RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE 25 - 29 agosto 2008 - Dipartimento Internazionale
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Dipartimento Internazionale http://www.cgil.it/internazionale/ RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE 25 – 29 agosto 2008 A cura di Maria Teresa Polico
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale DIPARTIMENTO INTERNAZIONALE CGIL RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE 25 – 29 agosto 2008 INDICE ARGOMENTO TESTATA Unione europea Francia La ripresa delle attività sociali: il governo potrebbe beneficiare da una Le Monde relativa inerzia sindacale Germania Berlino sosterrà la condivisione della proprietà azionaria Financial Times Grecia I sindacati greci si impegnano a scendere nelle strade dopo l’incontro con il premier The Guardian Italia Fannulloni sotto attacco The Economist Africa Il Sud Africa sollecitato a riformulare la politica economica Financial Times Con un piccolo aiuto dei suoi amici The Economist Medio e Vicino Oriente Peace Now: la costruzione di insediamenti in Cisgiordania quasi Ha’aretz raddoppiata quest’anno Maliki sollecita la data del ritiro delle truppe The New York Times Asia I lavoratori dell’unità produttiva del telaio meccanico revocano lo sciopero Labour Start Stati Uniti Il leader dei lavoratori preannuncia di passare a un messaggio più Financial Times populista sul commercio 2
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Le Monde 25/08/08 La ripresa delle attività sociali: il governo potrebbe beneficiare da una relativa inerzia sindacale AFP/JOEL SAGET Manifestazione del 22 maggio 2008 a Parigi, indette da tutti i sindacati in difesa delle pensioni. In un contesto economico deteriorato, con un potere d’acquisto che va male e le preoccupazioni che riprendono sul fronte dell’occupazione e della disoccupazione, il governo potrebbe beneficiare da una relativa inerzia sindacale. Non è annunciata nessuna ripresa di iniziative in grado di esprimere nella strada un malcontento sociale sempre presente. Ma il brontolio dei lavoratori potrebbe nientemeno che concretizzarsi di settore in settore in occasione dei conflitti duri a livello di impresa. I primi a ritrovarsi, martedì e mercoledì, per discutere “delle prospettive di azioni di fronte alla politica governativa”, sono i sindacati degli insegnanti che non sanno se il proseguimento della soppressione dei posti di lavoro, che s’aggiunge al malcontento sollevato dalla riforma della scuola primaria, basterà a far muovere la massa di insegnanti colpiti anch’essi dalla diminuzione del potere d’acquisto. La soppressione di 11.200 posti di lavoro previsti nel bilancio del 2008 contro i quali insegnanti e liceali hanno manifestato durante tutto il 2008, si concretizzerà nelle classi alla ripresa dell’attività scolastica, mentre il ministro dell’istruzione nazionale ha già annunciato la soppressione di 13.500 posti di lavoro per il 2009. Se Xavier Darcos minimizza la portata del suo modo di fare economia, che rappresenterebbe secondo lui “l’appesantimento di un tratto” in rapporto al numero totale dei professori, i sindacati parlano, di “salasso”. Sono annunciate anche delle manifestazioni in certi settori. I ferrovieri della CGT hanno invitato i lavoratori di tutte le aziende ferroviarie a riunirsi il 3 settembre davanti alla sede della Réseau Ferré de France a Parigi, in occasione di una nuova riunione negoziale sul futuro della convenzione collettiva nazionale delle ferrovie, “per rifiutare il dumping sociale nelle ferrovie”, ha annunciato in un comunicato il 21 agosto. Questa mobilitazione ha ricevuto l’aiuto di altri sindacati, ad eccezione di SUD-Rail e FO. Cinque sindacati delle Poste (CGT, Sud, CFDT, FO e la CFTC), che rappresentano il 95% del personale, hanno previsto di organizzare una “giornata di azione nazionale” alla ripresa delle attività contro il cambiamento dello statuto dell’azienda pubblica, che l’assimilano ad una “privatizzazione”, che comporterà, ritengono, un degrado del servizio agli utenti e dei posti di lavoro degli impiegati statali. Ma queste iniziative, e il loro carattere unitario in certi casi, non mascherano la divisione che imperversa tra le confederazioni sindacali a livello nazionale. I contatti tra i numero uno sono quasi inesistenti e la prospettiva delle elezioni del collegio dei probiviri per il 3 dicembre, rafforza le reazioni di identità di ciascuna organizzazione. Si tratta, in realtà, durante quest’incontro elettorale con i lavoratori, di dimostrare che ogni sindacato è migliore nella difesa 3
