75 VENEZIA THE BEST 2018 FESTIVAL DEL CINEMA - di Gaia Serena Simionati
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29 AGOSTO 2018 SULLA MIA PELLE di Cremonini Fino a che punto una spirale si può evolvere in negativo? Fino al baratro. Lo stesso che ha visto da vicino e in cui è stato spinto dentro di soppiatto il povero Stefano Cucchi. Quando il destino si accanisce è come se una serie di mosse già scritte contribuisse a cancellare un’esistenza di per sé già precaria. E qualcuno si divertisse al tempo stesso ad aggiungerci calci e pugni. Il film Sulla mia pelle di Cremonini racconta, in un momento in cui a Venezia tutti i riflettori internazionali sono puntati sul paese, la storia drammatica, assurda, inconcepibile in un paese civile, di Stefano Cucchi, il ragazzo tossicodipendente, morto per percosse da parte dei carabinieri e varie concomitanze, a soli 31 anni, in un carcere romano. In un momento in cui dalla cronaca emergono solo stupri da parte di poliziotti verso turiste o studentesse, ragazze straniere, una morte sospetta in carcere, la 172 esima in un anno, non rende la vita facile a un sistema Italia che già scricchiola, soffoca e arranca irreversibile verso lo sfacelo. Se a questo si aggiunge un sistema legale da schifo, un avvocato inconsistente e inutile come spesso avviene, un fenomeno giustizia prigioniero di se stesso che risulta arroccato in regole e regolette da azzeccagarbugli medioevali, dove dei genitori non hanno diritto di vedere un figlio malato in detenzione, la lista dei danni subiti si allunga, connessa alle incompetenze e cattiverie, alla perdita di diritto, almeno quello di rimanere vivi, soprattutto se in custodia statale cautelare. 2
Ciò detto il film è asciutto, commovente, ben girato, documentato e ben recitato. Una madre in sala riceve in lacrime, gli applausi meritatissimi includendo quelli di critica e pubblico per 10 minuti e suscita una commozione profonda in tutti, anche per la sua dignità e compostezza. Lucky Red non sbaglia mai un colpo e tantomeno Netflix su cui sarà worldwide visibile. Bella figura Italia, continuiamo tranquillamente così, mi raccomando!!! FIRST MAN di Damien Chazelle VAI AVANTI CRETINO Come Forward, Idiot Vi ricordate la gag comica di Bebè e Ciccio, i famosi fratelli De Rege degli anni 30- 40? Ecco dopo aver visto il film First man moltissime idee si affastellano tra cui quella che gli apripista hanno sempre vita difficile. Come tutti coloro che precedono, sia nella scienza che nella matematica o nell'arte: incompresi. Forse per questo un titolo così intelligente, che in inglese significa sia Il primo uomo che L'uomo per primo o prima di tutto, ad indicare forse la sua centralità e il senso innato di avventura di ogni vivente. Questo aspetto lo colloca come fosse un film rinascimentale contemporaneo, dove la centralità dell’essere umano, con la sua intelligenza pura, era ed è ancora tutto. Tratto dal romanzo “First Man: The Life of Neil A. Armstrong” di James R. Hansen, si racconta dei primi e più geniali, coraggiosi e temerari, un po’ incoscienti o forse troppo consapevoli, per poter evitare di bloccare il progresso che senza di loro si sarebbe arrestato molto prima. Il caso del film racconta la scissione tra uomo, ingegnere, padre, marito, astronauta Neil Armstrong (l’ottimo Ryan Gosling, pure molto somigliante). 3
L’importanza del suono, la visione stretta claustrofobica delle immagini, riprese sempre da vicino, nella capsula obsoleta, le ottime interpretazioni, la continua incessante attenzione e ricerca musicale, che è pezzo forte di Chazelle per valorizzare al meglio certi momenti, fanno del film un’avventura che ti cambia le prospettive - come dice uno dei personaggi - parlando del volo lunare. La musica, indubbiamente rende epico il gesto; è come un gigante evidenziatore verde che sottolinea e marca la visione. Ad esempio, quando durante le proteste per i milioni di dollari spesi dalla Nasa, apparentemente o inizialmente inutilmente, con dispendio di molte vite di alcuni coraggiosi e pochi progressi, alle proteste dei neri poveri, senza alcuna capacità reddituale, senza cibo, impossibilitati a pagare un affitto, sono associate ritmate musiche tribali con tamburi a indicare la primigenia della stirpe e forse l’origine dell’uomo, quando la luna, in epoca paleolitica, si limitava a vederla a occhio nudo. Non parliamo poi della fotografia, eccezionale, specialmente nella fase finale del film a contatto con crateri, grigi e neri, dove la piccolezza dell’uomo è resa inversamente proporzionale alla grandezza dell’artista. Sia esso regista, attore, pianista o astronauta. Spesso agli inizi incompreso! 30 AGOSTO ROMA di Alfonso Cuaron 4
