscono il deprezzamento della loro dote da oltre 300 miliardi di euro in Btp, in qualche caso
l’esposizione in Turchia ( per totali 17 miliardi), e la perdurante fragilità di tutti gli istituti ancora troppo piccoli per la
competizione globale. Ieri a pagare di più sono stati Banco Bpm (- 3%), Ubi (- 2,9%), Unicredit (- 2,6%), Intesa
Sanpaolo (- 1,65%). «C’è una convergenza di due trend negativi sull’Italia, da una parte una classe politica che parla e
talvolta agisce in contrapposizione ai mercati, dall’altra la debolezza del settore banche la cui luna di miele con gli
investitori sembra alle spalle », dice Antonio Pace, gestore del fondo Ms Investcorp Geo Risk.
L’agenda post vacanze per giunta non induce all’ottimismo. Si inizia con il rating dell’agenzia Fitch sull’Italia il 31
agosto, seguita da Moody’s il 7 settembre e S& P il 26 ottobre. Sempre in ottobre i rischi dall’urna in agguato dalle
elezioni bavaresi che potrebbero creare problemi alla grande coalizione tedesca, o dalle politiche in Brasile con
l’incognita Lula. Proprio in quelle settimane ci sarà la manovra finanziaria, momento verità per il governo Conte. A
un’agenda del genere servirebbe un mercato " di spessore"; mentre il contratto Btp consegna settembre da luglio ne ha
ben poca. Ieri è andata deserta anche l’asta dei Bot annuali 2019 da 600 milioni, riservata agli specialisti. Merrill Lynch
ha scritto ai che « l’attuale livello di spread Btp-bund è transitorio, ed entro dicembre o si restringerà verso quota 170
punti base o schizzerà verso 400». Sempre in base a quanto deficit emergerà dalla legge di spesa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Preoccupazione per settembre, con l’arrivo dei giudizi delle agenzie di rating e i
dettagli della legge di bilancio
Il vicepremier Luigi Di Maio
GIUSEPPE LAMI/ ANSA
POLITICA                                                                                                      14/8/2018

Il retroscena

Dall’Alto Adige al Piemonte offensiva Lega
sulle regionali
Dopo lo strappo in Abruzzo, Salvini punta a imporre i suoi candidati a Forza Italia

carmelo lopapa,

roma
La Scalata della Lega al centrodestra comincia da L’Aquila, farà tappa a Potenza e poi salirà su fino a Trento e Torino,
passando forse per Firenze e Bologna. La campagna d’autunno di Matteo Salvini, con annessa rottamazione finale di
Silvio Berlusconi, è stata pianificata nei dettagli. Non punta tanto sulla migrazione dei parlamentari forzisti ma sulle
regioni che andranno al voto tra il 21 ottobre e la primavera 2019. Perché se Opa finale della Lega ci sarà, ebbene si
completerà proprio con l’imposizione dei candidati governatore di via Bellerio.
Abruzzo.
Lo strappo del coordinatore leghista de L’Aquila Giuseppe Bellachioma è stato concordato col leader del partito, forse
rientrerà, forse no: «Ho informato i vertici, ora decidano loro, ma qui Forza Italia si muove sul filo dell’ambiguità,
lavora col Pd alla legge elettorale e su tanto altro » . Fabrizio Di Stefano il candidato che scalda già i motori. « Ma sono
così sicuri di vincere? Io al posto loro no», avverte il forzista eletto in quella regione, Gianfranco Rotondi. Ma è solo la
miccia iniziale. Le prede grosse che Salvini scorge già all’orizzonte sono l’Emilia- Romagna ( autunno 2019, salvo
sorprese) e la Toscana, in cui le eventuali dimissioni di Enrico Rossi per correre alle Europee di maggio potrebbero
anticipare la partita di un anno rispetto alla primavera 2020. Ovunque, avanza una nuova classe dirigente leghista pronta
alla sfida.
Trentino Alto Adige
In autunno nella Provincia autonoma di Bolzano si vota col proporzionale, ma in quella di Trento Salvini ha già fatto il
suo gioco, candidando il sottosegretario Maurizio Fugatti. Forza Italia se vuole si accodi, è stato il messaggio. E i
berlusconiani ( malvolentieri) nelle ultime ore si sono accodati, dopo le iniziali proteste per l’intesa stretta dalla Lega con
i nemici storici dell’Svp. « Lo sosterremo lealmente anche se non ci è piaciuto affatto che non vi sia stato un tavolo
nazionale racconta Michaela Biancofiore, agguerrita coordinatrice regionale di Fi - Un altro leghista imposto con
un’accelerazione improvvisa dopo il caso Rai. Noi siamo sempre per un centrodestra unito e vincente, speriamo anche
loro».
Piemonte
Ma il centrodestra rischia di essere assai poco unito in tutte le altre regioni. E il vero colpo di scena potrebbe verificarsi
in Piemonte. L’uscente Sergio Chiamparino, in prima fila nella battaglia pro Tav, non sarebbe intenzionato a
ricandidarsi. L’accordo a destra, che ha portato in primavera alla scelta e al successo del leghista Massimiliano Fedriga
in Friuli Venezia Giulia, prevedeva un uomo di Fi in Piemonte (in primavera). È un fedelissimo di Antonio Tajani e
amico di Giovanni Toti l’eurodeputato Alberto Cirio sul quale i berlusconiani hanno scommesso ( nonostante qualche
conto ancora da chiudere col processo "rimborsopoli"). Ma quel patto risale a un’era geologica fa: già alle Politiche Fi
era al 7 a Torino città, oggi nei sondaggi al 4, mentre la Lega volerebbe oltre il 20. Ecco perché Salvini sta
accarezzando il sogno del colpaccio: scavalcare il M5S e farcela da solo. Le quotazioni salgono per Alessandro
Benvenuto, classe ‘ 86, ex consigliere regionale oggi presidente della commissione Ambiente alla Camera. Solo che a
Torino, se davvero maturasse un altro strappo leghista e al contempo Chiamparino si mettesse alla guida di un cartello
di liste civiche (non solo in quota Pd), allora Fi potrebbe meditare il sostegno a una sorta di coalizione dei " cantieri e
del lavoro". In rotta con l’alleato storico. Scenario da big bang che Osvaldo Napoli al momento esclude, lanciando un
appello alla Lega: «Non facciamoci male da soli, possiamo confermare i buoni risultati delle politiche, mi auguro
prevalga il buon senso, i colpi di testa non avrebbero senso».
Toscana e Emilia
La Lega è reduce dalla tripletta Pisa, Massa, Siena e ora punta sulla Toscana, se Rossi la lascerà anzitempo. «
Avanzeremo una nostra candidatura, chi sarà il prescelto lo vedremo - dice Susanna Ceccardi, arrembante giovane
sindaco di Càscina, la prima eletta nella regione e assai gradita a Salvini - Io in corsa? Non sono il tipo che si tira
indietro, vado anche in Corea del Nord se Matteo me lo chiede». Così anche in Emilia- Romagna: voto in autunno 2019
ma con l’uscente dem Stefano Bonaccini incerto sul bis. Rapporti di forza: Lega al 18 e Fi all’ 8. La sottosegretaria alla
Cultura, la bolognese Lucia Borgonzoni, è tra le nuove pedine "forti" del partito: « Noi questa volta la Regione la
prendiamo, si tratta solo di scegliere il nome giusto». Anche lì, difficile che Salvini ceda il testimone.
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