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale dei loro interessi. Questo scrutinio sarà tuttavia più importante della riforma della rappresentanza, se non terrà conto del risultato dei probiviri, valorizza nientemeno l’interesse dell’elettorato di ciascun sindacato. Ragione in più per le cinque confederazioni, ma anche per l’Unsa e Sildiaires, di cercare di alzare la voce in occasione dello scrutinio di dicembre. “L’appuntamento dei probiviri non è propizio per fare un lavoro intersindacale di qualità” , si preoccupa Marcel Grignard, ma piuttosto per fare rilanci. Per il segretario nazionale della CFDT, “il clima non è euforico, ma noi cercheremo quanto meno di avere dei contatti con gli altri”. Jean-Christophe Le Duigou, segretario confederale della CGT, spera anche : « che ciascuno faccia il suo gioco fino alle elezioni di dicembre, è normale, lui pensa, ma la divisione prima della vacanze non potrà durare”. “Occorre un movimento rivendicativo rispetto al potere d’acquisto, all’occupazione e alla qualità dell’occupazione, afferma Le Duigou, e nessuna organizzazione potrà farsi carico della responsabilità della divisione sindacale”. Gli altri sindacati, che si oppongono con forza alla riforma della rappresentanza sostenuta dalla CGT, dalla CFDT e dal Medef, non saranno così facili da convincere. Per il segretario generale di FO, Jean-Claude Mailly, che ha il sospetto che le due confederazioni più importanti vogliano far scomparire gli altri sindacati, « la riforma della rappresentanza ha più che raffreddato le relazioni”. Non si tratta dunque “di ripartire con giornate d’azione a ripetizione”. “Di fronte all’accentuarsi della politica di rigore del governo, ha spiegato Mailly a Le Monde, occorre un’azione forte, ma per fare questo bisogna mettersi d’accordo con gli altri sindacati”. “Se si arriverà a far muovere le cose sui salari o sul potere d’acquisto, sarà utile per le nostre elezioni”, attenua il presidente della CFTC Jacques Voisin. Rémi Barroux e Catherine Rollot Torna all’indice 4
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Financial Times 28/08/08 Berlino sosterrà la condivisione della proprietà azionaria Di Betrand Benoit da Berlino I lavoratori potrebbero ricevere una quota più grande dei profitti delle loro aziende in base ad una serie di misure adottate dal governo tedesco ieri e finalizzate ad aumentare il basso livello di proprietà azionaria tra i lavoratori al livello di quello delle altre grandi economie europee. Peer Steinbruck, ministro delle finanze, ha presentato le misure come un contributo alla “giustizia sociale” e all’ “equità” contro lo scenario di una rapida divergenza tra i profitti delle aziende che crescono rapidamente e i salari che stagnano. “Questo è un significativo aggiornamento degli strumenti rudimentali che la Germania ha avuto fino ad oggi riguardo la partecipazione del lavoratore”, ha affermato, aggiungendo che le casse pubbliche contribuiranno fino a 230 milioni di euro (338 milioni di dollari, 184 milioni di sterline) l’anno con nuovi incentivi fiscali per incoraggiare i lavoratori a condividere la proprietà. Olaf Scholz, ministro del lavoro, ha affermato: “La Germania è restata indietro in quest’area. Con questi passi, garantiremo ai lavoratori di ricevere le giuste quote per il successo raggiunto delle loro aziende”. I redditi da lavoro e da capitale sono stati disuguali nei recenti anni. I profitti delle aziende sono aumentati del 37% tra il 2003 e il 2007 mentre i salari sono cresciuti soltanto del 4.3%. I lavoratori tedeschi hanno avuto una scarsa opportunità di condividere i profitti dei loro datori di lavoro, in gran parte perché più dell’80% del commercio tedesco, una proporzione più alta di quella inglese o della vicina Francia, è privato o di proprietà di famiglie che non hanno negoziato liberamente le quote. Le piccole aziende e i sindacati sono stati tradizionalmente scettici riguardo gli schemi di condivisione del profitto, le prime a causa della riluttanza a diminuire il loro capitale, questi ultimi a causa dei timori che i lavoratori potrebbero fare dei loro risparmi privati un impegno difficile da mantenere per i loro datori di lavoro. Steinbruck ha affermato che il governo ha avviato trattative con svariate banche in vista di creare una serie di fondi per settori specifici nei quali le aziende non quotate in borsa possono mettere insieme il capitale su base volontaria per investire nei loro lavoratori. Steinbruck ha affermato che i fondi darebbero la strada alle imprese private per utilizzare i risparmi dei loro lavoratori senza diminuire la loro proprietà mentre garantirebbero la protezione degli investimenti dei lavoratori da una possibile insolvenza. Ha, inoltre, affermato: “Se partecipassero al fondo una centinaia di aziende e una di loro andasse in rovina, ci sarebbe un rischio molto basso per i lavoratori di perdere i loro posti di lavoro e i loro risparmi”. Sottolineando la dimensione sociale del piano, ha affermato che gli incentivi fiscali sarebbero disponibili soltanto per gli schemi di condivisione dei profitti che sono volontari e disponibili all’intero staff aziendale invece della sola direzione. 5
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Il piano, che andrà in parlamento per l’approvazione, Steinbruck ha suscitato una reazione da parte delle imprese. Martin Wansleben, presidente della federazione tedesca delle camere del commercio, ha affermato che l’iniziativa era “superflua”, e punta agli schemi esistenti di condivisione dei profitti nelle grandi aziende e al fatto che le banche offrono già un gran numero di fondi azionari ai tedeschi per l’investimento. Altri hanno avvisato che i fondi potrebbero lasciar fuori altre forme di benefici aziendali, come gli schemi pensionistici. Torna all’indice 6