Acclamato dalla critica, tanto da vincere IL LEONE D'ORO PER IL MIGLIOR FILM, Roma, è una pellicola dall’ingannevole titolo che non si riferisce alla capitale Italica, ma al quartiere di Città del Messico in cui è cresciuto Alfonso Cuaron. Qui viene ambientata questa suggestiva e commovente saga che andrà verso il disfacimento progressivo della famiglia del regista. Girata in modo autobiografico in un elegantissimo e storico bianco e nero, Cuaron dirige un film intimo e personale, in cui vicende private s’innestano a quelle sociali e politiche sullo sfondo della capitale messicana negli anni ‘70. A queste si aggiunge la vita parallela delle collaboratrici domestiche, Cleo e Adela, di origine mixteca, che abitano la casa, la curano in tutto, assieme ai numerosi bambini che la vivono, la nonna e il cane, creando binari paralleli di vite vicine tra etnie diverse e ceti sociali dissimili. È un film sulla memoria – racconta il regista in conferenza, dicendo che i dialoghi, le persone, persino la casa, tutta ricostruita identica sono reali e rivivono attraverso il ricordo. E aggiungeremmo, un film sulle donne, che sono in molte e protagoniste, con i loro dolori e intime sofferenze, fatte di perdite e abbandoni, con la loro forza e intelligenza in grado di produrre genialità e bellezza, di rimboccarsi sempre le maniche e ogni volta rinascere. Anche dalle ceneri. 5
THE FAVOURITE di Yorgos Lanthimos POWER GAME: NEVER UNDEREVALUATE A BLONDE Uscito da un quadro di Francesco Mazzola, molto più noto come Parmigianino, con un uso inesorabile, elegantissimo e convesso del grandangolo, come lo stesso autoritratto allo specchio di Vienna, il film di Lanthimos, parla dei giochi di potere tra tre donne, intervallando piani sequenze elegantissimi in una carrellata di grandi dipinti d’epoca. La favorita è un film assolutamente da vedere anche solo per gli scorci, l’eleganza dei costumi, degli spazi, l’intelligenza e sagacia dei dialoghi, la maestria di recitazione di una irriconoscibile e appesantita Olivia Colman, da Oscar, in relazione a Weisz e la temibile biondina Stone, oltre alle innumerevoli ironiche trovate dei frizzi e lazzi settecenteschi, come il lancio di pomodori all'uomo nudo in parrucca o la passeggiata con gallina. In realtà le tre donne, sono delle sopravvissute, al di la del loro ruolo sociale; regina, cortigiana e domestica, tutte in qualche modo prive di amore, ferite, abbandonate, vendute. La pellicola narra dolori, amori, scelte politiche della regina Anna Stuart corredata da intrighi di corte, di donne vipere attorno a lei, da cui viene usata e amata a ritmi alterni. 17 conigli, 17 come i figli che ha perso, sono la vera e sana compagnia consentita e autentica, oltre che il catetere verso il dolore delle perdite subite negli aborti; delle altre c’è da dubitare. Personaggio fragile, insicuro dai variegati gusti sessuali, spesso prevalenti e ceduti alle grazie fisiche più che alle decisioni di pace o politiche, essa rappresenta il personaggio ideale per film e libri. L'eleganza di Lanthimos in questo film lo fa corrispondere a una sorta di Sorrentino Greco a tiro con la grande bellezza, non a caso forse i due nati a tre giorni di distanza, con la stessa camaleontica personalità, corredata da gusto inesauribile che, nel caso del greco, non vede ancora decaduta l'originalità degli script e l'idea necessaria per concepire film intelligenti. Quando ho domandato al regista come mai l'uso del grandangolo e se l'idea gli fosse venuta da un autoritratto di Parmigianino allo specchio conservato a Vienna, mi ha risposto che si, lui ama unire tecniche diverse supercontemporanee a un ambiente antico e che ogni scelta visiva che facciamo deriva dal nostro passato e da quello che abbiamo visto. Aggiungendo che la pittura rinascimentale italiana per lui è molto interessante. E so soddisfazioni.... 7
01 SETTEMBRE FRATELLI NEMICI di Oelhoffen Un film prettamente maschile, senza donne, con il bravo Schoenaerts, in cui si parla di lealtà e fedeltà, di valori di famiglia e vicinanza, spesso non rispettata, nella comunità marocchina. “Con questa faccia è l’unica cosa che posso fare” dice il protagonista, e si affrontano, celati nella storia, stereotipi dell’arabo a Parigi, dove dalle banlieu in poi, i film sono stati tanti. Il film è intenso e offre una buona tensione. SUSPIRIA Guadagnino “Consiglio a tutti di andare uno psichiatra” esordisce in conferenza stampa, la brava attrice di Orlando, Tilda Swinton, ormai feticcio di Guadagnino. 1977. Berlino. In una scuola di danza, modello Pina Bauch, famosa performer tedesca, muoiono delle ragazze. Forse è stata Anna Arendt, con “La banalità del male” ha ispirare il senso del terribile e la banalità del film in Guadagnino, dopo la scoperta dell’amore, ora un film sulla scoperta della morte. Seppur elegantemente girato, ben recitato, con un cast d’eccezione, bei costumi, il film annoia e si piega su se stesso, divenendo autoreferenziale in una cerimonia inutile di perfido gineceo e di omaggio ad Argento. Forse il consiglio della Swinton a Guadagnino di rivedere il suo rapporto col femminile da un bravo psichiatra non è del tutto sbagliato. 8