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale The Guardian 25/08/08 I sindacati greci si impegnano a scendere nelle strade dopo l’incontro con il premier Di Renee Maltezou ATENE, 25 agosto (Reuters) – I potenti sindacati greci si sono impegnati lunedì a portare avanti le proteste contro le riforme economiche del governo conservatore che, secondo loro stanno schiacciando le famiglie povere già colpite in 10 anni da un’altissima inflazione. Il partito "Nuova democrazia", che è stato rieletto nel mese di settembre con una sottile maggioranza con il biglietto di modernizzare l'economia della Grecia, si trova ad affrontare un crescente malcontento per le pensioni e per le riforme dei salari mentre il treno dell’espansione economica comincia a restare a corto di vapore. La crescita economica è rallentata a un tasso annuo del 3,4 per cento nel secondo trimestre, passando dal 4,0 per cento nel 2007, mentre l'inflazione in dieci anni è salita al 4,9 per cento, alimentando la rabbia dell’opinione pubblica. Il primo ministro Costas Karamanlis presenterà il suo discorso annuale di politica economica nella città settentrionale di Salonicco il 6 settembre. Ci si aspetta diffusamente che dovrebbe annunciare misure fiscali per aumentare le entrate di bilancio più basse delle previsioni. Dopo un incontro di lunedi con Karamanlis, i rappresentanti della federazione sindacale del settore privato, GSEE, si sono impegnati a riempire le strade di Salonicco con manifestanti mentre il primo ministro annuncia la sua agenda economica. "C’è un’assoluta divergenza di opinioni," il presidente della GSEE, Yannis Panagopoulos, ha detto ai giornalisti dopo i colloqui con Karamanlis e i principali industriali. "Il primo ministro non condivide le nostre preoccupazioni. Né quando si tratta di dati (economici), né quando si tratta dei bisogni dei cittadini." I funzionari della GSEE hanno detto che è troppo presto per dire se porteranno avanti scioperi nazionali e che aspetteranno di sentire il contenuto dell’intervento di Karamanlis. La Grecia rappresenta circa il 2,5 per cento dei 15 paesi dell’economia della zona euro. In seguito all'adesione al blocco europeo nel 2001, è cresciuto di oltre il 4 per cento l'anno, ma l’eccessivo affidamento alle importazioni e all’alto prestito ha ampliato il suo disavanzo delle partite correnti di circa il 14 per cento del PIL - il più alto della zona euro. I sindacati hanno portato milioni di Greci nelle strade nel mese di marzo in una protesta contro le riforme delle pensioni, che sono state infine approvate dal Parlamento. Questo mese, la GSEE e il suo settore pubblico ADEDY si sono impegnate a rovesciare la legge sul salario del settore pubblico che pone fine al diritto dei dipendenti ad accordi collettivi sul salario. La Grecia ha ricevuto un encomio da parte dell'Unione europea per la riduzione del deficit e per portare avanti le privatizzazioni, che hanno contribuito a ridurre il suo deficit di bilancio al 2,8 per cento del prodotto interno lordo l'anno scorso - al di sotto del tetto massimo del 3 per cento di Bruxelles. Ma la popolarità del governo è stata messa a dura prova per l'elevato costo della vita, che si colloca tra le 10 preoccupazioni più alte dei greci. "Karamanlis, non siamo in grado di prendere di più," si legge nell'intestazione del quotidiano di sinistra di lunedì Eleftherotypia, in un articolo che ha criticato i piani di emergenza con maggiori tasse. 7
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Il governo, tuttavia, ha detto che un calo dei prezzi del petrolio dovrebbe contribuire a contenere l'inflazione nella seconda metà di questo anno e insiste sul fatto che la sua agenda di riforme sia sulla buona strada. "La politica economica rimane invariata," ha detto dopo la riunione il ministro delle finanze George Alogoskoufis. "Certo, ci saranno alcuni cambiamenti per affrontare le conseguenze della crisi, ma la direzione principale non cambierà." (Scritto da Daniel Flynn) Torna all’indice 8
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale The Economist 28/08/2007 Il settore pubblico italiano Fannulloni sotto attacco Un riformatore sfida il mastodontico settore pubblico italiano Come molti, Walter Schiavi, un dipendente italiano statale, si è concesso del tempo libero fingendo una malattia. Il 30 luglio è stato ufficialmente a letto con l'influenza. In realtà, dicono le forze di polizia, è stato al suo posto di lavoro, a rubare. Il 21 agosto hanno arrestato il postino milanese di 29 anni, sostenendo che egli era stato uno dei due uomini che avevano bloccato l'ufficio postale dove dovevano lavorare e che erano presumibilmente malati. Il suo caso è eccezionale solo per la sua avventurosa svolta. L’assenteismo tra i dipendenti pubblici in Italia è una piaga. Secondo un recente libro *, è quattro volte più elevato nel settore pubblico che in aziende private. Nel 2005 i lavoratori statali hanno preso in media 18 giorni di assenza per malattia. Nel servizio sanitario, la cifra è stata quasi di sei settimane. Ogni italiano ha una storia preferita: il professore che ha dato meno del 30% delle lezioni nei suoi corsi, il giudice, incapace di stare seduto o di esserci per lunghi periodi, è risultato essere in una regata in uno yacht nell’oceano. Sarebbe divertente se l'inefficienza del forte settore pubblico di 3.5 milioni di italiani non fosse un tale ostacolo per l'economia. Renato Brunetta, ministro della pubblica amministrazione del governo conservatore di Silvio Berlusconi, ritiene che le riforme del settore pubblico potrebbero aggiungere lo 0,5% l'anno alla crescita economica. A differenza di molti predecessori, egli sta facendo dei cambiamenti sfidando i sindacati italiani, il cui potere è radicato nel settore pubblico. "Mi rifiuto di credere che i sindacati dell'Italia di oggi vogliano ancora difendere [un] milione di nullafacenti contro i 60 milioni dell’opinione pubblica che vuole vedere premiato il merito e puniti i lavativi", ha detto questo mese. Egli ha imposto per decreto una norma che, dopo la seconda assenza di un qualsivoglia anno, solo i certificati medici rilasciati dal servizio sanitario pubblico sono considerati accettabili. Ora prevede di introdurre premi di produttività basati in parte sulle presenze record. Brunetta, 58 anni, è una bestia rara nella compagine variopinta del governo: un liberale impegnato e amante del libero mercato. Escluso dall’amministrazione Berlusconi del 2001-06, egli ha trascorso cinque anni digrignando i denti nella delusione per non aver perseguito le riforme strutturali. In puro stile thatcheriano, egli proviene da modeste origini (il padre era un venditore ambulante veneziano di souvenir), che ne fanno un avversario insidioso per i sindacati. "I ricchi possono permettersi di servizi privati", ha detto di recente. "E' il povero che necessita di un'efficiente scuola statale e di ospedali." Ci vorrà più di una misura restrittiva su chi si dà malato per raggiungere questo obiettivo. Ma le sue nuove norme in materia di assenteismo sono state accompagnate da 24 altre riforme, compresa la demolizione dei piccoli, antieconomici servizi, le restrizioni delle assunzioni di consulenti e le misure per fermare i dipendenti pubblici che fanno più di un lavoro. Ulteriori modifiche più radicali sono state proposte in parlamento. La grande prova sarà il prossimo autunno, quando saranno discusse le nuove riforme mentre i sindacati premono per una retribuzione più alta nel bilancio del prossimo anno. Negli ultimi sei anni, i salari sono aumentati del 15% più nel settore pubblico che nelle imprese private. Quest'anno il governo promette di fare un aumento ad un tasso di inflazione programmato irrealisticamente basso. Il palcoscenico è impostato per un possente scontro, e il rischio è che il governo possa sacrificare la riforma del settore pubblico per ottenere concessioni da parte dei sindacati sugli stipendi. 9
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Per il momento perlomeno, Brunetta può cantare vittoria mostrando che l'assenteismo tra i lavoratori statali è sceso. I dati di luglio sono del 37% in meno rispetto all’anno precedente. Giustamente, una delle diminuzioni è stata fatta presso il ministero del lavoro. • * “Fannulloni d’Italia” di Davide Giacalone. Torna all’indice 10
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Financial Times 27/08/08 Il Sud Africa sollecitato a riformulare la politica economica Di Tom Burgis da Johannesburg Secondo un alleato di Jacob Zuma, il favorito alla presidenza del Sud Africa il prossimo anno, il futuro governo dovrà abbandonare radicalmente la politica economica conservativa del decennio se vorrà disinnescare la “bomba ad orologeria” della povertà, della disoccupazione e del crimine che minaccia di fare buca nell’investimento climatico. Zwelinzima Vavi, leader del Cosatu, la federazione sindacale che è stata lo scorso anno di cardinale importanza nel consegnare l’importante dirigenza dell’African National Congress a Zuma, ha chiesto in un’intervista al Financial Times una “revisione completa delle strategie conservatrici che abbiamo perseguito – di tutte”. Ha scelto come suoi obiettivi principali il mandato della banca centrale sull’inflazione, che visto aumentare i tassi di interesse al 12% per contrastare l’inflazione dell’11.6%, e il gradito saldo attivo del bilancio del tesoro. Ha comunque ammesso che l’influente sinistra non potrà aspettarsi di “ottenere ogni cosa” nei prossimi dibattiti sul futuro della più grande economica dell’Africa, e ha cercato di ridimensionare la comune idea sbagliata secondo la quale Zuma e i suoi alleati vogliono dire che “siamo sulla strada della spesa sconsiderata……sulla strada dello Zimbabwe”. A luglio l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica ha apprezzato le politiche del governo, che dal 2004 hanno consegnato una crescita al di sopra del 5%, ma trovato la “debolezza a livello economico…per quanto riguarda la disoccupazione, la disuguaglianza e la povertà”. Le due rappresentazioni sui muri dell’ufficio di Vavi nella sede del Cosatu a Johannesburg, un quadro che raffigura Che Guevara e una collezione di titoli bancari per i clienti a basso reddito, rivestono il delicato