02 SETTEMBRE TEL AVIV ON FIRE di Sameh Zoabi Charlie Chaplin sosteneva che: “per ridere veramente, bisogna essere capaci di prendere il proprio dolore e giocare con esso”. Tel Aviv on Fire - mi racconta il regista - parte proprio da questo presupposto. E’ un film profondo. Profondo e ilare. Ilare e intelligente. Intelligente e comico. Comico non per sminuire una situazione israelo-palestinese che è più difficile che mai, ma piuttosto per utilizzare gli spunti che l’iperbole comica può offrire. Tema del film sono i punti di vista e le prospettive divergenti. Il personaggio centrale è un aspirante scrittore che lotta per far sentire la propria voce e trovare ispirazione in una realtà intrisa di politica. Nell’ironizzare sull’impossibilità di essere liberi nella scrittura, e non solo in quella, in paesi in cui il controllo vige su tutto e tutti, il regista e sceneggiatore palestinese racconta le sue difficoltà in questo, usando attori perfetti tra cui Salem, il protagonista, una sorta di Mister Bean palestinese, maldestro, dinoccolato, che non ha successo con le donne, ma un cuore tenero lo ben predispone alla scrittura di una telenovela, inizialmente per il controllo della lingua ebraica e poi addirittura prendendo il posto della vera sceneggiatrice. 9
Facendo questo lavoro – racconta - si ha una certa responsabilità sia etica che politica e si ha la possibilità di sollevare quesiti che possono cambiare la situazione e lo status quo. La trama narra che in Israele tutti sono pazzi per la soap opera Tel Aviv on Fire, ambientata nel 1967, in cui una spia palestinese ha una storia d'amore con un generale israeliano. Salam, è trentenne, vive a Gerusalemme, lavora come stagista per la soap e ogni giorno deve passare attraverso alcuni checkpoint israeliani per raggiungere gli studi televisivi. Così incontra Assi, il capo dei controlli, la cui moglie è una grande fan del programma. Per far piacere alla consorte, Assi minaccia Salam affinché modifichi la trama della soap. Salam, dal canto sua, realizza che più che una minaccia il cambiamento potrebbe rivelarsi una fortuna per la sua carriera di sceneggiatore. Le cose andranno per il verso giusto fino al giorno in cui Assi e i produttori non si metteranno d'accordo su come dovrebbe finire la soap, mettendo nei guai Salam. 10
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ISIS, TOMORROW. THE LOST SOULS OF MOSUL di Francesca Mannocchi, Alessio Romenzi Questo film nasce dalle domande che si sono fatte più insistenti durante i mesi di guerra a Mosul e che hanno accompagnato nelle faticose fasi del dopoguerra: cosa è necessario fare per salvare le centinaia di migliaia di bambini cresciuti per tre anni sotto l’Isis? Come scongiurare la possibilità che questi bambini siano il terreno fertile del terrorismo di domani? Si ripercorrono i lunghi mesi della guerra attraverso le voci dei figli dei miliziani addestrati al combattimento e a diventare kamikaze, e si seguono i loro destini nella complessità del dopoguerra fatto di vedove bambine e ragazzi marginalizzati, in cui il sangue della battaglia lascia spazio alle vendette e alle ritorsioni quotidiane, alla violenza come sola risposta. Sarà in grado l'Iraq di accettare i figli dell'Isis come propri figli, di perdonare le loro madri, di riconciliare le anime del paese? Nelle guerre non è raro che i vinti sotterrino le armi prima di ritirarsi, che nascondano arsenali in attesa di tempi migliori. Le armi che l’Isis ha lasciato in eredità per il futuro sono centinaia di migliaia di bambini educati alla violenza e al martirio. Per l’Isis i bambini sono l’arma più efficace per portare nel futuro l’idea di un Califfato universale: creare un mondo diviso a metà, da un lato i jihadisti e dall’altro lato gli infedeli da sterminare. Solo a Mosul, nei tre anni di occupazione dello Stato Islamico, hanno vissuto 500.000 minori. Isis, Tomorrow ripercorre i mesi di guerra attraverso le voci dei figli dei miliziani addestrati a diventare kamikaze, ma anche delle loro vittime e di chi li ha combattuti. Oggi i figli dei combattenti sono bambini che portano sulle spalle il peso di essere stati educati a uccidere i propri vicini e far sopravvivere l’ideologia per farla rinascere dalle ceneri dei padri. L’Isis ha perso Mosul. Ma è davvero sconfitto? O la vera guerra – per chi la vive e per chi sopravvive – inizia il giorno dopo la proclamata vittoria? 12
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