equilibrio che affronta ogni nuovo governo. Zuma e i suoi sostenitori si sono coltivati una base tra la maggioranza dei sudafricani che sentono che il decennio di limitazioni fiscali con Thabo Mbeki, il presidente uscente, dato benefici agli investitori stranieri e alla piccola classe media nera ma ha fatto poco per aumentare i livelli di vita dei poveri. Le aspettative di cambiamento stanno raggiungendo livelli astronomici. Zuma ha corteggiato il settore privato, consapevole delle agitazioni per il suo populismo. Con un deficit della bilancia commerciale ora al 9% del PIL, il Sud Africa è vulnerabile ai cambiamenti degli investitori. Quanto esposto spiega perché Vavi, membro della ristretta cerchia di Zuma, è incline a legare i suoi obiettivi a quelli dell’impresa. Sottolineando che l’alleanza non “porterà danaro” ai problemi, dato che persiste una “cultura clientelare”, ha avvisato che la privazione è “una bomba ad orologeria per qualsiasi investitore. Nessun investitore vorrà mettere il suo futuro di lungo termine in un’economia che ha il 38% di disoccupazione e una forte crisi di povertà, di disuguaglianze e di crimine”. 11
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Ciononostante, Vavi, i cui iscritti hanno mostrato i muscoli con una serie di scioperi sull’aumento del costo della vita, ha esposto una lista di richieste e si è detto fiducioso che formeranno l’agenda del prossimo governo. Il nuovo governo, ha aggiunto, ha bisogno di affrontare le eredità restanti del governo bianco che includono i monopoli e i servizi sanitari e scolastici che hanno mantenuto dei prezzi artificiosamente alti, e affrontare la probabile polveriera della redistribuzione della terra. Ha affermato che i lavori pubblici “su vasta scala” potrebbero in parte essere finanziati da incentivi per gli investitori e da un aggiustamento “probabilmente doloroso” per il sistema fiscale delle società. Data l’influenza elettorale dell’ANC e dei suoi alleati, il Cosatu e il partito comunista, Zuma non è del tutto sicuro della presidenza alle elezioni previste nella metà del prossimo anno, a condizione che le accuse di corruzione su un accordo di armi negli anni ’90 non metteranno nei guai le sue ambizioni. Alcuni dirigenti d’impresa dicono, in privato, di essere meno preoccupati per i grandi cambiamenti della politica quanto piuttosto dai politici che chiedono alla magistratura di far cadere il processo a Zuma. Vavi ha fatto poco per attenuare questi timori quando si è unito ai dirigenti dell’ANC questo mese per picchettare il tribunale durante un’udienza prima del processo e ha portato la folla a cantare “Giù le mani dal nostro presidente”. Vavi ha affermato che il leader dell’ANC è stato “trattato ingiustamente”, ma ha negato che l’indipendenza della magistratura fosse minacciata. Alla domanda quali sono le priorità del governo, Vavi ha risposto: “Zuma è…un ragazzo di campagna e conosce la povertà. Si ucciderà se dopo cinque anni la gente di campagna si sentirà emarginata”. Dal “Bantustan” al sindacato *Sconosciuta l’esatta data di nascita, anche se il prete che lo battezzò ritiene che fosse il 20 dicembre del 1962 * Infanzia passata in una famiglia di lavoranti agricoli che si insediarono in una riserva del “Bantustan” per neri* Ha lavorato in un miniera di uranio per tre anni prima di essere licenziato durante uno sciopero nel 1967* Aderì al Sindacato Nazionale dei Minatori prima di passare di grado nel Cosatu, la federazione sindacale nazionale, diventando nel 1999 segretario generale* In qualità di dirigente del Cosatu ha guidato parecchi scioperi e lanciato attacchi verbali contro il regime di Mugabe dello Zimbabwe * E’ stato influente nella vittoria di Jacob Zuma dello scorso anno nella corsa per la direzione dell’African National Congress * Ha insistito che non accetterà una posizione nel governo di Zuma Torna all’indice 12
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale The Economist 21/08/08 Liberia Con un piccolo aiuto dei suoi amici Ellen Johnson-Sirleaf, a metà strada attraverso il suo primo mandato come presidente, sta facendo bene Nel suo discorso inaugurale nel gennaio 2006, il primo capo di Stato d'Africa donna ha esposto i compiti scoraggianti della Liberia, citando la sua determinazione a guarire le terribili ferite inflitte durante la guerra civile dal 1989 al 2003 con i suoi terribili e vari predecessori, tra cui Charles Taylor , ora sotto processo per i crimini di guerra all'Aia. Ellen Johnson-Sirleaf, ex banchiere mondiale, ha promesso di ridurre la povertà della Liberia e di consolidare la democrazia. Nel complesso, ha fatto progressi - anche se con un sacco di aiuto da amici dall'estero. La Liberia è più stabile in questi giorni, grazie in parte ad una grande forza di pace delle Nazioni Unite, i cui numeri scenderanno da 13.000 a poco meno di 10.000 entro la fine del 2010. La sicurezza è portata gradualmente da una rinnovata forza di polizia nazionale e da un nuovo esercito, entrambi reclutati e addestrati da una ditta americana, DynCorp, che viene pagata dagli Stati Uniti. Ciò testimonia il generoso sostegno che la signora Johnson-Sirleaf riceve dall'amministrazione Bush e dai storici legami tra i due paesi; la Liberia fu fondata nel 1847 da schiavi americani liberati. Ora l'America sta ancora investendo in Liberia come una delle più luminose prospettive dell’Africa e sta seguendo da vicino i suoi progressi: infatti, così strettamente che è difficile per i liberiani scoprire cosa sta accadendo al loro esercito, poiché la DynCorp relaziona alle autorità americane, non ai liberiani. La signora Johnson-Sirleaf ha anche compiuto dei progressi nei confronti di quello che chiama il "cancro debilitante della corruzione". Sono ancora frequenti rapporti riguardo fondi stornati e beni fatti sparire a distanza, ma il governo ha dato un equo esempio. Il presidente è famoso per aver licenziato un alto funzionario del Ministero dell'Economia e delle Finanze particolarmente corrotto. I giornalisti della Liberia possono ora riferire tali questioni, senza timore di essere arrestati o che gli uffici del giornale siano incendiati, un sicuro segno di miglioramento. Il compito più urgente del presidente è quello di stimolare l'economia della Liberia. Prima della guerra civile, i suoi pilastri erano la gomma e il riso, il settore minerario, della silvicoltura e dei servizi finanziari. Il PIL pro capite è sceso da 800 dollari l’anno nel 1980 a circa 100 dollari, verso la fine della guerra. Due sono stati i settori segnati da un’urgente rinnovamento: gomma e minerario. La Firestone, la società che possiede la più grande piantagione di caucciù del mondo 13
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale appena fuori Monrovia, la capitale, ha firmato un innovativo accordo con il governo, accettando di pagare le tasse e di investire in una migliore edilizia abitativa per i suoi lavoratori. Il governo della Liberia vede questo come un modello per altre grandi imprese agricole danneggiate in guerra. Nel 2006, l’ArcelorMittal, la più grande impresa siderurgica, negoziò un accordo con il governo della Liberia per riavviare il sistema in una miniera nella contea di Nimba con un nuovo investimento di 1,5 miliardi di dollari. Questo, dice la società, creerà circa 3.500 posti di lavoro. Un’industria forestale meglio regolamentata può, si spera, creare circa 40.000 posti di lavoro. L'ONU ha lasciato cadere le sanzioni nei confronti del legname liberiano e dei diamanti: Taylor utilizzava denaro contante da quei prodotti di base per pagare il suo esercito e per il suo esercito distruttivo che faceva incursioni in Sierra Leone. Anche il turismo è attualmente in cerca di clienti. Hesta Pearson, un imprenditore liberiano, dice che la mancanza di infrastrutture nel paese è un punto di vendita. "Possiamo vendere la Liberia come un luogo incontaminato, sereno", insiste. "Inoltre, questo paese è storicamente unico, offre molti importanti riferimenti, in particolare per gli afro-americani." Uno di questi, Robert Johnson, il fondatore del Black Entertainment Television che si dice essere il primo miliardario nero americano, sta costruendo un mercato nella località balneare a nord di Monrovia, che si aprirà il prossimo anno. I cinesi sono anch’essi interessati. Sono riapparsi nel decrepito Boulevard William Tubman, l’arteria principale di Monrovia, dal nome del Presidente del paese che è stato più a lungo in carica, e porterà progetti simili in tutta la Liberia. Sono in arrivo aiuti, non solo dall’America. L'UE sta contribuendo, si dice che circa 180 organizzazioni di beneficenza siano ora attive in Liberia. Così l'economia sta salendo e si prevede che crescerà del 10% l'anno prossimo. L’America può contribuire a ridurre il debito estero della Liberia di 3,7 miliardi di dollari per rendere disponibili fondi per le scuole e gli ospedali. Ma il tenore di vita è stato eroso dal rapido aumento dei prezzi alimentari. Il presidente ha dovuto porre fine ai dazi sull'importazione di riso, prodotto principale della Liberia. Memorie del recente e terribile passato ancora amareggiano. Migliaia di ex combattenti languiscono nella baraccopoli di Monrovia, alimentando un 'ondata di criminalità. La Commissione Liberiana per la Verità e la Riconciliazione sta cercando di affrontarla. Quasi tutti i liberiani sono stati feriti da ciò che chiamano la "crisi civile" del 1989 - 2003. Lontano all'Aia, avanza il processo di Taylor. Eppure ha ancora uno dei comandi che lo seguono in Liberia, soprattutto tra coloro che hanno profittato del suo patrocinio. Ma la stragrande maggioranza vuole che lui rimanga nascosto per il resto della sua vita in modo che essi possano andare avanti con la loro vita in pace. Torna all’indice 14
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Ha’aretz 26/08/08 Peace Now: la costruzione di insediamenti in Cisgiordania quasi raddoppiata quest’anno Di Nadav Shragai Peace Now sostiene nel suo rapporto semestrale che negli insediamenti della Cisgiordania sono in costruzione più di 2.600 unità abitative, che riguardano unità abitative in oltre 1.000 edifici. L’organizzazione, che basa le sue conclusioni su visite ai campi e su fotografie aeree, afferma che poco più della metà delle nuove strutture stanno per essere costruite a est dalla barriera di separazione, e in diversi luoghi la costruzione sta per invadere le frontiere delle città palestinesi, come Ramallah e Betlemme. I dati dell’Ufficio Nazionale di Statistiche mostra che la costruzione negli insediamenti è aumentata passando da 240 unità tra gennaio e maggio 2007 a 433 unità abitative durante lo stesso periodo di quest’anno. I progetti del ministero delle abitazioni e delle costruzioni ritengono che sia stata avviata la registrazione del 64% di tutti gli edifici. Peace Now riferisce un aumento del 550% del numero delle offerte di costruzione negli insediamenti: 417 unità abitative paragonate a sole 65 unità nel 2007; 125 nuovi edifici negli avamposti, che includono 30 strutture permanenti. Il rapporto affronta anche la costruzione lungo la linea di demarcazione Green Line all’interno dei confini municipali di Gerusalemme, un’area nella quale vivono ora 200.000 ebrei. Gerusalemme est ha visto un aumento delle offerte per la costruzione di unità abitative di 46 quest’anno, passando da 38 di gennaio – maggio del 2007. La conclusione del suo ultimo rapporto, afferma il direttore di Peace Now Yariv Oppenheimer, è che “Israele sta per cancellare la Green Line attraverso una costruzione intensiva tesa a creare una continuità territoriale tra il blocco di insediamenti e gli insediamenti isolati nel cuore della Cisgiordania, è con questa costruzione che si avvicinano alle città palestinesi come Betlemme e Ramallh”. Torna all’indice 15
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale The New York Times 25/08/08 Maliki sollecita la data del ritiro delle truppe americane Di Campbell Robertson a Riyad Mohammed Mahmoud Raouf Mahmoud/Reuters Funerali per le vittime del bombardamento. Parenti riuniti lunedì per la sepoltura delle vittime di un bombardamento che ha ucciso 25 iracheni ad un banchetto per una cena ad Abu Ghraib, ad ovest di Baghdad, la notte prima. Baghdad. Alcuni giorni dopo che gli alti funzionari iracheni ed americani suggerirono che la bozza dell’accordo di sicurezza tra i paesi era stata conclusa, il primo ministro Nuri Kamal al Maliki ha inasprito il suo linguaggio, ripetendo le richieste irachene di fissare una data per il ritiro delle truppe americane. “Non è possibile concludere un accordo se non sulla base della piena sovranità e nell’interesse nazionale, e che nessun soldato straniero rimarrà sul suolo iracheno dopo un limite di tempo definito”, ha affermato Maliki in un discorso ai leaders delle tribù sciite nella Zona Verde di Baghdad. L’amministrazione Bush ha costantemente sottolineato che l’accordo, necessario per autorizzare la presenza delle forze americane dopo la scadenza del mandato delle Nazioni unite alla fine di quest’anno, si trova ancora sottoforma di bozza. “Queste discussioni continuano, dato che non abbiamo ancora definito un accordo”, ha affermato lunedì il portavoce della Casa Bianca, Tony Fratto. “Siamo ottimisti che l’Iraq e gli Stati Uniti possano raggiungere un accordo reciproco su obiettivi flessibili per le truppe degli Stati Uniti di proseguire il ritorno con successo, basato su condizioni di sicurezza, e di consentire alle forze irachene di fornire la sicurezza ad un Iraq sovrano”. Sebbene sia sembrato che Maliki facesse riferimento a tutte le truppe straniere nelle sue dichiarazioni, i negoziatori iracheni hanno affermato recentemente che un accordo per la data del 2011 riguarda soltanto le truppe di combattimento, e che le forze di “formazione e sostegno” potrebbero rimanere dopo se invitate dal governo iracheno. Lunedì, alti funzionari iracheni hanno detto di aver capito che persino la data di partenza delle truppe di combattimento sarà “dettata da condizioni”. Ma il primo ministro si trova sotto una pressione politica che lo spinge a prendere una linea dura contro gli americani, anche mentre il suo governo si impegna ad andare avanti e indietro nei negoziati. Si possono vedere graffiti sui muri nei distretti sciiti di Baghdad che dicono: “Iraq in vendita: vedere Maliki”. 16
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Maliki ha affermato che ci sono altre parti dell’accordo sulla sicurezza sulle quali le parti devono ancora raggiungere un accordo. I punti della disputa, ha affermato, riguardano l’approvazione delle operazioni militari americane e le condizioni in base alle quali ai soldati americani sarà concessa l’immunità. “Ci sono alcuni articoli sui quali ci siamo arenati”, ha affermato. “Se questi articoli non saranno cambiati, sarà difficile che questo accordo sarà approvato”. L’Iraq è pronto a concedere l’immunità ai soldati americani che sono nelle basi o che stanno conducendo operazioni militari, ha affermato in un’intervista telefonica, il portavoce del governo iracheno, Ali al Dabbagh, ma insiste che i soldati americani, per tutte le altre circostanze, siano sottoposti alla legge irachena. Hadi al Ameri, legislatore iracheno, ha affermato che l’immunità è “la questione aperta più complicata”. Dabbagh ha affermato che c’è stato anche disaccordo rispetto al fatto che i detenuti iracheni possano restare in custodia degli americani. All’Iraq è stato chiesto che chiunque detenuto dalle forze americane sia consegnato alle autorità irachene entro 24 ore. Lunedì mattina, un soldato americano è stato sparato a Adhamiya, un quartiere sunnita a Baghdad che una volta era il terreno sul quale crescevano gli insorgenti ma è diventato più sicuro. I militari hanno affermato in una dichiarazione che il soldato è stato trasferito in un reparto militare dove è morto per le ferite riportate. Tareq Maher ha contribuito con informazioni da Baghdad e Neil A. Lewis da Crawford, Tex. Torna all’indice 17
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Labour Start 29/08/08 The Hindu Tamil Nadu I lavoratori dell’unità produttiva del telaio meccanico revocano lo sciopero Verso un accordo Coimbatore. I lavoratori dell’unità produttiva del telaio meccanico nel distretto di Coimbatore che sono scesi in sciopero a tempo indeterminato a partire dal 16 agosto per chiedere un aumento dei salari, hanno revocato lo sciopero giovedì dopo un accordo con i produttori tessili. Il distretto ha due unità produttive che danno lavoro allo stesso numero di lavoratori. Il ministero dei prodotti tessili e dei telai a mano, Ramachandran, ha affermato ai giornalisti che le due parti si sono accordate su un aumento del 32% per una serie di produzione (Somanur) e del 27% per altre varietà prodotte da queste unità. L’accordo sarà attivato a partire dal 15 settembre (compleanno dell’ex capo ministro Annadurai). “Il controllore impartirà ordini e garantirà l’attuazione”. L’unità produttiva ha annunciato che riprenderà il lavoro giovedì. Il precedente accordo salariale fu concluso nel 2005, e comportò rispettivamente un aumento del 23% e del 19%. I lavoratori chiedono un aumento del 100% per quest’anno, dato che i costi di produzione sono aumentati. Il ministro delle industrie rurali, Animal Husbandry Pongular N. Palanisamy e il controllore V. Palanikumar hanno fatto svariati cicli di negoziati con le parti, ma invano. Secondo le direttive del capo ministro M. Karunanidhi, Ramachandran, Palanisamy, il ministro del lavoro T.M. Anbarasan e il ministro delle strade pubbliche M.P. Saminathan hanno avuto degli incontri con i produttori e i lavoratori giovedì. Ramachandran ha affermato che saranno trovate soluzioni alle richieste dei lavoratori delle unità produttive del telaio meccanico. Lo stabilimento tessile a Vellakovil aveva annunciato uno sciopero a tempo indeterminato a partire dal 25 agosto, chiedendo di porre un divieto alla vasta esportazione di cotone. Anch’essi hanno revocato lo sciopero giovedì dopo la garanzia che il governo si sarebbe occupato del caso. Torna all’indice 18
Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Financial Times 27/08/08 Il leader dei lavoratori preannuncia di passare a un messaggio più populista sul commercio Di Stephanie Kirchgaessner da Denver Un alto dirigente sindacale ha preannunciato che Barack Obama adotterà un messaggio economico più populista sul commercio come parte del suo appello a sostegno degli elettori e dei pensionati della classe lavoratrice bianca. Bruce Raynor, presidente generale di Unite Here, un sindacato che rappresenta i lavoratori dell’industria dei servizi e dell’industria tessile, ha affermato in un’intervista con il Financial Times che Obama ha bisogno di rimettere a fuoco la sua agenda sul commercio e su altri messaggi dell’economia. “A grande maggioranza, i lavoratori americani credono che la politica commerciale li abbia colpiti. Deve affrontare questo. Credo che giovedì vedremo che prenderà un orientamento più populista”, ha affermato Raynor. La politica commerciale è stata un tema centrale delle primarie dei Democratici, con Obama e la sua rivale per la nomination, Hillary Clinton, che si sono impegnati, se fossero stati eletti, a rinegoziare gli accordi commerciali come il Nafta. Ma il commercio è stato declassato dall’agenda da quando Obama è diventato il presunto candidato ed è stato spostato al centro come parte della campagna elettorale generale. Quest’estate, i prezzi energetici sono diventati la questione economica fondamentale mentre i legislatori litigavano per le proposte energetiche concorrenziali. Il passaggio dal commercio all’energia sembra abbia preso un certo slancio lontano dai democratici. Raynor ha affermato di credere che il commercio ritornerà ad essere all’avanguardia della campagna in parte perché John McCain ha “sbagliato tutto” rispetto alla questione. “Si tratta di una vera debolezza” ha affermato Raynor. “L’economia è andata male. L’idea che [il conflitto] in Georgia e in Russia abbia spostato l’attenzione sulla politica estera – Non concordo”. Mentre la maggior parte degli analisti politici associano le questioni sindacali agli stati indecisi come l’Ohio e il Michigan, Raynor ha affermato che loro hanno echeggiato anche la “rust belt” settentrionale (la Zona della Ruggine, gli stati dell’Illinois e del Michigan). Ha affermato che la scelta di Obama sul compagno di corsa verso la Casa Bianca, Joe Biden, è stata la migliore decisione che potesse prendere per rafforzare il messaggio sul commercio all’elettorato della classe lavoratrice. Torna all’indice 19
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